Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-03-31, n. 201501686

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-03-31, n. 201501686
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201501686
Data del deposito : 31 marzo 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04928/2014 REG.RIC.

N. 01686/2015REG.PROV.COLL.

N. 04928/2014 REG.RIC.

N. 05245/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello n. 4928 del 2014, proposto da
E M, rappresentata e difesa dall’avv. A P, ed elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma, via Luigi Robecchi Brichetti n. 10, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;

contro

A C, rappresentato e difeso dagli avv.ti A L e A C, ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, via Principessa Clotilde n. 2, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;

nei confronti di

Ministero della giustizia e Consiglio superiore della Magistratura, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi n.12;



sul ricorso in appello n. 5245 del 2014, proposto da
Ministero della giustizia e Consiglio superiore della Magistratura, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi n.12;

contro

A C, rappresentato e difeso dagli avv.ti A L e A C, ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, via Principessa Clotilde n. 2, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;

per la riforma

quanto al ricorso n. 4928 del 2014:

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, n. 5571 del 26 maggio 2014, resa tra le parti, concernente l’esecuzione delle sentenze del Tar Lazio, sezione prima, n. 4711/2013 e 32321/2010 relative al conferimento dell’incarico di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona

quanto al ricorso n. 5245 del 2014:

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, n. 5571 del 26 maggio 2014, resa tra le parti, concernente l’esecuzione delle sentenze del Tar Lazio, sezione prima, n. 4711/2013 e 32321/2010 relative al conferimento dell’incarico di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2014 il Cons. D S e uditi per le parti gli avvocati Piazza, Lirosi, Clarizia e l'avvocato dello Stato Noviello;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso iscritto al n. 4928 del 2014, E M propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, n. 5571 del 26 maggio 2014 con la quale è stato accolto il ricorso proposto da A C contro il Ministero della giustizia, il Consiglio superiore della Magistratura nonché l’attuale appellante E M proposto:

A. quanto all’istanza per la nomina del commissario ad acta, notificata a partire dal 13 giugno 2013: a) per l’esecuzione della sentenza del T.A.R. Lazio 10 maggio 2013 n. 4711, che ha dato a sua volta esecuzione alla sentenza del T.A.R. Lazio, sezione prima, 14 settembre 2010 n. 32321, confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato, sezione quarta, 18 aprile 2012 n. 2295;

B. quanto all’atto recante l’istanza per la nomina del commissario ad acta, e contestuali motivi aggiunti, notificato a partire dal 3 settembre 2013: b) per l’esecuzione di cui sub A.a.), nonché c) per la dichiarazione di nullità ovvero per l’annullamento, anche ai sensi dell'art. 112 c.p.a.: c1) della deliberazione 17 luglio 2013 del Plenum del Consiglio superiore della magistratura, nella parte in cui dispone il riesame per il conferimento del posto di procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona, rivalutando la posizione dei magistrati interessati, tenendo conto dei fatti di rilievo disciplinare medio tempore intervenuti, riguardanti la posizione del dott. C;
c2) per quanto possa occorrere, della proposta 11 giugno 2013 della V commissione del C.S.M.;

C. quanto ai motivi aggiunti, da valere anche come autonomo ricorso, notificati a partire dal 27 settembre 2013: d) per la dichiarazione di nullità ovvero per l’annullamento, anche ai sensi dell'art. 112 c.p.a.: d1) della deliberazione sub c1);
d2) della deliberazione 15 luglio 2013 della V commissione del Consiglio superiore della magistratura, che ha proposto al Plenum il conferimento del posto di procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona a E M, nonché della relativa motivazione, depositata il 5 settembre 2013;
d3) della deliberazione 18 settembre 2013 del Plenum, che ha conferito nuovamente il posto di procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona ad E M e affinché il T.A.R. voglia provvedere, ex artt. 112 segg. c.p.a.: in sostituzione del CSM alla nomina del dott. Alberto Michele C quale procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona, o in subordine a nominare un commissario ad acta il quale disponga, in esecuzione dei criteri enunciati nelle sentenze passate in cosa giudicata, la nomina del dr. Alberto Michele C a procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona con contestuale conferimento delle funzioni direttive inquirenti di primo grado, curando l'adozione di ogni provvedimento necessario, indicando altresì la data di immissione in servizio del magistrato presso la nuova sede;
e per l’assegnazione, ex art.114, IV comma, lett. e) c.p.a., di una somma congrua a titolo di penalità di mora a carico dell'Amministrazione resistente con decorrenza dal 29 luglio 2013 e sino all'effettiva immissione del commissario ad acta.

Il giudice di prime cure ha così ripercorso la complessa vicenda in esame:

“1.1. Il 16 settembre 2009, il Plenum del Consiglio superiore della magistratura conferì ad E M, magistrato di quinta valutazione e sostituto procuratore a Bologna, l’ufficio di procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona, con le relative funzioni direttive requirenti di primo grado.

1.2. La M fu preferita al collega A C, il quale impugnò la nomina innanzi a questo T.A.R., il quale accolse il ricorso con la sentenza 14 settembre 2010, n. 32321, di questa Sezione.

Dopo aver rilevato, tra l’altro, come il C avesse prestato servizio anche presso la Direzione nazionale antimafia, con ampie funzioni di coordinamento e raccordo, la sentenza stabilì come il giudizio di prevalenza in favore della M non fosse giustificato da maggiori meriti di quest’ultima, proprio sotto il profilo della “attitudine specifica”, visto che non aveva mai esercitato un corrispondente incarico, né, comunque, funzioni direttive o semidirettive: non è superfluo rammentare sin d’ora che l’art. 12 del d. lgs. 5 aprile 2006, n. 160, nel disciplinare i requisiti e criteri per il conferimento delle funzioni direttive, in particolare dispone per quelle di procuratore della Repubblica, che oltre agli elementi comuni, “sono specificamente valutate le pregresse esperienze di direzione, di organizzazione, di collaborazione e di coordinamento investigativo nazionale, con particolare riguardo ai risultati conseguiti”.

1.3.1. La decisione, appellata sia dall’Amministrazione sia dalla controinteressata, fu confermata in grado d’appello dalla sentenza 18 aprile 2012, n. 2295, della IV Sezione, dove è anzitutto ribadito che il sindacato giurisdizionale sulle delibere, con cui il C.S.M. conferisce uffici direttivi ai magistrati, può estendersi nell'ambito dell'esame dei presupposti di fatto e della congruità e ragionevolezza della motivazione a base della decisione, nonché dell'accertamento del nesso logico di consequenzialità tra presupposti e conclusioni: sicché sono senz'altro ammissibili le censure volte ad evidenziare la presenza di figure sintomatiche dell'eccesso di potere.

1.3.2. Quanto alla fattispecie concreta, il secondo giudice, pur riconoscendo che il pregresso svolgimento di funzioni direttive o semidirettive non può essere dirimente per il conferimento di uffici, rileva che la stessa disciplina di riferimento vi attribuisce comunque rilievo nell'ambito del procedimento selettivo, sicché, nella valutazione comparativa, il giudizio di prevalenza, attribuito al candidato che non le abbia mai svolte, “deve necessariamente agganciarsi al positivo riscontro di diversi e superiori profili attitudinali e di meritevolezza, tali da giustificare la sua prevalenza”.

1.3.3. Così, seguita la decisione del Consiglio di Stato, “ove concorrano al conferimento di un posto direttivo un candidato che per lungo tempo ha svolto funzioni direttive, peraltro omologhe, e anzi di coordinamento investigativo nazionale rilevante ai sensi dell’art. 12, comma 10, del D.Lgs.160 del 2006 - come il dott. C nella fattispecie in esame - ed un candidato che non ha mai svolto funzioni direttive o semidirettive, se, da un lato, il primo non deve necessariamente prevalere, dall'altro, la possibile prevalenza del secondo deve essere ancorata (e motivata adeguatamente e in modo convincente e logico) alla valutazione di una pluralità di elementi concreti, integranti una motivazione tale da fornire un'esaustiva rappresentazione, che dia conto del perché lo svolgimento pregresso delle funzioni direttive o semidirettive sia recessivo rispetto agli ulteriori profili di cui, in esclusiva o in misura del tutto prevalente, sia in possesso l'altro candidato”.

1.3.4. Ora, prosegue la sentenza d’appello, nella proposta approvata dal Plenum, dopo aver dato atto che il C negli ultimi anni aveva esercitato le sue funzioni presso la DNA, si afferma che la M “opera attualmente in un ufficio di Procura di primo grado, sede di DDA, e presenta anche per questo una attitudine specifica a ricoprire un ruolo direttivo in una Procura di piccole dimensioni – 12 sostituti – che richiede anche da parte del Procuratore lo svolgimento di attività giurisdizionale”: inoltre, “il contesto territoriale ed ambientale in cui opera la dott.ssa M (Procura di Bologna) è affine a quello dell’ufficio direttivo da ricoprire”.

