Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2024-02-19, n. 202401621

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2024-02-19, n. 202401621
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202401621
Data del deposito : 19 febbraio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/02/2024

N. 01621/2024REG.PROV.COLL.

N. 07900/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7900 del 2019, proposto da:
Studio Albatros s.r.l. unipersonale in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati L F e S A, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, viale G. Mazzini, 11;

contro

Consorzio ASI della Provincia di Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato L M, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia;
Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione Campania, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dall'avvocato Maria Vittoria De Gennaro, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Poli, 29;
Atradius Credito Y Caucion, rappresentata e difesa dall'avvocato Claudio Russo, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia;
Impre.Co Imprese Consorziate a r.l. e Atradius Credit Insurance Nv, non costituiti in giudizio;

nei confronti

Studio Brescia s.r.l., Giuseppe Brescia, Cristiano Brescia, Pasquale Brescia e Filomena Crescenzo, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Terza) n. 1507/2019.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Consorzio ASI della Provincia di Caserta, del Ministero dello Sviluppo Economico, della Regione Campania e di Atradius Credito Y Caucion;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4 bis , c.p.a.;

Relatore il Cons. Laura Marzano;

Uditi, all'udienza straordinaria del giorno 7 febbraio 2024, in collegamento da remoto, i difensori come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Studio Albatros S.r.l. unipersonale in liquidazione (Albatros), società di diritto italiano costituita il 13 novembre 1998 ed avente come oggetto sociale la produzione, importazione, esportazione e commercializzazione all’ingrosso ed al dettaglio, di calzature, articoli di abbigliamento ed accessori, agisce per la riforma della sentenza del TAR per la Campania, sez. III, 19 marzo 2019, n. 1507 con cui è stato integralmente respinto il ricorso proposto per l’accertamento dell'inadempimento alle obbligazioni, agli impegni e agli obblighi gravanti nell'ambito del contratto di programma, stipulato il 20 dicembre 2001, per la realizzazione della “Filiera del sistema moda e servizi collegati” e la conseguente condanna degli enti ivi intimati al pagamento di somme di denaro a titolo risarcitorio, restitutorio e a titolo di manleva.

Si sono costituiti in difesa, nel presente grado di giudizio, il Ministero dello sviluppo economico (Mise), la Regione Campania (Regione), il Consorzio ASI Provincia di Caserta (Consorzio) e la Atradius credito y caucion NV (Atradius).

In vista della trattazione il Mise e la Regione hanno depositato memoria conclusiva.

L’appellante ha replicato con memoria del 16 gennaio 2024 e, con separato atto in pari data, ha chiesto la decisione della causa sugli scritti.

All’udienza straordinaria del 7 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Deve essere ricostruita la complessa e risalente vicenda che ha dato origine al presente contenzioso.

Con atto del 13 gennaio 1998 veniva costituito il Consorzio Impre.co (Impreco) al fine di promuovere, nelle aree ricomprese nella Provincia di Napoli e Caserta, la costituzione di un polo industriale del sistema moda;
Albatros aderiva al Consorzio.

Con delibera del CIPE in data 21 dicembre 2000 n. 151 veniva approvato il contratto di programma, ai sensi della legge n. 488/1992, per la realizzazione, nella Regione Campania, di investimenti industriali da compiersi negli anni 2001-2003 in conformità al Piano progettuale presentato da Impreco per un importo complessivo pari a lire 319.016,6 milioni (equivalente ad € 164,758 milioni) e lire 22.098,7 milioni (equivalente ad € 11,413 milioni) per le opere infrastrutturali (oggetto di specifica convenzione sottoscritta con il Consorzio ASI di Caserta).

In data 20 dicembre 2001 veniva stipulato tra il Ministero delle attività produttive, Impreco – dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Napoli Nord del 5 marzo 2020, n. 19 – e le sue consorziate, tra cui figurava anche Albatros, un contratto di programma avente ad oggetto un piano progettuale di investimenti industriali da realizzarsi nei territori dei Comuni di Carinaro e Gricignano d’Aversa, al fine di salvaguardare ed accrescere i livelli occupazionali territoriali.

A parziale copertura dei costi di investimento per ciascun intervento, tutti inerenti alla realizzazione di nuovi opifici industriali nel polo dell’abbigliamento ed attività connesse, erano state previste agevolazioni a carico della finanza pubblica, ciascuna in ragione del 50%, da erogarsi in via provvisoria da parte del Mise e della Regione, che aveva approvato il cofinanziamento del contratto di programma con delibera di Giunta regionale n. 4193 del 28 luglio 2000.

Nello specifico, per Albatros veniva concessa l’anticipazione di € 1.060.788,10.

Gli investimenti sarebbero dovuti iniziare, ai sensi del punto 2.2.2. del contratto di programma, il 1° gennaio 2002 e si sarebbero dovuti concludere entro il 31 dicembre 2003, secondo quanto previsto dal successivo punto 2.2.3, spettando ad una banca convenzionata il compito di procedere alle attività istruttorie e di verifica sull’andamento di ciascuna iniziativa al fine di procedere all’erogazione delle successive quote di finanziamento.

Ad Albatros veniva assegnato il lotto sito nel comune di Gricignano di Aversa individuato al catasto terreni della provincia di Caserta al foglio 2, particelle 97, 155, 156, 157, 158, 168 e 355;
successivamente, in adempimento ai propri obblighi, Albatros depositava i preventivi dei macchinari che avrebbe acquistato nonché la polizza fideiussoria emessa dapprima dalla Gerling ncm – Società Italiana Cauzioni (poi assorbita dalla Atradius), poi rinnovata con cadenza annuale.

