Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-06-08, n. 202003622

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-06-08, n. 202003622
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202003622
Data del deposito : 8 giugno 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/06/2020

N. 03622/2020REG.PROV.COLL.

N. 06185/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA IALIANA

IN NOME DEL POPOLO IALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6185 del 2017, proposto dal Ministero dell’interno – Dipartimento della pubblica sicurezza, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati M C e M M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del dr. L G in Roma, via Mantegazza, 24;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia – Romagna, Sezione Prima, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente cessazione dal servizio nella Polizia di Stato per inidoneità attitudinale e contestuale dichiarazione di inammissibilità della domanda di transito nei ruoli civili dell’Amministrazione.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del sig. -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2020 - svoltasi in video-conferenza ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, d.l. n. 18 del 2020, convertito con l. n. 27 del 2020 - il Cons. L L;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITO

1. L’odierno appellato, agente scelto della Polizia di Stato all’epoca in servizio presso la Questura di -OMISSIS-, ha impugnato avanti il T.a.r. per l’Emilia - Romagna il provvedimento ministeriale del 17 dicembre 2015 con cui:

a) ne è stata disposta la cessazione dal servizio per inidoneità attitudinale, a seguito dell’accertamento del venir meno dei relativi requisiti;

b) ne è stata dichiarata inammissibile la domanda di transito nei ruoli civili della stessa o di altre Amministrazioni dello Stato, in tesi attingibile solo dal personale dichiarato inidoneo al servizio nella Polizia di Stato per motivi di salute, non per profili attitudinali.

2. Con la sentenza indicata in epigrafe il T.a.r. ha rigettato il ricorso contro la statuizione di cessazione dal servizio per inidoneità attitudinale, ma ha invece accolto le censure mosse avverso il diniego del transito nei ruoli civili.

Quanto al primo profilo, il T.a.r. ha ritenuto che “ la sottoposizione del ricorrente ad accertamenti attitudinali risulta legittima, considerato che la riammissione in servizio del ricorrente è stata disposta solo dopo un apprezzabile lasso di tempo (circa 3 anni) di assenza, a seguito della conclusione di procedimento disciplinare con irrogazione al ricorrente della sanzione della destituzione dal servizio e delle successive vicende relative a tale provvedimento sanzionatorio, sviluppatesi in sede giurisdizionale. Appare quindi coerente con tali circostanze di fatto, la necessità, per l’amministrazione di verificare la permanenza, in capo al medesimo, delle condizioni di idoneità (sia attitudinale che psico-fisica), che costituiscono il necessario presupposto per l’espletamento dei peculiari e delicati servizi di pubblica sicurezza da parte del personale della Polizia di Stato ”.

Quanto, invece, al secondo profilo, il T.a.r. ha reputato “ oltremodo restrittiva ” l’esegesi operata dall’Amministrazione con riferimento al d.p.r. 339 del 1982, artt. 1 e 3, la cui ratio di tutela del dipendente ne imporrebbe, in una prospettiva esegetica costituzionalmente orientata, l’applicazione anche nei casi di sopravvenuta inidoneità attitudinale.

3. Il Ministero ha interposto appello, sostenendo che il transito nei ruoli civili sia normativamente previsto a favore del solo personale della Polizia di Stato cessato dal servizio per motivi di salute, non anche per perdita dei requisiti attitudinali.

Le due fattispecie, infatti, sarebbero ontologicamente distinte, tanto che “ sussistono due diverse commissioni competenti a valutare, da un lato, i requisiti attitudinali, dall’altro quelli psico-fisici del dipendente ”.

Inoltre, le disposizioni vigenti in materia si riferirebbero alla sola inidoneità per motivi di salute e non opererebbero “ alcun riferimento, nemmeno indiretto ”, alla sopravvenuta inidoneità attitudinale.

Infine, non vi sarebbero profili di illegittimità costituzionale della normativa, attesa la netta differenza che divide le due ipotesi.

4. L’appellato, ritualmente costituito, ha svolto ricorso incidentale avverso la reiezione, da parte del T.a.r., delle censure afferenti alla cessazione dal servizio per inidoneità attitudinale.

L’appellato, in proposito, ha lamentato che, nella concreta vicenda di causa, difettassero elementi oggettivi concreti che potessero giustificare la scelta amministrativa di sottoporlo a verifica attitudinale.

5. Alla camera di consiglio del 28 settembre 2017 il ricorso è stato rinviato al merito su richiesta ed accordo delle parti.