1.3.5. Peraltro, rileva la sentenza, la M, poi preferita, non aveva mai svolto funzioni direttive e semidirettive, mentre il C, nello svolgimento di funzioni requirenti, ha anche esercitato funzioni di coordinamento investigativo.

Ora, secondo le disposizioni che disciplinano il conferimento degli incarichi come quello in questione - art. 12, X comma, del d.lgs. 160/2006, circolare del CSM n. 13000/1999, come integrata dalla delibera del CSM 21 novembre 2007, par. 5, e dalla risoluzione del CSM del 10 aprile 2008 - nella delibera dell’organo di autogoverno avrebbero dovuto trovare posto quegli elementi che consentono al candidato, pur completamente privo di esperienze direttive o semidirettive, ma non posposto in assoluto, di prevalere, in termini di “attitudine direttiva”, sul candidato che ha maturato significative esperienze di coordinamento: in difetto, la scelta dell’organo di autogoverno si presta ad essere stigmatizzata per carenza di motivazione.

1.3.6. Nella specie – è ancora il giudice d’appello – «la prevalenza della dottoressa M - ritenuta preferibile per la “attitudine specifica” della medesima e per la sua conoscenza, per affinità, del contesto territoriale ed ambientale dell’ufficio direttivo da ricoprire - non viene completata con l’indicazione in relazione agli specifici indicatori delle “attitudini direttive”».

Inoltre, nel raffronto comparativo, non si tiene nel dovuto conto:

a) che, alla luce della documentazione prodotta a corredo, il dott. C “vanta una conoscenza altrettanto profonda, se non maggiore, a causa della particolare funzione svolta per il coordinamento nazionale, del territorio lavorativo, che pure riguardava il distretto di Ancona”;

b) delle importanti funzioni di collegamento e coordinamento investigativo dal medesimo svolte, e della pluralità delle esperienze professionali da lui maturate nel corso degli anni.

1.3.7. La deliberazione del Plenum non sarebbe dunque adeguatamente motivata in relazione a:

“1) importanza, prevista dalla legge, da attribuire allo svolgimento delle funzioni di coordinamento investigativo nazionale (in favore del dott. C);

2) importanza da attribuire allo svolgimento di funzioni direttive e semidirettive (in favore del C e non svolte dalla prescelta);

3) idoneità degli elementi favorevoli alla dottoressa M che, pur nel giudizio di eccellenza attribuitole, siano in grado di dimostrare le ragioni per preferirla in modo indubbio al dott. C”.

1.3.8. Invero, per quanto concerne questi ultimi elementi, la deliberazione si riferisce alle affinità tra l’ufficio di provenienza e quello di destinazione, alla sicura attitudine e all’elevato livello di professionalità e di impegno personale, anche diretto, nell’attività giurisdizionale, necessitato dalle ridotte dimensioni (dodici sostituti in organico) ed alle esigenze dell’ufficio messo a concorso.

Tuttavia, ribadisce la sentenza d’appello, «i riferimenti indiscussi e positivi spesi a favore della dottoressa M, quali quelli di “capacità operativa”, di “scrupolosa attenzione al lavoro sottopostole”, “ordine ed efficienza nell’esecuzione delle proprie incombenze”, profilo di laboriosità “inusitatamente elevato”, la “estrema cura, anche a costo di disagi personali, nel seguire i propri procedimenti di persona in tutti gli sviluppi processuali conseguenti, omettendo di gravare sui colleghi dell’ufficio, e così assicurando la continuità nella trattazione indicata dal codice di rito”, non sono sufficienti a giustificare in motivazione la prevalenza e preferenza rispetto al candidato C, considerato che quest’ultimo può godere sia delle attitudini direttive, dimostrate dall’effettivo svolgimento delle funzioni su descritte, sia di una approfondita e non minore conoscenza professionale del medesimo scenario territoriale».

2.1.1. Dopo la sentenza d’appello, il Consiglio superiore della magistratura si pronunciò nuovamente sulla nomina del procuratore della Repubblica di Ancona.

2.1.2. Il nuovo provvedimento del 26 luglio 2012 afferma, intanto, che la motivazione delle due precedenti sentenze – in particolare di quella d’appello – non preclude al C.S.M di confermare il giudizio discrezionale favorevole alla M, fondato sul “positivo riscontro di diversi e superiori profili attitudinali e di meritevolezza tali da giustificarlo”, purché differenti, evidentemente, da quelli in base ai quali era stata inizialmente affermata la sua maggiore “attitudine specifica a ricoprire un ruolo direttivo in una Procura di piccole dimensioni”.

2.2. La deliberazione annullata, secondo il Consiglio superiore della magistratura, si sarebbe fondata, da un lato, sull'ipotizzata superiore idoneità della candidata prescelta all'espletamento di un incarico che “richiede anche da parte del Procuratore lo svolgimento di attività giurisdizionale”, per la sua specifica esperienza di sostituto procuratore in uffici di modeste dimensioni;
dall'altro, sulla constatazione che la stessa M aveva operato in un “contesto territoriale ed ambientale” - la Procura della Repubblica di Bologna – “affine a quello dell'ufficio direttivo da ricoprire”.

2.3. Nulla dunque preclude al Plenum di confermare la scelta, fondandola su argomenti diversi: i “superiori profili attitudinali” della M vanno cioè ora ricercati “nella maggiore completezza e nel più accentuato rilievo del percorso professionale dalla stessa maturato, avuto riguardo agli uffici giudiziari giudicanti e inquirenti ove i due aspiranti qui in comparazione hanno operato”.

2.4.1. Invero, seguita il nuovo provvedimento, se nella comparazione si attribuisse rilievo dirimente alle esperienze svolte dal C presso la Procura nazionale antimafia, trascurando il raffronto delle precedenti esperienze, si finirebbe con il sancire quella presunzione assoluta in favore di chi ha svolto simili funzioni, che la stessa sentenza 2295/12 avrebbe espressamente escluso.

2.4.2. Ora, che la carriera del C sia stata meno varia di quella della M sarebbe attestato, innanzitutto, dal fatto che quegli, prima di passare alla D.N.A., aveva sempre operato nel distretto di Corte d'appello di Reggio Calabria, mentre la seconda ha esercitato le proprie funzioni giudiziarie presso i distretti di Trento e di Bologna;
inoltre, entrambi avevano svolto funzioni giudicanti, ma la M aveva esercitato anche quelle di sostituto procuratore presso la Pretura ed il Tribunale, ciò che non si potrebbe affermare per il C.

2.4.3. Così, secondo il Consiglio, un primo profilo di prevalenza della M si delineerebbe in relazione a tali aspetti, che denoterebbero “come più ampio risulti il bagaglio professionale” di tale candidata;
mentre i suoi “superiori profili attitudinali” sarebbero l’esito “della maggiore versatilità dimostrata dall'interessata nell'esercizio delle funzioni investigative, come attestato dall'estrema eterogeneità delle fattispecie di reato delle quali si è occupata, sempre con grande successo”: e qui ne segue l’elenco (truffa e furto aggravato, traffico di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, sequestri di persona, violenze sessuali, omicidi, reati contro la pubblica amministrazione, gravi reati di criminalità organizzata).

2.4.4. L’esperienza del C, al contrario, si concentrerebbe, seppure a un livello “elevatissimo”, nei settori “del contrasto alla criminalità organizzata di tipo mafioso e della repressione dei reati contro la pubblica amministrazione”;
ciò renderebbe la M più idonea ad assumere l'incarico direttivo presso la Procura di Ancona “che, tanto per dimensioni contenute, quanto per assenza di peculiarità sotto il profilo sia territoriale e criminale, richiede un maggiore eclettismo da parte del magistrato chiamato a guidarlo”.

3.1. Dopo il rinnovato conferimento alla M, il C ha presentato un primo ricorso per l'esecuzione della sentenza 32321/10 del T.A.R., chiedendo la declaratoria di nullità della nomina e dei provvedimenti a essa consequenziali.

Secondo il ricorrente, la deliberazione del 26 luglio 2012 avrebbe palesemente eluso le statuizioni del giudice amministrativo, contenute nelle pronunce qui in precedenza compendiate, anzitutto perché il Consiglio superiore della magistratura, rinnovando la sua valutazione, non avrebbe potuto reiterare le argomentazioni, volte a confermare la superiorità della M rispetto al C, avendo sul punto il giudice amministrativo già accertato e statuito che lo stesso C non poteva essere considerato, sotto il profilo attitudinale e di merito, di minore valore o adeguatezza rispetto alla prima.

