Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-05-29, n. 201903575

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-05-29, n. 201903575
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201903575
Data del deposito : 29 maggio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/05/2019

N. 03575/2019REG.PROV.COLL.

N. 09986/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 9986 del 2015, proposto da:
G S in qualità di titolare della ditta individuale Stella del Sud di Scialpi Giovanni, rappresentato e difeso dall’avvocato L D, con domicilio eletto presso lo studio Marco Gardin in Roma, via L. Mantegazza, n. 24;

contro

Consorzio di Bonifica Stornara e Tara di Taranto, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato L N, con domicilio eletto presso lo studio Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE, SEZIONE II, n. 01575/2015, resa tra le parti.


Visto il ricorso in appello;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Consorzio di Bonifica Stornara e Tara di Taranto;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 14 febbraio 2019 il Cons. A B e uditi per le parti gli avvocati Notarnicola su delega dell’avv. Durano e Palieri su delega dell’avv.Nilo;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La ditta individuale Stella del Sud di Scialpi Giovanni (di seguito, Ditta), che aveva svolto dal 1° gennaio 1980 al 31 maggio 2009 il servizio di pulizia dei locali e uffici del Consorzio di Bonifica Stornara e Tara di Taranto (di seguito, Consorzio) sulla base di un contratto di appalto di durata annuale, prorogabile, stipulato il 31 dicembre 1979, essendosi rivelate infruttuose le richieste bonariamente avanzate, adiva il Tribunale civile di Taranto per ottenere la condanna del Consorzio al pagamento in suo favore del compenso revisionale del corrispettivo contrattuale a decorrere dal luglio 1991, data a partire dalla quale esso era rimasto invariato, sino alla cessazione del servizio, nonché del risarcimento del danno da mancato guadagno per il periodo giugno-dicembre 2009.

Con sentenza n. 747 del 2013 il predetto Tribunale civile, relativamente alla domanda revisionale, dichiarava il proprio difetto di giurisdizione a favore del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2, Cod. proc. amm..

La Ditta riassumeva il giudizio, per la stessa domanda, innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, che, con sentenza n. 1575 del 2015 della sezione seconda, nella resistenza del Consorzio, respingeva il ricorso.

In particolare, il primo giudice rilevava che i compensi revisionali oggetto di domanda giudiziale erano stati oggetto nel 2010 di una transazione tra le parti per la somma complessiva, erogata e quietanzata, pari a € 18.000,00, oltre IVA, e riteneva infondate le difese della Ditta volte a sostenere che la predetta somma era stata accettata a mero titolo di acconto e che la transazione era rescindibile in quanto stipulata in stato di bisogno, opponendo al riguardo, rispettivamene, il carattere “tombale” dell’accordo transattivo (perché avvenuto a tacitazione di ogni richiesta economica correlata al servizio espletato), e l’art. 1970 Cod. civ., secondo cui la transazione non è rescindibile per lesione. Compensava tra le parti le spese di giudizio.

2. Con l’appello all’odierno esame la Ditta ha gravato la predetta sentenza sulla base dei seguenti motivi: I) Errore nel giudicare, nullità della transazione, motivazione insufficiente;
II) Errore nel giudicare, sulla risoluzione del contratto, nullità della transazione, motivazione insufficiente;
III) Errata interpretazione della quietanza di pagamento, documento probatorio.

La Ditta, quantificato l’importo ancora da corrispondersi da parte del Consorzio, al predetto titolo revisionale, nella somma pari a € 84.258,42, oltre interessi, ha concluso per la riforma della sentenza appellata e l’accoglimento del ricorso proposto in primo grado.

Il Consorzio si è costituito in resistenza, domandando la reiezione dell’appello, di cui ha sostenuto l’infondatezza.

Le parti hanno affidato a memorie lo sviluppo delle proprie tesi difensive.

La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 14 febbraio 2019.

