Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-01-22, n. 202100659

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-01-22, n. 202100659
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202100659
Data del deposito : 22 gennaio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 22/01/2021

N. 00659/2021REG.PROV.COLL.

N. 10542/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10542 del 2011, proposto dalla società
BPGAS S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A B e O S, con domicilio eletto presso l’avv. O S in Roma, via Cosseria n. 5;

contro

Comune di La Spezia, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati M T B, S C, E F, M P, con domicilio eletto presso l’avv. M T B in Roma, via Caio Mario, 7;
Provincia di La Spezia, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 903/2011, resa tra le parti, concernente l’impugnativa della delibera di approvazione del piano urbanistico comunale


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di La Spezia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica telematica del giorno 24 novembre 2020, tenuta ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, il Cons. C A;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La società BPGAS S.r.l., proprietaria di un complesso immobiliare nel Comune di La Spezia, in via Antoniana 29 (individuato al catasto al foglio 32 mappali 469, 470, 495 ,498, 499, 500), in cui esercitava fin dal 1963 attività di stoccaggio, miscelazione, imbombolamento di gas di petrolio liquefatto per uso industriale e domestico, in area con destinazione del PRG come zona industriale e artigianale, ha impugnato davanti al Tribunale amministrativo regionale della Liguria gli atti di adozione e di approvazione del Piano urbanistico comunale (PUC), entrato in vigore il 25 giugno 2003, in quanto tale Piano ha classificato la zona in cui è compreso il complesso BPGAS come “ Area di ricomposizione urbana RS 2 ”, per cui l’art. 15 comma 8 delle norme di conformità e congruenza del PUC ha previsto la “ completa sostituzione dell’esistente ”, indicando come funzioni di base delle aree di ricomposizione urbana le destinazioni commerciali, terziarie, artigianali e a servizi, con esclusione, quindi, della destinazione industriale.

La BPGAS deduceva di avere presentato osservazioni a seguito dell’adozione del Piano urbanistico comunale, contestando l’inserimento dell’area della BPGAS in quelle di ricomposizione urbana, osservazione che era stata respinta con la seguente motivazione: “ l’osservazione non è accoglibile in quanto l’area è da ritenersi a rischio e quindi incompatibile con la prevista riurbanizzazione dell’area ex IP dove sono previste residenze, parchi e impianti sportivi ad alta fruizione pubblica ”.

La destinazione nelle “aree di ricomposizione urbana” è considerata lesiva della posizione della BPGAS, in quanto per gli edifici esistenti in contrasto con le destinazioni urbanistiche del PUC l’art. 5 comma 6 seconda parte delle norme di conformità e congruenza del PUC consente solo interventi fino alla ristrutturazione edilizia con esclusione di R3 e R4, ovvero ampliamenti del sottotetto a scopo abitativo e demolizione e ricostruzione, con esclusione, quindi, oltre che di tali interventi di ristrutturazione edilizia, altresì della ristrutturazione urbanistica e delle nuove costruzioni.

Nel ricorso di primo grado erano state formulate le seguenti censure:

- violazione di legge in relazione all’ art. 28 della legge regionale Liguria 4 settembre 1997, n. 36 , con cui si sosteneva la illegittimità della introduzione nel PUC delle aree di ricomposizione urbana non previste dalla legge regionale e comunque il contrasto della disciplina di tali aree con la previsione contenuta nella legge regionale per gli ambiti di conservazione e riqualificazione;
nonché la mancata considerazione dell’ aumento del carico insediativo derivante dalla nuova destinazione in contrasto con la previsione dell’art. 28 della legge regionale, che non consentirebbe per gli ambiti di conservazione e riqualificazione aumenti sostanziali del carico urbanistico;

-in via subordinata, eccesso di potere per difetto di istruttoria, errore di fatto, motivazione contraddittoria e sviamento di potere , contestando l’inserimento dell’area BPGAS all’interno delle aree di ricomposizione urbana, che l’art.15 comma 1 delle norme del PUC riferiva alle aree “ ambientalmente degradate ”, presupposto mancante per le aree della BPGAS;
inoltre dalla motivazione di rigetto delle osservazioni presentate nel corso del procedimento emergerebbe lo sviamento di potere, avendo il Comune inserito l’area BPGAS nella ricomposizione urbana in funzione della pericolosità dell’attività e non dell’ insussistente degrado dell’area;

- violazione del d.lgs. 17 agosto 1999, n. 334 e del D.M.9 maggio 2001, in relazione alla necessità di valutare l’esistenza dell’impianto pericoloso della BPGAS in sede di approvazione dello strumento urbanistico; eccesso di potere per violazione di circolare qualora il D.M. 9 maggio 2001 fosse inteso come circolare;

Con la sentenza n. 903 del 2011 è stata respinta l’eccezione di tardività che era stata sollevata dalla difesa della Provincia, ritenendo tempestivo il ricorso notificato il 7 ottobre 2003, in relazione al deposito della documentazione correlata al Piano in data 25 giugno 2003, in base all’ avviso di deposito del Piano, pubblicato il 6 giugno 2003, con la indicazione dell’entrata in vigore dello strumento urbanistico generale il 25 giugno successivo, data in cui sarebbero stati disponibili atti e documenti correlati al PUC;
sono state poi respinte tutte le censure sulla base della ampia discrezionalità spettante all’Amministrazione in sede di scelte urbanistiche e ritenendo ragionevole la scelta del Piano di riqualificazione complessiva dell’area contigua a quella dell’ex raffineria IP, per cui era stata prevista una completa trasformazione;
è stata esclusa l’ applicazione del d.lgs. n.334 del 1999 e del D.M.9 maggio 2001, non essendo stata confermata nel Piano la destinazione industriale dell’area ove sorge l’impianto.

