Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-03-19, n. 201401346

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-03-19, n. 201401346
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201401346
Data del deposito : 19 marzo 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08069/2013 REG.RIC.

N. 01346/2014REG.PROV.COLL.

N. 08069/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8069 del 2013, proposto da:
S I, rappresentata e difesa dagli avv. F R, G L, con domicilio eletto presso F R in Roma, via Lutezia, 8;

contro

Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
F R T, rappresentato e difeso dall'avv. C P S, con domicilio eletto presso Elio Casadei in Roma, via Giampiero Combi N.117;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II TER n. 05357/2013, resa tra le parti, concernente approvazione graduatoria del concorso a n.2 posti area c posizione economica c3 - profilo professionale di funzionario amministrativo


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e di F R T;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 marzo 2014 il Pres. P G L e uditi per le parti l’avvocato Paciello su delega di Rosi e l’avvocato dello Stato Santoro;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’appellante, già ricorrente in primo grado, signora S.I., ha partecipato a un concorso bandito dall’ente pubblico Unione Nazionale Incremento Razze Equine (UNIRE) per due posti di funzionario amministrativo contabile.

Nella relativa graduatoria, approvata dall’ente, l’interessata si è collocata al terzo posto (ossia al primo posto degli idonei non vincitori) mentre il sig. F.R.T., attuale appellato, si è collocato al quarto.

E’ poi accaduto che il sig. F.R.T. ha proposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, contestando sotto vari profili la valutazione dei titoli presentati dall’attuale appellante.

Il ricorso straordinario di F.R.T. è stato accolto con decreto del Presidente della Repubblica in data 5 ottobre 2009, su conforme parere di una Sezione consultiva del Consiglio di Stato.

2. L’attuale appellante ha impugnato con ricorso al T.A.R. del Lazio il decreto con il quale era stato accolto il ricorso straordinario della controparte. La ricorrente deduceva, essenzialmente, che il ricorso straordinario non le era stato notificato, pur avendo ella indubbiamente la qualità di controinteressata.

3. Il T.A.R. del Lazio, con la sentenza n. 5357/2013, ha dichiarato inammissibile il ricorso. Ciò con la motivazione che il ricorso straordinario, originariamente qualificato nell’ordinamento come ricorso amministrativo, si qualifica ora come giurisdizionale. Da questa premessa ha tratto la conclusione che le decisioni dei ricorsi straordinari non sono suscettibili di impugnazione davanti al giudice amministrativo.

4. L’interessata ha proposto appello davanti a questo Consiglio, sostenendo l’ammissibilità e la fondatezza dell’impugnazione da lei proposta al T.A.R. Lazio.

Resistono all’appello l’amministrazione (Ministero delle politiche agricole, succeduto al soppresso U.N.I.R.E.) ed il sig. F.R.T..

5. Il Collegio osserva che il punto critico della sentenza appellata è quello nel quale, partendo dal presupposto della natura “sostanzialmente giurisdizionale” della decisione del ricorso straordinario, se ne fa discendere automaticamente la conseguenza che resti esclusa ogni possibilità di impugnazione ulteriore.

Invece tale conseguenza non è automatica né scontata. Se la sentenza di un giudice sia suscettibile o meno di impugnazione – e in quale sede - è questione che si risolve unicamente sulla base del diritto positivo e del regime specifico di quel tipo di provvedimento.

Ci si chiede, quindi, quale sia la disciplina specifica del ricorso straordinario, in particolare per quanto riguarda il problema dell’impugnazione delle relative decisioni.

6. Com’è noto (la sentenza ora appellata si basa apertamente su questo) l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 9/2013, ha affermato che la decisione del ricorso straordinario ha assunto, a seguito delle più recenti modifiche normative, un carattere “sostanzialmente giurisdizionale”.

Va notato che l’Adunanza Plenaria usa ripetutamente l’avverbio “sostanzialmente” - e ciò non può essere casuale - lasciando così intendere che sul piano “formale” le conclusioni potrebbero essere diverse, se non altro per quanto riguarda quell’atto che “formalmente” conclude il procedimento e dà efficacia giuridica alla decisione, che è il decreto del Presidente della Repubblica.

Peraltro, il thema decidendum nel caso deciso da A.P. n. 9/2013 era se, nel sistema dell’art. 112 c.p.a., il ricorso per ottemperanza si debba proporre davanti al T.A.R. o piuttosto davanti al Consiglio di Stato in unico grado. La questione riguardava, cioè, un aspetto particolare della disciplina specifica del ricorso straordinario;
e dava per presupposto che dalla decisione del ricorso straordinario possa derivare un “giudicato” nel senso stretto del termine. Ma non toccava il punto delle impugnazioni eventualmente esperibili contro quella decisione;
a parte un accenno all’eventualità che il decreto decisorio presidenziale possa essere affetto da vizi propri;
il che, si può aggiungere, implicherebbe logicamente la possibilità di un’impugnazione.

