Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-06-28, n. 202205375
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Pubblicato il 28/06/2022
N. 05375/2022REG.PROV.COLL.
N. 02017/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2017 del 2022, proposto dalla -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati C M e M R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso
ex lege
dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
la Prefettura – UTG di Napoli, in persona del Prefetto
pro tempore
, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sede di Roma (Sezione Prima), n. -OMISSIS-, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 giugno 2022 il Cons. E F;
Udito per la parte appellante l’Avvocato M R e vista l'istanza con la quale l'Avvocato dello Stato Wally Ferrante ha chiesto il passaggio in decisione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1.- La -OMISSIS- società cooperativa ha impugnato dinanzi al T.A.R. per la Campania il provvedimento interdittivo antimafia n. -OMISSIS-, emesso dalla Prefettura - UTG di Napoli, sulla base della ritenuta sussistenza, nei suoi confronti, di situazioni sintomatiche del rischio
di infiltrazione mafiosa ex artt. 84 e 91 d.lvo n. 159/2011.
1.2.- Premesso che la società cooperativa ricorrente svolge attività di lavori edili e stradali e che il suo presidente e responsabile tecnico è il sig. -OMISSIS-la Prefettura di Napoli ha desunto il pericolo di condizionamento della suddetta società dalle seguenti circostanze, unitariamente esaminate e valutate:
- -OMISSIS-
- il predetto -OMISSIS-) è destinatario del provvedimento di sequestro preventivo emesso in data 19 dicembre 2011 dalla D.D.A. di Napoli nei confronti di soggetti appartenenti o vicini al clan P. operante in Quarto, facendo rinvio alla O.C.C. n. -OMISSIS-emessa dal GIP presso il Tribunale di Napoli;
- -OMISSIS-
- -OMISSIS-
- la società -OMISSIS-
- la -OMISSIS-
- la società -OMISSIS-dalla Prefettura di Napoli ed è sottoposta a regime fallimentare;
- -OMISSIS-in quanto indagati per i reati di cui agli artt. 416 c.p., 256 e 260 d.lvo n. 152/2006.
1.3.- Dai richiamati elementi, come si è detto, la Prefettura ha desunto che la società interdetta “ possa essere soggetta a condizionamenti di tipo mafioso, tenuto altresì conto dello stretto legame parentale che lega i fratelli -OMISSIS- ”.
2.- Il T.A.R., con la sentenza appellata, ha respinto i plurimi profili di censura articolati dalla società ricorrente, ponendo l’accento:
- sulla “ comunanza familiare che traspare dalla titolarità delle indicate Società, attinte da interdittive e appartenenti a soggetti legati al Presidente della Cooperativa da stretti rapporti parentali ”;
- sul “ coinvolgimento dei fratelli e di un nipote nel procedimento penale, per reati di cui all’art. 416 c.p. e agli artt. 256 e 260 del d.lgs. n. 152/2006, nell’ambito del quale era emessa a loro carico l’ordinanza di custodia cautelare domiciliare del Tribunale di Napoli del 5/6/2016 ”;
- sull’” elevata soglia di attenzione dell’ordinamento nei confronti dei reati ambientali ”, la quale “ fa sì che la misura cautelare che abbia riguardato l’ipotesi di reato di cui all’art. 260 del d.lgs. n. 152/2006 (“Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”) sia idonea a fondare l’emissione di un provvedimento interdittivo (cfr. Cons. Stato, sez. III, 30/6/2020 n. 4168, p. 11.4 ”;
- sul fatto che “ tale dato mantiene la propria significatività, in correlazione con gli altri e nel contesto familiare esaminato, non potendosi dire smentito dall’archiviazione del procedimento (riguardante peraltro il nipote -OMISSIS-
Ciò in quanto è pacifico che l’accertamento demandato al Prefetto prescinda dagli esiti dei procedimenti penali ”;
- sulla “ sentenza del 3/11/2014 n. 5593 (a sua volta citata nell’interdittiva), concernente la Società di cui era titolare il fratello del Presidente della Cooperativa ricorrente, con cui si è tra l’altro ritenuto che, “se è vero che il rapporto di parentela o di affinità non costituisce in sé indizio sufficiente del tentativo di infiltrazione mafiosa, è altrettanto vero che tale tentativo deve ritenersi sussistente quando al dato dell’appartenenza familiare si accompagnino circostanze sintomatiche di un’effettiva comunanza di interessi” (sentenza citata) ”;
- sulla “ rilevanza che assume il rapporto di parentela, in un contesto connotato da fenomeni criminali (stante la precisata esistenza, per taluni dei familiari, di rapporti con il clan Polverino), che connota l’appartenenza alla famiglia quale indice sufficiente a far presumere che ogni suo componente possa essere indotto a prestarsi a logiche malavitose, senza doversi richiedere il grado di certezza dell’accertamento penale, nell’ottica anticipata a cui sono preordinate le misure di prevenzione amministrativa ”.
