Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-06-16, n. 201602683

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-06-16, n. 201602683
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201602683
Data del deposito : 16 giugno 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00938/2016 REG.RIC.

N. 02683/2016REG.PROV.COLL.

N. 00938/2016 REG.RIC.

N. 00957/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOE DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 938 del 2016, proposto dal Ministero dell'Interno, dall’U.T.G. - Prefettura di Crotone, dalla Autorità Portuale di Gioia Tauro, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, sono domiciliati per legge;

contro

la -OISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. R M, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Tacito, n. 41;



sul ricorso numero di registro generale 957 del 2016, proposto dalla -OISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fortunato Fncesco Mirigliani e R M, con domicilio eletto presso lo studio Mirigliani in Roma, via Tacito, n. 41;

contro

il Ministero dell'Interno, la Prefettura di Crotone e l’Autorità Portuale di Gioia Tauro, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall' Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, sono domiciliati per legge;

Entrambi per la riforma della sentenza del T.a.r. Calabria, Sede di Catanzaro, Sezione I, n. 1722/2015, resa tra le parti.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della -OISSIS-, del Ministero dell'Interno, della Prefettura di Crotone e dell’Autorità Portuale di Gioia Tauro;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 31 marzo 2016 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti l’avvocato R M e l’avvocato dello Stato Lorenzo D'Ascia;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. - Con ricorso RG 938/2016, le Amministrazioni statali indicate in epigrafe hanno proposto appello avverso la sentenza del T.A.R. Calabria, Sede di Catanzaro, n. 1722/2015, che ha accolto il ricorso RG. 1002/2014 proposto dalla -OISSIS- ed ha annullato l’informazione antimafia n. 6157/2012/13/14 Area 1/AM dell’11 giugno 2014, emessa dal Prefetto della Provincia di Crotone a carico della stessa società, nonché gli atti ad essa consequenziali (il decreto n. 54/14 del 19 giugno 2014 dell’Autorità Portuale di Gioia Tauro, con cui sono stati revocati i permessi di accesso in porto rilasciati ai dipendenti della società, le autorizzazioni e le concessioni demaniali rilasciate alla stessa società, ed il provvedimento del 24 giugno 2014, n. 7292 U/14 AAMM, con cui la medesima Autorità Portuale ha respinto una istanza di concessione decennale di una zona di demanio marittimo).

1.1. - Con l’appello RG 957/2016, invece, la -OISSIS- ha impugnato il capo della stessa sentenza che non si è pronunciata sulla domanda risarcitoria ed ha chiesto che, in sua riforma, il Ministero dell’Interno sia condannato al risarcimento del danno derivante dall’adozione del provvedimento interdittivo annullato dal T.A.R.

2. - Il provvedimento interdittivo è basato sui seguenti presupposti:

-- l’adozione da parte della Prefettura di Crotone, in data 21 novembre 2007, dell’informazione antimafia interdittiva ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1993, n. 252, nei confronti della società, in quanto il sig. A. F., padre allora convivente del sig. A. Gio., all’epoca amministratore unico della società, era stato condannato con sentenza emessa dal Tribunale di Crotone e confermata in appello, per il reato di estorsione in concorso (artt. 629 e 110 c.p.);

-- la cessione da parte del medesimo sig. A. F. con due distinti atti, datati rispettivamente 4 novembre 2003 e 9 aprile 2003, di interi rami d’azienda relativi ad autotrasporto merci conto terzi, raccolta e trasporto rifiuti speciali, stoccaggio, trattamento e recupero e smaltimento dei rifiuti alla -OISSIS-, di proprietà dei figli P, Fab. e Gio.;

-- la condanna del sig. A. M, figlio del su citato F., già socio ed amministratore unico della società, con sentenza n 1102/13 emessa dalla Corte di Appello di Catanzaro in data 29 ottobre 2013, in riforma della precedente sentenza n. 124 del 18 novembre 2010 del Tribunale di Crotone, alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione, € 400,00 di multa ed alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, per il reato di estorsione (art. 629 c.p.), reato spia ai sensi dell’art. 84, comma 4, lett. a), del D.Lgs. n. 159 del 2011;

