Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-05-31, n. 201903646
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Pubblicato il 31/05/2019
N. 03646/2019REG.PROV.COLL.
N. 02063/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2063 del 2008, proposto dal signor M M, rappresentato e difeso dagli avvocati L V e G F, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla via Flaminia n. 109,
contro
il Comune di Gragnano, in persona del Sindaco
pro tempore
, non costituito in giudizio,
per la riforma
della sentenza in forma semplificata del T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, Sezione II, n. 10763 del 28 dicembre 2006, resa inter partes , concernente l’ordinanza di demolizione di opere abusive n. 91 del 30 giugno 2006.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 maggio 2019 il consigliere G S;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso n. 6737/2006 proposto innanzi al T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, il signor M M aveva chiesto l’annullamento dell’ordinanza n. 91 prot. 13786 del 30 giugno 2006, con la quale il Comune di Gragnano disponeva la demolizione di opere edilizie abusive, consistenti in un manufatto di circa 70 mq.
2. A sostegno della proposta impugnativa aveva dedotto quanto segue:
i) la violazione dell’art. 7, per omesso avviso di avvio del procedimento sanzionatorio, e dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, per mancata comunicazione del preavviso di diniego dell’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica avanzata, in data 31 gennaio 2005, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 308 del 2004;
ii) la mancata previa determinazione sulla domanda di compatibilità paesaggistica anzidetta.
3. Costituitasi l’Amministrazione comunale resistendo, il Tribunale adìto, Sezione II, ha così deciso il gravame al suo esame:
- ha respinto il ricorso reputando infondate tutte le censure articolate;
- ha condannato il ricorrente al rimborso delle spese di lite (€ 1.000,00).
4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:
- l’impugnata ordinanza è conseguita a diniego di domanda di condono (notificato in data 5 aprile 2006) non impugnato tempestivamente e pertanto, la partecipazione dell’interessato è stata assicurata nell’ambito del procedimento di sanatoria;
- nemmeno sussiste la violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, stante il carattere doveroso della misura sanzionatoria e comunque visto quanto dimostrato dall’Amministrazione, ai sensi dell’art. 21 octies , circa l’impossibilità di assumere una determinazione di segno diverso;
- la mancata impugnativa del diniego di condono non consente di rimettere in discussione il presupposto dell’abusività delle opere.
5. Avverso tale pronuncia il signor M ha interposto appello, notificato il 12 febbraio 2008 e depositato il 13 marzo 2008, lamentando, attraverso un unico complesso motivo di gravame, quanto di seguito sintetizzato:
- il Tribunale avrebbe omesso di pronunciarsi sul secondo motivo di ricorso, col quale si era lamentata la violazione degli artt. 3, 10, 31 e 33 del d.P.R. n. 380 del 2001, ritenendosi che l’intervento, consistito nella trasformazione di un pergolato in un manufatto avente rilevanza plano-volumetrica, andava sanzionato ai sensi dell’art. 33 del d.p.r. n. 380 del 2001, valevole per gli interventi di ristrutturazione edilizia;
- così pure sarebbe stata obliterata la disamina della censura con la quale si era evidenziato che l’ordinanza era stata emessa prima della definizione dell’istanza di sanatoria paesaggistica inoltrata ai sensi della legge n. 308 del 2004;
- ne consegue che alcun rilievo, contrariamente a quanto opinato dal Tribunale, può attribuirsi alla mancata impugnativa del diniego di condono edilizio avendo previsto la succitata legge 308 del 2004 una distinta ipotesi di sanatoria per le opere ultimate, come quella dell’appellante, entro il 30 settembre 2004.
6. Il Comune appellato ancorché ritualmente evocato in giudizio, non si è costituito.
7. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti non hanno svolto difese scritte.
8. Il ricorso, discusso alla pubblica udienza del 21 maggio 2019, non merita accoglimento.
8.1. Va premesso che l’omessa pronuncia su una o più censure sollevate in prime cure non costituisce motivo per la rimessione della causa al prime giudice.
