Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-06-01, n. 202003440
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Pubblicato il 01/06/2020
N. 03440/2020REG.PROV.COLL.
N. 02022/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2022 del 2012, proposto da
V L, rappresentata e difesa dall’avv. M C, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, al Viale Mazzini n. 33;
contro
T M I, rappresentata e difesa dall’avv. L D P, presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla Via Adige n. 43;
nei confronti
- Comune di Boville Ernica, in persona del Sindaco
pro tempore,
rappresentato e difeso dall’avv. A C, elettivamente domiciliato in Roma, alla Piazza Martiri di Belfiore n. 4, presso lo studio dell’avv. Maria Rosa Suraci;
- Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, in persona del Ministro
pro tempore,
rappresentato e difeso
ex lege
dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliato in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione staccata di Latina) n. 591 del 4 luglio 2011, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’appellata sig.ra T Maria Liliana, nonché dell’Amministrazione comunale intimata e del Ministero per i Beni Culturali;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 maggio 2020, tenuta ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 (convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27), il Cons. Roberto Politi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso N.R.G. 970 del 2006, proposto innanzi alla Sezione staccata di Latina del T.A.R. del Lazio, la sig.ra T M I ha contestato il contegno inerte osservato dall’Amministrazione comunale di Boville Ernica in ordine alla D.I.A. presentata dalla sig.ra V L, rilasciando in favore di quest’ultima un’autorizzazione ex art. 146 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.
Ha evidenziato la ricorrente di prime cure (proprietaria nel comune di Boville Ernica di un fabbricato sito alla Via De Crescenzi – Via del Lauro) l’esecuzione, da parte della sig.ra V, di lavori edilizi (comprendenti, tra l’altro, l’apertura di finestre e porte) su un immobile, posto di fronte al proprio, in Via del Lauro.
Tali lavori venivano avviati sulla base di una dichiarazione di inizio di attività presentata al Comune in data 8 aprile 2006 e di una autorizzazione ex art. 146 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 rilasciata dallo stesso Comune, in qualità di ente subdelegato, avente a oggetto il recupero di finestre originariamente esistenti e successivamente tamponate.
2. A sostegno della proposta impugnativa, l’odierna appellata, premesso che l’immobile in questione si trova nel centro storico (e, quindi, in zona A) ed è stato assoggettato a vincolo ex lege 29 giugno 1939, n. 1497 e D.M. 20 marzo 1969, ha denunciato:
- la violazione dell’art. 4, comma 6, delle N.T.A. del P.R.G. comunale, che nel centro storico permette “il rifacimento o sostituzione di infissi esterni mantenendo i tipi originali” ed espressamente vieta l’apertura di “nuovi vani, di modificare le attuali aperture di porte e finestre nonché le relative cornici, soglie e riquadrature …” (il progetto avversato prevedeva l’apertura di nuovi vani sull’antica facciata e la modifica delle aperture che erano state tamponate;ulteriormente evidenziandosi che i relativi locali erano adibiti a deposito e fienile, con riveniente mutamento di destinazione d’uso ed aumento della superficie residenziale);
- l’illegittimità del ricorso alla D.I.A. (in origine la controinteressata aveva fatto istanza di permesso di costruire e, solo in seguito, aveva richiesto la trasformazione della istanza anzidetta in D.I.A.);
- la mancata trasmissione dell’autorizzazione ex art. 146 al Ministero per i Beni Ambientali (l’inizio dei lavori all’inizio del mese di giugno 2006 avrebbe reso impossibile una eventuale puntuale verifica dello stato dei luoghi ante operam a mezzo di sopralluogo);
- l’inosservanza della normativa relativa all’edificazione in zona sismica.
3. Costituitasi l’odierna appellante sig.ra V, il Tribunale ha accolto il ricorso, con annullamento dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune ed accertamento della mancanza dei presupposti per il perfezionamento della D.I.A.
