Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-12-24, n. 201908813
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Testo completo
Pubblicato il 24/12/2019
N. 08813/2019REG.PROV.COLL.
N. 05560/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5560 del 2017, proposto da R L, rappresentato e difeso dall'avvocato P G, domiciliato presso la Segreteria di questo Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro;
contro
Comune di Stellanello, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 00187/2017, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 novembre 2019 il Cons. Giovanni Tulumello e uditi per le parti l’avv. Silvia Villani su delega dell’avv. P G;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con sentenza n. 187/2017 il T.A.R. Liguria ha rigettato la domanda risarcitoria proposta dal dott. R L nei confronti del Comune di Stellanello, relativa ai danni cagionati dal provvedimento con il quale il Comune appellato aveva disposto la sospensione della procedura di affidamento per la gestione provvisoria della sede farmaceutica.
Con ricorso in appello notificato il 24 luglio 2017 e depositato il successivo 26 luglio, il ricorrente ha impugnato l’indicata sentenza.
Il Comune di Stellanello, ritualmente intimato, non si è costituito nel giudizio di appello.
Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 7 novembre 2019.
2. Appare necessaria ai fini del decidere una pur sintetica ricostruzione della cronologia degli eventi.
L’odierno appellante nel 2003 si è classificato al primo posto della graduatoria relativa alla procedura concorsuale bandita dal Comune di Stellanello per l’individuazione di un gestore provvisorio dell’unica sede farmaceutica presente nel territorio comunale (“Farmacia Merula”, sita via Borgonuovo, 42), a seguito di rinuncia alla gestione provvisoria della suddetta farmacia da parte del precedente gestore.
Quest’ultimo, tuttavia, revocava la propria rinuncia;il Comune di Stellanello rigettava tale revoca, ritenendo ormai definitiva la precedente rinuncia.
Il Comune si vedeva tuttavia costretto a sospendere la procedura per l’assegnazione all’odierno appellante della gestione provvisoria, a seguito dell’impugnazione sia del proprio provvedimento inerente il rigetto della revoca del precedente gestore, sia della graduatoria concorsuale che vedeva il dott. L classificato al primo posto (la sospensione era comunicata agli interessati con nota prot. 3839 del 18/11/2003)
In data 12 agosto 2011 l’odierno appellante rivolgeva al Comune una diffida, chiedendo anche il risarcimento dei danni derivanti dalla mancata assegnazione della sede.
Nell’ottobre 2012 il Comune di Stellanello dava seguito alla procedura, a seguito dell’estinzione, per rinuncia, dei contenziosi relativi alla stessa, ed invitava l’odierno appellante all’apertura della sede farmaceutica in gestione provvisoria.
Quest’ultimo rinunciava, in ragione della allora prossima pubblicazione del bando regionale per l’assegnazione di n. 89 sedi farmaceutiche, tra cui quella del Comune di Stellanello.
L’11 marzo 2014 il dott. L notificava al Comune di Stellanello un ricorso contenente un’azione risarcitoria relativa agli effetti pregiudizievoli del provvedimento con il quale era stata disposta la sospensione della procedura di affidamento per la gestione provvisoria della sede farmaceutica.
3. La II Sezione del TAR Liguria, con sentenza, 9 marzo 2017, n. 187, ha respinto il ricorso.
Pur condividendo la qualificazione della responsabilità della Pubblica Amministrazione da provvedimento illegittimo come ipotesi di responsabilità aquiliana, prospettata in ricorso, il TAR ha rilevato che nel caso di specie difetta il nesso causale tra il provvedimento di sospensione e il danno concretamente patito dal ricorrente.
Invero, i giudici di primo grado hanno interpretato l’art. 30, comma 3, cod. proc. amm., nel senso di ritenere che l’omessa impugnazione del provvedimento dannoso, determinando l’interruzione del nesso eziologico, comporta ineludibilmente l’esclusione del risarcimento, posto che l’esercizio tempestivo di un’azione di annullamento avrebbe consentito al ricorrente di evitare i danni subìti, o almeno di circoscriverne significativamente la portata;il nesso causale che, ai sensi dell’art. 1223 c.c., deve legare la condotta antigiuridica alle conseguenze dannose risarcibili, risulterebbe reciso in presenza della mancata attivazione del danneggiato, con uno sforzo diligente, per evitare la produzione di conseguenze dannose del provvedimento non impugnato.
