Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-08-27, n. 201404383

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-08-27, n. 201404383
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201404383
Data del deposito : 27 agosto 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06836/2013 REG.RIC.

N. 04383/2014REG.PROV.COLL.

N. 06836/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6836 del 2013, proposto dal Comune di San Polo dei Cavalieri, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato P d C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, in Roma, via Azuni n. 9;

contro

Il signor C C, rappresentato e difeso dall'avvocato F A C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Ugo Ojetti, n. 114;
la signora C B, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lazio – Roma, Sezione seconda ter, n. 4350 del 2013;

per la conseguente reiezione del ricorso originario e dei motivi aggiunti di primo grado, nonché per la riforma, in ogni caso, delle lettere b) e c) del dispositivo di detta sentenza, nonché della seguente lettera d) sul punto della condanna del Comune alle spese processuali;


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’architetto Carlo C;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Vista la propria ordinanza 13 novembre 2013 n. 4439;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 aprile 2014 il Consigliere A A e uditi per le parti l’avvocato de Camelis e l’avvocato Manzi, per delega dell’avvocato Caputo;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1.- L’architetto Carlo C ha partecipato ad un concorso pubblico per titoli ed esami, indetto dal Comune di San Polo dei Cavalieri con deliberazione n. 75 del 22 settembre 2009, per la copertura di un posto a tempo pieno ed indeterminato di funzionario in attività tecniche, progettuali ed ambientali, categoria D3, collocandosi al primo posto della graduatoria.

Nelle more è stato emanato il d.l. 31 maggio 2010 n. 78, convertito in l. 30 luglio 2010, n. 122, che vietava agli Enti locali di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale dal 1° gennaio 2011, in caso di incidenza delle relative spese in percentuale pari o superiore al 40% delle spese correnti.

Con determinazione n. 61 dell’8 aprile 2011, il Responsabile Servizio Affari Generali e Amministrativi del Comune di San Polo dei Cavalieri ha dato atto che la commissione di concorso aveva formulato, in data 14 marzo 2011, la graduatoria, che vedeva collocato al primo posto l’architetto C;
inoltre si è riservato “ di poter approvare la relativa graduatoria finale di merito non appena sarà possibile per questa amministrazione procedere all'assunzione per la copertura del posto messo a concorso ” ed ha dato atto che non era possibile procedere all’assunzione per ricoprire il posto messo a concorso per tutte le ragioni di cui in motivazione ed in particolare perché, a causa della entrata in vigore della norma legge n. 122 del 2010, il bilancio di previsione per l’anno 2011 non prevedeva la stanziamento di somme per ricoprire il posto messo a concorso, perché altrimenti sarebbe stato superato il limite del 40 %.

Successivamente l’Amministrazione comunale, con delibera della Giunta comunale n. 26 del 31 maggio 2011, ha conferito all’ingegnere B C l’incarico, al di fuori della dotazione organica del Comune, a tempo determinato ed a tempo parziale dal 1° giugno 2011 al 31 dicembre 2011, di istruttore direttivo, categoria D1, responsabile del Settore III Tecnico manutentivo.

2.- Con ricorso al T.A.R. Lazio n. di r.g. 5921 del 2011, l’architetto C ha impugnato la determinazione n. 61 del 2011, nella parte in cui stabiliva di non potersi procedere all'assunzione dello stesso per ricoprire il posto messo a concorso, nonché la citata deliberazione della Giunta Comunale n. 26 del 2011, ed ha chiesto il risarcimento dei danni subiti;
successivamente, con ricorso per motivi aggiunti, egli ha chiesto l’annullamento della delibera della Giunta comunale di San Polo dei Cavalieri n. 51 in data 28 giugno 2011, con la quale è stata annullata d’ufficio la delibera della Giunta comunale n. 91 del 26 novembre 2011, concernente la nomina della commissione di concorso.

Con secondo ricorso per motivi aggiunti, l’architetto C ha impugnato anche le deliberazioni della Giunta comunale n. 32 del 27 aprile 2012 e n. 61 del 4 luglio 2012, nonché la determinazione n. 288 del 10 agosto 2012.

3.- La sezione seconda ter dell’adito T.A.R., con la sentenza in epigrafe indicata:

a) ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione con riguardo alla questione relativa al conferimento dell’incarico dirigenziale a detto ingegnere;

b) ha annullato le determinazioni comunali n. 61 del 2011 e n. 26 del 2011 della Giunta comunale, nella parte in cui non è stata disposta la conclusione della procedura concorsuale mediante una pronunzia in merito alla approvazione della graduatoria, con conseguente obbligo dell’amministrazione di pronunziarsi in ordine alla sua approvazione;

c) ha annullato la deliberazione n. 51 del 2011 con cui è stata annullata d’ufficio, in autotutela, la delibera di nomina della commissione di concorso;

d) ha respinto le censure proposte con il secondo atto di motivi aggiunti;

e) ha respinto la richiesta di risarcimento del danno.