3.- La sentenza suindicata costituisce oggetto dei rilievi critici formulati, con l’appello in esame, dalla originaria ricorrente, la quale lamenta, in sintesi, che l’impugnato provvedimento interdittivo si è basato su dati risalenti e non aggiornati, laddove gli elementi indiziari posti in risalto dalla Prefettura di Napoli non sono dotati della pregnanza e della oggettività necessarie a giustificare l’applicazione della gravosa misura inflitta.
3.1.- Si oppone invece all’accoglimento del gravame il Ministero dell’Interno.
4. Deve preliminarmente respingersi l’istanza di rinvio presentata in data 21 maggio 2022 dalla parte appellante, sulla base della pendenza dinanzi al Tribunale per le misure di prevenzione di Napoli del procedimento per la concessione alla stessa del controllo giudiziario ex art. 34 bis d.lvo n. 159/2011, alla quale si oppone l’Amministrazione appellata.
Deve premettersi che, ai sensi dell’art. 73, comma 1-bis, c.p.a., “ il rinvio della trattazione della causa è disposto solo per casi eccezionali, che sono riportati nel verbale di udienza, ovvero, se il rinvio è disposto fuori udienza, nel decreto presidenziale che dispone il rinvio ”.
Ebbene, ritiene la Sezione che le ragioni addotte dalla parte ricorrente a fondamento della suddetta istanza, essenzialmente relative al fatto che, in caso di accoglimento della richiesta, l’ammissione al controllo giudiziario determinerebbe una causa necessaria di sospensione del giudizio amministrativo, non siano idonee ad integrare i “ casi eccezionali ” che, ai sensi della disposizione citata, giustificano il rinvio della causa: ciò già in ragione del fatto che l’istanza de qua fa riferimento ad una mera ipotesi, rappresentata dall’accoglimento della sua richiesta di ammissione al controllo giudiziario.
5.- Nel merito, l’appello non è fondato.
6.- Deve premettersi che, per consolidata giurisprudenza, la prognosi inferenziale che fa da sfondo al pericolo infiltrativo dell’attività dell’impresa monitorata da parte della criminalità organizzata non deve rispondere ai canoni probatori propri del processo penale, attesa la diversa finalità – sanzionatoria in un caso, preventiva nell’altro – dei due sistemi di tutela dei valori ordinamentali.
Mentre infatti l’applicazione della sanzione penale presuppone l’osservanza di uno standard probatorio ispirato al criterio secondo cui la commissione del reato deve ritenersi accertata “ oltre ogni ragionevole dubbio ”, l’emanazione della interdittiva presuppone la sussistenza di elementi sintomatici che, per la loro serietà e convergenza, inducano a ritenere “ più probabile che non ” la fattispecie di condizionamento mafioso.
