Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-01-14, n. 202000335
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Pubblicato il 14/01/2020
N. 00335/2020REG.PROV.COLL.
N. 03664/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3664 del 2017, proposto da
Unicredit s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefano D'Ercole e N P, con domicilio eletto presso lo studio Stefano D'Ercole in Roma, via in Arcione n. 71;
contro
Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, 6 febbraio 2017 n.1880, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 novembre 2019 il Cons. D S e uditi per le parti l’avvocato Pignatiello, in dichiarata delega dell'avvocato Stefano D'Ercole, e l’avvocato dello Stato Giovanni Greco;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 3664 del 2017, Unicredit s.p.a., società incorporante per fusione dell’originaria ricorrente UniCredit Banca di Roma s.p.a., propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, 6 febbraio 2017 n.1880 con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro l’Autorità garante della concorrenza e del mercato per l'annullamento:
del provvedimento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, adottato nell'adunanza del 6.5.2010 a conclusione del procedimento n. PS/1644, con il quale è stato deliberato: “a) che la pratica commerciale descritta al punto II del presente provvedimento, posta in essere dalle società Unicredit Banca di Roma S.p.A., costituisce, per le ragioni e nei limiti esposti in motivazione, una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, comma 2, 24 e 25, comma 1, lettera d), del Codice del Consumo, e ne vieta l'ulteriore diffusione;b) che alla società Unicredit Banca di Roma S.p.A. sia irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria di 150.000 € (centocinquantamila euro)”;
nonché di ogni altro atto anteriore o conseguente e, comunque, coordinato e/o connesso a quello di cui sopra.
Il giudice di prime cure riassumeva i fatti di causa evidenziando che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (in avanti, anche “Agcm” o “Autorità”), a seguito di alcune segnalazioni dai consumatori e di informazioni acquisite d’ufficio, avviava in data 10 dicembre 2009 il procedimento istruttorio PS/1644 nei confronti di Unicredit Banca di Roma (di seguito anche “Unicredit” o la “Banca”) per presunta violazione degli articoli 20, 24 e 25, comma 1, lettera d), del Codice del Consumo.
La condotta contestata consisteva nell'aver adottato, con riferimento all’applicazione della disciplina in materia di cancellazione semplificata dell’ipoteca introdotta dall’art. 13, commi da 8 sexies a 8 quaterdecies, del decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7, comportamenti dilatori relativamente alle richieste dei clienti di rilascio della quietanza attestante la data di estinzione dell’obbligazione e di trasmissione al conservatore della relativa comunicazione ai sensi dell’art. 13, comma 8 terdecies, del citato decreto legge.
Alla luce della documentazione acquisita e dei rilievi istruttori emersi, l’Agcm, all’adunanza del 6 maggio 2010, deliberava che la condotta contestata costituiva una pratica commerciale scorretta ai sensi degli articoli 20, comma 2, 24 e 25, comma 1, lettera d), del Codice del Consumo, ed irrogava alla Banca, in considerazione della gravità e della durata dell'infrazione, una sanzione amministrativa pecuniaria di 150.000 euro.
Unicredit ha impugnato il provvedimento sanzionatorio, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:
A.I. Violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 16 del “Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette” adottato con delibera dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 15 novembre 2007, n. 17589. Mancata comunicazione delle risultanze istruttorie, violazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990, difetto di motivazione. Eccesso di potere per errore nei presupposti, difetto di adeguata istruttoria e travisamento dei fatti. Violazione e falsa applicazione dei principi del giusto procedimento e del contraddittorio;violazione dei principi di buon andamento, pubblicità e trasparenza dell'attività amministrativa, violazione e falsa applicazione dell'art. 97 Cost. e dell’art. 1 della legge n. 241/1990, come modificata dalla legge n. 15/2005;violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 della Costituzione, violazione e falsa applicazione dell'art. 6 della C.E.D.U.
A.II. Violazione e falsa applicazione dell'art. 27, comma 11, del d. lgs. 206/2005, come modificato dall'art. 1 del d. lgs. 146/2007. Violazione e falsa applicazione dei principi del giusto procedimento e del contraddittorio;violazione dei principi di buon andamento, pubblicità e trasparenza dell'attività amministrativa, violazione e falsa applicazione dell'art. 97 Cost. e dell'art. 1 della legge n. 241/1990, come modificata dalla legge n. 15/2005.
A.III. Violazione e falsa applicazione dell'art. 10 bis della legge n. 241/1990, come modificata dalla legge n. 15/2005.