4.- Con il ricorso in appello in esame, il Comune di San Polo dei Cavalieri ha chiesto la riforma della sentenza del T.A..R., deducendo i seguenti motivi:

a) inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio e dei motivi aggiunti, omessa pronuncia;

b) mancata declaratoria di soccombenza del ricorrente per effetto del difetto di giurisdizione del G.A., rilevato d’ufficio, nonché violazione dell’art. 73, comma 3, del c.p.a.;

c) illegittimità, sotto vari profili, dell’annullamento in toto della determinazione n. 61 del 2011 disposto con la sentenza.

d) illegittimità del ritenuto obbligo dell’Amministrazione di pronunziarsi in ordine all’approvazione della graduatoria;

e) illegittimità sotto molteplici profili del capo b) del dispositivo concernente l’annullamento della deliberazione della Giunta comunale n. 26 del 2011;

f) illegittimità, sotto vari profili, dell’annullamento della deliberazione n. 51 del 2011, di cui al capo c) del dispositivo della impugnata sentenza;

g) violazione del divieto di abuso del diritto di difesa di cui agli artt. 1 del c.p.a. ed 88 del c.p.c..

5.- Con atto depositato il 7 novembre 2013, si è costituito in giudizio l’architetto C, che ha eccepito l’inammissibilità dell’appello (per inidoneità della procura alle liti) e della censura relativa alla pretesa mancata impugnazione della deliberazione del Consiglio comunale del 15 marzo 2011 (per essere stata formulata per la prima volta in appello), nonché ha dedotto l’infondatezza di tutti i motivi di gravame.

6.- Con memoria depositata l’8 novembre 2011, il Comune appellante ha ribadito le proprie tesi e ha insistito nelle già formulate richieste.

7.- Con ordinanza 13 novembre 2013, n. 4439, la Sezione ha accolto l’istanza di sospensione della esecutività della sentenza impugnata, atteso che, sia pure ad un primo e sommario esame, l’atto di appello appariva sorretto dal condivisibile richiamo alla entrata in vigore, nelle more della procedura concorsuale, dell’art. 14, comma 9, del d.l. n. 78 del 2010.

8.- Con memoria depositata il 28 marzo 2014, la parte appellante ha dedotto l’infondatezza delle eccezioni formulate dalla controparte ed ha ribadito tesi e richieste.

9.- Con memoria depositata il 28 marzo 2014, l’architetto resistente ha dedotto l’irrilevanza della entrata in vigore dell’art. 14, comma 9, del d.l. n. 78 del 2010 ed ha ribadito le già formulate deduzioni e domande

10.- Con memoria depositata il 3 aprile 2014, l’architetto appellato ha replicato alle avverse argomentazioni ed, in particolare, ha ribadito la nullità dell’atto di procura del Comune.

11.- Con memoria depositata il 7 aprile 2014, il Comune appellante ha replicato alle deduzioni di controparte, in particolare contestando e deducendo che costituisca tesi nuova l’assunto che l’impugnata determinazione n. 61 del 2011 sarebbe un atto soprassessorio.

12.- Alla pubblica udienza del 29 aprile 2014 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.

13.- Innanzi tutto la sezione deve verificare la fondatezza della eccezione di inammissibilità dell’appello per inidoneità della procura alle liti formulata dalla difesa del resistente architetto C nell’assunto che, poiché in primo grado non è stato dato mandato al difensore del Comune anche per la presentazione dell’appello (ex art. 101, comma 1, del c.p.a.), sarebbe insufficiente la dizione contenuta nella procura a margine dell’atto d’appello (che così recita “ Nella qualità delego a proporre il presente ricorso e a rappresentarmi nel relativo giudizio l’avv. Prof. P d C …”) a configurare la procura speciale necessaria per la rappresentanza in sede d’appello. Ciò in quanto non solo non sarebbe indicato il nominativo di chi aveva conferito la procura, ma nemmeno il grado del giudizio, né la data di conferimento, né la sentenza che si intendeva gravare. Inoltre non sarebbe applicabile l’art. 182, comma 2, del c.p.c. né potrebbe farsi ricorso all’errore scusabile ai sensi dell’art. 37 del c.p.a., che è norma di stretta interpretazione.

13.1.- Premette in proposito la sezione che devono ritenersi mere imprecisioni formali, non inficianti la validità della procura speciale, le irritualità che non pregiudicano la ricostruzione in termini di certezza della volontà della parte di conferire al difensore un mandato riferito alla proposizione dell’appello presso il Consiglio di Stato, posto che per il rilascio della procura speciale non sono previste formule sacramentali.

Ai fini dell'ammissibilità del ricorso in appello costituiscono condizioni essenziali solo le circostanze che la procura speciale al difensore sia stata rilasciata in epoca anteriore alla notifica del ricorso, che essa conferisca espressamente il potere di proporre il ricorso e che sia rilasciata in epoca successiva alla sentenza impugnata (Consiglio di Stato, sez. V, 16 aprile 2013, n. 2107).

Ai fini dell’accertamento della circostanza che il mandato al difensore sia stato rilasciato in data anteriore o coeva alla notificazione del ricorso all'intimato, anche in assenza di data del conferimento della procura, il giudicante ben può pervenire d'ufficio, attraverso altri elementi, purché specifici ed univoci, alla certezza che il mandato sia stato conferito prima della notificazione dell'atto.