- la motivazione della sentenza di condanna della Corte di appello, nella quale si afferma che «all’A. si contestava di aver costretto la … committente dei lavori di movimentazione delle pale coliche arrivate presso il porto di Crotone ad affidare le commesse fino a quei momento svolte dalla Compagnia lavoratori portuali e dalla Compagnia portuale di Crotone, alla società -OISSIS- dello stesso A., mediante la minaccia consistita nel prospettare a … direttore marketing e responsabile del settore eolico per la … il pericolo di danneggiamenti ai mezzi della ditta, qualora non venissero trasferiti presso il proprio cantiere, nonché nel mostrare, in una riunione tenutasi presso il suo ufficio, allo stesso … e a … titolare della ditta, una pagina di giornale raffigurante le foto di alcuni soggetti arrestati nell’ambito di un’operazione di Polizia, tra i quali vi era un parente dell’imputato »;

- la perdurante effettiva influenza del sig. A. M sulla società, anche dopo le dimissioni da ogni incarico presso di essa, presentate il 30 ottobre 2013, desunta dal fatto che in diverse occasioni, da ultimo in data 1° marzo 2014, ha personalmente denunciato danneggiamenti, ad opera di ignoti di mezzi appartenenti alla -OISSIS-, ed in data 29 aprile e 23 maggio 2014 ha presentato al locale Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza due denunce/querele scritte, relative a presunte irregolarità nelle autorizzazioni ad esercitare operazioni portuali, sicchè la fuoriuscita dalla -OISSIS- di A. M, già amministratore unico della stessa all’epoca della commissione del reato di estorsione, è stato ritenuto un mero espediente per eludere la normativa in materia antimafia;

- la residenza del sig. A. M allo stesso indirizzo dei fratelli P, attuale amministratore unico della società, Fab. (socio) e Gio. (socio), elemento ritenuto anch’esso indicativo della sua perdurante influenza di fatto nella gestione della società.

3. - Con la sentenza appellata, il T.A.R. ha accolto l’impugnativa proposta dalla -OISSIS-.

Il primo giudice ha convenuto con il Prefetto che il Sig. -OISSIS- «svolga ancora qualche ruolo nella società, anche se risulta formalmente estraneo alla compagine societaria e non riveste alcuna carica sociale. Risulterebbero, altrimenti, poco comprensibili le iniziative che questi ha adottato a tutela dei mezzi della società e dell’attività della società stessa nell’ambito delle strutture portuali. Tali iniziative, in sé pienamente legittime, sottendono chiaramente un intento di tutelare gli interessi della società».

Il T.A.R. ha quindi ritenuto che non potesse costituire idoneo presupposto per l’adozione del provvedimento interdittivo la condanna del sig. A. F., padre di A. M, risalente al 2007 per il reato di estorsione e la conseguente informativa antimafia emessa nei confronti della società (peraltro annullata dallo stesso TAR con la sentenza n. 1529/2008), in quanto risalente nel tempo e non suffragata da altri elementi dai quali desumere l’infiltrazione mafiosa

Il T.A.R. - andando in contrario avviso rispetto alla sua ordinanza cautelare, confermata dal appello Consiglio di Stato – ha ritenuto decisiva la mancanza di prova circa il legame del sig. M A. con ambienti della criminalità organizzata, con conseguente insussistenza del rischio di condizionamento mafioso.

Il T.A.R. ha ritenuto che la sentenza della Corte di Appello ha dato per lo più rilievo al contesto ambientale nel quale si sono svolti i fatti che hanno condotto alla condanna, tanto da influenzare la vittima del reato, in mancanza di un collegamento effettivo con ambienti criminali.