Per quanto riguarda la disponibilità delle aree su cui realizzare gli interventi, la Regione, con decreto n. 212 del 13 marzo 2002, aveva autorizzato il Consorzio a procedere all’occupazione delle aree in via temporanea e di urgenza, determinando con decreto n. 534 del 5 ottobre 2006 l’indennità di espropriazione e, quindi, adottando i definiti decreti di esproprio nn. 89 e 90 del 12 marzo 2007.

Gli atti di acquisizione delle aree venivano interessati da un lungo contenzioso promosso dai proprietari innanzi al giudice amministrativo, che, all’esito del giudizio di primo grado, conclusosi nel 2002, procedeva al loro annullamento con sentenza la cui efficacia veniva tuttavia sospesa dal Consiglio di Stato. Quest’ultimo, nell’anno 2008, respingeva nel merito gli appelli proposti dall’amministrazione, a seguito della sentenza della Corte costituzionale del 10 luglio 2007 n. 318, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della normativa regionale della Campania recante la proroga del termine di efficacia dei piani ASI.

A seguito dell’introduzione nel 2011, con l’art. 42 bis , comma 1, del DPR 8 giugno 2001 n. 327, della possibilità di acquisire al patrimonio indisponibile di un’amministrazione, in regime di sanatoria non retroattiva, aree apprese in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo di pubblica utilità, la Regione, con l’art. 1, comma 85 della legge regionale 6 maggio 2013 n. 5, disponeva l’acquisizione delle aree interessate dal contratto di programma, procedendo all’adozione dei relativi decreti dirigenziali n. 53 del 20 giugno 2013 e n. 64 del 12 febbraio 2014.

Nelle more, con atto del 3 marzo 2003, il Mise, stante l’incertezza determinata dal contenzioso inerente alle aree, aveva sospeso il termine di conclusione degli investimenti per la durata massima di venti mesi.

Quindi il Ministero dava avvio al procedimento di revoca totale delle agevolazioni “per mancata ultimazione degli investimenti entro il termine previsto”, procedimento che si concludeva, quanto alla odierna appellante, con il decreto n. 59186 del 3 novembre 2014, di revoca totale delle agevolazioni: ivi si ribadiva la “mancata ultimazione degli investimenti entro il termine previsto” e si aggiungeva che, ai sensi dell’art. 29, quarto comma, del D.L. 22 giugno 2012 n. 83 “non è consentito alcun differimento del termine di ultimazione degli investimenti eventualmente prorogato, per effetto di variazioni di programma e dei soggetti proponenti”. Il decreto di revoca disponeva anche il recupero della somma erogata a titolo di anticipazione.

Tale decreto è stato impugnato dinanzi al Tar;
il giudizio si è concluso con sentenza di questo Consiglio, sez. VI, 27 luglio 2022, n. 6619 che ha accolto in parte, previa riunione, gli appelli proposti da tutte le società colpite dai decreti di revoca, compresa Albatros, stabilendo che il Mise dovesse rideterminarsi sulla revoca, verificando se ne ricorressero in effetti le condizioni e, in subordine, se la revoca potesse essere soltanto parziale.

A tale decisione faceva seguito la sentenza della sezione III del Tar Campania, 20 dicembre 2022, n. 7961, che annullava per illegittimità derivata la cartella di pagamento n. 02820150023851147, notificata da parte di Equitalia Sud ad Albatros, per il recupero delle somme oggetto del finanziamento di cui il Ministero, con il decreto di revoca, aveva richiesto la restituzione.

Nelle more di tali vicende Albatros ha impiegato totalmente l’importo di € 1.060.789,41, ricevuto dal Mise quale anticipazione provvisoria della prima rata annuale delle agevolazioni, ed ha assunto a suo carico l’ulteriore somma di e 363.445,87, per un esborso totale di € 1.424.235,28;
somme versate a titolo di acconto per acquisto suolo, per le opere murarie e quote consortili, per le opere di impianti generali di costruzione del capannone industriale, per i servizi e costi di professionisti e tecnici, per oneri, per premi assicurativi della polizza fideiussoria, per i corrisposti interessi passivi alla banca e per spese legali, il tutto analiticamente documentato nel ricorso di primo grado.

L’impossibilità di entrare in possesso, nei termini stabili dal contratto di programma, delle aree su cui sarebbe dovuto sorgere l’opificio di Albatros determinava, a parere di quest’ultima, il sostanziale fallimento dell’iniziativa, pertanto la stessa proponeva, dinanzi al Tribunale ordinario di Roma, contro la Impreco, il Mise, la Regione, il Consorzio e la Atradius, un giudizio per l’accertamento dell'inadempimento dei primi quattro convenuti alle obbligazioni, agli impegni ed agli obblighi sugli stessi gravanti nell'ambito e nell’esecuzione del contratto di programma in discorso e per la conseguente condanna dei convenuti al pagamento di somme di denaro a titolo risarcitorio e restitutorio e a titolo di manleva.

Con sentenza n. 12603 del 10 giugno 2015 il Tribunale di Roma dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice civile, sussistendo la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Il giudizio è stato quindi riassunto dinanzi al Tar Campania, ai fini dell’accoglimento delle relative domande, essenzialmente fondate sull’assunto che una serie di omissioni e ritardi nella attuazione del contratto di programma da parte della Impreco, del Consorzio e della Regione avrebbe determinato l’impossibilità per la Studio Albatros s.r.l. di utilizzare le aree assegnate, stante il sopravvenuto annullamento, ad opera del giudice amministrativo, dei provvedimenti con cui si era dato corso alla loro occupazione d’urgenza e, successivamente, al loro esproprio: annullamento intervenuto poiché la Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità delle norme regionali che avevano prorogato per un triennio i piani regolatori dei nuclei e delle aree di sviluppo industriale già scaduti.