Quindi la mancanza della data non produce l’automatica nullità della procura, dovendo essa essere apprezzata con riguardo al foglio che la contiene, per cui la posteriorità del rilascio della procura rispetto alla sentenza impugnata può desumersi dall'intima connessione con il ricorso cui accede e nel quale la sentenza è menzionata, mentre l'anteriorità rispetto alla notifica può risultare dal contenuto della copia notificata del ricorso (Cassazione civile, sez. lav., 5 novembre 2012, n. 18915).

Quindi, tranne che in concreto risulti che il mandato sia stato rilasciato in bianco prima della pubblicazione del provvedimento impugnato, può presumersi la contestualità della procura all'atto per il quale è stata conferita, mentre l'anteriorità riguardo alla notificazione dell'atto può essere desunta anche da elementi intrinseci e assolutamente univoci come la riproduzione della procura a margine della copia notificata all'intimato (Cassazione civile, sez. I, 16 marzo 2007, n. 6301).

Inoltre quando la procura è apposta sul ricorso, venendo a costituire un corpus inscindibile con esso (ed escludendosi, perciò, ogni dubbio sulla volontà della parte di proporre quello specifico mezzo di gravame), la specialità è garantita, indipendentemente dal tenore delle espressioni usate nella redazione dell'atto;
solo ove manchi il rapporto diretto tra ricorso e procura, come nel caso in cui quest'ultima risulti apposta in calce alla copia della sentenza da impugnare, è necessario che il mandato contenga espressamente il riferimento specifico al ricorso in appello presso il Consiglio di Stato.

Nel caso in esame, in calce alla procura apposta a margine dell’atto d’appello del Comune di San Polo dei Cavalieri, che, come già indicato, recita “ Nella qualità delego a proporre il presente ricorso e a rappresentarmi nel relativo giudizio l’avv. Prof. P d C …”, è apposta la firma autografa “ P S ”.

Nell’epigrafe del ricorso è riportata la indicazione che esso è proposto per il Comune suddetto “ in persona del Sindaco p.t. P S, rappresentato e difeso, in virtù di delibera Giuntale di conferimento incarico in data 23.5.2013 n. 46, nonché di procura a margine del presente atto dall’avv. Prof. P d C ” e, successivamente, è indicato che il ricorso è stato proposto per la riforma previa sospensiva “ della sentenza 4350/2013 resa dal Tar Lazio –Sezione Seconda Ter – notificata addì 23.7.2013 ”.

Tali indicazioni consentono, per le considerazioni in precedenza svolte, di ritenere che sussistano tutte le condizioni essenziali, sopra citate, che comportano la validità della procura speciale al difensore, cioè che essa è stata rilasciata in epoca anteriore alla notifica del ricorso, che con essa è stato conferito espressamente il potere di proporre l’appello e che è rilasciata in epoca successiva alla sentenza impugnata.

L’eccezione in esame deve essere quindi respinta.

14.- Ciò posto, deve essere esaminata la fondatezza del primo motivo d’appello, con il quale è stato dedotto che il ricorso introduttivo del giudizio e tutti gli atti contenenti i motivi aggiunti sarebbero inammissibili ed improcedibili per le ragioni prospettate in primo grado, su cui la sentenza non si sarebbe pronunciata.

Esse sono state quindi riproposte ed è stato dedotto in primo luogo che il ricorrente originario difetterebbe di interesse al ricorso perché l’art. 14, comma 9, del d.l. n. 78 del 2010, sopraggiunto durante lo svolgimento del concorso, impediva che questo potesse continuare ad avere svolgimento e pervenire al provvedimento finale di approvazione della graduatoria, con impossibilità per il ricorrente di conseguire risultati utili a seguito dell’eventuale accoglimento del ricorso.

Neppure potrebbe essere riconosciuto all’architetto C alcun interesse morale o strumentale, atteso che la graduatoria avrebbe dovuto essere approvata prima della entrata in vigore della norma che vietava nuove assunzioni, con insussistenza di interesse morale ai sensi della A.P. n. 11 del 1998.

14.1.- Osserva la sezione che la riproposta eccezione di carenza di interesse al ricorso è incondivisibilmente basata sulla tesi che l’art. 14, comma 9, del d.l. n. 78 del 2010, sopraggiunto durante lo svolgimento del concorso, ne avrebbe impedito la prosecuzione e l’adozione del provvedimento finale di approvazione della graduatoria.

Tale comma stabilisce infatti che “ Il comma 7 dell'art. 76 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.133 e' sostituito dal seguente: E' fatto divieto agli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale e' pari o superiore al 40% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale;
i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale nel limite del 20 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente". La disposizione del presente comma si applica a decorrere dal 1° gennaio 2011, con riferimento alle cessazioni verificatesi nell'anno 2010
”.

Il ricorrente originario aveva esplicitamente chiesto l’annullamento della determinazione n. 61 dell’8 aprile 2011 di non approvazione della graduatoria, specificando che altro è l’approvazione della graduatoria ed altro è l’assunzione del vincitore del concorso, vietata da detta norma, evidenziando che il Comune, pur non potendolo assumere, avrebbe potuto comunque, per ragioni di economia e di continuità, conferirgli incarichi temporanei.