Il riferimento al ‘reato spia’ costituito dall’estorsione (art. 629 c.p.) e le sostituzioni negli organi sociali che si sono verificate non sono state ritenute dal T.A.R. sufficienti per sostenere l’interdittiva, in mancanza di ulteriori elementi a sostegno della misura in quanto «la legge non ha previsto che la condanna per tale reato costituisca elemento di per sé ostativo».

4. – Le Amministrazioni statali appellanti hanno censurato la sentenza, sostenendo l’erroneità della tesi del primo giudice, secondo cui la condanna per estorsione a carico del sig. M A. non sarebbe sintomatica di un rischio di infiltrazione della criminalità organizzata.

Esse hanno dedotto che:

- il rischio di condizionamento si fonda su elementi indiziari e non su prove, come nel giudizio penale;

- la valutazione sul condizionamento è stata già compiuta dalla Corte di Appello, che ha riportato nella sentenza sia le frasi minacciose rivolte dall’amministratore della -OISSIS-, sig. M A., al responsabile della ditta -OISSIS-, sia l’episodio del giornale, che riportava le foto di 42 arrestati, incluso un parente dello stesso sig. M A., con i quali la vittima del reato è stata indotta ad abbandonare la commessa, per affidarlo alla società ricorrente in primo grado;

- la vicenda che ha interessato il padre del sig. M A., condannato per estorsione con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, avvalora la chiave di lettura di una società che opera in un contesto professionale e familiare contiguo alle consorterie criminali, tanto da essere sufficiente la ‘mera minaccia’ per eliminare la ‘concorrenza scomoda’ ed accaparrarsi commesse;

- non a caso il reato di estorsione costituisce - ai sensi dell’art. 84, comma 4, lett. a) - uno dei ‘reati spia’ da cui è possibile desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa.

Hanno concluso, quindi, le Amministrazioni appellanti che il complesso degli elementi indicati nel provvedimento impugnato fossero idonei a dimostrare il rischio di condizionamento della criminalità organizzata di stampo mafioso.

5. - Si è costituita in giudizio la -OISSIS-, che ha chiesto il rigetto dell’appello, rilevando che l’impugnazione avrebbe solo ‘funzione ritorsiva’, perché proposta solo dopo la notifica del proprio appello avverso la stessa sentenza, diretta a censurare il capo della decisione che non si è pronunciata sulla domanda risarcitoria.

La società ha poi rilevato che nel frattempo la Corte di Cassazione - con la sentenza n. 2197 del 26 gennaio 2016 - ha annullato con rinvio la sentenza di condanna del sig. -OISSIS-, elemento fondante del provvedimento interdittivo, ed ha lamentato la carenza di ulteriori risultanze a sostegno del pericolo di infiltrazione mafiosa, tenuto anche conto della condotta tenuta dallo stesso sig. A., ed in particolare delle denunce per concussione da lui presentate.

6. - Alla camera di consiglio del 31 marzo 2016, è stato dato avviso alle parti della possibilità di definire il giudizio RG 938/2016, fissato per la decisione sulla domanda cautelare, con la sentenza di merito unitamente all’appello RG. 957/2016, chiamato all’udienza pubblica lo stesso giorno, ed è stato quindi disposto il contestuale mutamento del rito per tale causa, col consenso delle parti.

Entrambi gli appelli sono stati quindi trattenuti in decisione all’udienza pubblica del 31 marzo 2016.

DIRITTO

1. – Preliminarmente, ritiene il Collegio di dover disporre la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 96, comma 1, c.p.a., trattandosi di appelli proposti avverso la stessa sentenza.

2. - Preventivamente, per ragioni logiche, va esaminato l’appello proposto dalle Amministrazioni statali soccombenti in primo grado (RG. 938/2016).

2.1 - L’appello è fondato e va dunque accolto.