Da ciò discende nel caso di specie la rilevanza sostanziale dell’omessa impugnazione, la quale preclude interamente la risarcibilità dei danni che sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di rituale utilizzazione dello strumento di tutela specifica predisposto dall’ordinamento.
Il TAR, inoltre, prosegue evidenziando che la scelta del danneggiato di non attivare alcun rimedio integra una violazione della condotta di cui all’art. 30, comma 3, c.p.a. quantomeno con riferimento al periodo che va dall’adozione del provvedimento lesivo (18/11/2003) fino al momento in cui il dott. L ha invocato un intervento in autotutela dell’Amministrazione comunale (nota del 12/9/2011), determinando il venir meno di uno degli elementi essenziali dell’obbligazione risarcitoria ex art. 2043 c.c.
Con riferimento, invece, al periodo che va dalla diffida del dott. L del 12/9/2011 alla determinazione comunale con la quale è stata definitivamente approvata la graduatoria (provv. n. 49 del 13/10/2012), il Collegio di primo grado ha ritenuto che la sollecitazione all’autotutela non possa essere ricompresa fra gli sforzi diligenti per evitare il protrarsi delle conseguenze dannose del provvedimento, rilevati ai sensi del citato art. 30, terzo comma, cod. proc. amm., in quanto:
a) i provvedimenti di autotutela sarebbero previsti dall’ordinamento solo a tutela dell’interesse pubblico, risultando la relativa adozione subordinata ad una valutazione discrezionale della PA (che non ha alcun obbligo di determinarsi circa l’istanza in tal senso presentata);
b) aderendo ad opposta conclusione verrebbe vanificata la ratio sottesa all’introduzione di siffatta disposizione, da individuarsi, nell’intenzione di gravare il privato danneggiato di un onere più stringente rispetto a quello di cui all’art. 1227, comma 2, c.c.
4. I motivi di appello contestano entrambe le superiori affermazioni su cui si fonda la sentenza di primo grado.
4.1. Con riferimento al primo segmento temporale, vale a dire quello compreso tra la data della decisione lesiva (18 novembre 2003) ed il momento in cui il Dott. L ha sollecitato l’amministrazione comunale all’esercizio dei poteri di autotutela (12 settembre 2011), l’appellante deduce “Erroneità della Sentenza per violazione ed inesatta interpretazione dell’art. 30 del Codice del processo Amministrativo e violazione dell’art. 1227 Cod. Civ”.
L’appellante sostiene che la conclusione cui è pervenuto il TAR Liguria risulta viziata da una errata interpretazione dell’art. 30 c.p.a, considerato che consolidata giurisprudenza amministrativa esclude l’esigibilità in ogni caso dell’attivazione in quanto “ ciò sarebbe contrario alla ratio della norma di cui all’art. 30, che ha escluso la necessità di previa impugnazione dell’atto ai fini dell’ammissibilità dell’azione di risarcimento del danno patrimoniale, nonché alla lettera del comma 3, che chiaramente si riferisce a “strumenti di tutela”, non già di “tutela giurisdizionale ” e comunque non li considera ineluttabili (v. Cons. Stato, Sez. V, 29 novembre 2011, n. 6296).
La risarcibilità del danno, infatti, secondo l’appellante deve essere valutata alla luce dell’esigenza di considerare la specificità dei singoli casi e di tenere conto della condotta complessiva delle parti nonché delle possibili ragioni esimenti in ordine alla mancata impugnativa.
Invero, nel caso di specie – sempre ad avviso dell’appellante - l’omessa attivazione di strumenti di tutela da parte del danneggiato è ascrivibile alla peculiare natura atipica della nota sindacale in questione la quale non poteva ragionevolmente, a quel momento, intendersi come misura lesiva e certo non destinata ad assumere una portata ultradecennale.