Il T.A.R. ha accolto la censura sopra riportata, nei limiti in cui era rivolta contro la mancata conclusione della procedura concorsuale.

Quindi, considerato che detto comma 9 dell’art. 14 del d.l. n. 78 del 2010 vietava solo le assunzioni e non anche la prosecuzione dello svolgimento del concorso de quo e l’adozione del provvedimento di approvazione di graduatoria, la eccezione in esame non può che essere respinta, atteso che il vincitore vantava una aspettativa, giuridicamente tutelata, alla conclusione del procedimento.

15.- Prosegue il motivo in esame eccependo la inammissibilità del ricorso originario e di tutti i motivi aggiunti per mancata impugnazione della deliberazione del Consiglio comunale del 15 marzo 2011, di approvazione del bilancio preventivo per l’anno 2011 e di “ quello triennale ”, che non prevedevano alcun spesa per gli emolumenti di un nuovo dipendente in categoria D3, in relazione al concorso di cui trattasi, considerato che la determinazione n. 61 dell’8 aprile 2011 ha configurato espressamente la mancata previsione di detta spesa come causa autonoma del blocco del concorso e della non approvazione della graduatoria.

15.1.- Osserva in proposito la sezione che, a prescindere dalla fondatezza della eccezione del resistente architetto secondo cui la censura sarebbe inammissibile per essere stata formulata per la prima volta in appello, la tesi del Comune non risulta condivisibile.

Invero i procedimenti concorsuali si concludono con l'approvazione della graduatoria, cui segue, normalmente senza soluzione di continuità, l'atto di nomina costitutivo del rapporto giuridico e degli effetti che ne conseguono;
tuttavia l'Amministrazione, successivamente all'approvazione della graduatoria, può, per specifiche ragioni di tipo organizzativo o finanziario, che, peraltro, devono essere esternate, non procedere alla nomina o spostare in avanti l'adozione dell'atto di nomina. (Consiglio di Stato, sez. VI, 10 maggio 2013, n. 2538).

Conseguentemente è irrilevante la mancata impugnazione dei provvedimenti di approvazione del bilancio preventivo per l’anno 2011 e di “ quello triennale ”, in cui non sarebbero state previste spese per gli emolumenti da corrispondere per l’assunzione di un nuovo dipendente in relazione al concorso di cui trattasi, atteso che, come in precedenza evidenziato, con il ricorso introduttivo del giudizio era stata impugnata non la mancata assunzione del primo classificato nel concorso in questione, ma la mancata conclusione del procedimento, cui non necessariamente doveva conseguire anche l’assunzione del vincitore del concorso.

A nulla vale che nel provvedimento n. 61 del 2011 fosse fatto riferimento alla mancata previsione nel bilancio dell’anno 2011 e alla mancata approvazione del programma triennale del fabbisogno del personale, atteso che il rilievo era volto a giustificare la impossibilità di procedere all’assunzione per coprire il posto messo a concorso e non alla mancata conclusione del procedimento.

16.- E’ stata poi eccepita dalla parte appellante la tardività del gravame, notificato in data 24 giugno 2011, perché il ricorrente, all’epoca della adozione della deliberazione n. 61 dell’8 aprile 2011, prestava servizio presso il Comune di cui trattasi ed avrebbe così avuto piena contezza della sua adozione.

16.1- La eccezione è, ad avviso della sezione, palesemente infondata, atteso che il ricorso introduttivo del giudizio è stato regolarmente proposto entro il termine di decadenza dall’ultimo giorno di pubblicazione all’Albo pretorio del comune dei provvedimenti impugnati, essendo indimostrato l’assunto che il ricorrente avesse conseguito piena conoscenza dei provvedimenti stessi prima di tale data.

17.- Con il secondo motivo di gravame è stato eccepito che il difetto di giurisdizione – riguardante la domanda relativa al conferimento dell’incarico al terzo - è stato rilevato d’ufficio dal primo giudice, senza sottoporre la questione alle parti nel corso dell'udienza di discussione, come statuito dall’art. 73, comma 3, del c.p.a., ed è stato dichiarato senza indicazione del giudice munito di giurisdizione.

Inoltre, nonostante il rilevato difetto di giurisdizione, il T.A.R. sarebbe entrato nel merito del ricorso, accogliendolo in parte.

17.1.- La sezione ritiene che il motivo di gravame in esame, con riguardo al difetto di giurisdizione affermato in sentenza con riguardo all’incarico dirigenziale conferito all’ingegnere B C, sia fondato.

Con l'art. 73, comma 3, c.p.a., è stato previsto che il giudice, se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, deve indicarla in udienza dandone atto a verbale.

Ciò evidentemente al fine di contrastare, in ossequio al fondamentale principio del contraddittorio enunciato dall'art. 2 comma 1, c.p.a., il fenomeno delle c.d. decisioni a sorpresa, perché la ratio della previsione di cui a detta norma è quella di offrire ai difensori delle parti, in piena attuazione del diritto di difesa tutelato dall'art. 24 della Costituzione, la possibilità di controdedurre in proposito (Consiglio di Stato, Sez. V, 27 novembre 2012, n. 5970).