Albatros, dunque, ha agito per ottenere la condanna al risarcimento del danno delle quattro parti convenute, fatta eccezione per Atradius, in quanto ritenute a vario titolo responsabili dei danni dalla stessa patiti a seguito del mancato esproprio e, conseguentemente, dell’omesso trasferimento a proprio favore della proprietà del lotto sito nel Comune di Gricignano di Aversa, sul quale essa, usufruendo anche dei finanziamenti erogati dal Mise, avrebbe dovuto realizzare un opificio industriale.

L’odierna appellante sosteneva che la mancata ultimazione dei lavori sarebbe dipesa dal comportamento illecito delle parti appellate che, azionando una procedura espropriativa illegittima per carenza di una valida ed efficace dichiarazione di pubblica utilità delle opere realizzande e di urgenza ed indifferibilità dei relativi lavori, le avrebbe, di fatto, impedito di acquisire le aree su cui avrebbe dovuto realizzare l’opificio.

In particolare il Consorzio, a fronte di un piano scaduto fin dal 1980, avrebbe dato avvio all’occupazione d’urgenza dei suoli senza preoccuparsi di accertare se la procedura di esproprio fosse stata avviata in modo legittimo, facendo sì che la ricorrente (al pari degli altri operatori), confidando nel buon esito della procedura espropriativa e quindi nel trasferimento delle aree, provvedesse ad eseguire tutti gli investimenti necessari alla realizzazione dell’opificio, risultati poi assolutamente inutili atteso il mancato trasferimento di proprietà delle aree.

La Regione sarebbe, a sua volta, responsabile per non svolto alcun controllo sul territorio, quale Ente coofinanziatore, e per la mancata conclusione delle procedure di esproprio dei terreni sui quali sarebbe dovuto sorgere l’opificio industriale della ricorrente.

La responsabilità del Mise troverebbe fondamento nella colpevole mancanza di vigilanza sulle procedure di attuazione del programma, sia in relazione al procedimento di esproprio, sia sul progettato insediamento industriale e sulla realizzazione delle opere infrastrutturali, avendo omesso, in particolare, di vigilare sul corretto operato del Consorzio e della Impreco e non essendosi adoperato con tali enti affinché la procedura espropriativa si concludesse positivamente.

La Impreco, infine, dovrebbe rispondere in via risarcitoria per essere venuta meno agli impegni assunti nei confronti delle imprese consorziate, essendosi obbligata, in qualità di loro mandataria, a porsi quale tramite e soggetto attuatore dell'intero programma ed essendo statutariamente responsabile del processo di promozione e di attuazione del medesimo contratto.

3. Il Tar Campania, con sentenza n. 1507 del 19 marzo 2019, ha respinto il ricorso.

Segnatamente il primo giudice non ha condiviso l’assunto centrale della ricorrente secondo cui Albatros avrebbe sempre puntualmente adempiuto agli obblighi nascenti dal contratto di programma e che soltanto a causa degli inadempimenti dei resistenti essa non sarebbe stata posta in condizione di portare a termine il suo programma industriale.

Ha osservato il Tar che il contratto di programma imponeva ai beneficiari delle agevolazioni di ultimare i loro investimenti entro la data del 31 dicembre 2003 e, considerando la sospensione accordata dal Mise con nota prot. n. 1230773 del 3 marzo 2003, il termine sarebbe comunque definitivamente scaduto col mese di marzo del 2005.

Albatros non ha rispettato quel termine e, conseguentemente, con provvedimento prot. n. 59186 del 3 novembre 2014 il Mise ha disposto nei suoi confronti la revoca delle agevolazioni ed il recupero della somma di € 1.060.788,10 erogata a titolo di anticipazione.

Ricorda il Tar che Abatros ha impugnato il provvedimento, ma il suo ricorso è stato respinto con sentenza della stessa sezione n. 18 del 12 gennaio 2016 per cui il decreto di revoca dell’ammissione alle agevolazioni, all’epoca efficace, è stato ritenuto causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento (l’impossibilità di portare a termine il programma industriale), valendo ad escludere il rapporto di causalità con le dedotte inadempienze dei soggetti intimati, salvo l’esito del giudizio di appello.

Ha aggiunto il primo giudice che l’annullamento del decreto di occupazione di urgenza ad opera dello stesso Tar nell’agosto 2002 avrebbe dovuto suggerire cautela anche all’impresa ricorrente, che non può fondatamente sostenere, per addossare alla colpa unicamente dei resistenti la responsabilità dell’accaduto, di essere stata “indotta e costretta” a ricevere ed impiegare totalmente l’anticipazione provvisoria che le è stata invece erogata oltre un anno dopo.

Il decreto n. CP 001163 del 3 settembre 2003 del Mise con il quale è stata concessa alla Albatros, a titolo di anticipazione, la prima rata annuale delle agevolazioni relative all’anno 2002 richiama espressamente nel preambolo la circostanza dell’avvenuto accoglimento, con la citata sentenza del Tar n. 6882/2002, del ricorso proposto contro il piano esecutivo di espropriazione, sia pure riferendo della sospensione cautelare in appello della sentenza con ordinanza del Consiglio di Stato n. 424 del 4 febbraio 2003.

Pertanto, afferma la sentenza, almeno con riferimento ai suoi esborsi successivi, non potrebbe dirsi che Albatros non abbia coscientemente agito assumendosi il rischio di un diverso esito del contenzioso in atto.

In ogni caso il Tar ha ritenuto assorbente l’assenza del presupposto soggettivo dell’invocata responsabilità dei soggetti intimati.

Anche ammettendo l’esistenza di un nesso di causalità esclusivo tra le vicende relative al procedimento di esproprio delle aree ed il danno lamentato dalla ricorrente in relazione all’impossibilità di portare a termine il programma industriale, secondo il primo giudice non è ravvisabile in capo agli enti convenuti alcuna colpa per l’adozione di atti e provvedimenti che, pienamente legittimi al momento della loro adozione, sono stati successivamente giudicati illegittimi dal Consiglio di Stato solo a seguito della dichiarazione di incostituzionalità delle presupposte disposizioni di legge regionale, intervenuta soltanto nel 2007.