Prima di esaminare i motivi di impugnazione, è opportuno richiamare, sinteticamente, taluni principi espressi recentemente dalla Sezione in tema di interdittiva antimafia (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743):

-- l’informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del d. lgs. n. 159/2011, presuppone «concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata»;

-- quanto alla ratio dell’istituto della interdittiva antimafia, si tratta di una misura volta – ad un tempo - alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione: l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti «affidabile») e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge;

-- ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione ‘parcellizzata’ di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri;

-- è estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né – tanto meno – occorre l’accertamento di responsabilità penali, quali il «concorso esterno» o la commissione di reati aggravati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante;

-- il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più «probabile che non», alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso;

-- pertanto, gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione;

-- tra gli elementi rilevanti, vi sono i provvedimenti del giudice penale che dispongano una misura cautelare o il giudizio o che rechino una condanna, anche non definitiva, di titolari, soci, amministratori, di fatto e di diritto, direttori generali dell’impresa, per uno dei delitti-spia previsti dall’art. 84, comma 4, lett. a), del d. lgs. n. 159 del 2011, tra i quali è annoverato il delitto di estorsione (art. 629 c.p.);

-- può rilevare qualsivoglia provvedimento del giudice civile, penale, amministrativo, contabile o tributario, quale che sia il suo contenuto decisorio, dalla cui motivazione emergano elementi di condizionamento, in qualsiasi forma, delle associazioni malavitose sull’attività dell’impresa o, per converso, l’agevolazione, l’aiuto, il supporto, anche solo logistico, che questa abbia fornito, pur indirettamente, agli interessi e agli affari di tali associazioni;

-- quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del «più probabile che non», che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto;

-- nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una «influenza reciproca» di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza;

-- una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione;

-- hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (a fortiori se questi non risultino avere proprie fonti legittime di reddito).

A questi principi enucleati di recente dalla Sezione, occorre aggiungere quelli che sono stati costantemente affermati dalla giurisprudenza:

-- non è richiesta la prova dell’attualità delle infiltrazioni mafiose, dovendosi solo dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile – secondo il principio del più probabile che non - il tentativo di ingerenza, o una concreta verosimiglianza dell'ipotesi di condizionamento sulla società da parte di soggetti uniti da legami con cosche mafiose, e dell'attualità e concretezza del rischio (Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2012 n. 4708;
Cons. Stato n. 3057/10;
1559/10;
3491/09);

-- la valutazione del pericolo di infiltrazioni mafiose, di competenza del Prefetto, è connotata, per la specifica natura del giudizio formulato, dall'utilizzo di peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca, che esclude la possibilità per il giudice amministrativo di sostituirvi la propria, ma non impedisce ad esso di rilevare se i fatti riferiti dal Prefetto configurino o meno la fattispecie prevista dalla norma e di formulare un giudizio di logicità e congruità con riguardo sia alle informazioni assunte, sia alle valutazioni che il Prefetto ne abbia tratto (Cons. Stato, n. 5130 del 2011;
Cons. Stato, n. 2783 del 2004;
Cons. Stato n. 4135 del 2006);

-- l'ampia discrezionalità di apprezzamento del Prefetto in tema di tentativo di infiltrazione mafiosa comporta che la valutazione prefettizia sia sindacabile in sede giurisdizionale in caso manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell'informativa antimafia rimane estraneo l'accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, assunti a base del provvedimento (in termini, Cons. Stato, n. 4724 del 2001).

Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. Stato n. 7260 del 2010).

3. - Svolte queste premesse, è possibile procedere ad esaminare le censure proposte dalle Amministrazioni statali avverso la sentenza impugnata.

3.1 - Le censure sono fondate.

Correttamente la difesa dell’Amministrazione ha rilevato che la valutazione del collegamento del sig. M A. con ambienti della criminalità organizzata non è frutto di una libera interpretazione del Prefetto del materiale penale, ma discende proprio dalla sentenza della Corte di Appello di Catanzaro.