Invero l'indicazione alle parti in udienza, prevista dall'art. 73 del c.p.a., non deve precedere qualsivoglia valutazione che il giudice ritenga di compiere in autonomia rispetto agli argomenti di parte, ma solo la rilevazione d'ufficio di fatti sostanziali o processuali (modificativi, impeditivi o estintivi) ulteriori rispetto a quelli comunemente ritenuti costitutivi della pretesa azionata, tra i quali ultimi ben può essere ricompresa l'iniziale sussistenza delle condizioni dell'azione, come il difetto di giurisdizione, a nulla valendo quanto in proposito dedotto dall’appellato, cioè che, ai sensi dell’art. 9, comma 1, del c.p.a. il difetto di giurisdizione è rilevato d’ufficio e che “ la norma quindi non obbliga affatto i Giudice a sollevare la questione di giurisdizione in udienza ”.

Ha costituito quindi violazione del diritto di difesa l’aver posto il T.A.R. a fondamento della sentenza di primo grado una questione rilevata d'ufficio, senza previa indicazione in udienza o assegnazione di un termine per controdedurre al riguardo, con conseguente obbligo per il giudice di appello di annullamento della sentenza stessa e rimessione della causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 105, comma 1, del c.p.a. (Consiglio di Stato, sez. IV, 18 aprile 2013, n. 2175).

Ciò comporta che il giudice di primo grado, nel verificare se sussiste la giurisdizione civile o quella amministrativa in ordine alla domanda di caducazione dell’incarico conferito al terzo, deve pronunciarsi nel contraddittorio delle parti.

18.- Deduce ancora il Comune appellante che l’annullamento in toto della determinazione n. 61 dell’8 aprile 2011, disposto con il capo b) della sentenza, sarebbe stato disposto in modifica e trasformazione del petitum , con statuizione che, oltre a travalicare quanto richiesto con il ricorso, avrebbe violato la legge sopravvenuta nel corso del procedimento di assunzione, cioè l’art. 14, comma 9, del d.l. n. 78 del 2010.

Con il ricorso, secondo il Comune appellante, era stato chiesto l’annullamento della parte di detta determinazione in cui era affermato che non era possibile “ procedere all’assunzione per ricoprire il posto messo a concorso ”, mentre con l’impugnata sentenza la determinazione è stata annullata in toto, in violazione del principio della domanda, dei motivi di ricorso di cui all’art. 1 del c.p.a. e del principio di cui all’art. 112 del c.p.c.., con nullità della decisione in parte qua .

Comunque, poiché la legge sopravvenuta si applica anche ai procedimenti amministrativi in corso di svolgimento, in base all’art. 14, comma 9, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, che è divenuto operativo dal 1° gennaio 2011, la commissione esaminatrice non avrebbe dovuto compiere alcun atto dopo tale data, mentre invece ha portato a termine i suoi lavori in data 15 marzo 2011.

In tale contesto il Comune aveva il dovere di bloccare il procedimento in corso e non, come sostenuto dal ricorrente, di dichiararlo vincitore del concorso.

Dovrebbe presumersi che la impugnata decisione sia stata assunta sulla base della regola generale, inapplicabile al caso di specie, che i procedimenti per l’assunzione del personale della P.A. una volta iniziati vanno conclusi.

18.1.- Osserva in proposito la sezione che, come in precedenza osservato, con il ricorso introduttivo del giudizio era stato chiesto l’annullamento della determinazione n. 61 dell’8 aprile 2011 (con cui il “ responsabile del settore ” del Comune “ non approvava la graduatoria stessa limitandosi a prendere atto dei verbali trasmessi dalla Commissione stessa rilevando l’impossibilità di procedere all’assunzione …”), specificando che il Comune non si sarebbe potuto limitare a prendere atto della documentazione trasmessa dalla commissione senza approvare la graduatoria, a nulla valendo il richiamo al d.l. n. 78 del 2010, perché altro è l’approvazione della graduatoria ed altro è l’assunzione del vincitore del concorso, vietata da detta norma, evidenziando che il Comune, pur non potendolo assumere, avrebbe potuto comunque, per ragioni di economia e di continuità, conferirgli incarichi temporanei.

Con l’impugnata sentenza è stato ritenuto che l’impugnata deliberazione n. 61 del 2011 non poteva ritenersi atto conclusivo del procedimento concorsuale ma un atto soprassessorio, e che, essendo titolare il ricorrente di un “ interesse procedimentale alla conclusione del procedimento ”, era viziata dal dedotto difetto di motivazione e da sviamento.

La sentenza di cui trattasi non ha quindi operato alcuna modifica e trasformazione del petitum .

Né la statuizione del primo giudice può aver violato il disposto dell’art. 14, comma 9, del d.l. n. 78 del 2010, entrato in vigore nel corso del procedimento, atteso che esso, nella vigenza dei presupposti ivi previsti, impediva l’assunzione e non la richiesta adozione di un provvedimento conclusivo del procedimento, anche perché non era inapplicabile al caso di specie, come incondivisibilmente asserito nell’atto d’appello, la regola generale che i procedimenti per l’assunzione del personale della P.A. una volta iniziati vanno conclusi.