Con l’atto di appello sono state riproposte le censure del ricorso di primo grado, sostenendo che il giudice di primo grado non avrebbe esaminato il primo motivo di ricorso relativo alla violazione dell’art. 28 della legge regionale n. 36 del 1997 per gli ambiti di conservazione e riqualificazione e contestando le argomentazioni relative alle ulteriori censure.

Si è costituito il Comune di La Spezia che, nella memoria per l’udienza pubblica, ha contestato la fondatezza dell’appello.

La parte appellata ha presentato memoria e memoria di replica insistendo nelle proprie argomentazioni difensive.

Entrambe le difese hanno presentato richiesta di passaggio in decisione senza discussione orale.

All'udienza pubblica telematica del giorno 24 novembre 2020, tenuta ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, l’appello è stato trattenuto in decisione.

Con il primo motivo di appello si lamenta la violazione della legge regionale n. 36 del 1997, in quanto secondo la ricostruzione difensiva, le aree di ricomposizione urbana non sarebbero previste dalla legge regionale, mentre gli ambiti di riqualificazione previsti dall’art. 28, in cui la classificazione aree di ricomposizione urbana prevista dal PUC dovrebbe essere inserita, non consentirebbero la “completa sostituzione dell’esistente”, secondo quanto indicato dall’art. 15 delle Norme di conformità e congruenza per la area di ricomposizione urbana RS, in cui è stata inserita l’area della BPGAS.

Il motivo è infondato.

La disposizione del PUC censurata con questo motivo ovvero l’art. 15 delle Norme di conformità e congruenza definisce le aree di ricomposizione urbana “ le aree edificate e non edificate, ambientalmente degradate, nelle quali sono previsti interventi di ricomposizione con il tessuto urbanistico in cui ricadono ”;
per tali aree sono previsti interventi di ristrutturazione urbanistica (RU3 con sostituzione dell’esistente tessuto urbanistico ed edilizio attraverso la totale demolizione e ricostruzione ) e di nuova costruzione a seguito di concessione edilizia convenzionata, in base all’allegato progettuale P7. Ai sensi dell’art. 15 comma 4, “ le aree di ricomposizione urbana, sono suddivise, in base alle differenti caratteristiche dell’esistente” in “ aree di ricomposizione urbana in ambiti di conservazione o ad elevata densità (Re )”;
aree di ricomposizione urbana che comportano la completa sostituzione dell’esistente (RS)” ;
aree di ricomposizione urbana di vuoti (RV) ”;
aree di ricomposizione urbana di possibile riuso dell’esistente (RE )”;
aree di ricomposizione urbana di tipo strategico (S) ”.

In particolare, le aree di ricomposizione urbana (RS), che comportano la completa sostituzione dell’esistente, tra cui è inserito il complesso della BPGAS, sono definite “ le aree in cui è prescritta la completa eliminazione dell’edificato esistente e la sua sostituzione in quanto eterogeneo e causa di degrado ambientale, al fine di conseguire una ricucitura con il contesto urbano circostante ”, in cui si applica un indice di utilizzazione fondiaria pari a 0,75 mq/mq e il recupero del 50% della superficie utile dei fabbricati da demolirsi individuati nell’elaborato progettuale P7.

Secondo la difesa appellante tale previsione esorbiterebbe da quanto indicato dall’art. 28 della legge regionale per gli ambiti di riqualificazione e conservazione, per i quali sarebbero consentiti solo interventi di modificazione e completamento, escludendo quindi interventi di aumento del carico urbanistico, come sarebbe invece previsto dal PUC impugnato.

Il Collegio non condivide tale argomentazione, in base al complessivo assetto delineato dalla legge urbanistica della Regione Liguria e sulla base della concreta disciplina del Piano.

Si deve, infatti, rilevare, in primo luogo, che l’art. 2 comma 2 della legge urbanistica regionale, n. 36 del 1997, nel testo vigente al tempo di emanazione degli atti impugnati (essendo stata successivamente modificata dalla legge 2 aprile 2015, n. 11), indicava quali finalità generali della pianificazione territoriale la “ qualificazione ambientale e funzionale del territorio ligure con prioritario riguardo alle esigenze :

a) di definizione di un complessivo progetto di ricomposizione e di riassetto ambientale comprensivo del recupero e della conservazione dei peculiari elementi qualitativi e della identità storico-culturale del paesaggio;

b) di organizzazione, di innovazione e di sviluppo dei settori produttivi dell'economia regionale, con particolare riferimento al turismo, e di adeguamento delle reti infrastrutturali, in funzione del complessivo miglioramento qualitativo delle strutture urbane e dell'intero sistema insediativo regionale;

c) di riqualificazione degli insediamenti per il conseguimento di più elevati livelli di qualità della vita, con particolare riferimento all'eliminazione delle barriere architettoniche” .

La pianificazione si articolava nei livelli regionale (di riferimento per le scelte pianificatorie ai diversi livelli per le componenti paesistica, ambientale, insediativa ed infrastrutturale), provinciale (con funzioni di coordinamento della strumentazione urbanistica comunale) e comunale.

Con specifico riguardo alla pianificazione comunale, l’art. 5 indicava le finalità nella tutela della integrità fisica e dell’ identità culturale del territorio;
nella valorizzazione delle risorse ambientali e delle economie locali;
nel favorire il governo del territorio nelle sue diverse componenti disciplinando le trasformazioni territoriali conseguenti ad interventi di tipo edilizio, infrastrutturale, vegetazionale e geomorfologico e ad azioni aventi comunque incidenza sull'uso e sull'organizzazione del territorio;
prevedeva, quali strumenti di pianificazione territoriale di livello comunale, il Piano urbanistico comunale (PUC) e i Progetti urbanistici operativi (PUO).

Il Piano urbanistico comunale, in base all’art. 24 allora vigente, era costituito dalla descrizione fondativa, dal documento degli obiettivi, dalla struttura del piano;
dalle norme di conformità e di congruenza.