4. In particolare, il Tribunale, pur escludendo l’incompatibilità del tipo di intervento intrapreso dalla controinteressata con il ricorso alla D.I.A., trattandosi di una ristrutturazione, ha ritenuto:
- sussistente la violazione dell’art. 4 delle N.T.A. del P.R.G. comunale, che espressamente vieta nel centro storico “l’apertura di nuovi vani, la modifica delle attuali aperture di porte esterne e finestre e delle relative cornici, soglie e riquadrature” (osservando che, se pure in astratto tale normativa “non impedisca – nell’ottica del ripristino degli originari caratteri degli edifici del centro storico – la riapertura di finestre o porte originariamente esistenti e poi tamponate … nella fattispecie … la controinteressata non si è limitata alla riapertura di porte e finestre tamponate nel rispetto delle originarie “cornici, soglie e riquadrature” ma ha in realtà aperto nuove finestre e comunque, anche allorché è intervenuta su finestre tamponate “riaprendole”, ne ha modificato gli originari caratteri”);
- illegittima l’autorizzazione paesaggistica “quanto meno per difetto di istruttoria, così come illegittimo è il comportamento del comune che non si è tempestivamente attivato per interdire la dichiarazione di inizio di attività inoltratagli”;
- fondato il rilievo “relativo all’inosservanza della normativa sulle costruzioni in zona sismica, aggravato dalla circostanza che l’intervento eseguito, traducendosi anche nella realizzazione di nuove aperture sulla muratura perimetrale, ha una diretta incidenza sull’assetto statico della costruzione”.
5. Avverso tale pronuncia la sig.ra V ha interposto appello, notificato il 18 febbraio 2012 e depositato il 21 marzo 2012, lamentando quanto di seguito sintetizzato:
5.1) Error in procedendo, per violazione dell’art. 21 della legge 1034/1971 (ora, art. 29 c.p.a.) e carenza di interesse ad agire da parte della ricorrente
Nel ribadire l’eccezione di tardività del ricorso di prime cure, già in tale sede proposta, l’appellante sostiene che la conoscenza dei lavori sia intervenuta al momento della presentazione di un esposto (3 giugno 2006) da parte del figlio della sig.ra T.
Viene, inoltre, nuovamente prospettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, respinta dal giudice di prime cure, per carenza di legittimazione attiva in capo alla stessa sig.ra T: in proposito, assumendosi che il criterio della mera vicinitas rispetto all’immobile oggetto dei suindicati interventi edilizi, non legittimerebbe la sollecitazione del sindacato giurisdizionale, in difetto di un documentato pregiudizio dalla parte risentito.
5.2) Error in judicando, per violazione e falsa applicazione dell’art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457 (ora: art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), in relazione all’art. 4 delle N.T.A. del P.R.G.
L’intervento posto in essere sull’immobile di proprietà della sig.ra V non avrebbe consumato la violazione delle epigrafate disposizioni, trattandosi di risanamento conservativo in precedenza autorizzato, al quale si è aggiunta la sola apertura di due finestre (peraltro, insuscettibile di arrecare modificazione al carattere unitario dell’edificio, ovvero compromissione alla staticità del fabbricato).
Conclude, pertanto, l’appellante per l’accoglimento dell’appello e, in riforma della sentenza impugnata, per la reiezione del ricorso di primo grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.
6. In data 20 dicembre 2019, l’Amministrazione comunale appellata si è costituita in giudizio;ed ha, con memoria depositata in atti il 24 gennaio 2020, aderito alle eccezioni in rito formulate dall’appellante;altresì condividendo le argomentazioni da quest’ultima esposte nell’atto introduttivo, del quale ha chiesto l’accoglimento, con riveniente riforma della pronunzia di prime cure.