Anche la commissione di concorso non era tenuta - in base all’art. 14, comma 9, del d.l. n. 78 del 2010 - ad interrompere i lavori, come preteso dall’appellante, sia perché non poteva essere a conoscenza della circostanza se presso il Comune in questione sarebbe stata superata la percentuale prevista da detta norma tra spese per il personale e spese correnti, come assodato solo a seguito di deliberazione del C.C. n. 34 del 12 settembre 2011, sia perché, in caso di superamento di detta percentuale, la norma vietava l’assunzione, ma non la conclusione del procedimento concorsuale mediante l’adozione del provvedimento di approvazione della graduatoria.

Tale atto, che presuppone l'accertamento della legittimità e della regolarità dell'operato della commissione (il cui atto di approvazione della graduatoria di merito ha carattere endoprocedimentale), è un provvedimento costitutivo, mediante il quale l'Amministrazione fa proprio l'operato della commissione esaminatrice, previo un controllo di tutte le operazioni concorsuali;
a ciò consegue che, al di là del nomen iuris (l'approvazione in senso tecnico è un atto di controllo che si colloca nella c.d. fase integrativa dell'efficacia di provvedimenti amministrativi), è un provvedimento di amministrazione attiva, di natura costitutiva, che ha carattere centrale e conclusivo nell'ambito del procedimento di concorso.

La conclusione del procedimento, la cui doverosità è disposta dall’art. 2 della l. n. 241 del 1990 ed ispirata al principio di buon andamento della P.A., non poteva quindi essere interrotta solo per la inconferente emanazione di detto d.l. n. 78 del 2010.

In altri termini, il procedimento concorsuale si sarebbe dovuto comunque concludere con l’approvazione della graduatoria, mentre costituisce una questione del tutto diversa quella della spettanza o meno della conseguente assunzione.

19.- Le considerazioni in precedenza espresse comportano la impossibilità di positiva valutazione anche dell’ulteriore censura contenuta nell’atto d’appello, secondo la quale l’illegittimità, per mutamento del petitum , dell’annullamento totale della determinazione n. 61 del 2011 disposta dal T.A.R. determinerebbe in via derivata l’illegittimità del collegato, verosimilmente come effetto ripristinatorio e demolitorio, obbligo del Comune di provvedere alla approvazione della graduatoria.

20.- La sezione ritiene infondata anche la successiva censura contenuta nell’atto d’appello secondo cui, poiché nella sentenza impugnata non è stata indicata la normativa da applicare nella attività amministrativa ripristinatoria, né sono stati fissati i principi da osservare, non potrebbe comunque effettuarsi l’approvazione della, originariamente invalida, graduatoria, stante l’applicabilità della sopravvenuta normativa di cui al più volte citato comma 9 dell’art. 14 del d.l. n. 78 del 2010, applicabile ai procedimenti in corso.

Ribadita la ininfluenza della intervenuta disposizione normativa sull’obbligo del Comune di concludere la procedura concorsuale con l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento, va infatti rilevato che il potere esercitato dal T.A.R. è stato quello, di sua competenza, volto all’annullamento del provvedimento impugnato e ritenuto illegittimo, non sussistendo alcuna delle ipotesi di cui all’art. 134 del c.p.a., e spettando poi all’Amministrazione di ottemperare alla emanata sentenza, non potendo il G.A. esercitare poteri di amministrazione attiva.

Nessuna indicazione doveva quindi essere contenuta nell’impugnata sentenza con riguardo alla normativa e ai principi che il Comune avrebbe dovuto applicare all’atto della esecuzione della stessa, considerato che, peraltro, l'art. 34, comma 2, del c.p.a. stabilisce il divieto del giudice di pronunciarsi con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati.

Del resto, se l'indagine svolta dal G.A. non rimanesse nei limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, ma fosse strumentale a una diretta e concreta valutazione dell'opportunità e convenienza dell'atto, ovvero se la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell'annullamento, esprimesse una volontà dell'organo giudicante che si sostituisse a quella dell'amministrazione, si verificherebbe un eccesso di potere giurisdizionale, rilevante ai sensi dell'art. 111 cost., ultimo comma, sotto il profilo dello sconfinamento nella sfera del merito, riservata alla P.A. (Cassazione civile, sez. un., 25 giugno 2012, n. 10503).

21.- Secondo il Comune appellante sarebbero inammissibili ed infondate anche le censure formulate in primo grado con riguardo alla deliberazione della Giunta comunale n. 26 del 31 maggio 2011, con la quale era stato affidato un incarico fiduciario all’ingegnere C, per i motivi prospettati in primo grado e che la sentenza non avrebbe valutato.

Tra la determinazione n. 61 del 2011 e detta deliberazione non sarebbe riscontrabile alcuna connessione e comunque l’architetto C non avrebbe avuto titolo per agire in sede giurisdizionale avverso la deliberazione di conferimento all’ingegnere C dell’incarico previsto dall’art. 110 del d. lgs. n 267 del 2000, in quanto tale incarico non riconoscerebbe altro interesse privato se non quello del soggetto cui l’incarico è stato conferito.