In particolare, la descrizione fondativa, ai sensi dell’ art. 25, “analizza le peculiarità, gli eventuali squilibri e le potenzialità del territorio in vista dell'individuazione dei conseguenti obiettivi di piano e della definizione dei contenuti del PUC”. Il documento degli obiettivi “definisce in modo esplicito gli obiettivi che il piano intende assumere relativamente alle diverse componenti dell'assetto territoriale in coerenza con la descrizione fondativa, previa verifica dei rapporti di compatibilità, nonché con le indicazioni contenute negli atti di pianificazione e programmazione di livello regionale e provinciale”;
“costituisce elemento fondamentale di riferimento e coerenza nella definizione complessiva del PUC delle priorità e delle modalità del suo sviluppo operativo, ai sensi della presente legge”.

La struttura del piano, disciplinata dall’art. 27, definiva “ l’impianto e il funzionamento del sistema territoriale e paesistico ambientale del Comune nel suo complesso ” in forma di elaborati grafici e cartografie, individuando “ gli ambiti di conservazione e riqualificazione insediati e non insediati nei quali il piano persegue finalità di sostanziale conservazione o riqualificazione”;
“i distretti di trasformazione per i quali il piano configura scelte di rilevante trasformazione”;
“il sistema complessivo delle infrastrutture e dei servizi pubblici e d'uso pubblico esistenti ed in progetto”;
definiva il “ peso insediativo a livello comunale sulla base di quanto stabilito all'articolo 33 ”;
i margini di flessibilità delle relative indicazioni ”;
conteneva lo studio di sostenibilità ambientale delle relative previsioni.

L’art. 28 definiva gli Ambiti di conservazione e riqualificazione “ tutte le parti di territorio comunale, edificate e non edificate, che il PUC descrive e individua come caratterizzate da un assetto fisico-morfologico e funzionale definito ovvero suscettibili di interventi di modificazione o completamento, non comportanti modificazioni quantitative o qualitative sostanziali del carico insediativo pertinente a ciascun ambito” In base al comma 2 per tali ambiti “Il PUC definisce:

a) il perimetro degli ambiti e gli elementi che li compongono;

b) la disciplina paesistica di livello puntuale;

c) gli obiettivi e le modalità della conservazione e della riqualificazione, in relazione ai caratteri emergenti dalla descrizione fondativa ed alla dotazione di servizi ed infrastrutture;

d) la localizzazione e la configurazione dei servizi e delle infrastrutture pubblici e di uso pubblico, previa valutazione delle dotazioni esistenti;

e) le norme di conformità di cui all'articolo 30 e la relativa cartografia;

f) le aree e i casi in cui l'intervento è assoggettato ad obbligo di concessione edilizia convenzionata secondo i criteri indicati dall'articolo 49 ”.

In base all’art. 29 costituivano Distretti di trasformazione “ le parti di territorio comunale, anche tra loro non contigue, purché funzionalmente connesse, per le quali il PUC prevede una trasformazione urbanistica che comporta un sistema complesso di interventi destinati ad innovare in modo sostanziale l'assetto fisico e funzionale del distretto ed aventi quale esito l'incremento non marginale del carico insediativo o la sua sostanziale modificazione qualitativa.

2. I distretti di trasformazione sono caratterizzati dall'esigenza di progettazione urbanistica unitaria e da una coordinata messa in opera delle trasformazioni e si attuano di norma mediante uno o più PUO.

Il PUC definisce, con indicazione degli sviluppi operativi conseguibili:

a) il perimetro del distretto;

b) la configurazione di massima della trasformazione in termini di funzioni ammesse, di dotazione infrastratturale e di servizi, nonché di prestazioni ambientali;

c) la disciplina paesistica di livello puntuale;

d) la densità territoriale minima e massima dell'intero distretto, espressa come rapporto della superficie lorda di solaio sulla superficie territoriale calcolata senza tenere conto delle aree asservite ad opere pubbliche esistenti, da utilizzare mediante la concentrazione nelle aree edificabili individuate dal PUC o dal PA o dai PUO, con conseguente attribuzione alle singole aree comprese nella superficie territoriale del distretto della pertinente quota di potenzialità edificatoria;

e) altri parametri urbanistici che risultino essenziali per la determinazione ed il controllo del carico urbanistico e dei suoi effetti ambientali;

f) le quantità di superficie di suolo o lorda di solaio da destinare a servizi pubblici e di uso pubblico ed a infrastrutture pubbliche che vengono espresse in percentuale sulla superficie territoriale o sulla superficie di solaio edificata od edificabile: tali quantità sono commisurate al carico urbanistico del distretto ed ai suoi effetti ambientali, nonché al soddisfacimento di fabbisogni pregressi del territorio comunale, in coerenza con la configurazione complessiva del sistema delle infrastrutture e dei servizi individuato dal P.U.C.;

g) le norme di congruenza di cui all'articolo 31.

4. Il P.U.C., in relazione agli sviluppi operativi della trasformazione del distretto, può contenere indicazioni alternative degli elementi di cui al comma 3, ferma restando la definizione del perimetro di cui alla relativa lettera a) e previa verifica dell'equilibrio del sistema nel suo complesso.

5. Al fine di favorire la messa in opera dei distretti di trasformazione il P.U.C. può:

a) individuare subdistretti aventi valore di unità minima di intervento da definire eventualmente anche in sede di P.A. di cui all'articolo 55 con possibilità in tal caso di variare la dimensione del P.U.O.;

b) indicare i casi in cui si può prescindere dal ricorso al P.U.O. sia in ragione della natura pubblica delle opere da attuare ovvero della marginalità degli interventi rispetto al contesto delle trasformazioni previste, sia in presenza di uno schema di organizzazione urbanistica del distretto più definito rispetto alla configurazione di massima di cui al comma 3, lettera b)”.

Da tali disposizioni della legge regionale risulta evidente l’infondatezza del motivo di appello.