B.I. Violazione e falsa applicazione dell'art. 20, 24, e 25, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 206/2005, come modificato dal d.lgs. n. 146/2007. Illogicità, contraddittorietà manifesta, carenza di istruttoria e di motivazione, irragionevolezza ed ingiustizia. Eccesso di potere. Sviamento.
B.II. Assenza dell'elemento soggettivo nella violazione - gravità dei comportamenti - assenza - conseguente illegittimità della sanzione. Violazione e falsa applicazione dell'art. 27 del d.lgs. n. 206/2005 e dell'art. 3 della legge 24.11.1981, n. 689 nonché dei principi generali vigenti in materia di sanzioni amministrative. Eccesso di potere per perplessità dei presupposti, travisamento delle risultanze istruttorie, difetto di istruttoria, carenza di adeguata motivazione. Illegittimità derivata.
Si è costituita in giudizio l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha chiesto la reiezione del ricorso, siccome infondato.
In vista dell’udienza di trattazione del ricorso, la parte ricorrente e l’Autorità hanno depositato memorie difensive, a sostegno delle reciproche posizioni.
Alla pubblica udienza dell’11 gennaio 2017, la causa è stata discussa e decisa con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione e confermando l’esistenza del comportamento dilatorio sanzionato.
Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo nei quattro motivi di appello le proprie originarie censure, sotto meglio descritte.
Nel giudizio di appello, si è costituita l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
Alla pubblica udienza del 28 novembre 2019, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.
DIRITTO
1. - L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.
2. - Con il primo motivo di diritto, rubricato “error in procedendo e in iudicando;ingiustizia ed erroneità della sentenza;fondatezza delle censure procedimentali e dei motivi di ricorso”, vengono riproposte le doglianze in relazione alle modalità di svolgimento del procedimento davanti all’Autorità, doglianze distinte in due diversi profili in cui, da un lato, si censura l’affermazione del primo giudice, per cui la mancata comunicazione delle risultanze istruttorie (“CRI”) da parte dell’AGCM non abbia pregiudicato il diritto di difesa dell’istituto bancario e, dall’altro, si lamenta l’errata valutazione dell’idoneità delle garanzie procedimentali previste dal Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette, “approvato con delibera dell’Autorità 15 novembre 2007 n. 17589.
Sotto un diverso aspetto, la questione della regolarità del procedimento è sviluppata nel secondo motivo di diritto, rubricato “error in procedendo e in iudicando;ingiustizia ed erroneità della sentenza;difetto di istruttoria e di motivazione;fondatezza delle censure procedimentali e dei motivi di ricorso sub. a.iii) per “violazione e falsa applicazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/90, come modificata dalla legge n. 15/2005”, che può essere qui analizzato congiuntamente.
2.1. - La doglianza del primo motivo, sotto entrambi i profili, non può essere condivisa e comporta la caducazione anche della censura portata con il secondo motivo.
Va ricordato che il Regolamento dell’Autorità sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette (approvato con delibera dell’Autorità 15 novembre 2007 n. 17589), applicabile ratione temporis, non prevedeva l’invio di una comunicazione delle risultanze istruttorie (CRI), diversamente da quanto previsto in materia antitrust dall’articolo 14 del d.P.R. 30 aprile 1998, n. 217.
In carenza di tale adempimento, il contraddittorio e la tutela del diritto di difesa dell’incolpato erano garantiti, tramite lo stesso Regolamento dell’Autorità e l’art. 27, comma 11, del Codice del consumo, dalla possibilità di depositare documenti e memorie, di accedere agli atti, nonché la facoltà di essere sentiti in audizione.
Il tema centrale del motivo di doglianza attiene dunque alla sufficienza del detto modus operandi, carente dell’atto di comunicazione delle risultanze istruttorie non pregiudica, in relazione all’esercizio del diritto di difesa del professionista.