La nuova deliberazione esalterebbe aspetti e profili curriculari di questa, comunque già considerati e che il giudice amministrativo avevano ritenuto inidonei a giustificare la prevalenza sul candidato C e la preferenza per essa espressa dal Consiglio.

3.2.1. Il T.A.R. ha accolto il ricorso per esecuzione con la sentenza 10 maggio 2013, n. 4711, rilevando, anzitutto, come il nuovo provvedimento si sarebbe sostanzialmente fondato sugli stessi elementi già impiegati nella precedente decisione, sebbene l’atto dichiari di utilizzarne di differenti: ma si tratterebbe soltanto di una diversa presentazione degli stessi elementi.

Non sarebbero stati dunque rispettati i vincoli imposti dal giudicato, sia per i profili ormai definiti, sia per quelli che avrebbero dovuto essere considerati prima di pervenire alla nuova deliberazione, indicati nelle precedenti decisioni come essenziali per poter preferire la M, contro la superiorità del C, in apparenza incontrastabile.

3.2.2. Si legge, infatti, nella sentenza 4711/13, che il nuovo provvedimento da una parte conferma l’impegno profuso e l’esperienza acquisita dalla M, che questo giudice aveva già riconosciuti, non ritenendoli però superiori a quelli del ricorrente: ma, dall’altra, quello stesso provvedimento, ancora una volta, non permette di capire quali siano le attitudini direttive della M, prevalenti su quelle del C.

3.2.3. Invero, la deliberazione del Consiglio afferma che la M è la più adatta a ricoprire un ruolo direttivo in una Procura di piccole dimensioni, e finisce così per affermare implicitamente “che le capacità e le competenze raggiunte dal C sarebbero eccessive per un ambiente minore come quello della Procura della Repubblica di Ancona”: dimenticando, tra l’altro, che si tratta di un Ufficio posto in un capoluogo di Regione, competente su di un territorio che conta poco meno di mezzo milione di abitanti.

3.2.4. In ogni caso, aggiunge la sentenza, “tutto fa comunque ragionevolmente ritenere che l’esperienza ampia e composita del C sia a fortiori confacente per trattare, nell’attività quotidiana, reati di minore allarme sociale, rispetto a quelli da lui conosciuti in precedenza”.

D’altronde, “anche nell’ambito della criminalità organizzata, notoriamente non difetta l’eterogeneità delle condotte criminose e dei conseguenti reati;
inoltre, come si è visto, con il territorio della Procura di Ancona il C mantiene da anni rapporti professionali, sì da escludere che debba ricostruire ex novo le sue cognizioni ed esperienze”.

3.2.5. Comunque, prosegue la pronuncia, le due sentenze emesse dal giudice amministrativo, di primo e secondo grado, “davano per acquisita la superiore capacità direttive del ricorrente … ed imponevano all’organo di autogoverno di ricercare nuove e convincenti ragioni per una scelta opposta a quella apparentemente scontata, in relazione ai competitori in lizza. Il Consiglio superiore della magistratura, tuttavia, non lo ha fatto, limitandosi infine a riconfermare, con la scelta precedente, anche le argomentazioni che l’avevano fondata. …Ovviamente, non si vuole certo qui affermare che un’esperienza direttiva presso la Procura nazionale antimafia imponesse senz’altro un’irretrattabile condizione di prevalenza;
ma neppure si può accettare quanto è avvenuto, e cioè che tale esperienza sia stata considerata un limite ed uno svantaggio, nel raffronto con un altro aspirante con un percorso professionale più comune e piano: logica che, se costantemente utilizzata, escluderebbe dagli incarichi direttivi tutti i magistrati che abbiano prestato servizi in grandi Uffici giudiziari con ampia specializzazione”.

3.2.6. La sentenza 10 maggio 2013, n. 4711, ha in conclusione così statuito:

«a) dichiara la mancata ottemperanza della decisione T.A.R. Lazio, I, 14 settembre 2010, n. 32321, confermata dalla sentenza C.d.S., IV, 18 aprile 2012, n. 2295, e, per l’effetto, ne ordina l’adempimento al Plenum del Consiglio superiore della magistratura entro sessanta giorni dalla comunicazione ovvero dalla notificazione della presente decisione;

b) riserva, in caso di perdurante inottemperanza, di provvedere, su ulteriore impulso di parte, alla nomina di un commissario ad acta, ovvero alla determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o all’emanazione dello stesso in luogo dell’Autorità preposta;

c) dichiara nullo, ex art. 114, IV comma, lett. b), c.p.a., il provvedimento 26 luglio 2012, con cui il Plenum ha nuovamente nominato E M nelle funzioni di procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona, che, stante la provvisoria esecutività della presente decisione, ex art. 33, II comma c.p.a., ne cessa con effetto dalla pubblicazione della presente sentenza».

3.2.7. La sentenza è stata appellata dalla sola controinteressata, ma non è stata sospesa.

4.1.1. A questo punto si è aperta una nuova fase del procedimento e, con essa, del giudizio di ottemperanza 9592/12, in cui era stata emessa la ricordata sentenza 4711/13.

4.1.2. Invero, trascorso il termine assegnato in tale decisione, il C, a partire dal 13 giugno 2013, ha notificato e quindi depositato un’istanza per la nomina del commissario ad acta, qui richiamata in epigrafe, sulla notizia che la V commissione del Consiglio superiore della magistratura, due giorni prima, aveva nuovamente proposto al Plenum di nominare E M procuratore della Repubblica di Ancona.

4.1.3. In realtà, il termine fissato dal giudice non era ancora scaduto, e l’istanza si può ritenere inammissibile, e comunque improcedibile per i successivi sviluppi.

4.1.4. Invero, il 17 luglio, il Plenum del C.S.M. deliberava:

a) di non impugnare la sentenza 4711/13;

b) di ottemperare al giudicato formatosi sulle due precedenti decisioni del giudice amministrativo;

c) di procedere, a tal fine “al riesame del conferimento dell'ufficio direttivo di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona”;

d) di rivalutare perciò “la posizione dei magistrati interessati tenendo conto dei fatti di rilievo disciplinare medio tempore intervenuti riguardanti la posizione del dott. C”.

4.1.5. Avverso tale deliberazione del Plenum il C presentò allora un ulteriore atto, notificato a partire dal 3 settembre 2013, recante una nuova istanza per la nomina del commissario ad acta, insieme a nuovi motivi aggiunti.

Tuttavia, già il precedente 15 luglio la V commissione del Consiglio superiore della magistratura aveva riproposto al Plenum il conferimento del posto alla M, con una motivazione che, peraltro, era stata depositata solo il 5 settembre 2013, al presumibile fine di evitare un palese anacronismo con la decisione assunta il 17 luglio dal Plenum che, il 18 settembre, riconfermò, come prevedibile, la candidata.

4.2.1. La motivazione della proposta, estremamente articolata, dopo aver riassunto il lungo iter processuale, ribadisce che, pur dopo la dichiarazione di nullità del provvedimento del 26 luglio 2012, c’è spazio “per una nuova attività amministrativa che, nel rispetto dei principi giuridici ivi affermati e che hanno portato a rilevare i motivi di illegittimità dell'atto … provveda nuovamente ad esercitare il potere di individuare il magistrato più idoneo ad essere nominato Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona, mediante rivalutazione dei fatti sottoposti all'esame del giudice avendo presenti le illegittimità rilevate dalla sentenza in punto di carenza di motivazione ed illogicità della scelta”.

4.2.2. E, prosegue la proposta, tali affermazioni sono ancor più valide “allorché, come nella fattispecie, siano intervenuti fatti e circostanze nuove”: e qui sono due gli elementi sopravvenuti, che la Commissione ritiene d’includere tra quelli da sottoporre ad esame.

4.2.3. Anzitutto, le vicende che avevano coinvolto il C, “nelle more del rinnovo della presente procedura, e che lo ha visto destinatario di un provvedimento disciplinare emanato dalla Sezione Disciplinare del CSM che, con ordinanza n.12 del 17 maggio 2012, lo ha trasferito di sede, di ufficio e di funzione al tribunale di Tivoli, ai sensi degli artt. 13 e 22 del d.lgs. n. 109 del 2006, in accoglimento delle richieste del Procuratore Generale presso la Corte di cassazione”, formulata quando quest’ultimo aveva comunicato, ex art. 14, III comma, d.lgs. 109/2006 di aver promosso azione disciplinare a carico dello stesso C per tre incolpazioni.

4.2.4. La nuova proposta, subito dopo, le compendia anzitutto in “fatti e comportamenti”, a partire dal 2004, “essenzialmente riconducibili ad un contesto di perduranti relazioni con un pregiudicato … risultato coinvolto nell'azione della criminalità organizzata calabrese”.