Le indicazioni della legge regionale relative alle classificazioni del Piano urbanistico comunale, devono ritenersi di carattere “metodologico”, disciplinando le modalità di redazione del Piano.

Ne consegue che la distinzione tra “ Ambiti di conservazione e qualificazione ” e “ Distretti di trasformazione ” di per sé è meramente descrittiva, mentre il regime degli interventi è comunque fissato dalle norme del PUC, la cui elaborazione rientra nell’esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione comunale.

Pertanto, l’inquadramento in una o nell’altra di tali categorie, non comporta di per sé un vizio di violazione di legge, restando nel potere dell’Amministrazione comunale l’individuazione della concreta disciplina del piano.

A sostegno di tale interpretazione, deve rilevarsi, sotto il profilo della disciplina, che l’art. 29 prevede solo “ di norma ” l’attuazione degli interventi con Progetto urbanistico operativo, mentre l’art. 28 rinvia alla concessione edilizia convenzionata richiamando i criteri indicati dall'articolo 49 (qualora l’intervento richieda opere infrastrutturali eccedenti i semplici allacciamenti alle reti di urbanizzazione primaria ovvero opere di riqualificazione urbanistica e ambientale;
si configuri come lottizzazione dell'articolo 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47;
ricada in territori di presidio ambientale di cui all'articolo 36). Pertanto, neppure sotto il profilo della successiva pianificazione attuativa deriva un effettivo vincolo da tali disposizioni.

Deve, dunque, ritenersi che le indicazioni della legge regionale circa gli Ambiti e i Distretti disciplinano le modalità di elaborazione del Piano, ma non riguardano l’esercizio del potere comunale delle scelte pianificazione urbanistica del proprio territorio, il quale rimane di natura discrezionale, salva l’osservanza delle indicazione dei livelli di pianificazione sovraordinata, regionale e provinciale.

Ciò è ulteriormente confermato dalle previsioni degli artt. 30 e 31 della legge regionale, relativi rispettivamente alle norme di conformità per gli ambiti di conservazione e riqualificazione e alle norme di congruenza dei distretti di trasformazione.

Ai sensi dell’art. 30, nel testo vigente all’epoca di adozione e approvazione degli atti impugnati in primo grado, le norme di conformità per gli ambiti di conservazione e riqualificazione “ definiscono, con i mezzi più opportuni, gli esiti fisici, paesistici, tipologici, funzionali e prestazionali da conseguire nei singoli ambiti, in relazione agli specifici caratteri ed alla identità dei luoghi, nonché al ruolo attribuito a ciascuno di tali ambiti” . In particolare in base al comma 3 specificano: “ a) i tipi di intervento edilizio ed urbanistico in funzione dell'entità delle modificazioni consentite e con indicazione dei relativi parametri e delle rispettive modalità progettuali ed esecutive anche di carattere geologico e geotecnico;
b) le destinazioni d’uso principali e complementari articolate e quantificate per categorie funzionali, nonché i limiti della loro eventuale modificabilità anche senza opere edilizie”.

In base all’art. 31, le norme di congruenza contengono i criteri per “ valutare la compatibilità e congruenza delle trasformazioni proposte dal PUO rispetto agli obiettivi, alla struttura ed alle priorità generali dello sviluppo operativo del piano;
valutare, nel caso di distretti per i quali eventualmente il PUC preveda sviluppi operativi alternativi, le conseguenze sugli altri distretti e ridefinire gli assetti ivi previsti, nell'ambito di quelli consentiti dal PUC stesso;
controllare la qualità degli esiti complessivi delle trasformazioni previste anche in relazione alle restanti parti del territorio comunale;
definire le modalità gestionali e finanziarie delle operazioni di trasformazione e la ripartizione degli oneri relativi alla dotazione e alla organizzazione di servizi pubblici e di uso pubblico
”.

Nel caso di specie, le norme di conformità e congruenza del PUC, hanno disciplinato sia gli ambiti di conservazione e riqualificazione che i distretti di trasformazione, fissando per ognuno gli specifici interventi consentiti, né è stato specificamente dedotto quale violazione della disciplina urbanistica sarebbe conseguita ad una differente classificazione.

Infatti, l’inserimento della area BPGAS nei distretti di trasformazione non avrebbe impedito di approvare le norme di cui si lamenta l’appellante ovvero quelle che hanno previsto la completa sostituzione dell’esistente (non consentendo nuove costruzioni e sostituzione edilizia per la BPGAS), non essendo neppure obbligatorio il progetto urbanistico operativo per tutti i distretti di trasformazione.

Quindi, ammesso anche che l’Amministrazione comunale abbia errato nella individuazione dell’area di ricomposizione urbana negli ambiti di conservazione e qualificazione, invece che nei distretti di trasformazione, rispetto alle indicazioni della disciplina legislativa, a tale errore classificatorio di per sé non consegue alcun profilo di legittimità, dovendo la scelta dell’Amministrazione comunale essere sindacata, in base ai consueti canoni fissati dalla giurisprudenza per il sindacato sulle scelte pianificatorie discrezionali e ai concreti limiti posti dalla disciplina legislativa.

Sotto, tale profilo, con riferimento alla seconda parte del primo motivo di appello, con cui si lamenta che negli ambiti di conservazione e riqualificazione non sarebbero consentiti interventi con aumento di carico urbanistico, deve rilevarsi che, in primo luogo, la parte appellante non ha dedotto concretamente che il PUC sia stato approvato senza una mancata valutazione del carico urbanistico relativo alle prescrizioni contenute per l’ area di ricomposizione urbana, tenuto conto che anche per gli ambiti di conservazione e riqualificazione era necessaria la valutazione delle dotazioni di servizi pubblici e infrastrutturali.

Inoltre, la struttura del PUC, in base all’art. 27, doveva indicare il peso insediativo a livello comunale sulla base di quanto stabilito all'articolo 33, disposizione che indicava il peso insediativo da rispettare “ in mancanza di autonome indicazioni del PUC ”, senza distinzione tra gli ambiti di conservazione e riqualificazione e i distretti di trasformazione.