Ad ogni modo, aggiunge l’appellante che l’omessa attivazione di strumento di tutela non possa essere considerato causa di esclusione della responsabilità, ma tutt’al più deve essere valutato in sede di liquidazione del danno risarcibile come fattore di riduzione, ai sensi dell’art. 1227 Cod. Civ.
4.2. Con riferimento al secondo segmento temporale, vale a dire quello compreso tra l’atto di sollecitazione all’esercizio dell’autotutela (12 settembre 2011) e la determinazione comunale di definitiva approvazione della graduatoria (13 ottobre 2012), l’appellante deduce “erroneità della sentenza per violazione ed inesatta interpretazione dell’art. 30 del Codice del processo Amministrativo”.
L’appellante contesta le affermazioni contenute nella sentenza appellata circa l’efficacia dell’invito all’esercizio del potere di autotutela, dal momento che una diffida in tal senso, potendo portare ad un risultato positivo per il privato, deve considerarsi una strumento di tutela tale da configurare un contributo del danneggiato alla riduzione delle conseguenze pregiudizievoli del provvedimento, da intendersi come strumento che può portare ad una situazione migliore di quella pregressa a fronte di un precedente atto lesivo.
Il ricorrente lamenta, peraltro, l’inesattezza della ricostruzione del giudice di primo grado relativamente alla ratio della norma considerata, sostenendo che lo scopo della disposizione è quello di temperare il superamento della c.d. pregiudizialità amministrativa, volendo evitare che l’Amministrazione possa essere esposta sine die ad una richiesta di risarcimento del danno da parte del soggetto privato senza potervi ovviare.
In ragione di ciò, l’appellante sostiene che la formale diffida all’autotutela risulta obiettivamente congrua rispetto alla finalità perseguita dalla norma, dal momento che anche un atto di sollecitazione all’autotutela pone la P.A. in grado di provvedere, eliminando dall’ordinamento un atto amministrativo illegittimo e lesivo in precedenza adottato.
Da ultimo, l’appellante rappresenta che l’utilizzo nel secondo periodo del comma terzo dell’art. 30 c.p.a. della formula al plurale (“ strumenti di tutela previsti”) non impone certamente al danneggiato l’esperimento di tutti gli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento processuale, quanto piuttosto avrebbe il significato di “ consentire al privato danneggiato di poter attivare, per sottrarsi alla regola del concorso di colpa del danneggiato, strumenti di tutela, anche di natura extraprocessuale (ad esempio una istanza di autotutela, un ricorso amministrativo, una sollecitazione mediante diffida), diversi e meno onerosi (anche dal punto di vista economico) rispetto alla proposizione della domanda giudiziale di annullamento .” (Cons. Stato, sez. VI, 15 settembre 2015, n. 4283).
5. Ritiene questo Consiglio di Stato che entrambi i motivi siano infondati.
Quanto al primo motivo, va osservato che dal 2003 al 2011 l’odierno appellante ha subìto gli effetti del provvedimento asseritamente lesivo, senza tentare di limitarne le conseguenze in tesi pregiudizievoli con un’impugnativa giurisdizionale, o altro mezzo.
Secondo la pacifica giurisprudenza di questo Consiglio di Stato tale circostanza, se non preclude l’ammissibilità dell’autonoma azione risarcitoria, tuttavia ne comporta il rigetto in ragione proprio della portata della disposizione in esame: “ ai sensi dell'art. 30, comma 3, c.p.a., l'omessa attivazione degli strumenti di tutela costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell'esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l'ordinaria diligenza e perciò un fatto da considerare in sede di merito, ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 23 marzo 2011, n. 3). La scelta di non avvalersi della tutela impugnatoria che, grazie anche alle misure cautelari previste dall'ordinamento processuale, avrebbe probabilmente evitato, in tutto o in parte il danno, integra violazione del canone di buona fede e dell'obbligo di cooperazione, spezza il nesso causale fra provvedimento e pregiudizio e, per l'effetto, in forza del principio di auto-responsabilità codificato dall'art. 1227, comma 2, c.c., comporta la non risarcibilità del danno evitabile ” (in questo senso, ex multis e da ultimo, VI Sezione sentenza n. 3246/2018).