Deve inoltre osservarsi che la valutazione tipicamente discrezionale demandata al Prefetto, nell’esercizio del suo potere di contrasto della ingerenza della criminalità organizzata nella struttura imprenditoriale e quindi, di riflesso, nell’ambito dei rapporti tra il mondo produttivo e la -OMISSIS-, deve rispettare i tradizionali canoni della adeguatezza istruttoria, della logicità della prognosi infiltrativa, della ragionevolezza della misura interdittiva: tale rispetto costituisce anche l’oggetto primario del sindacato giurisdizionale sollecitato nei confronti del provvedimento preventivo.
Trattasi, evidentemente, di un sindacato di carattere “ esterno ”, in quanto inteso a rilevare eventuali profili di travisamento fattuale, carenza istruttoria e motivazionale, palese violazione dei principi di logicità e coerenza induttiva, mirante in ultima analisi a verificare che lo spessore dei fatti sintomatici allegati dalla Prefettura e posti a fondamento della misura interdittiva sia tale da rendere plausibile, e non del tutto evanescente o suggestiva, la correlazione causale tra quei fatti ed il pericolo di condizionamento mafioso dell’impresa interdetta.
La connotazione preventiva del potere interdittivo, inoltre, colloca al di fuori dei presupposti necessari del provvedimento inibitorio l’accertamento di condotte obiettivamente rivelatrici del pericolo di condizionamento, in quanto indicative della attuale sottomissione degli organi dell’impresa controllata alla signoria criminale, essendo sufficiente il riscontro di elementi o situazioni suscettibili di favorire, secondo una valutazione ex ante basata sull’analisi di quel peculiare fenomeno sociale quale è, prima ancora che dal punto di vista giuridico-repressivo, il fenomeno mafioso, l’ingerenza della criminalità organizzata nei processi decisionali aziendali.
Come evidenziato dalla giurisprudenza della Sezione, infatti, “ la verifica della legittimità dell’informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un’ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (quale è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio” (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2343 del 18 aprile 2018). Il giudice amministrativo è, a sua volta, chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame. Il sindacato per eccesso di potere sui vizi della motivazione del provvedimento amministrativo, anche quando questo rimandi per relationem agli atti istruttori, scongiura il rischio che la valutazione del Prefetto divenga, appunto, una “pena del sospetto” e che la portata della discrezionalità amministrativa in questa materia, necessaria per ponderare l’esistenza del pericolo infiltrativo in concreto, sconfini nel puro arbitrio. La funzione di “frontiera avanzata” dell’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi. Negare però in radice che il Prefetto possa valutare elementi “atipici”, dai quali trarre il pericolo di infiltrazione mafiosa, vuol dire annullare qualsivoglia efficacia alla legislazione antimafia e neutralizzare, in nome di una astratta e aprioristica concezione di legalità formale, proprio la sua decisiva finalità preventiva di contrasto alla mafia, finalità che, per usare ancora le parole della Corte europea dei diritti dell’uomo, consiste anzitutto nel “tenere il passo con il mutare delle circostanze” secondo una nozione di legittimità sostanziale ” (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1825 del 3 marzo 2021)” (cfr., di recente, Consiglio di Stato, Sez. III, n. 8464 del 20 dicembre 2021).
Deve altresì osservarsi che l’analisi prefettizia, da condurre nel rispetto dei criteri suindicati, si articola in due snodi essenziali: il primo è inteso a verificare la fonte del pericolo di inquinamento, ergo la persona/situazione indicativa della presenza attiva della criminalità organizzata in un determinato contesto economico o territoriale;il secondo è diretto ad accertare il veicolo del condizionamento, ovvero le modalità di esposizione dell’impresa controllata all’interesse dei gruppi criminali ed alla loro azione penetrativa nel tessuto imprenditoriale, al fine di alterarne le normali dinamiche operative e piegarle alla realizzazione degli scopi propri dei sodalizi criminali.