In particolare, ai sensi del comma 3 dell’art. 33 della legge regionale, nel testo allora vigente, “ qualora il PUC non provveda alla definizione analitica del peso insediativo, lo stesso viene definito, agli effetti di quanto stabilito dall'articolo 32, comma 2, e tenuto conto di quanto indicato dal PTC provinciale a norma dell'articolo 20, comma 3, sulla base dei seguenti parametri di riferimento:

a) nell'ambito della destinazione residenziale, in funzione della superficie lorda delle abitazioni, assumendo un consumo di spazio pari a 25 metri quadrati per abitante:

b) nell'ambito della destinazione ad ospitalità e ricettività alberghiera ed extra alberghiera, in funzione dei posti letto calcolati in base alla legislazione di settore;

c) nell'ambito della destinazione per distribuzione al dettaglio ed uffici, in funzione della superficie lorda di pavimento esistente e prevista dal P.U.C.;

d) nell'ambito delle destinazioni per l'industria, l'artigianato, la movimentazione e distribuzione all'ingrosso di merci, in funzione della superficie lorda di pavimento utilizzata e prevista dal P.U.C.;

e) nell'ambito della destinazione a produzione agricola, in relazione alla superficie lorda di pavimento dei fabbricati utilizzati per le diverse funzioni ivi previste, salvo quanto stabilito dalla lettera a) per quelle abitative;

f) nell'ambito delle destinazioni per grandi attrezzature di interesse generale, in relazione al tipo delle attrezzature stesse ed al loro bacino di utenza e comunque in coerenza con i contenuti del P.T.C. provinciale.

4. Il complesso dei fabbisogni, qualitativi e quantitativi, di opere infrastrutturali, tecnologiche e di servizi pubblici o di uso pubblico è calcolato sulla base del peso insediativo come sopra definito compatibilmente con il grado di sostenibilità ambientale del territorio comunale ”.

Il carico urbanistico doveva essere, quindi, rispettato in base alle indicazioni generali per destinazioni del piano, mentre dal contenuto descrittivo degli artt. 28 e 29 della legge regionale non emerge alcuna necessità della specifica valutazione del carico urbanistico in relazione alle differenti classificazioni di ambiti di conservazione e riqualificazione o distretti di trasformazione, come sostenuto dalla difesa appellante.

Nella disciplina delle aree di ricomposizione urbana posta dall’art. 15 delle norme di conformità e congruenza sono poi previsti specifici indici di utilizzazione fondiaria, di cui non si contesta la non corrispondenza ai limiti di carico urbanistico previsti dalla legge e dal piano.

Peraltro, la classificazione quale ambito di conservazione e riqualificazione risulta anche in linea con la disciplina legislativa degli ambiti di conservazione e riqualificazione, che consentiva comunque modificazioni, da considerare in relazione alla generale funzione di riqualificazione delle aree che è assegnata anche ai detti ambiti.

Inoltre, nel caso di specie, tale classificazione è coerente con la disciplina complessiva del piano, in quanto, come rilevato dalla difesa comunale e risultante dagli atti di causa, l’area BPGAS è una area adiacente a quella della ex raffineria IP, compresa in un distretto di trasformazione, per cui l’esigenza sottostante alla classificazione, quale area di ricomposizione, era proprio quella di una progressiva ricucitura con la nuova destinazione dell’area IP, questa sì radicalmente trasformata.

In ogni caso, le successive modifiche della legge urbanistica regionale, introdotte con la legge regionale 2 aprile 2015, n. 11 -non applicabili al caso di specie, ma utili quale ausilio interpretativo- hanno espressamente definito in maniera distinta gli ambiti di conservazione da quelli di riqualificazione, nel testo previgente unitariamente disciplinati, prevedendo per agli ambiti di riqualificazione anche interventi di sostituzione edilizia, di ristrutturazione urbanistica e di nuova costruzione “ finalizzati alla riqualificazione urbanistica ed ambientale”.

Inoltre, la stessa parte appellante, nella sostanza, non deduce neppure che la disciplina della legge regionale avrebbe concretamente impedito la classificazione come area di ricomposizione urbana, né sostiene effettivamente che l’area su cui insiste il proprio stabilimento avrebbe dovuto essere inserita nei distretti di trasformazione (inserimento che avrebbe consentito comunque la sostituzione dell’esistente), sostenendo piuttosto che avrebbe dovuto essere inserita negli “ Ambiti di riqualificazione in area urbanizzata a prevalente funzione produttiva ”, disciplinati dall’art. 14 delle norme di conformità e congruenza, con mantenimento, quindi, della destinazione industriale.

Ma questa è esattamente la scelta operata dall’Amministrazione comunale, di superare progressivamente la destinazione industriale dell’area, in relazione alle trasformazioni previste per la zona adiacente della ex raffineria IP.

Deve, pertanto, su tale scelta effettuata dall’Amministrazione, essere esaminato il secondo motivo di appello, con cui si ripropone la censura relativa alla eccesso di potere per difetto di istruttoria, errore di fatto, motivazione contraddittoria e sviamento di potere, contestando l’inserimento dell’area BPGAS all’interno delle aree di ricomposizione urbana;
in particolare, in quanto mancherebbe il presupposto delle “ aree ambientalmente degradate ”, indicato nell’art. 15 della norme di conformità e congruenza;
sostiene, inoltre, l’appellante lo sviamento di potere da parte del Comune che avrebbe inserito l’area BPGAS nelle aree di ricomposizione urbana, in funzione della pericolosità dell’attività e non del degrado dell’area, come emergerebbe anche dalla motivazione di rigetto delle osservazioni.

Anche tale motivo è infondato.