Comunque la disponibilità di detto architetto a svolgere la prestazione professionale in attesa della assunzione a tempo indeterminato sarebbe stata incongruamente valutata in sentenza, non solo perché tardiva ed ambigua, ma soprattutto perché formulata in attesa della assunzione a tempo indeterminato e come tale inaccettabile.

21.1.- La sezione ritiene che le censure in esame siano inconferenti ai fini del decidere, dal momento che il giudice di primo grado non ha verificato la fondatezza delle censure rivolte con il ricorso di primo grado avverso la determinazione della Giunta comunale di San Polo dei Cavalieri n. 26 del 2011, perché ha ritenuto, come in precedenza evidenziato, insussistente al riguardo la giurisdizione del G.A..

Poiché tale declaratoria è stata effettuata senza la previa indicazione alle parti in udienza, prevista dall'art. 73 del c.p.a., l’esame della questione è stato rimesso al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 105, comma 1, del c.p.a., che, a seconda delle determinazioni che assumerà al riguardo, dovrà o meno esaminare le censure formulate con il ricorso introduttivo del giudizio con riguardo a detta determinazione.

22.- Quanto alla deliberazione n. 51 del 28 giugno 2011, di cui alla lettera c) del dispositivo della sentenza impugnata, è dedotto con l’atto d’appello che essa, annullando d’ufficio quella che ha disposto l’annullamento della nomina della commissione giudicatrice, avrebbe comportato l’improcedibilità delle avverse censure per sopravvenuta carenza di interesse, sulla quale la sentenza non si è pronunciata, entrando invece illegittimamente nel merito, accogliendo le avverse censure e ritenendo sussistente il lamentato sviamento di potere in base a supposizioni illogiche e contrastate da tutti gli atti di causa, apparendo azzardato ipotizzare che l’incarico fiduciario all’ingegnere C da parte del Sindaco appena eletto fosse preordinato a conculcare le ragioni dell’architetto C.

Comunque lo sviamento di potere riconosciuto dal T.A.R. non avrebbe trovato rispondenza nelle censure dedotte dal ricorrente, con violazione degli artt. 1 del c.p.a. e 112 del c.p.c. e del principio del contraddittorio.

Inoltre la censura di mancata comunicazione dell’avvio del procedimento dedotta in primo grado con il primo motivo sarebbe priva di rilevanza, perché l’apporto partecipativo dell’architetto sarebbe stato ininfluente sulle scelte e sul contenuto del provvedimento conclusivo del 28 giugno 2011.

Anche la censura formulata con il secondo motivo del ricorso di primo grado, di difetto di motivazione sul pubblico interesse all’esercizio del potere di ritiro, sarebbe infondata, perché tra l’adozione dell’atto ritenuto illegittimo e la sua rimozione era intercorso un breve lasso temporale.

La censura di mancata comparazione tra gli interessi pubblici e quelli del privato sarebbe superata dalla mancata sussistenza di posizioni giuridiche consolidate nel tempo.

I motivi aggiunti contro la delibera della Giunta comunale del 28 giugno 2011 sarebbero irrilevanti ed infondati, avendo il Comune correttamente applicato lo ius superveniens e comunque superando le spese per il personale la percentuale del 40% stabilita dal legislatore.

22.1.- Osserva in proposito il Collegio che con il primo atto di motivi aggiunti di primo grado è stata censurata la deliberazione della Giunta Comunale di San Polo dei Cavalieri n. 51 del 2011, con la quale - preso atto della emanazione della sentenza del Consiglio di Stato, sezione V n. 1408 del 2011 (relativa all’appello proposto dalla signora Maria Teresa Valentini contro la Provincia di Vibo Valentia per l’annullamento di una sentenza del T.A.R. Calabria, Catanzaro), con cui è stato affermato che la Giunta comunale è incompetente alla nomina della commissione di concorso di un ente locale, nonché della lettera del Segretario comunale che aveva chiesto se in sede di autotutela la Giunta comunale volesse annullare la nomina della commissione del concorso per cui è causa e tutte le operazioni da essa eseguite - è stata annullata d’ufficio detta nomina per incompetenza della Giunta comunale, considerato che, se il provvedimento di nomina fosse stato adottato dall’organo competente, sarebbe stato certamente diverso da quello adottato dalla Giunta comunale.

22.2.- Al riguardo il T.A.R. ha affermato che tale atto, adottato successivamente alla proposizione del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, delineava ulteriormente il lamentato vizio di sviamento del potere, in quanto il vero scopo perseguito dall’Amministrazione appariva inequivocabilmente quello di conculcare le ragioni del ricorrente e di favorire l’incarico conferito al professionista esterno, come dimostrato, oltre che dalla mancata conclusione della procedura concorsuale, dal fatto che il Comune aveva disatteso il disposto dell’ultimo comma dell’art. 10 del bando (che avrebbe, comunque, consentito di procedere all’assunzione del ricorrente a tempo determinato, tanto più che lo stesso aveva già in precedenza svolto l’incarico di cui trattasi).