Il C sarebbe “incorso nella ripetuta violazione delle regole di organizzazione e di riparto delle competenze nell'ufficio di appartenenza … in difetto di competenza allo svolgimento di attività correlate” al distretto di Reggio Calabria.

4.2.5. L’ordinanza, la quale aveva disposto il trasferimento, avrebbe fornito – secondo la proposta qui in esame - elementi di particolare peso all'accusa, specificando che i comportamenti addebitati all’interessato rendevano “inammissibile la sua ulteriore permanenza ai vertici di un ufficio giudiziario come la direzione nazionale antimafia, cui sono attribuiti compiti di coordinamento investigativo che non ammettono zone d'ombra e impongono l'urgenza di una sua destinazione provvisoria ad altro ufficio”.

4.2.6. Il secondo elemento “sopravvenuto ed acquisito agli atti della procedura” e valutato dalla commissione nella sua rinnovata proposta, riguarda l'avvenuta iscrizione del C nel registro degli indagati presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria “per i reati di falso in atto pubblico e truffa ai danni dello Stato per avere formato ed attestato dichiarazioni non corrispondenti al vero in relazione al numero di ore di insegnamento da lui effettuate nell'espletamento dell'incarico di docenza assunto, negli anni accademici 2006 - 2007 e 2009 - 2010, presso la Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria”.

4.2.7. La proposta riproduce quindi i profili professionali dei due candidati, in base ai dati disponibili alla scadenza dei termini per la presentazione delle domande di partecipazione al concorso, e cioè il 15 ottobre 2008, considerando integrato quella del C “sulla base dei dati emersi e sopravvenuti … come sopra riportati”.

4.3.1. Segue a questo punto la parte centrale della proposta, e cioè la rinnovata comparazione tra i due candidati.

La M, anzitutto, sarebbe più idonea “trattandosi di essere assegnata ad un Ufficio, di non rilevanti dimensioni, rispetto al quale il Consiglio ritiene dirimente che la stessa, al contrario del dott. C, da oltre sedici anni ha continuativamente svolto esercizio effettivo di funzioni di investigazione diretta”, con la direzione ed il coordinamento della polizia giudiziaria;
mentre l'attività del C “indubbiamente rilevante, si è svolta però negli ultimi 7 anni circa al momento della vacanza del posto, in funzioni di coordinamento investigativo ma non già di effettivo svolgimento delle stesse”: e si tratterebbe di “un dato di merito, oggettivo e sottratto al sindacato”.

4.3.2. Inoltre, la prevalenza della M deriverebbe dal fatto che il coordinamento investigativo svolto dal C, quale indicatore oggettivo della sua attitudine direttiva, sarebbe “ovviamente ‘appannato’ - almeno allo stato - a causa delle circostanze di fatto sopra enunciate”, conosciute dal C.S.M. dopo il termine per la partecipazione al concorso in esame, “ma relative almeno parzialmente a condotte realizzatesi in tempi antecedenti alla data di scadenza del termine indicato per la presentazione della domanda, e di cui quindi può e deve tenersi conto in questa sede di riesame del potere di nomina”.

4.3.3. Invero, secondo quanto dispone l’art. 12 del d. lgs. 160/06, già citato al § 1, la valutazione dell’attività di coordinamento investigativo nazionale deve tener conto dei risultati conseguiti: e assumerebbe “valenza non positiva la circostanza (acclarata dal giudicato disciplinare cautelare e riscontrata anche agli atti della Prima Commissione del Consiglio al termine della istruttoria compiuta nella procedura di trasferimento di ufficio poi paralizzata dall'avvio dell'azione disciplinare)” che l’odierno ricorrente avesse tenuto comportamenti, in contrasto con le direttive del suo dirigente, sulla necessità che eventuali contatti con esponenti del SISMI, anche per la cattura di latitanti, avvenissero esclusivamente attraverso contatti del procuratore nazionale antimafia, “e non di singoli sostituti (fatti risalenti tutti ad anni antecedenti al 2008 data di avvio della procedura concorsuale)”.

4.3.4. Egualmente negativa sarebbe poi “la pacifica frequentazione da parte del dott. C di L G L … che, comunque, al di là dei suoi precedenti penali è percepito dalla collettività come appartenente alla criminalità organizzata”: tutti elementi “che si pongono gravemente in contrasto proprio con il ruolo centrale dell'attività devoluta alla Procura Nazionale Antimafia che si nutre del coordinamento e non può ‘sopportare’ che esso sia posto in dubbio proprio all'interno del suo Ufficio”.

4.3.5. È poi emersa (come già esposto in questa sentenza sub 4.2.6.), la contestazione al C di reati, non connessi alla sua funzione giudiziaria, “posti in essere anche nell'anno accademico 2006 - 2007 epoca in cui non era ancora stata avviata la procedura concorsuale in esame”.

4.4.1 Sarebbero insomma presenti “dati ed elementi conoscitivi sopravvenuti che non consentono di dare ottemperanza alla sentenza favorevole al dott. C” giacché, nella comparazione con la M, il buon profilo complessivo del primo “non è in grado di neutralizzare le complessive perplessità della Commissione sul pieno possesso da parte dello stesso dei pre-requisiti e requisiti attitudinali il cui possesso è richiesto da parte di chi aspira a dirigere un Ufficio di Procura”.

4.4.2. In particolare, precisa la commissione, la valutazione di prevalenza compiuta è supportata da un ragionamento che, opportunamente, differenzia le funzioni di coordinamento investigativo demandate alla Procura Nazionale Antimafia, dalla concreta attività di indagine che non può né deve essere svolta dai sostituti Procuratori Antimafia se non nei limiti di una eventuale applicazione.

4.4.3. Invero, prosegue il provvedimento, “sia il giudice della cognizione (in verità non tanto Tar Lazio n. 32321/ 2010 quanto Cons. Stato n.2295 del 2012) sia quello di ottemperanza”, hanno sottovalutato la differenza tra le funzioni della Procura nazionale antimafia e quelle della Procura della Repubblica.

Viceversa, la prima è rivolta al coordinamento investigativo (art. 371-bis cod. proc. pen.) e non alla conduzione diretta di indagini: e la prevalenza della M è desunta “con apprezzamento di merito, non illogico né irrazionale, dalla circostanza che la stessa non si è mai distaccata dalla concreta attività investigativa che è devoluta nel nostro ordinamento alle Procure circondariali e che richiede una ‘consuetudine’ di carattere organizzativo più specifica rispetto a chi negli ultimi anni ha svolto unicamente attività di coordinamento investigativo a livello nazionale”.

4.4.4. Inoltre, la circostanza che la M abbia esercitato le proprie funzioni presso una Procura della Repubblica sede di Direzione distrettuale antimafia, “‘neutralizza’ l’assunta maggiore competenza ed idoneità del dott. C nei reati connessi alla criminalità organizzata in quanto anche essa è in possesso dell'indicatore oggettivo del coordinamento investigativo, avendo rappresentato l'ufficio nei rapporti con la Direzione nazionale antimafia, ottenendo apprezzamenti dai magistrati di detto ufficio per l'attività di coordinamento svolta”.

4.5.1. Così, secondo la commissione, la M “si pone almeno in una posizione di equivalenza rispetto al dott. C in un giudizio complessivo di tipo attitudinale specifico fondato sugli indicatori oggettivi con successiva preferenza, su quest'ultimo, per la maggiore anzianità”.

4.5.2. Tuttavia, nel rinnovato riesame, il giudizio di prevalenza della M viene ribadito dalla commissione “alla luce dei fatti sopravvenuti” – già più volte considerati – i quali “assumono diretta rilevanza nella valutazione dei risultati conseguiti dal C”, nell’esercizio delle funzioni di coordinamento che lo vedrebbero dotato di maggiore capacità direttiva.

4.5.3. In altre parole, “i fatti accertati, e in parte ammessi” dallo stesso interessato (il rinvio è all’ordinanza della sezione disciplinare n. 12 del 2012), avrebbero evidenziato la “reiterata e grave inosservanza delle norme regolamentari e delle disposizioni sul servizio giudiziario proprio della Direzione nazionale antimafia”, da parte dell’interessato: una carenza “proprio nel coordinamento nell’ufficio e tra gli uffici e nel rispetto dei programmi organizzativi dell'ufficio requirente”.

4.5.4. Infine, la condotta del C nello svolgimento del suo incarico di docenza universitaria, verrebbe a incidere pesantemente anche su un prerequisito, rispetto agli indicatori oggettivi, “richiesto a chi aspira a dirigere un ufficio giudiziario al quale si richiede di essere circondato da stima e prestigio all'interno ed all'esterno degli uffici giudiziari”.