In primo luogo, ritiene il Collegio di richiamare i consolidati orientamenti giurisprudenziali di questo Consiglio, per cui le scelte di pianificazione urbanistica costituiscono esplicazione di potere tecnico-discrezionale della pubblica amministrazione e sono censurabili in sede di sindacato giurisdizionale di legittimità solo in presenza di figure sintomatiche di eccesso di potere per palese irragionevolezza ed illogicità (tra le tante, Cons. Stato, sez. II, 12 febbraio 2020, n. 1095;
sez. IV, 25 maggio 2016 n. 2221). Inoltre, l’esercizio della discrezionalità riguarda non soltanto scelte strettamente inerenti all’organizzazione edilizia del territorio, bensì afferenti anche al più vasto e comprensivo quadro delle possibili opzioni inerenti al suo sviluppo socio-economico (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 1 agosto 2018 n. 4734;
id. 26 ottobre 2018, n. 6106). Il potere di pianificazione, infatti, è considerato espressione di un potere ampio e funzionalizzato di "governo del territorio" discendente direttamente dalla indicazione prevista dall'art. 117 della comma 3 della Costituzione, che si esplica non solo nella individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale e della disciplina della edificazione dei suoli, ma in tutte le modalità di utilizzo delle aree, nel quadro di rispetto e di positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati. L’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo (Consiglio di Stato, sez. IV, 22 febbraio 2017, n. 821;
id.1 giugno 2018, n. 3314, Sezione 20 dicembre 2019, n. 8631;
id. 14 novembre 2019, n. 7839).

Le scelte di pianificazione, inoltre, non sono condizionate dalla pregressa indicazione, nel precedente piano regolatore, di destinazioni d’uso diverse e più favorevoli rispetto a quelle impresse con il nuovo strumento urbanistico o di una sua variante, con il solo limite dell’esigenza di una specifica motivazione a sostegno della nuova destinazione quando quelle indicazioni avevano assunto una prima concretizzazione in uno strumento urbanistico esecutivo (piano di lottizzazione, piano particolareggiato, piano attuativo) approvato o convenzionato, o quantomeno adottato, e tale quindi da aver ingenerato un’aspettativa qualificata alla conservazione della precedente destinazione (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 6 novembre 2019, n. 7560;
sez. IV, 1 agosto 2018, n. 4734;
sez. IV, 12 aprile 2018, n. 2204;
sez. IV, 25 agosto 2017, n. 4063) o da giudicati di annullamento di dinieghi di concessioni edilizie o di silenzio-rifiuto su domanda di concessione (Cons. Stato, Sez. II, 10 luglio 2020, n. 4467;
Sez. VI, 8 giugno 2020, n. 3632;
sez. IV, 25 giugno 2019, n. 4343).

Nel caso di specie, quindi, le scelte comunali devono essere concretamente valutate sulla base di tali coordinate giurisprudenziali, nonché in relazione alle finalità generali indicate dalla legge regionale urbanistica della Liguria “ di ricomposizione e di riassetto ambientale comprensivo del recupero e della conservazione dei peculiari elementi qualitativi e della identità storico-culturale del paesaggio ”, “ di organizzazione, di innovazione e di sviluppo dei settori produttivi dell'economia regionale, con particolare riferimento al turismo, e di adeguamento delle reti infrastrutturali, in funzione del complessivo miglioramento qualitativo delle strutture urbane e dell'intero sistema insediativo regionale” e a quelle specifiche della pianificazione comunale - tutela della integrità fisica e dell’ identità culturale del territorio, valorizzazione delle risorse ambientali e delle economie locali, disciplina delle trasformazioni territoriali conseguenti ad interventi di tipo edilizio, infrastrutturale, vegetazionale e geomorfologico e ad azioni aventi comunque incidenza sull'uso e sull'organizzazione del territorio- indicate dalla legge regionale.

Sulla base di tali coordinate giurisprudenziali e secondo le finalità poste dalla legge regionale, si deve considerare che l’Amministrazione comunale di La Spezia ha chiaramente espresso una scelta pianificatoria nel senso della progressivo adeguamento dell’area della BPGAS alle trasformazioni previste per l’area adiacente dell’ex raffineria IP, costituente un distretto di trasformazione.

Né tale scelta può ritenersi manifestamente irragionevole in relazione alla specificità del territorio cittadino, originariamente interessato da vasti ambiti produttivi, che il Comune ha scelto di riqualificare e ricomporre in funzione di nuove destinazioni, secondo le finalità espressamente poste dalla legge regionale per la pianificazione urbanistica nell’ambito regionale nei suoi vari livelli di pianificazione.

Né può condividersi l’argomentazione dell’appellante, per cui il presupposto individuato dall’art. 15 delle “ aree ambientalmente degradate ” non sussisterebbe per l’impianto della BPGAS in perfetta efficienza e stato di manutenzione.

Infatti, come risulta dal riferimento letterale “ambientalmente”, il degrado non è riferito allo stato delle strutture esistenti, ma al contesto generale dell’area sotto il profilo “ambientale”, il che comporta che comunque debba ritenersi degradata una area con la presenza di un impianto produttivo e originariamente destinata ad attività industriale, in relazione invece alle esigenze di recupero delle funzioni di vivibilità cittadina espresse nella “ricomposizione” con il tessuto urbano circostante, indicata dall’art. 15 delle norme di conformità e congruenza.

Quanto poi alla deduzione difensiva con cui si sostiene che l’area della BPGAS, in quanto zona industriale con impianti esistenti avrebbe dovuto essere inserita negli ambiti di riqualificazione urbana a prevalente funzione produttiva disciplinati dall’art. 14 delle norme, si tratta di una contestazione della scelta dell’Amministrazione comunale, che invece chiaramente ha voluto inserire l’area della BPGAS in una zona destinata ad una progressiva modifica della destinazione industriale, con una valutazione di merito, che esula dalle possibilità di sindacato di questo giudice.