7. Il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e per il Turismo, costituitosi il 2 aprile 2012, ha, con memoria depositata il 24 gennaio 2020, rappresentato il proprio difetto di legittimazione passiva rispetto alla materia del contendere, in quanto le determinazioni assunte dal Comune di Boville Ernica non hanno coinvolto in alcun modo la competente Soprintendenza;conclusivamente insistendo per l’estromissione dal giudizio.
8. In data 20 aprile 2012, si è inoltre costituita in giudizio la ricorrente di prime cure, sig.ra T M I, contestando la fondatezza delle argomentazioni esposte nell’atto introduttivo dalla sig.ra V e chiedendo, conseguentemente, la reiezione del proposto mezzo di tutela.
9. L’appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza telematica del 26 maggio 2020.
DIRITTO
1. Vengono, in primo luogo, in considerazione le eccezioni di inammissibilità del ricorso di primo grado, in tale sede formulate dalla controinteressata sig.ra V (odierna appellante) e da quest’ultima riproposte, in quanto disattese dalla pronunzia di prime cure, con l’atto introduttivo del presente giudizio.
1.1 Quanto all’affermata tardività della sollecitazione del sindacato giurisdizionale da parte della sig.ra T, sostiene l’odierna appellante che la piena conoscenza dell’intervento edilizio contestato sia stata acquisita, da parte della predetta controinteressata, fin dal momento in cui il figlio di quest’ultima (in data 3 giugno 2006) ha presentato al Comune di Boville Ernica un esposto avente ad oggetto l’effettuata apertura di finestre nel vicino fabbricato di proprietà della stessa sig.ra V;e che, comunque, la decorrenza del termine per la presentazione di un ricorso giurisdizionale avente ad oggetto attività edilizia posta in essere a seguito di denuncia di inizio attività, verrebbe a coincidere con la data di presentazione della D.I.A.
Non può omettere, in proposito, il Collegio di rammentare il fondamentale insegnamento dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, n. 15 del 29 luglio 2011 (dalla Sezione richiamato, da ultimo, con sentenza 23 marzo 2020, n. 2011), con il quale è stato ribadito che, “quanto al dies a quo del ricorso per annullamento, ai sensi di legge il termine decadenziale di sessanta giorni per proporre l’azione prende a decorrere solo dal momento della piena conoscenza dell’adozione dell’atto lesivo. A tale proposito, ai fini dell’accertamento della conoscenza dell’atto lesivo, trovano applicazione i principi interpretativi consolidati, elaborati in materia di impugnazione di provvedimenti in materia edilizia e urbanistica. Alla stregua del condivisibile orientamento interpretativo di questo Consiglio, la decorrenza del termine decadenziale, in materia edilizia, non può essere di norma fatta coincidere con la data in cui i lavori hanno avuto inizio, in quanto, come la giurisprudenza ha già specificato per l'impugnazione dei titoli abilitativi edilizi, il termine inizia a decorrere quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica. Ne deriva che, in mancanza di altri ed inequivoci elementi probatori, il termine per l’impugnazione decorre non con il mero inizio dei lavori, bensì con il loro completamento (così Cons. Stato, Sez. IV, 5 gennaio 2011, n. 18, secondo cui il termine per ricorrere in sede giurisdizionale da parte dei terzi avverso atti abilitativi dell'edificazione decorre da quando sia percepibile la concreta entità del manufatto e la sua incidenza effettiva sulla propria posizione giuridica;Cons. Stato, Sez. VI, 10 dicembre 2010, n. 8705, ad avviso della quale il completamento dei lavori è considerato indizio idoneo a far presumere la data della piena conoscenza del titolo edilizio, salvo che venga fornita la prova di una conoscenza anticipata)”.