Lo stesso dicasi in relazione alla asserita responsabilità della Regione, in qualità di autorità amministrativa, per omessa vigilanza sul territorio e mancata conclusione delle procedure di esproprio.

Premesso che alla Regione è stato chiesto il risarcimento del danno anche “per aver illegittimamente e contra legem prorogato i piani ASI nel 1998 e nel 2001”, il Tar ha osservato che non è configurabile una responsabilità della Regione per i danni conseguenti all'adozione di norme successivamente dichiarate incostituzionali.

Il Tar ha respinto anche le domande di ripetizione di indebito oggettivo e, in subordine, di arricchimento ingiustificato proposte contro il Consorzio perché questo tratterrebbe indebitamente la somma di € 149.544,08 versata a titolo di acconti per acquisto del lotto 35 del suolo e, comunque, si sarebbe arricchito di tale cifra a danno della ricorrente, sia quelle analoghe proposte contro la Impreco in relazione alla somma ad essa versata, indicata in € 324.469,30, a titolo di acconti per l’acquisto del suolo in questione, non avendo ritenuto dimostrate le condizioni.

Posto che la Regione ha prodotto in giudizio i decreti di acquisizione sanante (D.D. n. 53 del 20 giugno 2013 e 64 del 12 febbraio 2014) dei terreni su cui sarebbe dovuto sorgere il complesso industriale oggetto del contratto di programma, dimostrando di aver comunque acquisito la disponibilità delle aree, il Tar ha evidenziato come non fosse definitivamente preclusa la possibilità di un’offerta o di una proposta di trasferimento dell’area in favore della Albatros aggiungendo che, se è vero che questa è stata destinataria di un provvedimento di revoca delle agevolazioni, tuttavia esso è tuttora sub iudice.

La sentenza ha ritenuto infondata anche la domanda di Albatros di ripetizione di indebito oggettivo e, in subordine, di arricchimento ingiustificato anche per gli importi (€ 20.718,26) versati per oneri condominiali. Ciò in quanto la società ha avuto la pluriennale disponibilità delle aree, in cui ha realizzato le opere.

Infine il Tar ha dichiarato inammissibili, per carenza di attualità dell’interesse ad agire, le domande di manleva e garanzia proposte nella mera prospettiva di un’eventuale azione giudiziaria da parte del Mise per la restituzione delle somme erogate o da parte dell’istituto assicuratore per il caso di escussione della polizza fideiussoria, al pari delle richieste formulate nei confronti dello stesso Ministero in caso di una eventuale domanda giudiziaria tendente alla restituzione di quanto percepito.

4. Avverso tale sentenza è insorta Albatros formulando i seguenti motivi.

1) Violazione e falsa applicazione dell’atto di convenzione per l’assegnazione delle aree e del contratto di programma;
eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti di fatto;
erroneità della motivazione.

L’appellante chiede la riforma della pronuncia nella parte in cui il Tar ha ritenuto che l’adozione del decreto di revoca del contributo determinerebbe l’esclusione di qualsivoglia responsabilità in capo agli odierni appellati.

Per l’appellante tale conclusione non terrebbe conto del fatto che l’impossibilità di realizzare l’iniziativa imprenditoriale nei termini stabiliti dal contratto di programma (da cui poi è scaturita la revoca del contributo) è dipesa da circostanze assolutamente estranee alla volontà di Albatros che, di contro, ha adempiuto agli obblighi a proprio carico impiegando tanto le somme ricevute a titolo di contributo (€ 1.060.789,41) quanto risorse proprie (€ 363.455,87) per un totale di € 1.424.235,28.

L’impossibilità di realizzare l’opificio nei termini del contratto di programma sarebbe dipesa in via esclusiva dall’impossibilità di acquisire la proprietà delle aree su cui realizzare l’opificio, la cui responsabilità ricadrebbe sulle parti appellate.

L’appellante contesta la tesi del Tar secondo cui deve escludersi la colpa di tali enti “ per l’adozione di atti e provvedimenti che, pienamente legittimi al momento della loro adozione, sono stati successivamente giudicati illegittimi dal Consiglio di Stato ….”, in quanto, sostiene, sarebbe maturato un legittimo affidamento circa l’effettiva realizzazione degli interventi oggetto del contratto di programma e proprio in forza di tale affidamento essa avrebbe impegnato interamente i fondi ricevuti dal Ministero nonché l’ulteriore somma pari ad euro 363.455,87.

Quindi conclude il motivo insistendo per la pronuncia delle seguenti condanne, così come richiesto nel giudizio di primo grado: a. il Consorzio, Impreco e la Regione, in solido fra loro, a tenere manlevata Albatros dalla richiesta di restituzione, da parte del Mise, della somma di € 1.656.467,94, equivalente alla quota di finanziamento ricevuto (€ 1.060.789,41=) oltre interessi;
b. il Consorzio, Impreco, la Regione e il Mise, in solido tra loro, al pagamento in favore di Albatros della somma di € 2.000.000,00 a titolo di risarcimento danni per la mancata acquisizione in proprietà del terreno da espropriarsi e del capannone sullo stesso da costruirsi, nonché della somma di € 2.110.633,33 a titolo di risarcimento, sia per danno emergente, - costituito da tutti gli esborsi dallo stesso effettuati per la realizzazione dell’iniziativa – sia per danni da perdita di chance e di lucro cessante, in tal misura richiesto in considerazione di una percentuale media di guadagno, al netto di imposte, spese di gestione, forza lavoro, merce e quanto necessario, secondo una progressione di percentuale sul totale di investimento di € 3.460.054,64, dal minimo del 10% relativo al primo anno e inizio dell’attività industriale, poi incrementato all’11%, al 12% ed al 13% per il secondo, terzo e quarto anno e, infine, al 15% del quinto anno di presumibile produzione a pieno regime;
così per un totale di € 4.110.633,33, ovvero nella minore o maggiore somma da determinarsi anche in via equitativa.