3. La Ditta appellante sostiene con il primo motivo l’erroneità della sentenza gravata laddove ha ritenuto perfezionato l’atto di transazione intervenuto con il Consorzio, in quanto: a) mancando la forma scritta e l’unicità del testo documentale previsti a pena di nullità per i contratti delle pubbliche amministrazioni dagli artt. 16 e 17 del r.d. n. 2240/1923 (salva l’ipotesi dei contratti conclusi con imprese commerciali, qui insussistente), l’accordo a contenuto negoziale sarebbe inesistente, e non poteva indi essere desunto, come ha fatto il primo giudice, dalla corrispondenza intercorsa tra la Ditta e il Consorzio;
b) in ogni caso, tale corrispondenza non sarebbe stata idonea a concludere l’accordo, riguardando una materia alla quale non sono applicabili gli schemi tipici degli usi commerciali, e tenuto conto del mancato incontro tra proposta e accettazione, derivante dalla mancata comunicazione alla Ditta - che ha direttamente ricevuto l’accredito della somma di cui sopra sul proprio conto corrente bancario - della delibera consortile n. 49/2010 che ha disposto di procedere alla transazione, carenza non superabile dal successivo pagamento, essendo precluso alle pubbliche amministrazioni perfezionare i contratti per facta concludentia , secondo il modello di cui all’art. 1327 cod. civ..

3.1. Il motivo è infondato sotto entrambi i profili di cui si compone.

3.2. Con la prima prospettazione l’appellante invoca le norme di cui al r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 16 e 17, Nuove disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato , costantemente interpretate dalla giurisprudenza nel senso della necessità della forma scritta - e per di più contestuale, ammettendosi la validità dello scambio di corrispondenza “ secondo l’uso del commercio ” solo ove le controparti siano “ ditte commerciali ” - per i contratti stipulati dallo Stato e dalle altre pubbliche amministrazioni, integrandosi una delle ipotesi richiamate dall’art. 1350, n. 13, Cod. civ., , per il quale “ devono farsi per atto pubblico... sotto pena di nullità... gli altri atti specialmente indicati dalla legge ”.

In particolare, la necessità della forma scritta è costantemente ribadita dalla giurisprudenza di legittimità, quale espressione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione e garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, sul presupposto che solo tale forma consente di identificare con precisione l’obbligazione assunta e l’effettivo contenuto negoziale dell’atto, rendendolo agevolmente controllabile anche in punto di necessaria copertura finanziaria (Cass. civ., Sez. Un., 9 agosto 2018, n. 20684;
Cass. 28 giugno 2018, n. 17016;
23 gennaio 2018, n. 1549;
ord. 27 ottobre 2017, n. 25631;
13 ottobre 2016, n. 20690;
17 giugno 2016, n. 12540;
22 dicembre 2015, n. 25798;
11 novembre 2015, n. 22994;
ord. 24 febbraio 2015, n. 3721;
19 settembre 2013, n. 21477;
14 aprile 2011, n. 8539;
26 ottobre 2007, n. 22537). Consegue l’irrilevanza di manifestazioni di volontà implicite o desumibili da comportamenti meramente attuativi (Cass., 11 novembre 2015, n. 22994;
ord. 9 maggio 2017, n. 11231;
15 giugno 2015, n. 12316), e l’inammissibilità, salvi i casi previsti da speciali disposizioni, di rinnovi taciti (Cass., Sez. un., 20 novembre 1991, n. 12769;
Cass., 24 giugno 2002, n. 9165;
21 maggio 2003, n. 7962) e di subentri per facta concludentia (Cass., 19 settembre 2013, n. 21477;
30 maggio 2002, n. 7913).

Ciò posto, va osservato che, sempre per consolidata giurisprudenza, le norme sulla contabilità generale dello Stato appena richiamate non sono ritenute applicabili agli enti pubblici economici, per i cui contratti non è prevista, di regola e salvo pure cospicue eccezioni (come nel caso dell’affidamento di pubblici appalti), la forma scritta o altra forma solenne ad substantiam .

Viene in rilievo, in questo caso, la considerazione che l’ente pubblico economico si pone sullo stesso piano, anche concorrenziale, dei comuni imprenditori e va quindi equiparato a essi anche nell’espletamento della comune attività negoziale e, pertanto, nella libertà dalle forme speciali imposte invece alle pubbliche amministrazioni quando non agiscano iure privatorum (Cass. Sez. un., n. 20684 del 2018, cit.;
Cass., 2 dicembre 2016, n. 24640;
24 giugno 1975, n. 2511).

Tale ultima ipotesi si rinviene nella fattispecie in esame.