Nell’evidenziare come la pronunzia in rassegna abbia evidenziato che, “nel caso in cui la piena conoscenza della presentazione della d.i.a. avvenga in uno stadio anteriore al decorso del termine per l’esercizio del potere inibitorio, il dies a quo coinciderà con il decorso del termine per l’adozione delle doverose misure interdittive”, va confermato – quanto alla sottoposta vicenda contenziosa – quanto affermato nella gravata pronunzia, laddove si esclude che “la presentazione di un esposto a seguito dell’inizio dei lavori non implica certo che vi fosse una conoscenza piena della circostanza che tali lavori si basassero su una d.i.a. e su un’autorizzazione ex articolo 146 D.Lgs. n. 42 rilasciata dal Comune”.
Valutazione, questa, ulteriormente asseverata dal rilievo che l’eventuale conoscenza, predicabile in capo al figlio della sig.ra T, dell’esistenza di un titolo abilitativo alla realizzazione edilizia (D.I.A.), ove evincibile dall’esposto dal medesimo, come sopra, presentato, è affatto inidonea a comprovare omogenea consapevolezza da parte di quest’ultima: incombendo, come è noto, sulla parte che formuli l’eccezione, l’onere di dimostrarne compiutamente il fondamento.
1.2 Quanto alla affermata carenza di legittimazione attiva in capo alla ricorrente di prime cure, sig.ra T, l’odierna appellante sostiene che non sia sufficiente la mera “qualità di proprietario di un fabbricato posto in immediata prossimità in quello contestato, per legittimare la ricorrente a contestare la attività intrapresa dalla esponente”; assumendosi, in proposito, che la cosiddetta “vicinitas” integra “condizione necessaria, ma non da sola sufficiente a legittimare la proposizione di un ricorso giurisdizionale tendente all’annullamento di autorizzazioni edilizie … rilasciate a terzi”.
Con recente pronunzia 22 aprile 2020, n. 2242, questa Sezione ha rammentato che “la giurisprudenza ha avuto più volte occasione di affermare che la mera allegazione della vicinitas – ossia l’esistenza di uno stabile collegamento con il terreno interessato dall’intervento edilizio – risulta di per sé insufficiente a comprovare la legittimazione a ricorrere e l’interesse al ricorso, necessitando per contro la positiva dimostrazione di un pregiudizio che attinga colui che insorge in sede giudiziale (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 15 dicembre 2017, n. 5908 e 22 novembre 2017, n. 5442);e ciò, anche se in epoca più recente si è preferito affermare che in materia edilizia la medesima vicinitas è – per contro – circostanza sufficiente a comprovare la sussistenza sia della legittimazione che dell’interesse a ricorrere, e senza pertanto che sia necessario per il ricorrente allegare e provare di subire uno specifico pregiudizio per effetto dell’edificazione intrapresa sul suolo limitrofo (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 24 aprile 2019, n. 2645 e 27 marzo 2019, n. 2025;Sez. VI, 23 maggio 2019, n. 3386, 29 marzo 2019, n. 2100 e 10 settembre 2018, n. 5307)”.
Nella medesima pronunzia, peraltro, viene dato atto che, “anche sulla scorta dei precedenti di Cons. Stato, Sez. IV, 26 luglio 2018, n. 4583 e 4 dicembre 2017, n. 5674, questa stessa Sezione ha già avuto modo di precisare che il rapporto di vicinitas risulta di per sé idoneo a fondare tanto la legittimazione (ossia la titolarità di una posizione giuridica qualificata e differenziata rispetto a quella del quisque de populo) quanto l’interesse a ricorrere (e cioè la sussistenza di una lesione concreta e attuale alla posizione giuridica del vicino per effetto del provvedimento amministrativo impugnato) soltanto nell’ipotesi di impugnazione di titoli edilizi, mentre nel caso di impugnazione di strumenti urbanistici, anche particolareggiati, o di loro varianti, il semplice rapporto di vicinitas vale – al più – a dimostrare la sussistenza di una generica legittimazione, ma non è viceversa sufficiente a fondare anche l’interesse a ricorrere, occorrendo l’allegazione e la prova dell’insorgenza di uno specifico e concreto pregiudizio a carico dei suoli in proprietà della parte ricorrente per effetto degli atti di pianificazione impugnati (dai quali, per definizione, quei suoli non sono incisi direttamente)”.