7.- Completata l’illustrazione delle linee di inquadramento generale della tematica processuale de qua , può senz’altro procedersi a verificare, alla luce delle doglianze attoree, se il provvedimento interdittivo impugnato in primo grado rispecchi, come ritenuto dal giudice di primo grado, i pertinenti parametri di legittimità.
8.- Quanto al primo aspetto dell’analisi, come innanzi enucleato, il paventato pericolo di condizionamento si coagula intorno alle figure di:
- -OMISSIS-), destinatario del provvedimento di sequestro preventivo emesso in data 19 dicembre 2011 dalla D.D.A. di Napoli nei confronti di soggetti appartenenti o vicini al clan Polverino operante in -OMISSIS-(il quale rinvia alla O.C.C. n. -OMISSIS-emessa dal GIP presso il Tribunale di Napoli) oltre che “stretto parente”, insieme alla madre -OMISSIS-
- -OMISSIS-, destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare domiciliare emessa dal GIP presso il Tribunale di Napoli in data 5 giugno 2016 in quanto indagati per i reati di cui agli artt. 416 c.p., 256 e 260 d.lvo n. 152/2006.
8.1.- Deve in proposito osservarsi che la parte appellante non formula specifiche censure al fine di contestare la vicinanza dei soggetti menzionati agli ambienti criminali, anche nella loro specifica configurazione mafioso-associativa, e quindi il pericolo di condizionamento che da essi è suscettibile di generarsi.
In particolare, non costituiscono oggetto di doglianza le ampie considerazioni formulate dal T.A.R., anche attraverso pertinenti riferimenti giurisprudenziali, alla valenza indiziaria dei reati summenzionati, inerenti al traffico illecito di rifiuti, in quanto tipica espressione operativa della criminalità organizzata, che da siffatta fenomenologia delittuosa, foriera di gravissimi pregiudizi per la collettività, ricava consistenti proventi, giustificando l’intervento anticipatorio proprio della funzione preventiva.
In proposito, invero, va richiamata la giurisprudenza secondo la quale “ il disvalore sociale e la portata del danno ambientale connesso al traffico illecito di rifiuti rappresentano, già da soli, ragioni sufficienti a far valutare con attenzione i contesti imprenditoriali, nei quali sono rilevati, in quanto oggettivamente esposti al rischio di infiltrazioni di malaffare che hanno caratteristiche e modalità di stampo mafioso ” (cfr., di recente, Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2855 del 2 maggio 2019).
8.2.- Deve altresì evidenziarsi che si tratta di una fonte generatrice del pericolo di condizionamento tutt’altro che inattuale, atteso che si fonda, da un lato, su legami parentali (tra alcuni dei soggetti menzionati ed esponenti di spicco della criminalità organizzata, rappresentata nella specie dalla cellula del clan P., operante nel territorio di Quarto) di carattere intrinsecamente durevole, dall’altro lato, trae alimento da un provvedimento cautelare dell’-OMISSIS- penale affatto risalente, essendo stato adottato nell’anno 2016.
8.3.- Né può ascriversi rilievo decisivo all’intervenuta archiviazione del procedimento penale che ha dato luogo all’emissione della citata ordinanza cautelare.
In primo luogo, infatti, essa concerne la sola posizione di -OMISSIS-, risultando invece esercitata l’azione penale, con richiesta di giudizio immediato, a carico di L.S., come si evince dalla richiesta di archiviazione prodotta in data 9 settembre 2021 dalla parte ricorrente.
In secondo luogo, attesa la già evidenziata diversità delle valutazioni probatorie rispettivamente devolute al giudice penale ed alla -OMISSIS- titolare del potere preventivo, sarebbe stato onere della parte ricorrente indicare analiticamente le ragioni per le quali l’esito (parzialmente) liberatorio del procedimento penale dovrebbe considerarsi idoneo ad estinguere ogni possibile rilevanza dei fatti oggetto dell’indagine penale – avvalorati, in prima battuta, dalla stessa -OMISSIS- che vi ha fondato una misura cautelare restrittiva – ai fini della concorrente ma autonoma valutazione amministrativa.