Si tratta di un quesito, nelle sue diverse articolazioni, a cui questo Consiglio ha dato più volte risposta positiva (da ultimo, Cons. Stato, VI, 16 marzo 2018 n. 1670;id. 11 gennaio 2016, n. 38), con argomentazioni che possono ulteriormente essere riprese in questa sede
Si è infatti affermato che il regolamento di procedura del 2007 e, segnatamente, gli articoli 12 e 16 del regolamento medesimo, non si pongano al di sotto dello “standard di contraddittorio” stabilito dal legislatore all’art. 27, comma 11, del Codice del consumo, dato che consentono in modo ampio all’incolpato di interloquire con l’Autorità attraverso la produzione di documentazione, per cui non sembra tra l’altro che l’audizione personale sia di per sé un presidio incomprimibile di partecipazione procedimentale. Pertanto, nell’andare a “verificare:
i) se la mancata previsione, nell’ambito del Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette, della predisposizione e comunicazione all’interessato della comunicazione delle risultanze istruttorie, implichi una violazione dell’articolo 27, comma 11 del ‘Codice del comsumo’ (secondo cui “[l’Autorità], con proprio regolamento disciplina la procedura istruttoria, in modo da garantire il contraddittorio, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione”);
ii) se, a prescindere dalla legittimità in parte qua del Regolamento del 15 novembre 2007, laddove nei procedimenti istruttori in tema di pratiche commerciali scorrette la CRI sia stata comunque predisposta, la sua mancata comunicazione al professionista incolpato comporti comunque una violazione delle generali prerogative partecipative di cui alla l. 7 agosto 1990, n. 241”, la Sezione ha fornito ad entrambi i quesiti risposta negativa.
In particolare, in relazione al quesito sub i), si è affermato che “non vi (siano) dati o ragioni per ritenere che (in assenza di univoci indici normativi in senso contrario) la tipologia di contraddittorio richiamata dall’articolo 27, comma 11 del Codice del consumo sia caratterizzata da presidi procedimentali ulteriori e diversi rispetto a quelli ‘di tipo verticale’ della l. n. 241 del 1990;e che, in particolare, la mancata previsione regolamentare dello strumento della CRI (e della sua necessaria comunicazione al professionista incolpato) costituisca indice di violazione di ineludibili prerogative procedimentali.”
In relazione al quesito sub ii), si è rilevato che “le prerogative procedimentali comunque assicurate dal richiamato Regolamento (nonché l’ampia garanzia del contraddittorio ivi assicurata, al pari della piena conoscenza della pertinente documentazione istruttoria) sono comunque idonee ad assicurare in modo adeguato le garanzie procedimentali proprie di un contraddittorio di carattere verticale, senza che la mancata previa trasmissione delle CRI possa determinare effetti vizianti o caducanti.”.
Molto più agevole è argomentare in relazione al secondo motivo di doglianza, atteso che la comunicazione ex art. 10 bis della legge sul procedimento è applicabile a fattispecie diverse da quella in scrutinio, ossia a quelle originate da istanze di parte.
Conclusivamente, i due primi motivi di diritto devono essere respinti, in aderenza ai principi già espressi da questa Sezione.
3. - Con il terzo motivo di diritto, rubricato “error in procedendo e in iudicando;ingiustizia manifesta;difetto di istruttoria e di motivazione;omessa pronuncia;violazione e/o falsa applicazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalità, tutela della concorrenza;fondatezza delle censure di merito e dei motivi di ricorso proposti in primo grado sub. b.i) violazione e falsa applicazione dell’art. 20, 24, e 25, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 206/2005, come modificato dal d.lgs. n. 146/2007;illogicità, contraddittorietà manifesta, carenza di istruttoria e di motivazione, irragionevolezza ed ingiustizia;eccesso di potere;sviamento”, viene lamentata l’erroneità della fase istruttoria, in relazione alla circostanza che il numero di pratiche tardivamente evase sarebbe differente e minore rispetto a quello evidenziato nel provvedimento gravato, giustificando altresì i detti ritardi.
3.1. - La censura non può essere condivisa.
La questione riguarda la sussistenza di comportamenti dilatori nei confronti dei consumatori nell’ambito della gestione della procedura semplificata di cancellazione dell’ipoteca sia per le obbligazioni principali estinte prima dell’entrata in vigore della legge n. 40/2007 (cancellazioni a richiesta della clientela), che relativamente alle obbligazioni principali estinte dopo l’entrata in vigore della stessa legge (cancellazioni automatiche).
Gli accertamenti svolti dall’Autorità evidenziano uno scostamento considerevole ben più rilevante di quelli desumibili dalla elaborazione dei dati effettuata dalla parte appellante nelle sue difese.
Tuttavia, l’elaborazione di tali dati viene svolta a valle di una fase di inadempimento iniziale, data dalla mancata registrazione della data della domanda (come già evidenziato dal primo giudice) e su un dato parziale rispetto a quello rilevato in sede procedimentale (visto che il detto computo non considera, tra l’altro, i finanziamenti elativi alle posizioni definite critiche). Il che, se da un lato mina l’attendibilità delle osservazioni dell’appellante, dall’altro evidenzia come si sia in presenza di un comportamento non di carattere episodico ma riferibile comunque ad una complessiva e diffusa pratica commerciale suscettibile di ostacolare l’esercizio di diritti contrattuali (e in questo senso, la prassi della mancata registrazione della data della domanda appare adeguatamente valorizzata sia nel provvedimento che nella sentenza).