4.5.5. Da ciò la Commissione, riesaminati i profili dei due candidati, anche in relazione ai risultati “dell'attività espletata nell'ambito delle funzioni di coordinamento investigativo nazionale ed alla luce dei citati elementi sopravvenuti a carico della posizione del dott. C”, è giunta a concludere che “soprattutto questi ultimi si rivelano dirimenti nella scelta del candidato più idoneo ad assumere le funzioni di Procuratore della Repubblica di Ancona”.

5.1. Avverso la proposta della commissione e la deliberazione del Plenum del 18 settembre 2013 che l’ha accolta, e nuovamente avverso la deliberazione del precedente 17 luglio, sempre del Plenum (quella che aveva stabilito di considerare i fatti di rilievo disciplinare medio tempore intervenuti, riguardanti il C: sopra § 4.1.4.), sono stati proposti gli ulteriori motivi aggiunti, che verranno di seguito illustrati, eventualmente integrandoli, ove occorra, con il contenuto del primo ricorso per motivi aggiunti.

5.2.1. Conviene così muovere dalla seconda censura, compendiata nella violazione e falsa applicazione degli artt. 112, III comma, del d. lgs. 104/10 e 21 septies della legge 241/90;
nell’eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche e, in particolare, nel difetto di motivazione, travisamento dei fatti, falsità dei presupposti, contraddittorietà ed illogicità manifesta, violazione dei principi di lealtà, trasparenza ed imparzialità;
violazione degli artt. 3 e 97 Cost., dell'art.20 del Trattato sull'Unione europea, della Convenzione dei diritti dell'uomo, difetto di istruttoria, sviamento;
illegittimità derivata dall'illegittimità' della delibera del 17 luglio 2013.

5.2.2. Il ricorrente rammenta, anzitutto, come incomba sul Consiglio superiore della magistratura – come su ogni altra Amministrazione – l’obbligo di dare esecuzione ai provvedimenti del giudice, in un'ottica di leale ed imparziale esercizio del munus pubblico ed in attuazione dei principi costituzionali sanciti dalle disposizioni appena citate.

5.2.3. Nel caso, la condotta del CSM contrasterebbe con tali principi, ché l’Amministrazione avrebbe agito in violazione delle legittime pretese del C, anzitutto perché il Plenum del 17 luglio 2013 aveva stabilito che, nel giudizio, si sarebbero potuti considerare i “fatti sopravvenuti” a lui relativi: e, cioè, un procedimento disciplinare avviato nei suoi confronti, per una prima vicenda, e l’iscrizione nel registro degli indagati, per un’altra.

Si sarebbe così approntata, secondo il ricorrente, una norma speciale contra personam, in deroga a tutte le circolari vigenti, le quali precludono all'organo di autogoverno di prendere in considerazione i “fatti sopravvenuti”: e si tratterebbe, inoltre, di una norma adottata a sanatoria della precedente proposta della V commissione, e quindi in palese violazione dell'ordine procedimentale prescritto dal regolamento interno del C.S.M. (art.13 — 43) sulla formazione delle delibere delle commissioni e del Plenum.

5.2.4. Inoltre, sia la proposta della commissione del 15 luglio, sia la deliberazione del 18 settembre, sarebbero viziate da eccesso di potere giacché costituiscono “meri, illegittimi espedienti dilatori e in palese contrasto con le statuizioni (passate in giudicato) del G.A.” e sarebbero inoltre derivatamente viziate per illegittimità della decisione assunta dal Plenum il 17 luglio.

5.2.5. Invero, in tale ultimo provvedimento, il CSM, dopo aver rilevato che il C era ancora sottoposto a un procedimento disciplinare, afferma come “di tali aspetti, ad oggi non considerati dall'organo di autogoverno fino alla emanazione della delibera del 26/12/2012 - di nuova nomina della Dott.ssa M - è opportuno tener conto nella valutazione del profilo del Dott. C in comparazione con quella della controinteressata”.

5.2.6. La valutazione comparativa sarebbe stata effettuata “ora per allora con riferimento alla originaria situazione concorsuale”, ma era altresì “ovvio che dei superiori aspetti di rilievo disciplinare, nel frattempo conosciuti dall'organo di autogoverno, non si può non tenere conto della considerazione del profilo del Dott. C”.

5.3.1. Orbene, secondo il ricorrente:

- anzitutto era precluso al CSM considerare qualsiasi “fatto sopravvenuto” dalla data in cui, alla fine del 2008, erano spirati i termini per la presentazione della domanda per il posto in questione;

- ancora, al 26 luglio 2012, quando la M era stata confermata per la prima volta nell’ufficio (sopra, sub 2.1.) i fatti di rilievo disciplinare si dovevano ritenere comunque conoscibili dal Consiglio, la cui Sezione disciplinare aveva trasferito cautelarmente il C sin dal 17 maggio precedente;

- comunque, il procedimento disciplinare si trova tuttora in fase d’indagini presso la Procura generale, e non esiste pertanto “alcuna possibilità per il CSM di prendere in esame, incidenter tantum, fatti ancora sub indice”;

- per gli stessi fatti, per la parte che prefigurava una presunta corruzione giudiziaria, nel novembre 2012 è stata disposta l'archiviazione: e se si aggiungono le dichiarazioni di collaboranti e testimoni “circa l'esistenza di abusi, forzature, illegittimità perpetrate nel corso delle indagini penali sulla base delle quali era stata predisposta la sanzione disciplinare, il quadro è tale che avrebbe dovuto indurre il CSM ad estrema cautela”, nel valorizzare il procedimento disciplinare.

5.3.2. Ancora, secondo parte ricorrente, la deliberazione del 17 luglio 2013 contrasta con la giurisprudenza per cui l'Amministrazione, riesercitando i propri poteri, dopo l’annullamento del provvedimento impugnato, non può procedere a una deduzione frazionata degli elementi che possano giustificare una conferma dell'atto amministrativo annullato.

5.3.3. Essa, oltre a doversi uniformare alle indicazioni rese dal giudice, deve esaminare la situazione controversa nel complesso, valutando tutti i profili comunque rilevanti per provvedere;
non può poi tornare a decidere sfavorevolmente, neppure in relazione a profili mai esaminati, “allo scopo di evitare che la realizzazione dell'interesse sostanziale del ricorrente possa essere frustrata dall'artata reiterazione ad libitum di provvedimenti sfavorevoli, basati su sempre nuovi e inediti supporti motivazionali”.

5.3.4. In specie, alla data del 26 luglio 2012, riesercitando per la prima volta il potere, il Plenum non ha minimamente considerato rilevanti, sebbene noti, i fatti disciplinari del C nella conferma della M.

5.3.5. È poi intervenuta la sentenza n. 4711/13, la quale avrebbe “del tutto esaurito, i margini di discrezionalità del CSM”, per cui, a maggior ragione, “è illegittima la deliberazione assunta il 17 luglio 2013 dal CSM, ossia la decisione di ostacolare la nomina del dr. C … introducendo un nuovo elemento di valutazione”, peraltro senza giustificato fondamento, e la cui finalità elusiva sarebbe evidente.

5.3.6. Andrebbe in conclusione dichiarata la nullità ex art.114, IV comma, lett. b) c.p.a., per ulteriore violazione ed elusione del giudicato, della delibera del CSM del 17 luglio 2013;
nulle andrebbero dichiarate, anche per illegittimità derivata, le due delibere del 15 luglio 2013 e del 18 settembre 2013.

5.4.1. I tre atti in esame sarebbero poi nulli o illegittimi anche per violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 12 del d.lgs. 109/2006;
delle circolari 3 agosto 2010, n. p. 19244 e 22 giugno 2005, n. p-14757;
dell’art. 40 del regolamento interno del Consiglio superiore della magistratura;
nonché per eccesso di potere, violazione del principio del contraddittorio e sviamento.

5.4.2. Invero, la circolare del 3 agosto 2010 n. P. 19244, al punto 4.2., lett. g) stabilisce che il CSM può tenere conto di qualsiasi fatto ritenuto rilevante, risultante da atti del Consiglio o nella sua disponibilità, “purché, in relazione allo stesso, sia stata garantita al magistrato interessato la possibilità di contraddittorio”, mentre ciò non sarebbe qui accaduto per i fatti disciplinari, per i quali non è stata data al C alcuna possibilità di utili apporti procedimentali.

5.4.3. Ancora, secondo il citato art. 40, i fascicoli concernenti procedimenti disciplinari possono essere consultati dai consiglieri solo quando l’istruttoria è chiusa, ciò che non era qui avvenuto: e nonostante ciò, la V commissione prima, e il Plenum poi, hanno potuto invalidamente esaminare quello riguardante il C, utilizzandone poi i contenuti come “fatti sopravvenuti”.