Infatti i Consorzi di bonifica hanno natura giuridica di ente pubblico economico (giurisprudenza costante: tra altre, Cass. civ., Sez. un., 20 gennaio 2017, n. 1548;
Sez. lav., 5 dicembre 2017, n. 29061;
Cons. Stato, VI, 20 maggio 2011;
28 marzo 2000, n. 1796;
Corte cost. 14 luglio 2006, n. 289;
28 luglio 2004, n. 282).

Ne deriva che, contrariamente a quanto opinato dall’appellante, l’atto transattivo di cui trattasi, finalizzato alla regolazione di pretese inerenti lo svolgimento di un servizio già prestato a favore del Consorzio, non può ritenersi soggetto, in dipendenza della natura del Consorzio stesso, alla normativa sulla forma dei contratti di cui agli artt. 16 e 17 del r.d. n. 2440 del 1923, e, indi, alla prescrizione della forma scritta, contestuale, ad substantiam .

3.3. Va disatteso anche il secondo ordine di prospettazioni del motivo in esame, con cui l’appellante afferma che né la corrispondenza intervenuta tra la Ditta e il Consorzio né il pagamento effettuato da quest’ultimo erano idonei a concludere l’accordo transattivo rinvenuto dal primo giudice.

In particolare, entrambe le argomentazioni spese sul punto dall’appellante, cioè che alla transazione di cui trattasi era inapplicabile lo schema tipico degli usi commerciali, e che il contratto non si è perfezionato stante la mancata comunicazione alla Ditta della delibera n. 49/2010 con cui l’Ente si è determinato a procedere alla transazione stessa, risentono in linea generale dell’errata convinzione dell’appellante in ordine alla sottoposizione dell’atto transattivo in parola alle disposizioni di cui agli artt. 16 e 17 del r.d. n. 2440 del 1923.

Sicchè al riguardo il Collegio può limitarsi a richiamare le considerazioni sopra esposte, anticipando l’irrilevanza, come meglio in seguito, della mancata comunicazione alla Ditta della delibera n. 49/2010.

4. Con il secondo motivo l’appellante afferma che l’accordo transattivo si era in ogni caso risolto di diritto ex art. 1457 Cod. civ. (“ Se il termine fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell'interesse dell’altra, questa, salvo patto o uso contrario, se vuole esigerne l’esecuzione nonostante la scadenza del termine, deve darne notizia all’altra parte entro tre giorni. In mancanza, il contratto s’intende risoluto di diritto anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione ”).

La censura fa leva su una comunicazione della Ditta datata 7 aprile 2010, che, in tesi, aveva subordinato l’accettazione della somma di € 18.000,00 oltre IVA, a saldo e a stralcio delle richieste avanzate a titolo di revisione prezzi, alla ricezione del pagamento da parte del Consorzio nel termine essenziale di 15 giorni decorrenti dalla stessa data, e sulla circostanza che la somma è stata invece liquidata oltre il predetto termine essenziale (segnatamente il 31 maggio 2010), con la conseguenza, sempre in tesi, della automatica risoluzione del contratto, escluso ogni effetto sanante dell’adempimento tardivo.

4.1. Al riguardo, va osservato preliminarmente che la proposta transattiva è stata formulata dalla Ditta al Consorzio con atto del 19 febbraio 2010 senza alcun termine essenziale.

Con la comunicazione del 7 aprile 2010, su cui fonda il motivo in esame, la Ditta ha rinnovato la manifestazione della disponibilità a transigere alle stesse condizioni già contenute nella proposta. Tanto in risposta a una richiesta del Consorzio, come si desume da una ulteriore comunicazione dell’appellante del 1° luglio 2010, in cui la Ditta afferma che “ In data 7 aprile 2010 si esige ancora, da parte dell’Ente in parola, una dichiarazione di ulteriore conferma della volontà espressa in data 19.02.2010 …”.

In tale comunicazione del 7 aprile 2010 la Ditta, oltre a confermare la volontà transattiva come sopra, ha rappresentato che avrebbe quietanzato l’importo transatto in fase di liquidazione della somma, “ che avverrà ‘sine qua non’ entro e non oltre il termine di quindici giorni dalla data odierna ”.

4.2. Occorre a questo punto valutare se la comunicazione in esame abbia innovato la proposta transattiva, introducendo, per il pagamento del Consorzio, un termine essenziale ex art. 1457 Cod. civ..