Il Collegio osserva che tale eventuale difetto, così come rappresentato in ricorso, non può precludere la disamina del merito del gravame, non integrando un’ipotesi di rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a.., che così recita: “ Il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado soltanto se è mancato il contraddittorio, oppure è stato leso il diritto di difesa di una delle parti, ovvero dichiara la nullità della sentenza, o riforma la sentenza o l'ordinanza che ha declinato la giurisdizione o ha pronunciato sulla competenza o ha dichiarato l'estinzione o la perenzione del giudizio ”. Sul punto è sufficiente rinviare ai consolidati principi elaborati dalla recente giurisprudenza dell’Adunanza plenaria che, come è noto, si è pronunciata ben quattro volte, nell’arco del 2018, sui limiti applicativi dell’art. 105 c.p.a. (cfr. sentenza 30 luglio 2018, n. 10;sentenza 30 luglio 2018, n. 11;sentenza 5 settembre 2018, n. 14;sentenza 28 settembre 2018, n. 15). L’autorevole Collegio, in tali occasioni, ha osservato in primo luogo che le ipotesi di annullamento con rinvio al giudice di primo grado previste dall’art. 105 Cod. proc. amm. hanno carattere eccezionale e tassativo e non sono, pertanto, suscettibili di interpretazioni analogiche o estensive. In particolare, non può rientrarvi “ la mancanza totale di pronuncia da parte del primo giudice su una delle domande del ricorrente, rientrandovi invece il difetto assoluto di motivazione della sentenza di primo grado ” (cfr. Ad.plen. n. 10 e 11 del 2018). Costituisce invero giurisprudenza consolidata del giudice di appello (Cons. Stato, sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5711; id . 17 ottobre 2017, n. 4796) – che la Sezione condivide e fa propria – quella secondo cui l’omessa pronuncia, da parte del giudice di primo grado, su censure e motivi di impugnazione costituisce tipico errore di diritto per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, deducibile in sede di appello sotto il profilo della violazione del disposto di cui all’art. 112 c.p.c., che è applicabile al processo amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 16 gennaio 2006, n. 98) con il correttivo a più riprese affermato, secondo il quale l’omessa pronuncia su un vizio del provvedimento impugnato deve essere accertata con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché essa può ritenersi sussistente soltanto nell'ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non quando, al contrario, la decisione sul motivo d’impugnazione risulti implicitamente da un'affermazione decisoria di segno contrario ed incompatibile (Cons. Stato, sez. VI, 6 maggio 2008, n. 2009). Peraltro, l’omessa pronuncia su una o più censure proposte con il ricorso giurisdizionale non configura un error in procedendo , tale da comportare l’annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, c.p.a., ma solo un vizio dell’impugnata sentenza che il giudice di appello è legittimato ad eliminare, integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo sul merito della causa (Cons. Stato, A.p., 30 luglio 2018, nn. 10 e 11; id . 5 settembre 2018, n. 14; id . 28 settembre 2018, n. 15). Fa eccezione a questa ipotesi il caso in cui manchi del tutto la pronuncia sulla domanda o il giudice decida su diversa domanda, ovvero sulla domanda fatta valere in giudizio il giudice di primo grado abbia pronunciato con motivazione inesistente o apparente. In questi casi la rimessione al primo giudice si riscontra in ragione del ricorrere della fattispecie della nullità della sentenza, perché priva degli elementi minimi idonei a qualificare la pronuncia come tale (Cons. Stato, A.p., nn. 10 e 11 del 2018). Non rientrando l’omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado su un motivo del ricorso, nei casi tassativi di annullamento con rinvio, ne consegue che, in forza del principio devolutivo (art. 101, comma 2, c.p.a.), il Consiglio di Stato decide, nei limiti della domanda riproposta, anche sui motivi di ricorso non affrontati dal giudice di prime cure (Cons. Stato, sez. V, 29 dicembre 2017, n. 6158).
8.2. Va quindi esaminata in questa sede la censura relativa alla dedotta violazione dell’art. 33 del d.p.r. n. 380 del 2001, riproposta in questa sede, invocandosene l’applicazione nella parte in cui contempla l’irrogazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria ove “ il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile ”. La censura non coglie nel segno, in quanto la consistenza delle opere abusive (manufatto con strutture portanti in ferro e copertura con lamiere termoisolanti a doppia falda e tompagnatura in blocchi di lapil cemento, avente superficie di circa 70 mq.) comporta il loro inquadramento nel novero degli interventi cd. di “ nuova costruzione ” invece che in quelli di ristrutturazione, come si assume dall’appellante. Tale configurazione giuridica dell’intervento andrebbe confermata anche laddove si volesse seguire la ricostruzione della vicenda di causa secondo le prospettazioni di parte, in quanto la trasformazione di un pergolato in un volume chiuso non può che atteggiarsi ad opus novum in considerazione dell’irrisoria consistenza dello stesso quale manufatto aperto su tutti i lati e pertanto privo di ogni rilevanza plano-volumetrica. Questo Consiglio (sentenza sez. IV, 22 agosto 2018, n. 5008) ha infatti rilevato che “ Il pergolato è una struttura realizzata al fine di adornare e ombreggiare giardini o terrazze, costituita da un'impalcatura formata da montanti verticali ed elementi orizzontali che li connettono ad una altezza tale da consentire il passaggio delle persone;di norma quindi, come struttura aperta su tre lati e nella parte superiore, non richiede alcun titolo edilizi ”. Del resto la nozione stessa di ristrutturazione edilizia, quale intervento sul preesistente, non può fare a meno di una certa continuità con l’edificato pregresso, che invece, per le ragioni anzidette, è del tutto da escludere.
8.3. Infondato è anche il secondo mezzo, col quale si lamenta la violazione del principio di partecipazione procedimentale, in quanto l’ordinanza di demolizione di opere abusive è atto dovuto e non deve essere preceduto dall’avviso di avvio procedimentale (A.p. n. 9 del 2017) tanto più che nel caso di specie la sanzione ripristinatoria consegue a diniego di sanatoria rimasto inoppugnato.
8.4. Destituito di fondamento è anche il terzo mezzo, in quanto non può assumere il rilievo auspicato da parte appellante la domanda di sanatoria avanzata ai sensi della legge n. 308 del 2004 essendo riferita all’illecito paesaggistico nei suoi risvolti penali e non anche per quelli amministrativi, e comunque non attiene all’assetto del territorio sotto il profilo edilizio (Cassazione penale, sez. III, 9 settembre 2015, n. 40375) per i quali vale la sola domanda di condono edilizio secondo la disciplina ratione temporis vigente e che, nel caso in esame, è stata precedentemente disattesa dall’Amministrazione. La disciplina invocata dall’appellante attiene, infatti, al cosiddetto “ condono ambientale ” e pertanto, costituendo un accertamento postumo di compatibilità paesaggistica, la relativa domanda è affidata alle valutazioni della locale Soprintendenza invece che del Comune.
9. In conclusione, l’appello in esame è infondato e deve essere respinto.
10. Nessuna determinazione va assunta sulle spese di giudizio, stante la mancata costituzione dell’Amministrazione evocata nel presente giudizio.