In vista della trattazione le parti hanno versato in atti difese scritte.

6. Il ricorso è stato, quindi, trattenuto in decisione alla camera di consiglio del 28 maggio 2020 ai sensi dell’art. 84, comma 5, d.l. n. 18 del 2020, convertito con l. n. 27 del 2020, e deliberato in pari data in audio-conferenza ai sensi del comma 6 della medesima disposizione.

7. Il Collegio premette, al fine di una migliore comprensione della vicenda, i seguenti rilievi in fatto:

- l’odierno appellato fu destinatario della sanzione disciplinare della destituzione con decreto del Capo della Polizia del 26 novembre 2012, decorrente dal 21 dicembre 2012 (data della notifica);

- la ragione dell’adozione della massima sanzione disciplinare consistette nella fruizione, da parte dell’incolpato, all’epoca consigliere comunale presso il Comune di -OMISSIS-, di diversi giorni di permesso ex art. 79, comma 3, d.lgs. n. 267 del 2000, senza che venisse documentata, nonostante l’esplicita richiesta dell’Amministrazione, l’effettiva partecipazione alle sedute dell’organo consiliare;

- il T.a.r. per l’Emilia – Romagna, avanti al quale l’interessato aveva impugnato il provvedimento espulsivo, ne rigettò il ricorso con sentenza n. -OMISSIS-;

- il Consiglio di Stato, adito in appello, ne accolse, tuttavia, l’istanza cautelare con ordinanza n. -OMISSIS-, recante la seguente motivazione: “ Ritenuto che, a una delibazione propria della fase cautelare, nella comparazione degli interessi contrapposti appare in atto prevalere quello di parte appellante, tenuto conto in particolare del grave pregiudizio connesso all’esecuzione del provvedimento contestato;

ritenuto altresì di fissare fin da ora la trattazione del merito del contenzioso all’udienza pubblica del 22 ottobre 2015, in modo da consentire anche al Ministero dell’ Interno di approfondire in sede istruttoria le specifiche deduzioni sulla documentazione prodotta dall’interessato pure circa l’assenza di analoghi precedenti ”;

- con la sentenza n. -OMISSIS-, quindi, questo Consiglio accolse l’appello ed annullò la sanzione disciplinare, ritenuta non proporzionata ed insufficientemente motivata;

- all’indomani dell’ordinanza cautelare emessa da questo Consiglio, l’Amministrazione, con nota prot. n. 181533 del 14 agosto 2015, dispose di dare esecuzione al dictum giurisdizionale “ mediante impulso della procedura di riammissione in servizio, con riserva di rivedere la posizione giuridico-amministrativa all’esito del gravame ”, previa sottoposizione dell’interessato sia alla visita finalizzata a verificarne l’idoneità psico-fisica, sia a quella deputata ad accertarne l’idoneità attitudinale;

- mentre all’esito della visita del 14 settembre 2015 la commissione medica riscontrò l’idoneità psico-fisica dell’interessato, la commissione all’uopo nominata dal Capo della Polizia con decreto del 10 settembre 2015, all’esito degli accertamenti del caso (svolti in data 17 settembre 2015), giudicò l’odierno appellato inidoneo in attitudine;

- con decreto del 17 dicembre 2015, quindi, l’Amministrazione dispose sia la cessazione dal servizio dell’interessato a decorrere dal 18 settembre 2015, giorno successivo al riscontro dell’inidoneità attitudinale, sia il rigetto dell’istanza di transito nei ruoli civili, frattanto formulata dall’odierno appellato in data 14 ottobre 2015;

- con il medesimo decreto, inoltre, l’Amministrazione rimise la definizione della posizione dell’interessato sul piano giuridico-amministrativo ed economico, per quanto attiene al periodo 21 dicembre 2012 – 17 settembre 2015, all’esito della procedura di rinnovazione dell’ iter sanzionatorio annullato;

- con successivo provvedimento del 10 marzo 2016 (a quanto consta non impugnato) l’Amministrazione avrebbe, infine, inflitto all’incolpato la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi sei (così in ricorso incidentale, pag. 4, non specificamente contestato ex adverso ).

7.1. Il Collegio rileva, altresì, che con sentenza n. -OMISSIS-questa Sezione ha, da ultimo, respinto definitivamente il ricorso svolto dell’interessato al fine di ottenere la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni conseguiti alla perdita dell’impiego: la sentenza – non senza aver “ rilevato che l’intera vicenda nasce da una acclarata situazione di abuso rispetto alla quale la giurisprudenza pacificamente esclude che possa riconoscersi, in astratto, la tutela risarcitoria dell’interesse illegittimo pur in presenza di un giudicato di annullamento del provvedimento lesivo ” – ha riscontrato il difetto dell’elemento soggettivo e del nesso eziologico.