Va quindi confermata la decisione gravata, dove riprende il provvedimento sanzionatorio che osserva che non si è riscontrato da parte di Unicredit “il normale grado di competenza e attenzione che ragionevolmente ci si poteva attendere da un operatore dello specifico settore di attività in quanto la banca non si è dotata di un sistema in grado di monitorare l’attività oggetto del procedimento, con la conseguente capillare violazione della procedura prevista dalla legge anche con riferimento allo specifico divieto di frapporre ostacoli non contrattuali al consumatore che intenda esercitare il diritto di risolvere un contratto” (par. 28).
Tale carenza di diligenza professionale, derivante dall’evidente violazione della normativa sulla semplificazione della cancellazione ipotecaria, è stata confermata ulteriormente dalla mancata predisposizione di un sistema in grado di monitorare l’attività oggetto di procedimento (il che ha reso peraltro gravosa la ricerca degli elementi di fatto, come poi evidenziato anche dalla parte appellante in sede di ultimo motivo di ricorso).
In questo va quindi ravvisata la violazione imputabile, in quanto (da ultimo, Cons. Stato, VI, 25 giugno 2019, n.4359) la pratica commerciale contraria alla diligenza professionale e idonea a falsare in misura apprezzabile, in relazione al prodotto, il comportamento economico del consumatore medio, può essere definita scorretta.
Conclusivamente, anche il terzo motivo di doglianza deve essere respinto.
4. - Con il quarto motivo di appello, rubricato “error in procedendo e in iudicando;ingiustizia manifesta;difetto di istruttoria e di motivazione;violazione e/o falsa applicazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalità, tutela della concorrenza;fondatezza delle censure di merito e dei motivi di ricorso proposti sub b.ii) “assenza dell’elemento soggettivo nella violazione - gravità dei comportamenti - assenza - conseguente illegittimità della sanzione;violazione e falsa applicazione dell’art. 27 del d.lgs. n. 206/2005 e dell’art. 3 della legge 24.11.1981, n. 689 nonché dei principi generali vigenti in materia di sanzioni amministrative;eccesso di potere per perplessità dei presupposti, travisamento delle risultanze istruttorie, difetto di istruttoria, carenza di adeguata motivazione;illegittimità derivata”, viene infine lamentata l’errata quantificazione della sanzione, computata tenendo conto solamente dell’elevata dimensione economica del professionista e del grado di diffusione della pratica ma senza considerare l’apporto collaborativo prestato dalla banca, allorché sono stati richiesti dati che hanno reso necessaria una lunga e onerosa attività di collaborazione né valutare la consapevolezza dell’antigiuridicità da parte della banca stessa.
4.1. - La censura va respinta.
In merito al tema della consapevolezza del grado di antigiuridicità, va rilevato come, per giurisprudenza pacifica (ex multis, Cons. Stato, VI, 6 giugno 2011 n.3353), le sanzioni amministrative irrogate dall’Autorità, in base al principio generale della materia contenuto nella l. 689/1981, richiedono semplicemente la coscienza e volontà della violazione, mentre è il trasgressore a dover dimostrare l’assenza di dolo o colpa.
Per altro verso, il grado di collaborazione tenuto appare oggettivamente inidoneo ad incidere sulla gravità e sulla durata dell’infrazione commessa, ponendosi come mero contraltare della violazione delle regole di correttezza professionale riscontrate. Correttamente quindi l’Autorità ha giustificato la decisione di non tenerne conto, evidenziando l’assenza di un idoneo supporto documentale.
Infine, in relazione alle modalità di calcolo della sanzione, giustamente il primo giudice ha notato come l’Autorità si sia strettamente attenuta ai parametri di riferimento individuati dall’art. 11 della legge n. 689/81, in virtù del richiamo previsto all'articolo 27, co. 13, del d.lgs. n. 206/05. E ciò in relazione alla gravità, dove si è valutata l’importanza del professionista e la sua posizione di mercato e sia il grado di diffusione della pratica, in quanto realizzata in modo sistematico sull’intero territorio nazionale;come pure per la determinazione della durata della pratica, iniziata il 21 settembre 2007 ed era ancora in corso il 6 maggio 2010, data di adozione del provvedimento finale (6 maggio 2010).
5. - L’appello va quindi respinto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.