L’ampia accezione della funzione di pianificazione considerata dalla giurisprudenza sopra richiamata conduce ad escludere, altresì, lo sviamento di potere, potendo la pianificazione urbanistica tendere a ridisegnare il territorio in funzione degli interessi complessivi della città. Peraltro, dalla disciplina dell’art. 15 delle norme del PUC, risulta anche evidente il contemperamento dei contrapposti interessi tutelati, essendo stata limitata solo l’attività di ampliamento dello stabilimento, tramite il limite alle nuove costruzioni e alle ristrutturazioni con demolizioni e ricostruzione, mentre è stata consentita l’attività di ristrutturazione che comporta, quindi, la possibilità di mantenimento dell’impianto esistente, anche in efficienza, per un congruo periodo di tempo, in relazione al progressivo adeguamento alle modifiche urbanistiche anche dell’area circostante.

Sotto tale profilo, si deve anche rilevare che il riferimento, nella reiezione delle osservazioni, alla pericolosità dell’impianto è chiaramente posto in relazione al progressivo superamento della destinazione industriale dell’area, scelta effettuata dal Comune proprio al fine di consentire per tale “area di ricomposizione” un futuro sviluppo linea con la trasformazione dell’area della raffineria IP.

Deve, quindi, essere esaminato il terzo motivo di appello, con cui è stata riproposta la censura relativa alla violazione del D.lgs. 17 agosto 1999, n.334 e del D.M.9 maggio 2001, con cui si sostiene che sarebbe mancata qualsiasi valutazione dell’esistenza dell’impianto pericoloso della BPGAS in sede di approvazione dello strumento urbanistico.

Anche tale motivo deve ritenersi infondato.

L’art. 14 del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 334, di “attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose” aveva previsto entro sei mesi dalla sua entrata in vigore un decreto del il Ministro dei lavori pubblici, d’intesa con i Ministri dell'interno, dell'ambiente, dell'industria, del commercio e dell'artigianato e con la Conferenza Stato-Regioni per stabilire per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante “requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione territoriale, con riferimento alla destinazione e utilizzazione dei suoli che tengano conto della necessità di mantenere le opportune distanze tra stabilimenti e zone residenziali nonché degli obiettivi di prevenire gli incidenti rilevanti o di limitarne le conseguenze, per:

a) insediamenti di stabilimenti nuovi;

b) modifiche degli stabilimenti di cui all'articolo 10, comma 1;

c) nuovi insediamenti o infrastrutture attorno agli stabilimenti esistenti, quali ad esempio, vie di comunicazione, luoghi frequentati dal pubblico, zone residenziali, qualora l'ubicazione o l'insediamento o l'infrastruttura possono aggravare il rischio o le conseguenze di un incidente rilevante”, prevedendo, altresì, che nei tre mesi dall'adozione del decreto ministeriale , gli enti territoriali provvedessero, ove necessario, alle varianti ai piani territoriali di coordinamento provinciale e agli strumenti urbanistici . In mancanza della adozione della variante la concessione o l'autorizzazione per gli interventi ( per insediamenti di stabilimenti nuovi;
modifiche degli stabilimenti;
nuovi insediamenti o infrastrutture attorno agli stabilimenti esistenti), sarebbero state rilasciate “ qualora il progetto sia conforme ai requisiti di sicurezza previsti dai decreti di cui al comma 1 o al comma 2, previo parere tecnico dell'autorità competente di cui all'articolo 21, comma 1, sui rischi connessi alla presenza dello stabilimento, basato sullo studio del caso specifico o su criteri generali ”.

In base al comma 6 dell’art. 14, “ in caso di stabilimenti esistenti ubicati vicino a zone frequentate dal pubblico, zone residenziali e zone di particolare interesse naturale il gestore deve, altresì, adottare misure tecniche complementari per contenere i rischi per le persone e per l'ambiente, utilizzando le migliori tecniche disponibili. A tal fine il Comune invita il gestore di tali stabilimenti a trasmettere, entro tre mesi, all'autorità competente di cui all'articolo 21, comma 1, le misure che intende adottare;
tali misure vengono esaminate dalla stessa autorità nell'ambito dell'istruttoria di cui all'articolo 21”.

Il Decreto ministeriale adottato ai sensi del comma 1 è il DM. 9 maggio 2001, che all’art. 4 ha previsto: “ Gli strumenti urbanistici… individuano e disciplinano, anche in relazione ai contenuti del Piano territoriale di coordinamento di cui al comma 2 dell'articolo 3, le aree da sottoporre a specifica regolamentazione, tenuto conto anche di tutte le problematiche territoriali e infrastrutturali relative all'area vasta. A tal fine, gli strumenti urbanistici comprendono un Elaborato Tecnico «Rischio di incidenti rilevanti (RIR)» relativo al controllo dell'urbanizzazione, di seguito denominato «Elaborato Tecnico».

2. L'Elaborato Tecnico, che individua e disciplina le aree da sottoporre a specifica regolamentazione, è predisposto secondo quanto stabilito nell'allegato al presente decreto.

3. Le informazioni contenute nell'Elaborato Tecnico sono trasmesse agli altri enti locali territoriali eventualmente interessati dagli scenari incidentali perché possano a loro volta attivare le procedure di adeguamento degli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale di loro competenza.

4. In sede di formazione degli strumenti urbanistici nonché di rilascio delle concessioni e autorizzazioni edilizie si deve in ogni caso tenere conto, secondo princìpi di cautela, degli elementi territoriali e ambientali vulnerabili esistenti e di quelli previsti.

5. Nei casi previsti dal presente decreto, gli enti territoriali competenti possono promuovere, anche su richiesta del gestore, un programma integrato di intervento, o altro strumento equivalente, per definire un insieme coordinato di interventi concordati tra il gestore ed i soggetti pubblici e privati coinvolti, finalizzato al conseguimento di migliori livelli di sicurezza”.