8. Ciò premesso, il Collegio osserva che, a seguito delle reciproche impugnazioni delle parti, è riemersa l’intera materia del contendere di prime cure.

Nella trattazione, pertanto, si seguirà l’ordine delle doglianze articolato in primo grado.

9. In relazione al primo gruppo di censure (motivo I - pagine da 7 a 13) avverso la cessazione dal servizio per inidoneità attitudinale, il Collegio osserva che, allorché questo Consiglio, con ordinanza n. -OMISSIS-, sospese gli effetti della sentenza del T.a.r. emiliano n. -OMISSIS-, l’interessato era assente dal servizio da oltre due anni.

L’Amministrazione, quindi, ne subordinò la riammissione in servizio all’accertamento dell’idoneità psico-fisica ed attitudinale, “ in considerazione della prolungata assenza dal servizio determinata dal provvedimento di destituzione ” ed in applicazione dell’art. 2 d.m. 30 giugno 2003, n. 198: “ la verifica del possesso dei citati requisiti ” individuati dal citato d.m., in particolare, venne ritenuta necessaria alla luce “ della peculiarità dei compiti istituzionali demandati all’operatore di polizia e delle caratteristiche offensive dell’armamento individuale e di reparto in dotazione ”.

Ciò, si aggiunse, “ non solo a tutela del dipendente ” e della sua incolumità, ma anche “ della collettività nei confronti della quale è chiamato ad operare ”.

L’Amministrazione ha, dunque, diffusamente e specificamente motivato la necessità (o, comunque, l’opportunità) di procedere a tali accertamenti, alla luce del significativo lasso di tempo in cui l’interessato non aveva prestato servizio (e durante il quale, dunque, non ne era stata in alcun modo verificata la perdurante idoneità alle mansioni) e della delicatezza e peculiarità delle funzioni di polizia.

9.1. L’art. 2 del citato d.m. n. 198 del 2003, benché al comma 1 menzioni unicamente l’accertamento dell’idoneità psico-fisica, purtuttavia è rubricato “ accertamento dell’idoneità fisica, psichica ed attitudinale degli appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato ”;
inoltre, il comma 3 della disposizione disciplina il “ giudizio di idoneità al servizio ” senza alcuna limitazione ai soli profili psico-fisici, consentendone la reiterazione anche in corso di rapporto, purché dietro “ adeguata motivazione ” e “ in relazione a specifiche circostanze rilevate d’ufficio ”.

Più in generale, l’art. 25, comma 2, l. n. 121 del 1981 stabilisce che “ i requisiti psico-fisici e attitudinali, di cui debbono essere in possesso gli appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato, che esplicano funzioni di polizia, sono stabiliti con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno ”, in tal modo, evidentemente, postulandone la necessaria e continuativa permanenza in capo al personale in servizio.

9.2. Tali disposizioni, ritiene il Collegio, lumeggiano l’infondatezza delle censure svolte in proposito dall’interessato.

In primo luogo, la verifica circa il perdurante possesso dei requisiti richiesti ex lege prescinde sia dal pregresso percorso di carriera del dipendente, sia da eventuali profili di colpa in capo a questo e costituisce, di contro, una generale facoltà dell’Amministrazione, quale precipitato tecnico-organizzativo del principio di buon andamento: l’Amministrazione, infatti, è tenuta, al fine di ben adempiere alle funzioni istituzionali, all’accertamento dell’attuale, piena ed effettiva idoneità del personale allo svolgimento dei delicati compiti di istituto, ogniqualvolta ve ne sia il caso (Cons. Stato, Sez. III, 11 settembre 2014, n. 4651).

Nel caso di specie, la mancata prestazione del servizio per un significativo periodo rende tutt’altro che irragionevole ed illogica la scelta dell’Amministrazione di provvedere all’effettuazione della citata verifica: la lontananza dall’impiego, a prescindere dalle ragioni che l’hanno determinata, se non è per ciò solo sintomatica di un’intervenuta inidoneità al relativo svolgimento, certo rende immune da censure la (motivata, come nella specie) decisione amministrativa di disporre un apposito accertamento in merito, proprio al fine di vagliare il concreto ed attuale profilo psico-fisico ed attitudinale del soggetto riammesso, dopo lungo tempo, in servizio (in termini ed ex multis , Cons. Stato, Sez. IV, ord. 31 gennaio 2020, n. 396;
Sez. III, 20 febbraio 2013, n. 1051;
Sez. III, 19 aprile 2012, n. 2306;
Sez. VI, 30 luglio 2009, n. 4794;
vedasi pure il parere n. 4787 in data 29 ottobre 2010 della commissione speciale del Consiglio di Stato del 4 ottobre 2010, costituita ai sensi dell’art. 22 del r.d. n. 1054 del 1924).