La risposta deve essere negativa.

4.3. Sul punto, va immediatamente chiarito che, per integrare la fattispecie di cui all’art. 1457 Cod. civ., il contratto, oltre a stabilire un termine per adempiere, deve espressamente indicare la sua essenzialità. In carenza di tale indicazione, infatti, il termine va qualificato come puramente indicativo.

Al riguardo, la giurisprudenza civile ha affermato che “ il carattere essenziale del termine non può desumersi dalla mera locuzione di stile “entro e non oltre” che lo abbia accompagnato, in quanto tale indicazione vale di per sé soltanto a fissare una data e non è significativa della improrogabilità di detto termine che va accertata, invece, anche alla stregua di specifiche ed inequivoche espressioni dell’oggetto del contratto, la cui utilità economica perseguita dalle parti andrebbe perduta a causa dell’inutile decorso del termine pattuito ” (Cass. civ., 18 giugno 1999, n. 6086).

Ancora, il termine si deve ritenere essenziale “ quando la sua improrogabilità risulti dalle espressioni adoperate dai contraenti, anche senza l’uso di formule sacramentali, ovvero dalla natura e dall’oggetto del contratto, la cui utilità economica andrebbe perduta per effetto dell’inutile decorso del termine pattuito ” (Cass. civ., 29 agosto 1997, n. 8233

In definitiva, la questione va risolta alla luce del principio giurisprudenziale, ripetutamente affermato, secondo cui “ il termine per l’adempimento può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1457 c.c., solo quando, all’esito dell'indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo;
tale volontà non può desumersi solo dall’uso dell’espressione ‘entro e non oltre’ quando non risulti dall’oggetto del negozio o da specifica indicazione delle parti che queste hanno inteso considerare perduta l’utilità prefissasi nel caso di conclusione del negozio stesso oltre la data considerata
” (tra altre, Cass. civ., II, 16 luglio 2018, n.18835;
26 marzo 2018, n.7450;
25 ottobre 2010, n.21838;
6 dicembre 2007 n. 25549).

Applicando le predette coordinate, anche il secondo mezzo non può essere favorevolmente valutato.

4.4. La formula “ sine qua non ” utilizzata dall’impresa nella comunicazione del 7 aprile 2010 è infatti inidonea, in assoluto, a far concludere in ordine alla sua inequivoca valenza di manifestazione della volontà di apporre un termine essenziale al pagamento dell’importo oggetto di transazione da parte del Consorzio.

Si tratta infatti di una locuzione stereotipata e impersonale, che non può essere interpretata, stante anche una certa ambiguità espositiva del periodo che la contiene, nel senso di ritenere perduta per la Ditta l’utilità della transazione una volta infruttuosamente decorso il termine di 15 giorni previsto nella comunicazione.

Già solo tale considerazione porta a escludere che da essa possa trarsi la determinazione della Ditta di apporre al negozio transattivo un termine essenziale.

Alla stessa conclusione si perviene poi tenuto conto della natura e dell’oggetto del negozio.

Infatti, venendo in rilievo un atto transattivo, con il quale la Ditta ha rinunziato ad avanzare ogni diversa pretesa economica al titolo revisionale di cui sopra a fronte del pagamento di una determinata somma, il termine essenziale per l’adempimento della prestazione da parte dell’altro contraente, non emergente ex se dalle caratteristiche dell’obbligazione di quest’ultimo, avente carattere meramente pecuniario, avrebbe dovuto costituire oggetto di una espressa manifestazione di intenti, adeguatamente esplicitativa del sottostante specifico interesse della Ditta.

Tale interesse specifico non si rinviene, invece, né nella comunicazione del 7 aprile 2010, né negli altri atti invocati dalla Ditta, e non può pertanto essere oggi desunto, a posteriori - come in sostanza pretenderebbe l’appellante - dalla necessità dell’impresa di far fronte, nel periodo qui rilevante, a pressanti e immediati adempimenti fiscali.

E ciò per la ragione che, nel corso delle trattative negoziali come emergenti dagli atti in consultazione, tale necessità o non è stata rappresentata, o è stata rappresentata in maniera generica, ovvero non è stata correlata al termine di adempimento, sicchè non vi è alcun collegamento, giuridicamente rilevante, tra essa necessità e il termine di 15 giorni di cui trattasi.