5.4.4. In ogni caso, le delibere impugnate non osserverebbero i principi di legalità, ragionevolezza e proporzionalità, che devono guidare l'attività amministrativa ai sensi dell'art. 97 della Costituzione e delle corrispondenti norme del Trattato Europeo e della Convenzione di Strasburgo: i provvedimenti, cioè, applicherebbero trasversalmente al C “una sanzione (la perdita dell'incarico direttivo di procuratore della Repubblica di Ancona) che non potrà mai essergli applicata neppure a conclusione del procedimento disciplinare ancora in corso d'istruttoria innanzi alla Procura Generale della Cassazione”.

5.4.5. Invero, se nel 2009 il ricorrente fosse stato nominato nell’incarico, questo non avrebbe potuto essergli in seguito revocato, giacché nessuno dei fatti disciplinari contestati lo consentirebbe.

Inoltre, ai sensi del punto 4.2, del testo unico sulla dirigenza giudiziaria, relativo al conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi (circolare n. P. 19244 del 3 agosto 2010), si prevede che le condanne disciplinari di regola sono preclusive del conferimento dell'ufficio quando è inflitta la sanzione della perdita dell'anzianità, oppure nell'ipotesi di condanna alla censura per fatti commessi nell'ultimo decennio: non era dunque sufficiente, come invece nella deliberazione del 18 settembre 2013, fare riferimento a indistinti e generici “fatti disciplinari”, anziché a provvedimenti sanzionatori definitivi.

5.4.6. Così, i tre provvedimenti gravati, costituirebbero “una vera e propria lex specialis approvata dal Plenum del CSM al solo fine di ostacolare l'esecuzione del giudicato cui non si intende prestare ottemperanza in violazione del principio di uguaglianza, ex art. 3 Cost. e art. 20 Trattato Unione Europea”.

5.4.7. Ancora, ricorda il C come il provvedimento del 18 settembre 2013 affermi di aver avuto solo una sopravvenuta conoscenza di alcune vicende di rilievo penale che riguardano l’odierno ricorrente.

Ora, secondo le norme interne (circolare n. 13682 del 5 ottobre 1995), l’autorità giudiziaria deve trasmettere immediatamente anche al Consiglio superiore della magistratura notizia dei fatti in ordine ai quali è iniziata indagine preliminare nei confronti di un magistrato: per i reati in questione l'iscrizione a carico del dr. C era stata effettuata in data 26 giugno 2012, per cui “il CSM alla data del 26 luglio 2012 era perfettamente edotto anche di tale circostanza di cui si intende oggi avvalere”.

5.4.8. Inoltre, secondo il ricorrente, le deliberazioni sarebbero ancora viziate perché le circolari sopra menzionate “assegnano valenza ai soli precedenti penali e, quindi, assiomaticamente non può conferirsi alcun valore ad un mero avviso di conclusione delle indagini ex art.415 bis c.p.p.”.

5.4.9. Per di più, il C.S.M. avrebbe totalmente omesso di dar conto del parere per la VI valutazione di professionalità, redatto dal capo dell'ufficio del dr. C il 2 aprile 2012, quando cioè tutti i termini della vicenda erano noti da oltre un anno.

Tale parere, per i profili d’immediato rilievo, utilizza, infatti, la locuzione “nulla da rilevare”;
un giudizio favorevole sarebbe stato poi espresso dallo stesso dirigente anche durante una successiva audizione.

6.1.1. Nel quarto motivo le stesse tre delibere sono censurate per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 comma 3 del d.lgs.104/2010 e 21-septies della legge 241/90;
violazione degli artt.10 e 12 del d.lgs. 160/2006;
eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche ed, in particolare, difetto di motivazione, travisamento dei fatti, falsità dei presupposti, contraddittorietà ed illogicità manifesta, violazione dei principi di lealtà, trasparenza ed imparzialità;
violazione dell'art. 97 della Cost. e della Convenzione dei diritti dell'uomo, difetto di istruttoria, sviamento.

6.1.2. Invero, passando alle ragioni del nuovo diniego, la proposta della V Commissione rileva, intanto, come la sentenza 9592/2013 di questa Sezione abbia certamente errato su di un punto, poiché, diversamente, da quanto la stessa sostiene, non sussiste alcuna omologazione o parificazione tra finzioni semidirettive o direttive e funzioni di coordinamento investigativo se non con riferimento al procuratore nazionale antimafia.

L'attività di coordinamento investigativo nazionale costituirebbe una funzione requirente e non una funzione direttiva o semidirettiva: non sussiste un’espressa omologazione legislativa tra la funzione direttiva e quella di coordinamento investigativo nazionale, ma è solo prevista, per essa, una valutazione specifica, nel caso di conferimento delle finzioni requirenti semidirettive o direttive “potendo essa costituire una esperienza significativa per il suo possibile valore prognostico di idoneità direttiva”.

6.1.3. Ebbene, il ricorrente non nega la correttezza di tali affermazioni: esclude, tuttavia, che le tre decisioni del T.A.R. – le prime due, comunque, coperte da giudicato – affermino qualcosa di diverso.

6.2.1. Secondo l’art. 12 del d. lgs. 160/06, le funzioni di coordinamento nazionale, a suo tempo affidate al C, possono essere attribuite soltanto al magistrato che abbia positivamente superato la quarta valutazione di professionalità;
viceversa, il posto di procuratore della Repubblica di Ancona – per le dimensioni dell’ufficio - richiede soltanto il superamento della terza valutazione di professionalità.

Invero, solo in relazione a tali previsioni il giudice d’appello aveva individuato un’equiparazione tra le funzioni svolte dal C, e quelle cui egli aspirava;
e, comunque, avverso l’ipotetico errore commesso dal Consiglio di Stato non era stato attivato il rimedio del ricorso per revocazione, ex art.106 c.p.a., presumibilmente perché la stessa Amministrazione aveva ben compreso il reale significato del capo di motivazione.

6.2.2. Per vero, dalla lettura del provvedimento del 18 settembre 2013, emergerebbe come il Plenum per tre volte (2009, 2012, 2013) abbia equiparato le funzioni di coordinamento svolte dal C, con quelle di coordinamento investigativo svolte dalla M, quale sostituto procuratore: e ciò, sostiene il ricorrente, “per tentare di proporre un raffronto, inammissibile e precluso dal giudicato, tra la carriera della dr. M e quella del dr. C”.

6.2.3. La decisione di scegliere nuovamente la M è insomma viziata da contraddittorietà, illogicità e disparità di trattamento, poiché contrasta con i precedenti deliberati consiliari, i quali avevano reiteratamente affermato “la netta prevalenza delle funzioni di coordinamento investigativo nazionale rispetto agli altri elementi di valutazione”: e qui il ricorso cita svariate decisione del Plenum (27 giugno 2007;
24 gennaio 2008;
18 marzo 2009;
30 aprile 2009, e numerose altre), in cui si è attribuita prevalenza alle funzioni di coordinamento per il conferimento delle funzioni direttive.

6.2.4. In realtà, ribadisce il ricorrente, la commissione, nella sua proposta del luglio 2013, compara i due curricula, e ritiene prevalente la M senza un’adeguata motivazione.

Ancora una volta, trattandosi dell’assegnazione “ad un Ufficio, di non rilevanti dimensioni … il Consiglio ritiene dirimente che la stessa [M], al contrario del dott. C, da oltre sedici anni ha continuativamente svolto esercizio effettivo di funzioni di investigazione diretta mentre l'attività del dott. C, indubbiamente rilevante, si è svolta però negli ultimi 7 anni circa al momento della vacanza del posto, in funzioni di coordinamento investigativo ma non già di effettivo svolgimento delle stesse”: il coordinamento diretto delle forze di polizia giudiziaria nel corso delle indagini, spettante alla M, ma non al C, costituirebbe dunque “uno specifico indicatore oggettivo” della preferenza.

6.2.5. Tuttavia, secondo il ricorrente, si tratterebbe di argomenti già ritenuti inidonei dalle precedenti decisioni del giudice amministrativo: per cui, ancora una volta il C.S.M. non sarebbe riuscito a motivare adeguatamente la prevalenza del profilo curriculare della dott.ssa M, per cui anche l’ultima delibera del Plenum sarebbe in evidente contrasto con il giudicato formatosi sul punto e anche perciò deve essere dichiarata nulla.

6.2.6. La proposta della V commissione del 15 luglio 2013 e la deliberazione del Plenum del 18 settembre 2013 richiamano le vicende disciplinari del ricorrente, incorrendo, secondo quanto questi afferma, in gravi travisamenti nei fatti, ricostruiti solo parzialmente e strumentalmente inseriti nei provvedimenti impugnati: e il C oppone, per alcuni profili, la propria ricostruzione della vicenda.”