Non sussistono ad avviso del Collegio ragioni per discostarsi dal richiamato orientamento: anche in considerazione del fatto che, come correttamente rilevato dal primo giudice, all’epoca dell’adozione del provvedimento che si assume lesivo, non essendo ancora vigente il citato art. 30 cod. proc. amm., la materia era regolata dalla regola pretoria della c.d. pregiudiziale d’impugnazione.
Sicché la scelta dell’appellante di non impugnare tale provvedimento ancor più manifesta una volontà di non cooperare nella elisione dei profili di danno connessi agli effetti dello stesso.
Inoltre, anche a voler considerare in tesi idonea all’assolvimento dell’onere di che trattasi la (successiva) sollecitazione all’autotutela, per il segmento temporale precedente, oggetto della censura in esame, l’odierno appellante è rimasto totalmente e lungamente inerte (dal 2003 al 2011), sicché l’accoglimento della domanda risarcitoria per tale arco temporale deve essere escluso per le ragioni poste a fondamento della sentenza di primo grado, che sul punto merita conferma.
Va poi ulteriormente considerato che in punto di esigibilità della cooperazione del danneggiato, l’appellante nel ricorso di primo grado ha affermato che la mancata impugnazione sarebbe stata determinata dalla impossibilità di percepire la lesività del provvedimento che si assume essere stato veicolo di lesione, attesa la natura dello stesso.
Tale argomentazione si pone però in relazione di insanabile contraddizione logica con quanto affermato a proposito della antigiuridicità della condotta dell’amministrazione (su cui subito infra ), laddove si è invece affermata la netta illegittimità di tale provvedimento perché emanato in carenza di una norma attributiva del potere, o comunque in assenza dei presupposti legittimanti la sua adozione.
A fronte di un tale consapevolezza della ritenuta illegittimità – in ragione del suo contenuto e dei suoi effetti - del provvedimento, non pare condivisibile il rilievo della sua asserita peculiarità, tale da non lasciarne percepire la portata lesiva, e da assolvere conseguentemente l’interessato dal relativo onere di impugnazione
6. Quanto al secondo motivo, la sentenza impugnata merita del pari conferma, con una integrazione della sua motivazione.
La domanda del ricorrente poggia sull’assunto che il provvedimento – di sospensione della procedura di assegnazione della gestione provvisoria della sede farmaceutica – che si assume essere veicolo di lesione, e la condotta dell’amministrazione allo stesso correlata, consentano di ritenere sussistenti tutti gli elementi del paradigma della responsabilità aquiliana.
Tuttavia, l’appellante non ha fornito la dimostrazione di tale presupposto.
In particolare, in disparte il profilo dell’antigiuridicità della condotta (affermata nel ricorso in appello sul presupposto della mancata titolarità del potere comunale di differire l’efficacia degli atti conclusivi della procedura, desunta dal fatto che nel contesto normativo vigente all’epoca dei fatti sarebbe stata assente una disposizione attributiva di un siffatto potere di sospensione), ciò che appare dirimente è l’assenza di un apprezzabile elemento soggettivo in capo al Comune di Stellanello.
In punto di antigiuridicità nel ricorso di primo grado l’odierno appellante qualifica come illegittimo il provvedimento di sospensione asseritamente lesivo, invocando come parametro di legittimità dello stesso l’art. 21 -quater della legge n. 241 del 1990, introdotto però solo dopo l’adozione del provvedimento di cui si discute.
Può peraltro discutersi se prima dell’introduzione della disposizione di cui all’art. 21 -quater della legge n. 241/1990, e dei limiti dalla stessa posti, fosse configurabile in capo all’amministrazione un potere (implicito) di sospensione dell’efficacia degli atti adottati (specie se in presenza di una impugnativa degli stessi).
Indipendentemente da tale indagine, nel caso di specie ciò che appare sicuramente carente è la sussistenza di un addebito – in termini di volontarietà di cagionare i lamentati effetti pregiudizievoli, ovvero di negligenza, imprudenza o imperizia nella causazione degli stessi – in capo al Comune nella scelta di non avviare la gestione provvisoria della sede farmaceutica in presenza della pendenza dei contenziosi relativi alla gestione medesima.