2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 2033 e 2041 c.c.;
nonché degli artt. 88 c.p.a., 118 comma 3 disp. att. c.p.c. e 132 c.p.c.;
eccesso di potere per travisamento dei fatti;
omessa e/o insufficiente motivazione.

Tale motivo censura il capo della sentenza che ha respinto le domande restitutorie formulate a vario titolo.

Ritiene l’appellante che la motivazione del Tar sul punto sarebbe solo apparente.

In ogni caso afferma di aver dimostrato la sussistenza di tutte le condizioni che avrebbero giustificato l’accoglimento della domanda.

L’impossibilità di entrare in possesso dell’area, per cui sono state versate delle somme ad entrambi i consorzi, avrebbe reso tali pagamenti privi di causa.

Infine sarebbero irrilevanti le considerazioni del Tar laddove, per respingere la domanda di restituzione delle somme versate a titolo di oneri condominiali, ha affermato che il pagamento sarebbe giustificato per avere Albatros comunque disposto di tali beni.

5. Le parti appellate si difendono come segue.

5.1. Il Consorzio ASI si difende essenzialmente ripetendo le argomentazioni della sentenza impugnata.

Rinvia alla pronuncia n. 18/2016 del Tar Campania (sentenza appellata e definita dalla sentenza del Consiglio di Stato sez. VI, 27 luglio 2022, n. 6619) che aveva individuato la Regione quale soggetto responsabile.

5.2. La Atradius Crédito y Caución S.A. De Seguros y Reaseguros, Rappresentanza generale per l’Italia, si è costituita al solo fine di precisare che la copertura è venuta a cessare definitivamente in data 21 ottobre 2011 (appendice di polizza n. 12).

Dunque la richiesta di escussione della garanzia da parte del beneficiario sarebbe in ogni caso del tutto illegittima ed intempestiva, perché formulata ben oltre il periodo di efficacia della fideiussione.

Ha chiesto, pertanto, di accertare e dichiarare cessata l’operatività della copertura e la conseguente estraneità di Atradius rispetto alla materia del contendere, per carenza di legittimazione passiva.

F quanto innanzi evidenzia che tutte le domande ed eccezioni di parte non sarebbero comunque opponibili all’esponente, perché la dichiarazione di fideiussione è stata assunta dal contraente Studio Albatros e dai coobbligati di polizza Studio Brescia S.r.l., C F, B C, B P, B G a prima richiesta, in maniera automatica ed incondizionata.

Atradius aggiunge che, nel caso in cui si dovesse accertare l’impossibilità oggettiva di Albatros di realizzare le attività previste nel contratto di programma ex art. 1256 c.c., considerandola, dunque, liberata dall’obbligo di restituire l’anticipazione a suo tempo percepita, ad alcun titolo la polizza potrebbe essere validamente escussa dal beneficiario. Infatti in un simile contesto, verrebbe meno l’interesse stesso alla stipulazione della copertura assicurativa.

5.3. Il Ministero dello sviluppo economico, con memoria depositata il 5 gennaio 2024, sostiene che la sentenza del Consiglio di Stato depositata in giudizio la n. 6619 del 2022 con la quale, in accoglimento dell’appello proposto anche dall’attuale appellante, è stato annullato il provvedimento di revoca della concessione provvisoria del finanziamento in favore della società appellante, comporta che il Ministero si debba rideterminare sulla sussistenza dei requisiti della revoca e, in ipotesi, sulla sua portata (se totale o parziale).

Pertanto, nelle more di tale rideterminazione, la società appellante non è tenuta a restituire la somma oggetto del finanziamento e quindi non potrebbe lamentare alcun pregiudizio nei suoi confronti, salva l’eventuale azione di risarcimento che dovesse essere proposta nuovamente all’esito della riedizione del potere da parte del Ministero.

Il Ministero evidenzia che Albatros non ha impugnato il capo della sentenza che ha affermato il suo concorso di responsabilità ex art. 1227 c.c. sicchè, per la parte di investimento a carico della stessa società, non potrebbe non considerarsi il concorso di colpa nella causazione del danno.

Avendo deliberatamente investito denaro proprio in un’iniziativa imprenditoriale che, già al momento della concessione provvisoria del finanziamento, presentava delle criticità dovute alla pendenza di giudizi davanti alla giustizia amministrativa, la società appellante avrebbe accettato il rischio che quell’iniziativa imprenditoriale, come poi si è verificato, non si realizzasse per effetto di tali criticità.

5.4. La Regione Campania con memoria depositata il 5 gennaio richiama il passaggio della sentenza impugnata che ha ritenuto infondata la richiesta di risarcimento avanzata nei suoi confronti.

Sempre in tema di presunta responsabilità aquiliana della Regione, la difesa cita un passaggio della sentenza n. 178/2023 della Corte d’appello di Roma, pronunciata sul ricorso proposto dalla società Erremoda S.r.l., anch’essa appartenente all’ex consorzio Impreco, che ripropone l’argomentazione del Tar Campania secondo cui la circostanza per cui l'illegittimità della procedura espropriativa è stata affermata solo sulla base della sentenza della Corte costituzionale n. 313 del 2007, che ha dichiarato incostituzionale la legge regionale con cui era stata prorogata l'efficacia del piano regolatore dell'area di sviluppo industriale, assunto quale dichiarazione di pubblica utilità del decreto di occupazione delle aree, depone in senso contrario alla sussistenza del necessario requisito psicologico, venendo in rilievo l'adozione di atti coerenti con la normativa vigente, caducata solo successivamente per effetto della menzionata sentenza della Corte costituzionale.