Così ricostruiti i termini procedimentali e processuali della vicenda e costituitisi in giudizio sia E M che il Ministero della giustizia e il Consiglio superiore della Magistratura, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R., soffermandosi sulla questione principale dell’elusione del previo giudicato, riteneva fondate le censure proposte e, con un dispositivo articolato, provvedeva accogliendo il ricorso per ottemperanza in epigrafe e, per l’effetto:

1) dichiarava nulli e comunque inefficaci: a) la deliberazione 18 settembre 2013 del Plenum del Consiglio superiore della magistratura, con cui era stato nuovamente conferito ad E M l’Ufficio di procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona;
b) le presupposte deliberazioni 15 luglio 2013 della V commissione, e 17 luglio 2013 del Plenum del Consiglio superiore della magistratura;
c) il decreto del Ministro della giustizia, con cui è stata adottato, in conformità alla deliberazione sub a, il provvedimento di nomina della dott. ssa M;

2) disponeva e comunque accertava che, dal giorno seguente alla data di pubblicazione della presente decisione, E M cessa dalle funzioni e dall’ufficio di procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona;

3) nominava un commissario ad acta, nei termini e nelle forme specificate in motivazione, affinché rinnovi la scelta del procuratore della Repubblica di Ancona, in luogo e con i poteri del Consiglio superiore della magistratura.

Impugnando la sentenza e contestando le statuizioni del primo giudice, E M evidenzia ora l’errata ricostruzione in fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo le proprie difese in prime cure come motivo di appello.

Nel giudizio di appello, si è costituita l’Avvocatura dello Stato per il Ministero della giustizia e il Consiglio superiore della Magistratura, in via adesiva alla posizione dell’appellante, nonché A C chiedendo invece di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

Per altro verso, la stessa sentenza veniva impugnata l’Avvocatura dello Stato per conto del Ministero della giustizia e del Consiglio superiore della Magistratura con ricorso n. 5245 del 2014, dove parimenti si costituiva in posizione avversa A C.

L’esecuzione della sentenza veniva sospesa, dapprima con decreto presidenziale n. 2559 del 16 giugno 2014 (la cui istanza di revoca veniva successivamente respinta con decreto presidenziale n. 2664 del 19 giugno 2014), e poi con ordinanza n. 3023, data all’udienza del giorno 8 luglio 2014, provvedimenti emessi tutti nell’ambito del giudizio iscritto al n. 4928/2014.

Alla stessa udienza, veniva parimenti accolta, con ordinanza n. 3025, l’istanza cautelare proposta nell’altro ricorso, iscritto al n. 5245/2014.

Le due ordinanze disponevano parimenti la fissazione dell’udienza pubblica per la trattazione del merito alla data del 2 dicembre 2014. In quella data, i due ricorsi venivano congiuntamente discussi e assunti in decisione.

DIRITTO

1. - In via preliminare ed a norma dell’art. 96 comma 1 del codice del processo amministrativo, va disposta la riunione dei diversi appelli, in quanto proposti contro la stessa sentenza.

2. - Gli appelli riuniti non sono fondati e vanno respinti per i motivi di seguito precisati.

3. - Con il primo motivo di ricorso, la difesa privata appellante lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui non è stata accolta l’eccezione d’inammissibilità del ricorso. Nel dettaglio, viene evidenziato che, trattandosi di un nuovo esercizio del potere susseguente all’annullamento, si sarebbe dovuto proporre un nuovo ricorso di legittimità.

3.1. - La censura non ha pregio.

Il primo giudice, nel superare l’eccezione d’inammissibilità, si è attenuto strettamente e correttamente all’elaborazione della giurisprudenza in tema di rapporto tra azione di annullamento e di ottemperanza. In particolare, il T.A.R. ha espressamente richiamato gli insegnamenti di questo Consiglio di Stato (ad. plen., 15 gennaio 2013 n. 2) in merito alla diversa priorità tra i due giudizi nei casi di nuovo esercizio del potere susseguente all’annullamento del provvedimento.

La decisione adottata, quindi, è esattamente in linea con quanto indicato nella decisione a riferimento, evidenziando come le diverse questioni gravitanti intorno al tema in esame, e quindi la necessità di conferire adeguata effettività alle sentenze del giudice amministrativo, di contenere in tempi ragionevoli la risposta giurisdizionale e di evitare inutili duplicazioni di accesso alla tutela giurisdizionale stessa, hanno portato ad evidenziare un principio di priorità del giudizio di ottemperanza.

È quindi del tutto coerente con il detto impianto che al fine di consentire l’unitarietà di trattazione di tutte le censure svolte dall’interessato a fronte della riedizione del potere, conseguente ad un giudicato, le doglianze relative vengano dedotte davanti al giudice dell’ottemperanza, sia in quanto questi è il giudice naturale dell’esecuzione della sentenza, sia in quanto egli è il giudice competente per l’esame della forma di più grave patologia dell’atto, quale è la nullità.

Ed è del pari coerente che sia compito del giudice dell’ottemperanza individuare l’esatta natura del provvedimento e quindi dichiarandone la nullità, qualora ritenga che il nuovo provvedimento emanato dall’amministrazione costituisca violazione ovvero elusione del giudicato, oppure disponendo la conversione dell’azione per la riassunzione del giudizio innanzi al giudice competente per la cognizione, qualora viceversa ritenga l’atto autonomamente impugnabile.

In ogni caso, la concentrazione delle domande dinanzi ad un unico giudice impedisce di dare spazio alla censura di inammissibilità, che si dimostra quindi del tutto infondata.

4. - Con il secondo motivo di ricorso, viene lamentato, sempre dalla difesa privata appellante, l’infondatezza, contraddittorietà e carenza di motivazione della sentenza nella parte in cui ha escluso il carattere di novità degli elementi sopravvenuti e considerati dal C.S.M. nella delibera impugnata. In particolare, tale omissione riguarderebbe non solo i due elementi considerati, dati dalle pendenze disciplinari e penali della parte appellata, ma anche quelli omessi, quali l’intervenuto deposito della sentenza delle Sezioni unite della Cassazione, con cui è stato respinto il ricorso avverso il provvedimento disciplinare di trasferimento disposto riguardo il C e il deposito dell’avviso di conclusione indagini, ex art. 415 c.p.p., contro lo stesso appellato.

Le stesse ragioni sono poi più ampiamente discusse con il terzo motivo di ricorso, in relazione alle vicende disciplinari del C, e con il quarto motivo di ricorso, riguardante le fattispecie penali.

In linea con le argomentazioni della difesa privata, le stesse doglianze, sulla rilevanza delle vicende solo successivamente valutate, sono oggetto anche del primo motivo di ricorso della difesa erariale che può essere contestualmente trattato.

4.1. - I quattro motivi possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto tutti infondati.

Osserva la Sezione come il tema delle sopravvenienze nel corso del procedimento amministrativo, istituzionalmente concluso in un arco temporale delimitato, e la questione del raccordo con le attribuzioni dell’amministrazione, la cui natura permanente ed inesauribile contempla in ipotesi anche la plurima riedizione del potere amministrativo, siano stati oggetto di notevole attenzione da parte della giurisprudenza amministrativa, tesa a trovare un punto di equilibrio tra le posizioni della parte pubblica e di quella privata.

L’attuale punto di approdo (dato dalla sentenza del Consiglio di Stato, ad. Plen., 15 gennaio 2013 n. 2 che, esplicitamente, si propone di risolvere “questioni che attengono, in primo luogo, all’esigenza di conferire adeguata effettività alle sentenze del giudice amministrativo e, al contempo, alla necessità, da un lato, di contenere in tempi ragionevoli la risposta giurisdizionale e, dall’altro, di evitare inutili duplicazioni di accesso alla tutela giurisdizionale stessa”) è frutto di un processo di concentrazione della tutela davanti al giudice dell’ottemperanza (le cui linee fondanti erano state già individuate da Consiglio di Stato, sez. IV, 16 luglio 2012 n. 4133), a sua volta esito di una progressiva disamina della pluralità di tematiche ivi convergenti, condotta tenendo presente la particolarità del giudizio amministrativo, in rapporto non solo con le disposizioni del processo civile, ma anche con le esperienze di altre giurisdizioni europee (per questo profilo, Consiglio di Stato, sez. IV, 18 aprile 2013 n. 2183).

L’evocata decisione dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato (15 gennaio 2013, n. 2) proprio sul tema qui dedotto ha affermato che l’esigenza di certezza, propria del giudicato, ossia di un assetto consolidato degli interessi coinvolti, non consente all’Amministrazione, quando essa rinnova il potere, di riconsiderare secondo una nuova prospettazione, situazioni che, esplicitamente o implicitamente, hanno formato oggetto di esame da parte del giudice.