9.- Venendo al secondo segmento dell’indagine, deve premettersi che i legami parentali (tra soggetti contigui agli ambienti criminali e soggetti aventi il controllo e/o l’amministrazione dell’impresa) non possono essere indiscriminatamente assunti a dimostrazione del pericolo di trasmissione del contagio criminale entro il corpo imprenditoriale.
A tal fine, infatti, è necessario il concorso di ulteriori elementi qualificanti, i quali inducano ragionevolmente a ritenere che il rapporto di parentela, doppiando o confondendosi con quello imprenditoriale o criminale, rafforzi il pericolo di estensione dell’influenza criminale, sulla base del vincolo di solidarietà e reciproco sostegno che normalmente caratterizza il rapporto tra consanguinei.
In linea di principio, il provvedimento interdittivo può anche basarsi sulla constatazione che una attività economica si sia attivata o sia svolta avvalendosi di risorse di cui non sia stata data una idonea giustificazione e che, presumibilmente, siano state fornite da persone legate da rapporti di parentela, facenti parte o contigue al mondo della criminalità, o sia svolta con una cointeressenza economica con tali persone.
9.1.- Nella specie, emerge dall’attività istruttoria svolta dalla Prefettura di Napoli, le cui risultanze sono trasfuse nel corredo motivazionale del provvedimento interdittivo impugnato, che il legame di parentela tra i protagonisti della vicenda che fa da sfondo all’intervento prefettizio non è andato disgiunto, ma è anzi risultato simmetrico, alle attività criminali per le quali, pur senza (ancora, almeno relativamente alla posizione di -OMISSIS-approdare ad un definitivo accertamento, gli stessi sono stati sottoposti a procedimento penale.
9.2.- Va sottolineato, a tale riguardo, che, come si è detto,-OMISSIS-per i reati di cui agli artt. 416 c.p., 256 e 260 d.lvo n. 152/2006, non potendo ritenersi casuale la coincidenza tra il rapporto parentale e il vincolo di (ipotetica) correità.
Lo stesso dicasi per quanto concerne i sig.ri -OMISSIS-), i quali, oltre ad essere definiti in atti quali “ stretti parenti ” del boss -OMISSIS-destinataria di una interdittiva antimafia emessa in data 1° marzo 2013 dalla Prefettura di Napoli ed oggi sottoposta a regime fallimentare.
9.3.- Tali elementi, ad avviso del Collegio, hanno ragionevolmente indotto l’atto impugnato a ritenere che il legame parentale sia stato asservito e strumentalizzato ad esigenze di carattere imprenditoriale quando non direttamente criminale, con la conseguente attribuzione allo stesso delle colorazioni affatto neutre, dal punto di vista della valutazione preventiva, che legittimano il Prefetto ad utilizzarlo quale elemento significativo del mosaico indiziario che sorregge la determinazione interdittiva.
Al riguardo, l’insegnamento giurisprudenziale è nel senso che, “ proprio quando dietro la singola realtà d’impresa vi è un nucleo familiare particolarmente compatto e coeso (come appunto nel caso di specie), è statisticamente più facile che coloro i quali sono apparentemente al di fuori delle singole realtà aziendali possano curarne (o continuare a curarne) la gestione o, comunque interferire in quest’ultima facendo leva sui più stretti congiunti. È altrettanto noto che proprio il nucleo familiare “allargato”, ma unito nel curare gli “affari” di famiglia, è uno degli strumenti di cui più frequentemente si serve la criminalità organizzata di stampo mafioso per la penetrazione legale nell’economia, tanto è vero che in tempi recenti l’Adunanza Plenaria, riprendendo la giurisprudenza della Sezione, ha ribadito “che - quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell'impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose – l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto. Nei contesti sociali, in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza;una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della “famiglia”, sicché in una “famiglia” mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l’influenza del “capofamiglia” e dell’associazione. Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza - su un’area più o meno estesa - del controllo di una “famiglia” e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (a fortiori se questi non risultino avere proprie fonti legittime di reddito)” (Adunanza Plenaria sentenza 6 aprile 2018, n. 3 che richiama, a sua volta, i principi già espressi nella sentenza di questa Sezione n. 1743/2016 prima richiamata) ” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 4431 del 27 giugno 2019).