La Regione ribadisce di aver posto in essere i rispettivi atti e comportamenti confidando legittimamente sulla permanenza della dichiarazione di pubblica utilità, presupposto delle procedure espropriative e di occupazione delle aree del distretto produttivo, in ragione della legge regionale n.16/1998 (art. 10, comma 9) con la quale era stata prorogata l'efficacia del piano regolatore dell'area di sviluppo industriale, legge poi dichiarata costituzionalmente illegittima.

6. Rileva il Collegio che l’intera decisione del Tar muove da un presupposto che, nelle more, è venuto meno.

Afferma infatti il primo giudice che il decreto di revoca dell’ammissione alle agevolazioni è causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento (l’impossibilità di portare a termine il programma industriale), valendo ad escludere il rapporto di causalità con le dedotte inadempienze dei soggetti intimati.

Il Tar ha fatto salvo comunque l’esito del giudizio di appello e, infatti, è proprio tale giudizio che ha fatto venir meno il presupposto fondante della decisione di primo grado.

Con la sentenza 27 luglio 2022, n. 6619, la sez. VI di questo Consiglio di Stato, come riferito in narrativa, ha infatti annullato i decreti del Mise di revoca delle agevolazioni concesse, ivi compreso quello riguardante Albatros,  affermando che gli stessi non danno in alcun modo rilievo e non spiegano le ragioni per cui hanno disatteso le osservazioni formulate al riguardo dalle società, che avevano spiegato le ragioni del ritardo, dovute all’annullamento dei decreti di esproprio, con conseguente perdita della disponibilità delle aree sulle quali realizzare l’investimento (nonostante la parziale realizzazione di un fabbricato sulle stesse) ed aveva altresì precisato che il programma era stato comunque completato mediante l’ubicazione in un’area limitrofa dell’intervento.

In particolare, ha osservato la sentenza in rassegna, « i decreti non considerano adeguatamente i seguenti aspetti, suscettibili di incidere sull’effettiva integrazione delle cause di revoca, o di integrare un’ipotesi di revoca solo parziale:

- per quanto dichiarato dalle appellanti, l’iniziativa imprenditoriale a cui era finalizzato il programma ha avuto avvio, seppure su un sito differente da quello previsto, tale spostamento è stato determinato da cause non imputabili alle società, bensì alle vicende che interessato le aree oggetto di esproprio da parte della Regione;

- per quel che consta, e salva ogni verifica del caso, le società hanno altresì raggiunto i prescritti obiettivi occupazionali perseguiti con il contratto di programma.

Alla luce di tali circostanze - dovendosi privilegiare un’applicazione sostanzialista del programma, che tenga in primaria considerazione l’effettivo raggiungimento degli obbiettivi occupazionali previsti - non appare immediatamente integrato il caso di cui al punto 9.1.1. del contratto di programma, che prevede ai punti m) e p) la revoca totale delle agevolazioni, ove “gli investimenti non vengano ultimati entro il termine previsto dal punto 2.2.3. del precedente articolo 2, come eventualmente prorogato ai sensi del punto 7.4.del precedente articolo 7” ».

Viste le riferite circostanze dedotte dalle parti, e in assenza di una puntuale replica da parte del Ministero, la sez. VI ha ritenuto di non poter confermare quanto argomentato dal Tar, secondo cui “ nel caso di specie non vi è dubbio che l’ipotesi ritenuta sussistente dall’amministrazione statale fosse quella di revoca totale, dal momento che lo stato dell’investimento era tale da non consentire affatto di realizzare l’iniziativa e di raggiungere alcuno degli obiettivi prefissati in termini di tutela e promozione dei livelli occupazionali”.

Evidenzia la sez. VI « come non appaia immediatamente sostenibile che l’avvio dell’iniziativa imprenditoriale in una diversa collocazione spaziale, rispetto a quella originariamente prevista, si risolva nella mancata realizzazione dell’iniziativa, legittimando la revoca.

È invece necessario che il Ministero spieghi in che termini la diversa collocazione spaziale abbia inciso sugli obbiettivi a cui tendeva il programma, o in che modo ne costituisca una variazione suscettibile di giustificare la revoca ».

La sentenza di questo Consiglio i cui passaggi sono stati riportati ha, dunque, fatto venir meno il presupposto, che il Tar ha ritenuto dirimente per escludere il nesso di causalità, ossia che il decreto di revoca dell’ammissione alle agevolazioni è causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’impossibilità di portare a termine il programma industriale, valendo ad escludere il rapporto di causalità con le dedotte inadempienze dei soggetti intimati.

A ciò deve aggiungersi che la richiamata sentenza della sez. VI ha sconfessato, quantunque facendo salvi gli ulteriori approfondimenti, anche l’assunto che le parti resistenti non abbiano alcuna responsabilità nella complessa vicenda per cui è causa.

La sentenza prosegue infatti affermando che « Da un altro punto di vista, salvo ogni più opportuno approfondimento, deve evidenziarsi come il ritardo e la diversa collocazione spaziale non appaiano in alcun modo imputabili alle società beneficiarie del finanziamento, essendo invece riconducibili alle vicende che hanno caratterizzato il procedimento di esproprio condotto dalla Regione, così come sommariamente descritto nella precedente parte in fatto. L’ostacolo venutosi a creare a causa dei contenziosi relativi alla procedura di esproprio delle aree, che hanno evidentemente inciso sulla tempistica di realizzazione dell’iniziativa, doveva essere adeguatamente considerato dall’amministrazione, non essendo possibile limitarsi ad affermare che “non era consentito alcun differimento del termine di ultimazione degli investimenti eventualmente prorogato, per effetto di variazioni di programma e dei soggetti proponenti”.

Per altro verso, la peculiarità della vicenda e, per quel che consta, l’assenza di ogni responsabilità da parte delle società appellanti, implicava necessariamente l’esternazione delle ragioni per cui, in ipotesi, non era perseguibile una revoca solo parziale, che si configura quando sia scomponibile il risultato raggiunto in termini di obiettivi».