Si tratta di una conclusione in linea con orientamenti consolidati di questo Consiglio che affermano come occorra che la controversia fra l’amministrazione e l’amministrato trovi ad un certo punto una soluzione definitiva. Dunque occorre impedire che l’amministrazione proceda più volte all’emanazione di nuovi atti, in tutto conformi alle statuizioni del giudicato, ma egualmente sfavorevoli al ricorrente, in quanto fondati su aspetti sempre nuovi del rapporto, non toccati dal giudicato e il punto di equilibrio va determinato imponendo all’amministrazione – dopo un giudicato di annullamento da cui derivi il dovere o la facoltà di provvedere di nuovo – di esaminare l’affare nella sua interezza, sollevando, una volta per tutte, tutte le questioni che ritenga rilevanti, dopo di ciò non potendo tornare a decidere sfavorevolmente neppure in relazione a profili non ancora esaminati (ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 6 febbraio 1999 n. 134;
id., sez. IV, 5 agosto 2003, n. 4539;
id., sez. VI, 9 febbraio 2010, n. 633;
id., sez. IV, 12 giugno 2013 n. 3259;
id. sez. IV, 6 ottobre 2014 n. 4987).

Fondamentalmente, quello che afferma la giurisprudenza è che non possono porsi a carico del privato gli errori e le omissioni della fase istruttoria, che spetta all’amministrazione e che si connota per il dovere di completezza dell’acquisizione di fatti ed interessi (dovere ora positivamente previsto dall’art. 6 della legge n. 241 del 1990). Quindi l’amministrazione non può strumentalmente servirsi delle proprie attribuzioni di carattere generale per porre rimedio alle carenze procedimentali del caso specifico, carenze provocate da fatti imputabili ad essa stessa.

Travasando le dette argomentazioni nella fattispecie in esame, non può non notarsi come il tema della comparazione tra i pretendenti all’incarico direttivo di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona sia stato svolto dal C.S.M. in almeno due diverse occasioni, una prima volta, con la delibera del 16 settembre 2009, annullata dal T.A.R. del Lazio con sentenza 14 settembre 2010 n. 32321, confermata in appello, e una seconda volta, con delibera del 26 luglio 2012, anch’essa annullata dal T.A.R. del Lazio con la sentenza 10 maggio 2013 n. 4711.

Questo evidenzia come il punto di equilibrio tra potere pubblico e aspettativa privata sopra tracciato sia stato già raggiunto e come qualsiasi ulteriore considerazione di fatti diversi o sopravvenuti faccia spostare l’indice verso una inammissibile superiorità dell’amministrazione, nonostante che questa abbia in concreto violato gli obblighi positivamente previsti a suo carico. In questo senso, qualsiasi valutazione di elementi non considerati, siano essi pregressi e non previamente risaltanti o successivi e non conferenti, appare comunque in violazione dei limiti del doppio annullamento intervenuto.

Questo non significa che i fatti sopravvenuti non abbiano una loro rilevanza. In molti casi, infatti, gli eventi sopravvenuti possono addirittura escludere in radice la possibilità di attribuire al privato l’utilità sperata, tuttavia la sede della loro considerazione non è quella del procedimento già concluso e doppiamente valutato dal giudice amministrativo, ma quella di un eventuale nuovo e diverso iter, fondato su presupposti o modalità autonome.

Pertanto, non può criticarsi la sentenza del primo giudice per non aver tenuto in considerazione gli eventi indicati dalla parte. Anzi, il primo giudice, andando anche a valutare i contenuti concreti di tali elementi sopravvenuti, senza escluderne a priori la rilevanza, ha usato uno strumento più attento e meno tranciante rispetto a quello indicato dalla giurisprudenza appena indicata.

Ad ogni modo, va condivisa la valutazione del T.A.R. quando afferma che anche il nuovo provvedimento manca di quegli elementi integrativi, i quali avrebbero dovuto spiegare la prevalenza della M sul C, mentre invece si è semplicemente riproposto, con minime variazioni di forma o specificazioni sui maggiori meriti ed attitudini, lo stesso sviluppo concettuale che aveva caratterizzato le precedenti due delibere, già oggetto di annullamento.

Per altro verso, le due vicende indicate come elementi nuovi e come tali utilizzate a fondamento della delibera oggi in esame, ossia quella attinente a comportamenti disciplinarmente rilevanti tenuti dal C mentre egli operava presso la Procura nazionale antimafia e quella concernente l’iscrizione nel registro degli indagati per irregolarità in un’attività didattica, erano del tutto conoscibili dall’organo di autogoverno anche prima della deliberazione del 26 luglio 2012, la seconda che aveva nuovamente preferito la controinteressata, poi annullata dal T.A.R. con sentenza 10 maggio 2013, n. 4711. Ciò in quanto si tratta, da un lato, di fatto evincibile dall’ordinanza della Sezione disciplinare del 17 maggio 2012 dello stesso organo di autogoverno e, dall’altro, di una iscrizione nel registro degli indagati in data 26 giugno 2012, in relazione al quale non viene contestata la pronta comunicazione allo stesso C.S.M. da parte della Procura procedente.

Nulla è quindi aggiunto dagli sviluppi ulteriori delle stesse vicende, di cui comunque il primo giudice non avrebbe potuto tener conto.

I motivi di doglianza vanno quindi cumulativamente respinti.

5. - Con il quinto motivo di ricorso, si censura la sentenza per infondatezza, illogicità, contraddittorietà e carenza di motivazione nella parte in cui ravvisa un intento elusivo da parte del C.S.M. nell’attività posta in essere per dare esecuzione alla sentenza del T.A.R. del Lazio n. 4711 del 2013. Ripercorrendo il procedimento utilizzato dal C.S.M., la difesa evidenzia la linearità dell’iter seguito.

La questione è peraltro ripresa in parte nel secondo motivo di appello della difesa erariale, senza però essere sviluppata come doglianza autonoma.

5.1. - La doglianza non ha pregio, ponendosi ai limiti dell’irrilevanza.

Le ragioni accolte dal T.A.R. non hanno, infatti, evidenziato, nonostante la censura proposta, lacune sull’iter procedimentale, ma sugli esiti della procedura stessa. Pertanto, anche l’eventuale accoglimento del motivo di ricorso, che coglie un profilo non determinante della sentenza, non porterebbe alcun vantaggio all’appellante.

6. - Con il sesto motivo di diritto, viene evidenziata infondateza, illogicità, contraddittorietà e carenza di motivazione nella parte in cui esamina la motivazione sulla comparazione dei profili dei due candidati, dove viene rilevato un errore nella valutazione delle funzioni di coordinamento investigativo.

Le stesse ragioni sono sviluppate nel secondo motivo di doglianza della difesa erariale, che può quindi qui essere congiuntamente valutato.

6.1. - La censura va respinta.

Come correttamente notato dal primo giudice, e in disparte ogni valutazione sul fatto che il rapporto tra le funzioni era stato già inserito nelle precedenti valutazioni ponderali tra i due candidati, si può tranquillamente notare, come fa la difesa appellante, che il C.S.M. non ha affermato che le funzioni di coordinamento investigativo nazionale non sono equivalenti a quelle direttive o semidirettive, ma si deve sicuramente concordare con il T.A.R. che l’esito di tale puntualizzazione è stato quello di pervenire ad una valutazione di preminenza delle ordinarie funzioni di un sostituto procuratore della Repubblica come preminenti su quelle di coordinamento investigativo nazionale, sostenendo che quelle si adeguerebbero meglio alle attitudini richieste per dirigere la Procura della Repubblica di Ancona, stanti le limitate dimensioni di quell’Ufficio.

Il che, ulteriormente, ha condotto ad una valutazione elusiva dei precedenti giudicati sul punto.

7. - Conclusivamente, tutte le ragioni di doglianza vanno respinte, confermando l’illegittimità della delibera de qua, già dichiarata dal T.A.R. e consentendo così il prosieguo dell’iter di adozione degli atti consequenziali tramite il già nominato commissario ad acta, procedura che aveva già avuto inizio nelle more del giudizio di appello e sulla quale la presente decisione non ha alcun effetto interdittivo.

Incidentalmente, va osservato che nel caso in esame, stante l’infondatezza delle ragioni espresse, la Sezione non deve fare applicazione della normativa sopravvenuta di cui all’art. 17 del D.L. 90 del 2014 (e quindi nemmeno scrutinarne la sua compatibilità costituzionale), sia perché il motivo in questione è stato introdotto unicamente nella memoria non notificata del 20 novembre 2014 e quindi in modo non valevole per instaurare un legittimo contraddittorio sul tema, sia perché la procedura adottata dal T.A.R., in considerazione della doppia elusione del giudicato operata dal Consiglio superiore della Magistratura, appare del tutto conforme alle esigenze di tutela del singolo magistrato nei confronti degli organi amministrativi, seppure di rilievo costituzionale.

8. - Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

9. - L’appello va quindi respinto. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalle oggettive difficoltà di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti (così da ultimo, Cassazione civile, sez. un., 30 luglio 2008 n. 20598).

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