7. Non è questa la sede per un ulteriore approfondimento teorico della natura giurisdizionale della decisione resa sul ricorso straordinario;
e per quanto qui interessa ci si può riferire senza riserve all’orientamento dell’Adunanza Plenaria.

Ma resta il fatto che l’istituto del ricorso straordinario è connotato da una disciplina positiva del tutto peculiare, il che impone di ricercare innanzi tutto all’interno della stessa disciplina gli strumenti e i rimedi, solo in via del tutto residuale ricorrendo a (supposti) princìpi generali.

Tali peculiarità, conviene sottolinearlo, non sono state cancellate (anzi in qualche modo risultano confermate) dalle innovazioni normative citate da A.P. n. 9/2013.

8. Fra le più vistose peculiarità vi è che il procedimento, pur culminando nel parere del Consiglio di Stato (già semivincolante in base alla normativa originaria e reso totalmente vincolante dall’art. 69, legge n. 69/2009) si articola anche in una fase antecedente (l’istruttoria svolta dal Ministero competente per materia, con il conclusivo inoltro di una relazione che di solito si risolve in una motivata proposta di decisione) e in una fase successiva (l’emanazione del decreto presidenziale decisorio) alle quali entrambe è impossibile riconoscere natura giurisdizionale.

Una seconda peculiarità è che in quella stessa fase del procedimento cui si vuole riconoscere natura giurisdizionale – e cioè la fase del parere del Consiglio di Stato – mancano alcune delle modalità che ordinariamente si considerano necessarie in sede giurisdizionale, come un vero e proprio confronto dialettico fra le parti, la loro comparizione davanti al giudice e la discussione in (pubblica) udienza.

La terza peculiarità (logicamente connessa alle precedenti, in quanto ne rappresenta la contropartita che le rende accettabili nel sistema) è che il procedimento del ricorso straordinario si pone come “opzionalmente alternativo” al procedimento giurisdizionale propriamente detto. Si tratta della ben nota regola dell’alternatività, con l’ulteriore precisazione che ciascuna delle parti della controversia (ricorrente, autorità emanante, controinteressato) ha il diritto di optare per il procedimento giurisdizionale propriamente detto.

9. In sostanza, dunque, il ricorso straordinario può giungere alla decisione, e la decisione acquista la sua efficacia imperativa nei confronti delle parti, solo se ed in quanto tutte le parti necessarie della controversia abbiano volontariamente scelto (se si tratta del ricorrente) o accettato (se si tratta delle controparti) che la controversia sia decisa in quella sede e con quelle forme.

Mentre basta che una sola delle parti opti ritualmente per la sede giurisdizionale propriamente detta, perché le altre restino vincolate a questa scelta (cfr. art. 10, d.P.R. n. 1199/1971).

La rilevanza della libertà di opzione è tale, che Corte Cost. n. 148/1982 ha dichiarato incostituzionale l’art. 10, comma 1, d.P.R. n. 1199/1971, nella parte in cui, mentre l’attribuiva ai controinteressati , non la estendeva all’autorità emanante diversa dalle amministrazioni dello Stato (secondo A.P. n. 9/2013, l’art. 48 c.p.a. la estende ulteriormente anche alle amministrazioni dello Stato).

Riassumendo: nella misura in cui la decisione del ricorso straordinario è qualificabile come (o equiparabile a) una decisione giurisdizionale, ciò è vero solo a condizione che quella procedura sia stata accettata da tutte le parti.

10. Si può passare ora al problema dell’impugnabilità della decisione.

10.1. Com’è noto, sino a che era comunemente condivisa l’opinione che il ricorso straordinario avesse natura amministrativa, era pacifico – in linea di principio – che la decisione fosse impugnabile davanti al giudice amministrativo.

Tuttavia era ugualmente condivisa l’opinione che il parere reso dal Consiglio di Stato fosse, in sé, insindacabile: anche come implicazione logica del principio dell’alternatività, inteso come divieto di adire la via giurisdizionale una volta scelto il ricorso straordinario.

Di ciò è un riflesso l’art. 10, terzo comma, d.P.R. n. 1199/1971. Esso dispone che la parte che non abbia esercitato l’opzione per la sede giurisdizionale propriamente detta può impugnare la decisione solo per vizi di forma e di procedura suoi propri.