9.3. Né consta che i riferiti accertamenti siano stati svolti in forma illegittima.

Invero, la conclusiva decisione dell’organo tecnico collegiale risulta specificamente motivata con riferimento a ciascuna delle quattro sotto-voci su cui si basano i detti accertamenti (“livello evolutivo”;
“controllo emotivo”;
“capacità intellettiva”;
“socialità”), in nessuna delle quali, peraltro, l’interessato ha conseguito la valutazione di sufficienza, pari a 12/20 (con conseguente media complessiva di 9,00).

Il corredo motivazionale enucleato dalla commissione non dimostra affatto, come sostenuto dall’appellato, che il colloquio si sia incentrato esclusivamente sul suo “ modo di porsi rispetto ad una situazione ancora in itinere ”, ma lascia di contro intendere che la commissione abbia atteso ad un complessivo screening della personalità e del “funzionamento” sociale dell’esaminando.

Inoltre, consta che, prima di procedere agli adempimenti valutativi (consistiti in “ prove attitudinali ” ed in successivo “ colloquio ”), la Commissione - formalmente impegnatasi “ ad attenersi a criteri di valutazione improntati ad assoluta obiettività e giusto rigore ” - abbia stabilito “ i criteri di massima che dovranno essere seguiti per la formulazione del giudizio ” ed abbia, altresì, delibato di pronunziare giudizio di inidoneità nel caso in cui l’esaminando “ dovesse conseguire una media globale inferiore a 12/20 oppure riportare una valutazione inferiore a 8/20 in una delle categorie ”.

9.4. Del resto, il giudizio de quo è espressione di un apprezzamento tecnico-discrezionale dell’Amministrazione sostanzialmente irripetibile, in quanto legato allo specifico contesto spazio-temporale in cui si svolge, e, comunque, sindacabile dal Giudice amministrativo nei soli limiti della coerenza motivazionale, della logicità argomentativa, della attinenza ai fatti ( ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 20 agosto 2018, n. 4982;
Sez. IV, 17 settembre 2007, n. 4849), del cui superamento non vi sono, nel caso in esame, concreti e manifesti indizi.

In proposito, il Collegio aggiunge che l’attribuzione di siffatte valutazioni ad apposite strutture dell’Amministrazione dell’interno testimonia della volontà normativa di disporre di uno scrutinio attitudinale non per così dire “neutro” e generico, bensì “tarato” sulle specifiche esigenze e sensibilità dell’Amministrazione, che possono essere assicurate solo da un organo interno, inserito, con carattere di indipendenza tecnica, nella struttura organizzativa e partecipe della cultura istituzionale dell’Amministrazione stessa: le relative valutazioni, dunque, non possono essere censurate né con il ricorso a pareri di professionisti esterni, tanto più se di parte, né con valutazioni operate da organi di altre Istituzioni dello Stato.

Né riveste incidenza il previo giudizio di idoneità psico-fisica riportato dall’interessato: tale accertamento, come noto, attiene all’idoneità fisica stricto sensu intesa, ovvero all’assenza di profili patologici di carattere propriamente psichiatrico.

10. In relazione al secondo gruppo di censure (motivo II - pagine da 14 a 16) avverso il diniego di transito nei ruoli civili, si osserva, anzitutto, che la disciplina vigente (articoli 1 - 4 d.p.r. n. 339 del 1982) fa riferimento esclusivamente all’inidoneità psico-fisica, non anche a quella attitudinale.

Questo Consiglio, in un caso analogo (Cons. Stato, Sez. III, 6 giugno 2016, n. 2401;
v. anche Sez. III, 3 marzo 2015, n. 1048), ha già escluso l’ammissibilità del transito nei ruoli civili di soggetti giudicati inidonei in attitudine, e ciò sia per il chiaro ed inequivoco tenore letterale delle norme in materia, sia, in termini logico-sistematici, per l’oggettiva differenza che intercorre fra “ una inidoneità dovuta a cause patologiche ” ed una ascrivibile “ alla mancanza di requisiti attitudinali ”.