Dal momento che, nella specie, ha formato oggetto di impugnativa un singolo intervento edilizio e non già uno strumento di pianificazione urbanistica, deve concludersi che la mera allegazione della vicinitas da parte della sig.ra T integra condizione, ex se, necessaria e sufficiente per contestare nella sede giudiziale l’attività edilizia posta in essere dall’appellante sig.ra V;dovendosi, in proposito, rammentare come questa stessa Sezione abbia avuto modo di rilevare, sulla scorta dei precedenti ad esempio rappresentati da Cons. Stato, Sez. IV, 26 luglio 2018, n. 4583 che, per quanto attiene al pregiudizio della situazione soggettiva protetta del vicino, “il danno è comunque ritenuto sussistente in re ipsa per gli abusi edilizi, e ciò poiché ogni edificazione abusiva incide se non sulla visuale, quanto meno sull’equilibrio urbanistico del contesto e l’armonico e ordinato sviluppo del territorio, a cui fanno necessario riferimento i titolari di diritti su immobili adiacenti, o situati comunque in prossimità a quelli interessati dagli abusi” (Cons. Stato, Sez. II, 30 settembre 2019, n. 6527).
Se, conseguentemente, la titolarità dominicale di un fabbricato posto in immediata prossimità di quello oggetto contestazione rappresenta fattore legittimante, al fine della devoluzione al sindacato giurisdizionale dell’attività edilizia da altrui intrapresa, va senz’altro confermato quanto, sul punto, rilevato nella pronunzia di prime cure (che ha respinto l’eccezione di che trattasi), venendo in considerazione la presenza di intervento edilizio preordinato all’apertura di porte e finestre, per il quale non è revocabile in dubbio la diretta incidenza sugli interessi della originaria ricorrente sig. T.
2. Va, invece, accolta l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla difesa dell’intimata Amministrazione dei Beni Culturali ed Ambientali (oggi: Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo).
Come correttamente osservato dalla difesa erariale, la presente controversia non coinvolge in alcun modo atti espressi dal Ministero, ovvero dalla Soprintendenza: per l’effetto, dovendosi escludere in capo all’anzidetta Autorità statale alcun interesse che ne qualifichi la presenza nell’ambito del giudizio.
3. La constatata infondatezza delle eccezioni formulate dall’appellante con riferimento alla inammissibile sollecitazione del sindacato giurisdizionale in prime cure da parte della sig.ra T impone al Collegio di trascorrere alla disamina delle doglianze in merito rivolte alla contestata pronunzia del T.A.R. di Latina.
3.1 In primo luogo, va rammentato come l’art. 4 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Boville vieti, nel centro storico, “l’apertura di nuovi vani, la modifica delle attuali aperture di porte esterne e finestre e delle relative cornici, soglie e riquadrature”.
Assume parte appellante (sostenendo la non corretta interpretazione, da parte del giudice di prime cure, dell’art. 31 della legge 457 del 5 agosto 1978) che verrebbe in considerazione, nella fattispecie, un intervento di mero risanamento conservativo.
Premesso come, ai sensi dell’art. 4, comma 6, delle N.T.A. al P.R.G. comunale sono consentiti, nel centro storico, interventi insuscettibili di arrecare “modifiche o alterazione al carattere unitario dell’edificio”, ovvero “al numero delle attuali unità d’uso residenziali”, la sig.ra V sostiene che il realizzato intervento edilizio riguardante le superfici finestrate dello stabile di proprietà non si sarebbe sostanziato in una preclusa modifica sostanziale del preesistente edificio, piuttosto limitandosi a consolidarlo ed “impreziosirlo sotto il profilo architettonico”.
3.2 È una prospettazione, questa, che non merita condivisione.