10.2. Sull’art. 10, terzo comma, la giurisprudenza si è da tempo consolidata nel senso che i vizi di forma e di procedura suscettibili di essere dedotti come mezzi di impugnazione del decreto decisorio sono solo quelli verificatisi nella fase successiva alla pronuncia del parere del Consiglio di Stato (Adunanza Plenaria n. 22/1980;
IV Sezione n. 800/1996;
VI Sezione n. 3831/2006).

Tuttavia tale limitazione è opponibile solo alle parti che abbiano scelto, o accettato, che la controversia fosse decisa nella sede straordinaria: ossia al ricorrente da un lato, e dall’altro lato alle controparti che, avendo avuto la possibilità di chiedere la trasposizione alla sede giurisdizionale, non se ne siano avvalse.

10.3. Se ne ricava che il controinteressato non ritualmente evocato può impugnare la decisione senza quelle limitazioni e preclusioni che sono opponibili al controinteressato evocato, e, in genere, a tutte le parti che abbiano accettato la procedura in sede straordinaria. Può dunque impugnare il decreto decisorio davanti al giudice amministrativo anche per vizi inerenti al parere del Consiglio di Stato (e, s’intende, alle fase procedurali anteriori).

10.4. Quanto alla individuazione del giudice amministrativo competente a giudicare su tale impugnazione, si osserva che l’art. 10, terzo comma, del d.P.R. n. 1199/1971 contiene un riferimento esplicito al Consiglio di Stato. Tuttavia è opinione corrente che in quel contesto il Consiglio di Stato sia menzionato in quanto al momento della emanazione del decreto legislativo (24 novembre 1971) non era ancora promulgata la legge istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali (6 dicembre 1971). Di fatto, la prassi giurisprudenziale consolidata è nel senso che l’impugnazione si propone davanti al Tribunale amministrativo regionale.

La competenza del T.A.R. è, comunque, confermata da considerazioni sistematiche, quanto meno con riferimento all’ipotesi che l’impugnazione venga proposta (come nel caso attuale) dal controinteressato che lamenti di non essere stato ritualmente evocato: proponendola, infatti, il controinteressato non fa altro che esercitare (si direbbe ora per allora) la facoltà di opzione per la sede giurisdizionale e le inerenti garanzie, fra le quali il doppio grado, usufruendo così di una restitutio in integrum . Da questo punto di vista solo l’impugnazione davanti al T.A.R. (con l’inerente possibilità del doppio grado, etc.) appare interamente restitutoria per il controinteressato pretermesso, più di quanto avverrebbe con altri rimedi pure ipotizzabili, quali la revocazione o l’opposizione di terzo.

11. Sin qui, la disciplina positiva dell’impugnazione del decreto decisorio, come legificata e interpretata prima della c.d. giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario.

Ci si chiede ora se essa sia tuttora vigente ed applicabile.

Ad avviso del Collegio, la risposta non può essere che positiva.

La recente evoluzione del ricorso straordinario non ha eliminato la disciplina previgente né le peculiarità dell’istituto, se non nella misura in cui singole disposizioni siano state abrogate o modificate. Fra le disposizioni abrogate non vi è l’art. 10, con tutto ciò che esso implica anche sotto il profilo della impugnabilità del decreto decisorio.

Non si può neppure dire che le vecchie regole (esplicite e implicite) concernenti l’impugnabilità debbano intendersi abrogate per incompatibilità con le nuove disposizioni. Si è visto invece come esse siano coerenti con la disciplina generale dell’istituto. In particolare sono coerenti con quel carattere di “opzionalità” che permane inalterato.

Inoltre, va considerato che le recenti innovazioni normative sono state concepite con lo scopo di accrescere le garanzie e le possibilità di difesa, a beneficio delle parti. L’esclusione di ogni possibilità di impugnazione (fino al punto di sacrificare il controinteressato che, come nella specie, eccepisca di non aver ricevuto la notifica del ricorso) sarebbe un effetto perverso che appare del tutto estraneo alle intenzioni del legislatore.

12. Concludendo così la prima parte della decisione, il ricorso al T.A.R. Lazio della signora S.I., che lamenta di non aver ricevuto la notifica del ricorso straordinario, va giudicato ammissibile.

In questo senso la sentenza del T.A.R. deve essere riformata.

13. Si può ora passare al merito dell’impugnazione.

13.1. Che la signora S.I. fosse controinteressata – in senso tecnico e a tutti gli effetti – rispetto al ricorso straordinario del signor F.R.T. non può essere messo seriamente in discussione, benché la difesa di quest’ultimo lo prospetti.