Tale differenza, peraltro, ha condotto a ritenere manifestamente infondati i dubbi di incostituzionalità, “ perché il giudizio di inidoneità attitudinale riguarda l’incapacità caratteriale ad assolvere i compiti di servizio, da parte del dipendente, ed è ben differente dai particolari e gravi motivi di salute che ne consentono, a determinate condizioni, il transito «ad equivalenti qualifiche di altri ruoli dell’amministrazione della pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato» ” (così la richiamata sentenza della Sez. III, 6 giugno 2016, n. 2401).

10.1. In proposito, il Collegio rileva che, ai sensi dell’art. 1 d.p.r. n. 339 del 1982, il transito nei ruoli civili (che non configura un diritto soggettivo del dipendente stesso, posto che la disposizione in commento usa l’espressione “ può essere trasferito ”, cui è sottesa un’implicita potestas valutandi in capo all’Amministrazione, ed aggiunge che il transito è subordinato alla compatibilità tra l’accertata infermità ed il nuovo impiego) è testualmente riservato al solo dipendente “ giudicato assolutamente inidoneo per motivi di salute ”: è noto che, allorché la legge abbia perimetrato con precisione l’ambito di applicazione di un istituto, l’interprete non possa estenderne la portata oltre i confini stabiliti in via normativa (cfr. il risalente brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit ).

I successivi articoli 2 e 3 fanno, poi, riferimento al concetto di “ invalidità ”, che richiama con tutta evidenza profili d’ordine fisico (o, al più, psico-fisico), ma certo non attitudinale: “invalido”, infatti, è concetto riferibile (e conseguente) al riscontro di una patologia che incide sulla capacità materiale di fare qualcosa, mentre l’attitudine attiene all’idoneità personale e soggettiva a svolgere bene, con profitto ed in sicurezza una certa attività o funzione, a prescindere dalla sussistenza di profili patologici.

Infine, l’art. 4 dispone che l’accertamento delle “ inidoneità ” di cui ai precedenti articoli compete esclusivamente a commissioni mediche composte esclusivamente da personale sanitario, mentre, come noto, l’inidoneità attitudinale è accertata da commissioni nominate ad hoc dal Capo della Polizia e composte da personale con specializzazione psicologica.

Da punto di vista testuale, dunque, la doglianza dell’odierno appellato è priva di fondamento normativo.

10.2. Più in generale, il Collegio osserva, in una prospettiva ermeneutica sistematica e teleologicamente orientata, che la facoltà di transito, quale eccezione al principio costituzionale di accesso ai pubblici impieghi mediante concorso, risponde all’esigenza di garantire al dipendente della Polizia di Stato una prospettica stabilità di impiego allorché, per motivi di salute, non sia più in grado di svolgere materialmente le mansioni istituzionali per le quali è stato, a suo tempo, assunto.

Tale esigenza di garanzia, invero, non ricorre nei casi in cui il dipendente non abbia più, in radice, i requisiti attitudinali per essere tale.

Altrimenti detto, l’istituto in commento non considera l’agente di P.S. uti civis , ma, per così dire, uti miles, ed appresta una tutela nei casi in cui il miles , pur ancora attitudinalmente idoneo al servizio, non sia più fisicamente in grado di prestarlo.

Viceversa, laddove il miles abbia perduto la stessa attitudine personologica e caratteriale per essere (e rimanere) tale, viene meno la ragione intrinseca di tutela sottesa alla previsione della facoltà di transito nei ruoli civili ed alla connessa deroga al principio concorsuale, stabilito dalla Costituzione per l’accesso ai pubblici impieghi.

L’oggettiva differenza fra le due situazioni, dunque, conferma l’infondatezza nel merito della tesi svolta dall’odierno appellato e, specularmente, lumeggia la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della disciplina recata, sul punto, dal d.p.r. n. 339 del 1982: la scelta normativa in discorso rientra, infatti, nell’ambito della discrezionalità del legislatore e non viola il principio di uguaglianza, funditus non predicabile con riferimento a situazioni e condizioni oggettivamente difformi e distoniche.

11. Per le esposte ragioni, pertanto, il Collegio dispone come segue:

a) accoglie l’appello principale del Ministero;

b) rigetta l’appello incidentale;

c) per l’effetto, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, rigetta integralmente il ricorso di primo grado;

d) pone le spese del doppio grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, nonché il contributo unificato per entrambi i gradi di giudizio, a carico dell’appellato.

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