In dettaglio: la comunicazione del 7 aprile 2010, asseritamente introduttiva del termine essenziale ex art. 1457 Cod. civ., non menziona in alcun modo la predetta necessità;
la formula “ l’eventuale convenuta liquidazione della somma richiesta deve intendersi immediatamente esigibile ”, posta a corredo della proposta transattiva del 19 febbraio 2010, che pure conteneva un generico riferimento agli adempimenti fiscali gravanti sull’impresa (“ si è disposti, per esigenze di liquidità al fine di ottemperare agli adempimenti fiscali che ci fanno carico, ad accettare un transazione di € 18.000 …”), esprime esclusivamente l’intendimento della Ditta, una volta conclusa la transazione, di esigere il più presto possibile le somme per l’effetto a lei spettanti, ed è inidonea, mancando tra altro in radice proprio l’indicazione effettiva di un termine (tale non essendo, evidentemente, l’avverbio “immediatamente”), a far trasparire la volontà della medesima a che la stipulanda transazione fosse condizionata dal termine di pagamento dell’obbligazione da assumersi dal Consorzio;
la nota del 3 giugno 2010 diretta al Consorzio, in cui la Ditta espone di aver fatto espresso riferimento alla ridetta necessità, è qui del tutti irrilevante, trattandosi di comunicazione successiva alla liquidazione e al bonifico della somma transatta (adempimenti effettuati dall’Ente rispettivamente il 24 maggio e il 31 maggio 2010);

In altre parole, nessun elemento evidenziato dall’appellante, e tra essi anche la comunicazione 7 aprile 2010, cui la medesima riconnette precipuamente tale funzione, depone nel senso della espressa manifestazione della Ditta dell’inutilità della prestazione dell’altro contraente una volta decorso un dato termine.

Resta pertanto del tutto irrilevante l’ulteriore notazione dell’appellante di non aver comunicato al Consorzio, nei tre giorni previsti dal l’art. 1457 Cod. civ., di voler esigere l’esecuzione del contratto nonostante la scadenza del termine essenziale.

5. L’appellante pone, sempre nel motivo in esame, anche in parziale continuità con il primo motivo, altre questioni, che risultano estranee all’indagine, come sopra negativamente conclusa, volta a stabilire se la transazione fosse o meno condizionata da un termine essenziale, attinendo al diverso tema del perfezionamento della transazione.

5.1. La prima di tali questioni è l’affermazione dell’appellante, non confutata dal Consorzio, di non essere mai stato posto a conoscenza dell’avvenuta adozione della delibera n. 49 del 7 aprile 2010, con cui il Consorzio medesimo ha accettato la proposta transattiva della Ditta.

Sul punto, deve innanzitutto osservarsi che la delibera in parola, come risulta dalla allegata certificazione, è stata resa conoscibile mediante pubblicazione nell’Albo consortile per tre giorni consecutivi decorrenti dalla data della sua adozione, e che, come chiarito nell’ambito dell’esame del primo motivo di appello, all’accettazione della proposta non doveva necessariamente far seguito, come pure sostenuto dall’appellante, la sottoscrizione tra il Consorzio e la Ditta di un contratto transattivo.

Ciò posto, si rileva che a tale delibera ha fatto seguito, come già sopra riferito, la liquidazione e il bonifico alla Ditta della somma transatta, che l’appellante ammette di aver ricevuto il 31 maggio 2010.

Nel descritto contesto, va escluso che la mancata comunicazione alla Ditta della delibera di accettazione possa aver inficiato l’incontro delle volontà contrattuali.

Esso risulta infatti essersi realizzato ai sensi del primo comma dell’art. 1326 Cod. civ., ovvero allorquando la Ditta, che aveva, come visto, formulato la proposta transattiva, ricevendo il pagamento con cui il Consorzio ha adempiuto alla propria obbligazione negli esatti termini prospettati nella proposta, ha avuto implicitamente conoscenza della sua avvenuta accettazione.

5.2. La Ditta afferma ancora che dopo la sua comunicazione del 7 aprile 2010 il Consorzio era tenuto ad adottare una ulteriore delibera di accettazione della proposta transattiva.