Nella motivazione sono evidenziate le minacce proferite dall’amministratore della società M A. nei confronti del sig. Mel. M, responsabile della -OISSIS-: «voi siete arrivati bussando con le mani e con i piedi, queste cose non si fanno, io devo riferire a qualcuno, questo qualcuno ha già detto che non gradisce la questione, che bisogna stare attenti perché dunque i mezzi possono subire qualcosa e le persone anche».

Tali minacce sono state proferite facendo ricorso alle modalità operative proprie della criminalità organizzata.

Nella motivazione della sentenza penale è riportato anche l’episodio dell’esibizione della pagina di un giornale in cui erano riportate le foto di 42 persone arrestate dalla Polizia di Stato, riferendo che uno di loro era un suo parente, per costringere la -OISSIS- ad abbandonare la commessa ricevuta dalla s.n.c. -OISSIS-, per affidarlo alla -OISSIS- e poi alla -OISSIS-.

La condotta tenuta dal sig. A. M – diretta a prospettare il concreto pericolo di danni ai mezzi meccanici della ditta concorrente ove non fosse stata assecondata la richiesta estorsiva – ha avuto una sua specifica portata proprio in considerazione del collegamento con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata, benché non espressamente individuati, e ai legami di parentela, come si evince dall’episodio del giornale, rimandando al concetto di famiglia, tipico del fenomeno mafioso al quale si è fatto cenno in precedenza.

Alla luce di detti elementi, assumono rilievo anche le vicende societarie riportate nel decreto del Prefetto (le cessioni di rami di azienda, i cambi degli organi di vertice della società), che appaiono verosimilmente adottati – in applicazione del principio del più probabile che non – per eludere la normativa antimafia.

Anche la vicenda che ha interessato il padre del sig. M A., risalente a quasi 10 anni fa, è dimostrativa della permanenza di modalità estorsive nella gestione dell’attività economica dell’impresa che sono proprie della criminalità organizzata, tanto da far dedurre - secondo il principio dell’ id quod plerumque accidit - l’attendibilità del giudizio di permeabilità o di collegamento con le consorterie criminali reso dal Prefetto di Crotone, che comporta il venir meno di quel rapporto fiduciario – al quale si è fatto cenno nel § 2.1 - che deve invece sussistere quando un’impresa voglia intrattenere rapporti con la pubblica amministrazione.

3.2 - Per completezza espositiva, occorre rilevare che le vicende giudiziarie successive sulle quali l’appellata ha posto l’accento – ed in particolare l’annullamento con rinvio della sentenza della Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza della Corte di Cassazione –, non assumono rilievo nella presente controversia, perché la valutazione della legittimità degli atti deve essere esaminata alla stregua della situazione di fatto e di diritto esistente al momento della loro adozione: la sentenza della Corte di Cassazione è stata depositata nel gennaio 2016, a distanza di quasi due anni dall’adozione del provvedimento.

Inoltre, come pure rilevato in precedenza, l’interdittiva non postula necessariamente la condanna in sede penale, potendo desumersi elementi induttivi anche da provvedimenti giurisdizionali che non dispongano la condanna, perché diversi sono i presupposti per la condanna penale rispetto a quelli idonei a suffragare la misura di prevenzione antimafia.

Infine, neppure le vicende che hanno interessato il sig. M A. relative alla denunce per concussione possono assumere rilievo ai fini della legittimità dell’informativa antimafia, trattandosi di condotte appartenenti ad un ambito del tutto distinto da quello relativo alle cautele antimafia.

4. - L’appello dell’Amministrazione (RG 938/2016) deve essere pertanto accolto e per l’effetto deve essere integralmente riformata la sentenza di primo grado e deve essere quindi respinta la domanda di annullamento, proposta in primo grado.

4.1 – La reiezione delle censure proposte contro l’interdittiva antimafia comporta la reiezione della domanda della società al risarcimento del danno: ne consegue il rigetto dell’appello RG 957/2016 da proposto avverso la medesima sentenza.

5. – Le spese del doppio grado di giudizio possono compensarsi tra le parti, in considerazione della particolarità della fattispecie.

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