E ancora: «La già descritta peculiarità del caso, e le ragioni che hanno determinato il ritardo, di cui l’amministrazione doveva ritenersi a conoscenza – i termini di realizzazione dell’investimento, stante l’indisponibilità delle aree, sono stati sospesi una prima volta dallo stesso Ministero, a cui sono seguite proroghe legali dal 2003 al 2011 - esigono un sforzo motivazionale ulteriore al fine di escludere la possibilità di una revoca parziale, non essendo sufficiente richiamare il mancato rispetto formale del procedimento di proroga, che richiedeva il coinvolgimento della banca concessionaria».

Prosegue la sentenza osservando che « il Ministero era ben consapevole della situazione venutasi a creare, tanto è vero che erano già intervenute proroghe sia in via amministrativa che legislativa;
inoltre, come anticipato, in sede procedimentale le società avevano svolto specifiche osservazioni a questo proposito, riguardanti il ritardo e le sue ragioni, nonché la sopravvenuta disponibilità delle aree su cui realizzare l’intervento
».

Dunque, nel disporre l’annullamento dei decreti di revoca, la sezione VI ha disposto che « in sede di riedizione del potere, acquisendo i necessari pareri e svolgendo tutti gli accertamento del caso, il Ministero dovrà esplicitare le ragioni per cui, laddove si sia effettivamente al cospetto solo di una diversa collocazione spaziale, a prescindere dagli aspetti procedurali necessari per una variazione del programma, ciò dovrebbe integrare una modifica dell’investimento suscettibile di giustificare la revoca, tanto più che, sempre per quanto dichiarato dalle parti, gli obiettivi occupazionali sarebbero stati comunque raggiunti;
in subordine, è doveroso che il Ministero valuti l’eventualità di una revoca solo parziale, se del caso motivando adeguatamente l’impossibilità di tale esito
».

Conclude la sentenza osservando che « Fermi i principi per cui: - il controllo sull’utilizzazione dei fondi pubblici e il diritto di disporre la revoca dei finanziamenti che non vengano impiegati per lo scopo per il quale sono stati concessi, oppure vengono (indebitamente) ottenuti in modo scorretto, risponde ad elementari criteri di corretta, onesta ed efficiente amministrazione;
principi a cui la P.A. può e deve uniformarsi (cfr. Cass. civile, sez. III, 4 maggio 2009, n. 10205);
- il recupero di somme indebitamente corrisposte costituisce “atto dovuto per l'Amministrazione concedente, la quale è tenuta a porre rimedio alle conseguenze sfavorevoli derivanti all'Erario per effetto di un'indebita erogazione di contributi pubblici, in linea con il canone costituzionale di buon andamento” (Cons. St., 3 dicembre 2015, n. 5486;
Cons. Stato Sez. III, 13-05-2015, n. 2380);
la soluzione che precede appare la più aderente al principio di correttezza e buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost., tenuto conto della peculiare situazione venutasi a creare;
situazione che, come detto, necessitava di un maggior approfondimento da parte del Ministero prima di intervenire con un provvedimento di revoca totale, avente degli effetti potenzialmente fatali per le società che hanno già effettuato gli investimenti ed alle quali, salvi i necessari accertamenti, non pare possibile muovere alcun rimprovero.

Del resto, a conferma della singolarità del caso, deve osservarsi che in precedenti analoghi la ricomposizione della situazione è avvenuta attraverso una transazione tra le parti (cfr. sentenza della Sezione n. 5011/2020) ».

Osserva il Collegio che le condivisibili argomentazioni spese nella sentenza in rassegna sconfessano la sentenza impugnata, nella parte in cui ha escluso tout court qualsivoglia responsabilità delle parti resistenti nella vicenda per cui è causa.

Ciò posto, allo stato, non può darsi ingresso alle domande risarcitorie formulate da Albatros in primo grado e riproposte in appello.

Soccorre sul punto, ancora una volta, la sentenza n. 6619/2022 di questo Consiglio, la quale precisa: « L’accoglimento dell’appello nei termini innanzi precisati, implicando che il Ministero si ridetermini sulla sussistenza dei requisiti della revoca ed in ipotesi sulla sua portata (se totale o parziale), comporta l’assorbimento di tutte le ulteriori censure – sia delle società che della Regione - aventi ad oggetto il diritto al risarcimento del danno, la cui spettanza resta impregiudicata, così come la relativa eccezione di carenza di giurisdizione sollevata dalla Regione, non potendosi esaminare in questa sede la sussistenza dei relativi presupposti, dal momento che è ancora incerto l’esito del procedimento di revoca ed i conseguenti effetti restitutori.

Al riguardo, la Sezione (cfr. ordinanza n. 6691/2020) aveva già evidenziato “la connessione logica fra tutte le questioni poste dalle società appellanti: annullamento della revoca dei finanziamenti ed azione di adempimento del contratto di programma e, residualmente, risarcimento per equivalente”.

Sul punto, giova richiamare la giurisprudenza secondo cui solo se dall’illegittimo esercizio della funzione pubblica sia derivata per il privato una lesione della sua sfera giuridica quest’ultimo può ottenere il risarcimento per equivalente monetario;
tutela che, invece, deve essere esclusa quando l’interesse legittimo riceva tutela idonea con l’accoglimento dell’azione di annullamento, ossia nel caso in cui il danno sia stato determinato da una illegittimità, solitamente di carattere formale, da cui non derivi un accertamento di fondatezza della pretesa del privato ma un vincolo per l’amministrazione a rideterminarsi, senza esaurimento della discrezionalità ad esse spettante (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 23 aprile 2021, n. 7).