10.3.- Tanto premesso ritiene il collegio che la censura di violazione degli artt. 1 del c.p.a. e 112 del c.p.c. e del principio del contraddittorio sia infondata, dal momento che con il terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti di primo grado era stato dedotto che il Comune avrebbe avuto il potere di convalidare o ratificare con effetti ex tunc il provvedimento viziato da incompetenza, salvaguardando l’interesse pubblico all’ottimizzazione delle risorse umane alle dipendenze dell’amministrazione alla copertura dei posti disponibili nella pianta organica, con evidente “… eccesso di potere per sviamento che vizia in radice il provvedimento impugnato ”.

Anche le censure rivolte alla ritenuta sussistenza del vizio di sviamento da parte del giudice di primo grado risultano generiche ed infondate, consistendo nell’affermazione che essa sarebbe frutto di una supposizione illogica e contrastata da tutti gli atti di causa, essendo scaduto l’incarico a suo tempo conferito all’architetto C dal precedente Sindaco, e che sarebbe azzardato ipotizzare che l’incarico fiduciario assegnato da parte del Sindaco appena eletto fosse preordinato a conculcare le ragioni del suddetto architetto e a favorire l’incarico conferito all’ingegnere C.

Il vizio di eccesso di potere per sviamento consiste nell'effettiva e comprovata divergenza fra l'atto e la sua funzione tipica, ovvero nell'esercizio del potere per finalità diverse da quelle enunciate dal legislatore con la norma attributiva dello stesso e, nel caso in esame, la censura di eccesso di potere per sviamento era supportata da precisi e concordanti elementi di prova, idonei a dar conto delle divergenze dell'atto dalla sua tipica funzione istituzionale, e non su semplici supposizioni o indizi che non si traducevano nella dimostrazione dell'illegittima finalità perseguita in concreto dall'organo amministrativo.

Invero, anche se adottato nel rispetto delle norme che ne disciplinano la forma ed il contenuto, il provvedimento di annullamento d’ufficio di cui trattasi non risulta in piena aderenza al fine pubblico al quale avrebbe dovuto essere istituzionalmente preordinato, soprattutto perché era possibile applicare l’istituto della ratifica, che avrebbe comportato sensibilissimo risparmio di spese e di attività amministrativa.

La illegittimità per sviamento del provvedimento di cui trattasi comporta il rigetto delle censure di cui al motivo in esame circa la mancata pronuncia da parte del primo giudice sull’eccezione di improcedibilità delle avverse censure per sopravvenuta carenza di interesse, a seguito della adozione della deliberazione n. 51 del 2011 in questione, stante il disposto annullamento di questa.

23.- E’ stato infine dedotto con l’atto d’appello che il comportamento processuale e dell’architetto C sarebbe connotato dalla temerarietà e dalla irresponsabilità, con abuso del diritto di difesa.

23.1.- Ritiene in proposito il Collegio che l’art. 26 comma 2, del c.p.a., nel testo riformulato con decorrenza 8 dicembre 2011 dal correttivo approvato dal d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195, e che prevede la condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria della parte soccombente che abbia agito o resistito temerariamente in giudizio, è applicabile agli atti caratterizzati dall'esercizio dell'azione in forme eccedenti o devianti rispetto alla tutela attribuita dall'ordinamento (Consiglio di Stato sez. V 24 marzo 2014 n. 1435).

Ai fini della responsabilità aggravata ex art. 26 c.p.a. un ricorso può considerarsi temerario solo quando, oltre a essere erroneo in diritto, rivela la consapevolezza della non spettanza della prestazione richiesta o evidenzia un grado di imprudenza, imperizia o negligenza accentuatamente anormale. La mera opinabilità della pretesa fatta valere in giudizio non giustifica l'attribuzione alla lite del connotato della temerarietà, la quale postula, invece, la consapevolezza della palese infondatezza della domanda proposta e delle testi sostenute a suo supporto ovvero la mancanza della normale diligenza per l'acquisizione di tale consapevolezza.

Inoltre, l'unico soggetto legittimato a qualificare temeraria una lite è il giudice chiamato a pronunciarsi su di essa, che è il solo che può accertare, con statuizione vincolante per le parti in causa, la sussistenza di una responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c..

Nel caso di specie la conferma in gran parte della impugnata sentenza di accoglimento sostanziale delle censure formulate in primo grado dall’architetto C dimostra la insussistenza di detta responsabilità.

24.- In conclusione l’appello deve essere accolto limitatamente alla censura di violazione dell’art. 73, comma 3, del c.p.a. con riferimento al difetto di giurisdizione rilevato dal giudice di primo grado, e al riguardo va disposta la rimessione della causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 105, comma 1, del c.p.a.;
va invece respinto per la restante parte.

25. Nella complessità e parziale novità delle questioni trattate, nonché nella parziale reciproca soccombenza delle parti, il collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ai sensi degli artt. 26, comma 1, del c.p.a. e 92, comma 2, del c.p.c., le spese dei due gradi di giudizio.

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