Tale elemento, peraltro, non risulta neppure sufficientemente dedotto nella domanda in esame.
L’odierno appellante, in punto di allegazione dell’elemento soggettivo, nel ricorso di primo grado per un verso opera una impropria sovrapposizione di tale elemento con il profilo – oggettivo – della illegittimità provvedimentale (per “violazione di legge” e violazione dell’art. 97 Cost.);e, per altro verso, richiama un risalente e minoritario indirizzo della giurisprudenza amministrativa secondo cui l’attore potrebbe limitarsi ad invocare l’illegittimità dell’atto come indice presuntivo della colpa, trasferendosi poi sull’amministrazione l’onere di dimostrare di avere agito in forza di un errore scusabile.
Tale assunto non è condivisibile.
Per costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, “ il principio generale dell'onere della prova previsto nell'art. 2697 c.c. si applica anche all'azione di risarcimento per danni proposta dinanzi al G.A. (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 22 gennaio 2015, n. 282), con la conseguenza che spetta al danneggiato fornire in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, ivi compreso l'elemento costitutivo della colpa ” (Sez. V, sentenza n. 1253/2019).
Peraltro, anche a voler accedere alla prospettazione di parte appellante, lo standard di assolvimento dell’onere probatorio relativo all’elemento soggettivo attiene ad un profilo diverso rispetto alla corretta prospetta dell’esistenza di tale elemento.
Il ricorrente può in tesi invocare una minore intensità dello sforzo probatorio: ma non può eludere la prospettazione della concreta violazione del canone di diligenza che, in aggiunta all’elemento oggettivo dell’illegittimità provvedimentale, rende la condotta dell’amministrazione, sul (diverso) piano soggettivo, assistita (anche) da una componente volitiva (o comunque dalla violazione dei canoni di diligenza, prudenza e perizia).
Nel caso di specie, come detto, il ricorso di primo grado si limita ad enunciare una condotta colposa desunta unicamente dal profilo dell’asserita illegittimità provvedimentale, senza allegazione di ulteriori elementi sintomatici (altra questione essendo quella, qui non ricorrente per insussistenza dell’oggetto, dello sforzo probatorio richiesto per la dimostrazione in giudizio di tali elementi).
Alla mancata prospettazione dell’elemento soggettivo da parte del ricorrente, oltre la soglia dell’enunciata illegittimità del provvedimento lesivo, fa comunque riscontro in concreto la verifica dell’inesistenza di tale elemento.
La condotta del Comune di Stellanello nel caso di specie appare piuttosto improntata ad un canone di prudenza, che nelle more dei contenziosi avviati ha indotto l’amministrazione ad evitare di porre in esecuzione provvedimenti suscettibili di annullamento.
D’altra parte, anche l’opposta scelta sarebbe stata potenzialmente fonte di effetti lesivi per l’odierno appellante, posto che oltre al danno da provvedimento lesivo perché geneticamente sfavorevole (quale quello censurato nel presente giudizio), è configurabile la fattispecie di danno da provvedimento favorevole poi annullato in sede giurisdizionale o di autotutela.
In tale dialettica, la scelta dell’amministrazione di non porre in esecuzione provvedimenti della cui legittimità (a quel momento) si dubitava non ha ricevuto, se non otto anni dopo, sollecitazioni di segno contrario da parte dell’odierno appellante, tali da veicolare eventuali ragioni di tutela che avrebbero potuto o dovuto orientare in una diversa direzione il contenuto concreto dei canoni di prudenza e diligenza.
In presenza di un simile quadro fattuale non appare possibile muovere al Comune di Stellanello alcuno specifico addebito in termini di colpa, diversamente da quanto prospettato – nei termini sopra richiamati – nel ricorso di primo grado.
7. Il ricorso in appello deve essere pertanto respinto perché infondato
Nulla deve essere disposto in merito alle spese del giudizio, non essendosi costituito nel giudizio di appello il Comune intimato.