Per altro verso, anche ponendosi nella prospettiva di un danno avente origine in un comportamento illecito, deve rilevarsi che la sorte del procedimento di revoca del finanziamento, anche se quest’ultima non costituisce l’unico antecedente causale del pregiudizio lamentato dalle società ricorrenti, è comunque un aspetto ampiamente incedente sul quantum del risarcimento, suscettibile di esaurire (o aggravare) il pregiudizio concretamente lamentato dalle appellanti ».

Osserva il Collegio che le suddette argomentazioni possono essere esportate anche al presente giudizio.

Infatti vanno considerati i seguenti fattori:

- che è sopravvenuta la disponibilità delle aree su cui realizzare l’intervento, il quale è stato comunque completato mediante l’ubicazione in un’area limitrofa;

- che, in esecuzione della sentenza n. 6619/2022, il Ministero dovrà valutare se, laddove si sia effettivamente al cospetto solo di una diversa collocazione spaziale, ciò possa integrare una modifica dell’investimento suscettibile di giustificare la revoca, tanto più che gli obiettivi occupazionali sarebbero stati comunque raggiunti, in subordine considerando l’eventualità di una revoca solo parziale;

- che risultano acquisiti agli atti del giudizio i decreti di acquisizione sanante (D.D. n. 53 del 20 giugno 2013 e n. 64 del 12 febbraio 2014) dei terreni su cui sarebbe dovuto sorgere il complesso industriale oggetto del contratto di programma;

- che, con ordinanza n. 6966 del 14 ottobre 2019, resa in un altro giudizio avente ad oggetto la medesima vicenda, la sez. VI - premesso che la difesa della Regione Campania aveva chiesto un rinvio delle cause in esame in quanto si stavano completando le procedure espropriative per l’individuazione di aree alternative e che la difesa della parte si era opposta al rinvio, rilevando come la questione del rapporto con l’amministrazione statale è stato definito con cessazione della materia del contendere mentre rimarrebbe da decidere soltanto la questione risarcitoria con l’amministrazione regionale - ha ritenuto di disporre comunque il rinvio delle due cause ivi riunite « al fine di consentire il completamento della procedura espropriativa e definire la causa all’esito di essa ».

Da quanto precede emerge con chiarezza che, allo stato, il danno paventato dalla parte appellante non si è ancora prodotto, dal momento che, da una parte, l’intervento è stato realizzato, sebbene su un’area diversa e, dall’altra, che sono ancora da definire parte delle questioni suscettibili di determinare l’impossibilità di portare a termine l’originario progetto, fra cui avrebbe un effetto preponderante la revoca delle agevolazioni statali.

Per ragioni del tutto sovrapponibili non sono accoglibili le istanze restitutorie riproposte in appello.

Ciò non soltanto per le ragioni evidenziate dal Tar ma viepiù perché, lo si ripete, allo stato l’intera vicenda non può dirsi definita, sicché i pagamenti effettuati al Consorzio e alla Impreco a titolo di acconto per l’acquisto delle aree, non possono ancora essere considerati privi di causa e, di conseguenza, non rappresentano un indebito né integrano il presupposto dell’arricchimento senza causa in capo ai percettori.

La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che « l'indebito oggettivo si verifica o perché manca la causa originaria giustificativa del pagamento ("conditio indebiti sine causa") o perché la causa del rapporto originariamente esistente è poi venuta meno in virtù di eventi successivi che hanno messo nel nulla o reso inefficace il rapporto medesimo ("conditio ob causam finitam") », ciò secondo una distinzione che risale al diritto romano « ripresa dalla dottrina italiana, sulla base del nuovo testo dell'art. 2033 c.c. nel quale è stato trasfuso l'art. 1327 codice abrogato (1865) che stabiliva il principio della inefficacia degli atti privi di una "causa solvendi" » (cfr., Cass. civ, sez. III, 1 luglio 2005, n. 14084;
in senso analogo già Cass. civ., sez. III, 20 dicembre 1974, n. 4378Cass. civ., sez. III, 22 settembre 1979, n. 4889).

Il fondamento della ripetizione dell'indebito consiste, infatti, nell'assenza di un rapporto giuridico tra le parti, trovando il diritto di ripetere la prestazione, ex art. 2033 c.c., la sua giustificazione nell'inesistenza della ragion d'essere del dovere della prestazione, nel difetto, cioè della causa dell'obbligazione di pagare (cfr. Cass. civ., sez. III, 28 maggio 2013, n. 13207).

Nel caso di specie, per quanto detto, non è ravvisabile l’assenza di causa nei pagamenti dei quali si chiede la restituzione.

Del pari non ricorrono le condizioni dell’indebito oggettivo per i versamenti effettuati alla Impreco per oneri condominiali tenuto conto che, come correttamente rilevato dal Tar, Albatros ha avuto pluriennale disponibilità delle aree, in cui ha realizzato opere.

Infine manca di attualità l’interesse alla domanda di manleva azionata nel presente giudizio, dovendo la stessa essere riproposta nell’eventualità di una (nuova) azione giudiziaria da parte del Ministero per la restituzione delle somme erogate, mentre non è più paventabile una azione da parte dell’istituto assicuratore per l’escussione della polizza fideiussoria, avendo Atradius precisato che la copertura è cessata definitivamente in data 21 ottobre 2011, sicchè una richiesta di escussione della garanzia da parte del beneficiario sarebbe illegittima e intempestiva, perché formulata oltre il periodo di efficacia della fideiussione.

Conclusivamente, per quanto precede, l’appello deve essere respinto e la sentenza impugnata deve essere confermata con diversa motivazione, impregiudicata restando la riproposizione delle domande risarcitorie in caso di effettiva e definitiva impossibilità di portare a termine il progetto previsto dal contratto di programma, pur con le variazione nelle more resesi necessarie.

7. Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate fra tutte le parti tenuto conto della complessità della vicenda e delle pronunce di segno contrario che si sono registrate sulla stessa.

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