9.4.- Ciò premesso, deve osservarsi che la società cooperativa -OMISSIS-, al pari del suo presidente sig. -OMISSIS-non possono ritenersi estranei al circolo parentale-imprenditoriale che funge da cinghia di trasmissione del pericolo di condizionamento criminale nei confronti della società interdetta.
In primo luogo, infatti, -OMISSIS-fratello di -OMISSIS-
Il padre di-OMISSIS-
La -OMISSIS- ha intrattenuto rapporti commerciali con la cooperativa -OMISSIS- e risulta cancellata dal Registro delle Imprese in data 3 febbraio 2020.
Ebbene, anche in mancanza di riscontri diretti di collegamenti imprenditoriali e/o criminali tra -OMISSIS-ovvero la società cooperativa di cui è Presidente e destinataria del provvedimento interdittivo in esame, ed i parenti coinvolti in vicende di carattere penale, ragionevolmente il provvedimento impugnato in primo grado ha attribuito rilievo agli intrecci familiari e societari che emergono dal quadro dianzi tratteggiato e ha ritenuto che la “famiglia”, nella fattispecie in esame, abbia assunto un rilievo che va oltre la sfera meramente genealogica, divenendo la “rete di protezione” sulle fondamenta della quale sono stati costruiti i rapporti imprenditoriali tra i componenti della stessa ed ai quali si sono accompagnati i descritti risvolti penali e le connesse controindicazioni di segno preventivo.
9.5.- Né potrebbe sostenersi che i suddetti intrecci siano privi del carattere di attualità necessario a fondarvi la prognosi interdittiva, atteso che, ad esempio, la -OMISSIS- risulta cancellata dal Registro delle Imprese solo in data 3 febbraio 2020, mentre la società -OMISSIS-pur essendo sottoposta a regime fallimentare, conserva immutata la compagine proprietaria, di impronta marcatamente familiare, originaria.
10.- Nel contesto illustrato, caratterizzato da una pluralità di elementi indiziari che, pur non (tutti) immediatamente riferibili alla posizione di -OMISSIS-della cooperativa da esso presieduta, il provvedimento del Prefetto ha ben potuto rilevare un assetto familiare-imprenditoriale unitario, da cui il primo non risulta del tutto estraneo, e non può ritenersi illogico né carente da un punto di vista motivazionale, in quanto esso, proprio facendo leva sul suddetto “intreccio” aziendale e societario, lo ha elevato a possibile, sebbene non certo ma comunque sufficiente ai fini della legittimazione dell’intervento interdittivo, canale di trasmissione dell’ingerenza criminale nella sfera gestionale della società appellante.
11.- Inolte, nella logica probatoria – che si è detto pertinente al presente giudizio – del “ più probabile che non ”, mentre la Prefettura ha corroborato la sua ricostruzione interdittiva di sufficienti elementi indiziari, allo stesso onere probatorio non ha assolto la parte ricorrente al fine di suffragare l’ipotesi “alternativa” (nemmeno concretamente delineata, se non in termini di mera negazione di quella prospettata dall’Amministrazione) di idonei elementi di supporto.
12.- L’appello, in conclusione, deve essere complessivamente respinto.
13.- La parte appellante deve essere condannata alla refusione delle spese del secondo grado di giudizio a favore di quella appellata, nella complessiva misura di € 4.000,00, oltre oneri di legge.