È innanzi tutto vero che parte appellante non contesta, con concludenti e comprovati elementi dimostrativi, di aver apportato alla facciata del manufatto modificazioni, consistenti nell’apertura di due nuove finestre, non presenti nella precedente configurazione della stessa.
Palesemente inconferente si rivela, al riguardo, l’asserzione (contenuta nell’atto introduttivo) per cui “quel che conta è il rispetto dell’edificio”; così come la convergente argomentazione, pure dalla parte esposta, secondo cui “si è di fronte ad una valorizzazione del manufatto che dà pregio non solo ad esso, ma all’intera zona in cui è insediato”.
Tali argomentazioni, evidentemente insuscettibili di sollevarsi dal rango di mere asserzioni di parte, peraltro non asseverate da concludenti considerazioni suscettibili di apprezzare la legittimità del realizzato intervento rispetto alla disciplina urbanistica vigente, non dimostrano persuasività con riferimento ai rilievi – condivisibilmente formulati nell’appellata sentenza – per cui:
- “la controinteressata non si è limitata alla riapertura di porte e finestre tamponate nel rispetto delle originarie “cornici, soglie e riquadrature” ma ha in realtà aperto nuove finestre e comunque, anche allorché è intervenuta su finestre tamponate “riaprendole”, ne ha modificato gli originari caratteri”;
- “non risulta che il Comune abbia compiuto alcuna istruttoria volta ad acclarare quale fosse la reale situazione ante operam e che la possibilità di una verifica prima del perfezionamento della dichiarazione di inizio di attività è stata comunque resa impossibile dalla circostanza … che la controinteressata ha iniziato i lavori prima della scadenza del termine (e li ha persino continuati nonostante in occasione del primo sopralluogo, quello del 3 giugno 2006, le fosse stata contestata la violazione e ordinata la sospensione)”;
conseguentemente, dandosi atto della illegittimità dell’autorizzazione paesaggistica “quanto meno per difetto di istruttoria, così come illegittimo è il comportamento del Comune che non si è tempestivamente attivato per interdire la dichiarazione di inizio di attività inoltratagli”; così come – ancora una volta, condivisibilmente – è stato dal giudice di prime cure acclarata la fondatezza del “rilievo relativo all’inosservanza della normativa sulle costruzioni in zona sismica, aggravato dalla circostanza che l’intervento eseguito, traducendosi anche nella realizzazione di nuove aperture sulla muratura perimetrale, ha una diretta incidenza sull’assetto statico della costruzione”.
3.3 Nell’osservare come, quanto alla inosservanza della normativa da ultimo indicata, l’atto introduttivo del giudizio non rechi alcuna specifica censura in ordine alla considerazioni – sopra riportate – in proposito contenute nell’appellata pronunzia, esclude il Collegio che quest’ultima sia suscettibile, alla luce delle doglianze dall’appellante articolate, di fondata critica, in ragione della palese violazione consumata, per effetto dell’intervento edilizio posto in essere dalla sig.ra V:
- alla vigente disciplina urbanistica, atteso che un intervento di trasformazione del preesistente organismo edilizio (come quello nella fattispecie posto in essere) rivela carattere proprio della ristrutturazione edilizia, non configurandosi i tratti tipici del restauro e risanamento conservativo, consistenti, ai sensi della lettera c) dell’art. 3, comma 1 del D.P.R. 380/2001, nella conservazione dell’organismo edilizio pregresso (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 30 aprile 2019, n. 3816);
- alle disposizioni dettate dalle N.T.A. al P.R.G. comunale, in ragione della preclusione, in esse contemplata, alla modificazione degli spazi finestrati degli edifici posti nel centro storico (in tale divieto, vieppiù rientrando la creazione di nuove finestre).
4. La constatata infondatezza delle doglianze articolate con l’appello all’esame, ne impone la reiezione, con riveniente conferma della gravata sentenza di prime cure.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.