Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-02-26, n. 202101674
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Testo completo
Pubblicato il 26/02/2021
N. 01674/2021REG.PROV.COLL.
N. 03747/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3747 del 2020, proposto da Fibe S.p.a., in proprio e quale Società incorporante Fibe Campania S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati B G C e E M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,
contro
la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,
nei confronti
della Sarracino S.r.l., della Data General Security S.r.l., della Full Service Cooperativa a.r.l., della Santangelo Finpagest S.r.l., della Metrovox S.r.l., della Sipro Sicurezza Professionale S.r.l. (già Sipro Sicurezza Professionale Campania S.r.l.), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , non costituite in giudizio,
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 974 del 7 febbraio 2020, resa tra le parti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2021, svoltasi da remoto in video conferenza ai sensi dell’art. 25 d.l. n. 137 del 2020, il consigliere Michele Conforti e uditi per le parti gli avvocati B G C e E M che partecipano alla discussione orale ai sensi dell’art. 25 d.l. n. 137 del 2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La Fibe S.p.a. e la Fibe Campania S.p.a. (poi incorporata nel corso del processo dalla prima) hanno agito innanzi al giudice amministrativo per sentire condannare la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento di un ingente credito, maturato dalle due società nello svolgimento del servizio di gestione rifiuti nella Regione Campania, durante la c.d. fase di “emergenza rifiuti”.
2. Si premette che in base all’art. 1, comma 7, D.L. 30 novembre 2005, n. 245, la Fibe, precedente parte del rapporto contrattuale dichiarato risolto dal comma 1 della citata disposizione e affidataria del servizio, è stata obbligata alla gestione provvisoria del suo espletamento, nelle more dell’individuazione, da parte della gestione commissariale, di nuove imprese alle quali affidarlo.
2.1. Si è previsto, ai sensi dell’art. 1, comma 4, prima parte, dell’O.P.C.M. 14 dicembre 2005, n. 3479, per remunerare l’impresa dei costi che ne sarebbero scaturiti, che “ I pagamenti delle prestazioni effettuate dalle affidatarie, in attuazione dell’art. 1, comma 7 decreto-legge 30 novembre 2005 n. 245, sono disposti dal Commissario delegato previa presentazione di regolare fattura e rendicontazione da parte delle affidatarie del servizio e comunque a fronte di autorizzazione da parte del soggetto attuatore di cui all’art. 1, comma 7, decreto-legge 30 novembre 2005 n. 245. Il Commissario delegato può disporre il pagamento di un acconto fino all’80% dell’importo della tariffa mensilmente dovuta alle affidatarie del servizio in relazione alle quantità di rifiuti urbani da conferirsi a valle della raccolta differenziata presso gli impianti di produzione del combustibile dai rifiuti ”.
3. Tale regime di gestione straordinaria è stato più volte prorogato ed è durato sino al 18 giugno 2008.
4. Ritenendo di non aver ricevuto tutte le somme spettanti, la società ha agito in giudizio innanzi al T.a.r. per il Lazio (ricorso n.r.g. 7338 del 2009), competente funzionalmente ope legis , formulando domanda di condanna al loro pagamento, nei confronti del Commissario.
5. Nel corso del giudizio, il T.a.r., con la sentenza parziale n. 3669 del 29 aprile 2011, ha disposto una verificazione per quantificare le somme dovute alla società e, successivamente, con la sentenza n. 3775 del 21 marzo 2019, in base ai risultati della perizia del verificatore, ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministeri, di cui il Commissario è stato organo straordinario, al pagamento della somma di euro 52.955.352,00 oltre accessori di legge.
6. Contro la sentenza di primo grado, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha proposto appello principale, articolando tre motivi di impugnazione.
6.1. Per quel che interessa il presente giudizio di revocazione, con il secondo motivo di appello, in estrema sintesi, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha censurato la sentenza di primo grado per avere riconosciuto come dovute le somme non ancora rendicontate e autorizzate dal soggetto attuatore, e averla condannata al relativo pagamento.
7. La società, a sua volta, ha proposto appello incidentale affidato a quattro motivi di gravame.
8. Questo Consiglio, con la sentenza n. 974 del 7 febbraio 2020, per quel che qui interessa, ha accolto l’appello principale e, parzialmente, quello incidentale, riducendo, in accoglimento dell’appello principale, la somma dovuta a euro 20.962.224,45, maggiorata degli interessi legali dalla data della domanda al pagamento effettivo, e prevedendo che su di essa dovessero essere pagati gli interessi legali a far data dalla domanda.
8.1. In particolare, questo Consiglio ha affermato che il T.a.r. ha errato nel riconoscere come dovute le somme domandate dalla società e non ancora accertate nell’ambito della procedura prevista dalla disciplina commissariale, poiché questa decisione costituisce una violazione dell’art. 1, comma 4, dell’O.P.C.M. 14 dicembre 2005, n. 3479.
8.2. Segnatamente, nella sentenza gravata si è statuito che “… si deve ritenere che i pagamenti stessi non si possono ritenere dovuti per il solo fatto che vi sia stata la richiesta, ma diventano dovuti solo all’esito positivo di una specifica attività di controllo da parte dell’amministrazione, che deve accertare che si tratti di fatture realmente pagate, redatte in conformità alla normativa fiscale, e che siano relative a costi strettamente inerenti al servizio ”.
9. Proprio sull’asserita erroneità di questa statuizione si incentra il ricorso per revocazione della società Fibe.
9.1. Con il primo motivo di revocazione, formulato ai sensi dell’art. 106 c.p.a. e dell’art. 395, n. 5, c.p.c., la società si duole che la sentenza impugnata contrasti con il precedente giudicato, formatosi a seguito della pronuncia del T.a.r. per il Lazio del 17 luglio 2009, n. 7070.
9.1.1. Segnatamente, si ritiene viziato il capo della sentenza gravata, nel