Ciò in quanto tale comunicazione e la delibera di accettazione datano nello stesso giorno, ma la prima è stata ricevuta dal Consorzio il giorno successivo (8 aprile 2010).

La pretesa è infondata.

Essa fonda sul carattere asseritamente innovativo della predetta comunicazione (con specifico riferimento all’introduzione del termine essenziale), mentre, come precedentemente accertato, la comunicazione in parola si è limitata a confermare la proposta transattiva, su richiesta del Consorzio, sicchè quest’ultimo non aveva al riguardo null’altro da deliberare.

5.3. Per le stesse ragioni appena esposte, non può aderirsi neppure alla tesi, pure avanzata dall’appellante, secondo cui la proposta transattiva del 19 febbraio 2010 era stata revocata dalla comunicazione del 7 aprile 2010.

6. Da quanto sino a ora osservato possono trarsi le seguenti conclusioni:

- l’accordo transattivo tra la Ditta e il Consorzio rinvenuto dal primo giudice si è perfezionato, ai sensi del primo comma dell’art. 1326 Cod. civ., alla data (31 maggio 2010) in cui la Ditta, che aveva formulato per iscritto la proposta transattiva il 19 febbraio 2010, ricevendo il pagamento della somma transatta, che il Consorzio ha corrisposto per effetto dell’accettazione della proposta, a sua volta formalizzata con delibera n. 49 del 7 aprile 2010, ha avuto conoscenza dell’avvenuta accettazione;

- nelle more del perfezionamento della transazione la Ditta non ha né revocato né modificato la proposta transattiva del 19 febbraio 2010. La sua comunicazione del 7 aprile 2010 aveva infatti valenza confermativa della proposta, e alla stessa non può ascriversi, tenuto conto del suo contenuto e della natura e dell’oggetto del contratto, l’introduzione, nell’ambito della trattativa in essere, di un termine essenziale per l’adempimento dell’obbligazione a carico del Consorzio;

- l’accordo transattivo è stato esattamente adempiuto dal Consorzio, come detto, il 31 maggio 2010, mediante il pagamento alla Ditta appellante, con le citate modalità, dell’importo corrispondente alla proposta transattiva della Ditta, pari a € 18.000,00, oltre IVA;

- trovando il predetto pagamento sinallagma negoziale nella tacitazione di ogni pretesa avanzata dalla Ditta a titolo di revisione di quanto corrisposto dal Consorzio per effetto del contratto di appalto previgente tra le parti, la Ditta, come pure ritento dal primo giudice, non può più utilmente rivendicare, allo stesso titolo, la maggior somma richiesta nella presente sede giudiziale.

7. Posto tutto quanto sopra, risultano del tutto irrilevanti le cautele che la Ditta ha ritenuto di apporre nel rilascio della quietanza della ricezione della predetta somma di € 18.000,00 oltre IVA come da fattura n. 01/10: esse infatti non mutano gli elementi salienti della fattispecie appena elencati.

Va, pertanto, respinto, anche l’ultimo motivo di appello, fondato sulla circostanza che la predetta quietanza espone che la somma di cui sopra è stata accettata a titolo di mero acconto.

Può solo aggiungersi che il primo giudice non risulta essere incorso, sul punto, in alcun errore.

In particolare, la sentenza appellata, quando si riferisce al “fatto non contestato”, non ha inteso affermare, come del tutto arbitrariamente sostenuto dall’appellante, che la Ditta avrebbe dovuto contestare la propria fattura, o che alla stessa sia ascrivibile un contenuto abdicativo, ma ha attestato, più semplicemente, sulla scorta di quanto sostenuto dalla Ditta medesima, che la somma in parola era stata non solo corrisposta ma anche quietanzata, seppur con la predetta cautela, come testimonia inequivocabilmente il complessivo passaggio argomentativo della sentenza appellata nel cui ambito è contenuto l’inciso qui contestato [“ Il ricorrente, che ha rilasciato quietanza di pagamento (fatto non contestato), deduce di aver accettato le somme a mero il titolo di acconto …].

8. Alle rassegnate conclusioni consegue la reiezione dell’appello.

9. Sussistono giusti motivi, tenuto conto della peculiarità della vicenda controversa, per compensare tra le parti le spese di lite.

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