L’art. 3 dell’allegato specifica il procedimento, prevedendo per gli insediamenti di stabilimenti nuovi e le modifiche degli stabilimenti esistenti la verifica da parte dell’Amministrazione comunale della compatibilità territoriale e ambientale del nuovo stabilimento rispetto alla strumentazione urbanistica vigente;
l’adozione della “ variante urbanistica, qualora tale compatibilità non sia verificata, nel rispetto dei criteri minimi di sicurezza per il controllo dell'urbanizzazione”. Nel caso di “ nuovi insediamenti o infrastrutture attorno agli stabilimenti esistenti, quali ad esempio, vie di comunicazione, luoghi frequentati dal pubblico, zone residenziali, qualora l'ubicazione o l'insediamento o l'infrastruttura possano aggravare il rischio o le conseguenze di un incidente rilevante” “l'Amministrazione comunale deve conoscere preventivamente, attraverso i metodi e i criteri esposti nel presente allegato e con l'apporto dei soggetti coinvolti, la situazione di rischio dello stabilimento esistente;
considerare, nelle ipotesi di sviluppo e di localizzazione delle infrastrutture e delle attività rubricate al punto c) del comma 1 dell'art.14 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, la situazione di rischio presente e la possibilità o meno di rendere compatibile la predetta iniziativa”.
In particolare , “previa valutazione delle previsioni vigenti dello strumento urbanistico, il procedimento di approvazione della eventuale variazione al medesimo, ricade nella situazione generale, variamente normata dalle leggi regionali.

Inoltre in base ai commi 7 e 8 dell’art 3 dell’allegato , la valutazione della compatibilità territoriale e ambientale, per quanto attiene gli strumenti urbanistici, deve necessariamente condurre alla predisposizione di opportune prescrizioni normative e cartografiche riguardanti le aree da sottoporre a specifica regolamentazione. L'individuazione e la disciplina di tali aree si fonda su una valutazione di compatibilità tra stabilimenti ed elementi territoriali e ambientali vulnerabili. L'individuazione di una specifica regolamentazione non determina vincoli all'edificabilità dei suoli, ma distanze di sicurezza. Pertanto i suoli interessati dalla regolamentazione da parte del piano urbanistico, non perdono la possibilità di generare diritti edificatori, in analogia con altre fattispecie dell'ordinamento come, ad esempio, le distanze di rispetto cimiteriali. In altri termini, l'edificazione potrà essere trasferita oltre la distanza minima prescritta dal piano, su aree adiacenti, oppure, ove lo consentano le normative di piano, su altre aree del territorio comunale.

Gli strumenti di pianificazione urbanistica recepiscono, inoltre, le indicazioni contenute nei piani territoriali e quelle derivanti dai piani di emergenza esterna di cui all'art. 20 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 (e in particolare le previsioni di localizzazione dei presidi di sicurezza all'interno della strumentazione urbanistica, come, ad esempio, le caserme dei VV.F), nonché l'individuazione delle aree ecologicamente attrezzate di cui all'art. 26 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, eventualmente utilizzabili per la localizzazione degli stabilimenti”.

Da tali disposizioni emerge la necessità che, al momento della adozione di una nuova strumentazione urbanistica, sia valutata in concreto la situazione di rischio (cfr. comma 4 dell’art. 4).

Nel caso di specie, nella formazione del Piano urbanistico l’Amministrazione comunale ha pienamente tenuto conto della situazione di criticità dell’impianto rispetto alle nuove destinazioni di zona, tanto da impedirne il futuro ampliamento.

Inoltre, l’art. 14 delle norme di conformità e congruenza richiama espressamente il rispetto del D.M. 9 maggio 2001 per le aziende a rischio elevato, da cui ulteriormente si desume che tale normativa è stata espressamente considerata nella elaborazione del PUC. In ogni caso, il richiamo alla disciplina del D.M. 9 maggio 2001, non si può ritenere limitato solo alle aree di cui all’art. 14 (in cui, peraltro, avrebbe voluto essere inserita l’appellante), ma a tutti gli impianti industriali esistenti, trattandosi di atto normativo generale comunque applicabile a prescindere dalla disciplina dello strumento urbanistico.

Peraltro, non è stata dedotta dalla parte appellante la violazione di eventuale specifica distanza di sicurezza tra le zone residenziali di nuova edificazione, che è il limite a cui la strumentazione urbanistica, ai sensi della disciplina dell’allegato al D.M. 9 maggio 2001, è concretamente indirizzata.

Inoltre, la situazione di rischio dell’impianto era stata anche oggetto di appositi provvedimenti di adeguamento alla disciplina del rischio, a seguito della entrata in vigore della legge regionale 21 giugno 1999 n. 18, relativa alle attività a rischio di incidente rilevante (art. 73 e seguenti).

Quanto alla mancata partecipazione delle popolazioni interessate, si deve rilevare che l’art. 23 del d.lgs. 334 del 1999, prevede il parere della popolazione interessata nell'ambito del procedimento di formazione dello strumento urbanistico o del procedimento di valutazione di impatto ambientale “ con le modalità stabilite dalle regioni o dal Ministro dell'ambiente, secondo le rispettive competenze, che possono prevedere la possibilità di utilizzare la conferenza di servizi con la partecipazione dei rappresentanti istituzionali, delle imprese, dei lavoratori e della società civile, qualora si ravvisi la necessità di comporre conflitti in ordine alla costruzione di nuovi stabilimenti, alla delocalizzazione di impianti nonché alla urbanizzazione del territorio ”.

Non si tratta quindi della introduzione di una nuova forma di partecipazione procedimentale, ma dell’utilizzazione dei moduli procedimentali di partecipazione già previsti dall’ordinamento (quali evidentemente nello strumento urbanistico le osservazioni dei cittadini) anche con riferimento a tale profilo di interesse rilevante.

In conclusione l’appello è infondato e deve essere respinto.

In considerazione della particolarità delle questioni le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate.

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