Il signor F.R.T., quarto classificato nel concorso, ha proposto il ricorso straordinario al dichiarato scopo di rimuovere dal terzo posto la signora S.I. (e salire così egli stesso al terzo posto), deducendo che a costei fossero stati accreditati titoli non valutabili. Si tratta dunque del più puro e tipico caso di “controinteressato”.

13.2. In effetti, F.R.T. si era dato carico di notificare il ricorso straordinario alla signora S.I.. La notifica era stata chiesta tramite ufficiale giudiziario, e questi vi ha provveduto a mezzo posta. Si ha la prova che il plico è stato spedito nell’ultimo giorno utile prima della scadenza del termine, all’indirizzo (Roma, via Tagliamento 76) che la controinteressata aveva indicato ai fini del concorso.

Manca, però, la prova dell’avvenuta consegna. Il ricorso è stato depositato con la relazione di notifica ma senza la “cartolina” comprovante il ricevimento. Solo in data 15 luglio 2008 e cioè circa dieci mesi dopo il deposito del ricorso il ricorrente ha prodotto una “cartolina”, che è però un duplicato (rilasciato dall’ufficio postale di Roma) dell’originale, dato per disperso. In luogo delle ordinarie attestazioni circa la data della consegna o delle formalità equiparate alla consegna, nel duplicato prodotto si legge quanto segue: «rinviata al mitt. in data 21.9.2007, casuale [rectius: causale] sconosciuto» .

13.3. In questa situazione, è giocoforza ritenere che manchi la prova del perfezionamento della notificazione. Anzi, se la “cartolina” prodotta prova qualcosa, prova il contrario: e cioè che il plico non è stato consegnato alla destinataria, né trattenuto in giacenza, etc., bensì rinviato al mittente (a quanto pare il giorno stesso del fallito tentativo di consegna).

13.4. L’attuale appellato, F.R.T., invoca, fra l’altro, le disposizioni per le quali la notificazione a mezzo posta si considera perfezionata, per il notificante, al momento della spedizione del plico, quasi che gli eventi successivi siano irrilevanti;
ma è chiaro che quella disposizione si riferisce solo al problema dei termini e non elimina la necessità che il procedimento di notificazione sia andato a buon fine in uno dei modi previsti. Il che in questo caso non è avvenuto.

13.5. L’appellato, inoltre, svolge una serie di argomentazioni relative alla sua buona fede, nonché ad ipotesi di mala fede della controparte, collusione di questa con gli agenti postali, e simili.

Tutti questi argomenti (che non occorre, qui, elencare distintamente) oltre che carenti di ogni prova sono irrilevanti nella presente fase processuale.

A tutto concedere, infatti, l’interessato avrebbe potuto servirsene per chiedere, nell’ambito del procedimento inerente al ricorso straordinario, la remissione in termini per errore scusabile al fine di integrare il contraddittorio. Aveva l’onere di farlo, giacché il documento da lui prodotto in quella sede (il “duplicato” della cartolina di ricevimento) era inequivoco nel senso che la notifica non si era perfezionata.

Pertanto, se avesse prestato attenzione al contenuto di quel documento, usando l’ordinaria diligenza, si sarebbe avveduto della necessità di rinnovare la notificazione, chiedendo eventualmente la remissione in termini. Ma non l’ha fatto, e la remissione in termini non può essere concessa ora, perché il procedimento relativo al ricorso straordinario è stato definito a suo tempo, con l’acquiescenza del ricorrente.

Dato e non concesso che in precedenza vi fossero gli estremi per il riconoscimento di un errore scusabile, certamente non è scusabile l’errore compiuto dall’originario ricorrente, quando ha creduto di avere assolto l’onere di provare l’avvenuta notifica alla controinteressata, producendo un documento (la “cartolina”) che dimostrava, semmai, il contrario.

13.6. Non si può dire neppure che l’iniziale vizio di difetto del contraddittorio sia stato in qualche modo sanato dall’attività processuale svolta successivamente dalla controinteressata.

Anche sotto questo profilo, invero, è risolutiva la considerazione che le iniziative processuali della controinteressata sono state svolte quando ormai il procedimento decisorio del ricorso straordinario era stato definito con la pronuncia del Consiglio di Stato e il decreto del Presidente della Repubblica.

14. Concludendo, la decisione del ricorso straordinario è viziata e deve essere annullata. E, passando al giudizio rescissorio, non si può far altro che prendere atto che – nella situazione come sopra determinatasi - il ricorso straordinario era inammissibile mancando la prova che fosse stato notificato alla controinteressata.

In questo senso l’appello della signora S.I. deve essere accolto.

Nella singolarità della vicenda si ravvisano giusti motivi per compensare le spese dell’intero giudizio.

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