Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-06-12, n. 202405265

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-06-12, n. 202405265
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202405265
Data del deposito : 12 giugno 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/06/2024

N. 05265/2024REG.PROV.COLL.

N. 09346/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 9346 del 2023, proposto da
S.I.V.A.M. Società Imbottigliamento e Vendita Acque Minerali s.r.l. soc. unip., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A P e F C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A P in Roma, largo Amilcare Ponchielli, 6;

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato R C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Istituto di Ortofonologia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati Barbara Frateiacci, Graziano Pungì e Francesco Antonio Romito, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 12780/2023, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e dell’Istituto di Ortofonologia s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 maggio 2024 il Cons. Alberto Urso e uditi per le parti gli avvocati Pazzaglia, Caldarozzi e Frateiacci;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La S.I.V.A.M. Società Imbottigliamento e Vendita Acque Minerali s.r.l.u., quale titolare del diritto di concessione per lo sfruttamento della concessione mineraria per l’acqua minerale “Acqua Sacra” insistente su sedime sito in Roma, con accesso da via Passo del Furlo n. 53 e da via Monte Nevoso, di proprietà della Istituto di Ortofonologia s.r.l., con il ricorso di primo grado impugnava la nota di Roma Capitale del 12 settembre 2019 e gli atti correlati con cui era stata denegata l’autorizzazione del passo carrabile per l’accesso da via Passo del Furlo;
la ricorrente impugnava, al contempo, l’intervenuta concessione al controinteressato Istituto di Ortofonologia dell’autorizzazione per l’installazione di un percorso pedonale protetto da dissuasori di sosta che avrebbero impedito alla ricorrente l’accesso carrabile all’impianto.

Deduceva la ricorrente, in sintesi: l’erroneo richiamo al parere negativo della polizia locale in ordine all’asserito mancato rispetto, ai fini dell’autorizzazione del passo carrabile, delle distanze minime dalle intersezioni stradali a norma del Codice della strada, omettendo di considerare le deroghe previste per gli accessi carrabili realizzati in epoca precedente all’entrata in vigore dello stesso Codice;
l’omessa motivazione del diniego a fronte della condizione d’interclusione dell’accesso a una sorgente di acqua minerale, la cui gestione costituirebbe attività d’interesse pubblico;
la conseguente illegittimità degli atti autorizzativi in favore della controinteressata relativi all’apposizione di dissuasori di sosta parapedonali nel tratto di via Passo del Furlo comprensivo dell’area antistante all’accesso carrabile.

Al riguardo la ricorrente censurava anche, in relazione all’autorizzazione in favore del controinteressato: l’omessa comunicazione a sé dell’avvio del procedimento;
la mancata adozione di un provvedimento espresso d’autorizzazione, nonché dell’ordinanza sindacale necessaria per la modifica della disciplina di sosta, considerato che il divieto di sosta trova applicazione di suo nel periodo compreso fra le ore 8 e le ore 20;
il mancato espletamento d’istruttoria circa la necessità della realizzazione del percorso pedonale protetto;
la carenza di motivazione in ordine all’estensione dell’installazione dei dissuasori;
la contraddittorietà dell’azione dell’amministrazione, che aveva previsto il posizionamento di dissuasori amovibili davanti all’ingresso dell’impianto della ricorrente;
l’omessa considerazione della presenza in loco di una sorgente d’acqua minerale, con conseguente impossibilità di suo utilizzo.

In via subordinata, la ricorrente prospettava questione di legittimità costituzionale del d.lgs. n. 285 del 1992 e del d.P.R. n. 495 del 1992 per contrasto con gli artt. 41 e 42 Cost. nella misura in cui impedissero effettivamente di autorizzare il passo carrabile controverso.

2. Il Tribunale amministrativo adito, nella resistenza di Roma Capitale e della Istituto di Ortofonologia s.r.l., respingeva il ricorso.

Riteneva il giudice di primo grado che fosse pacifica, nella specie, la violazione del regime delle distanze minime dalle intersezioni stradali di cui all’art. 46, comma 2, lett. a) , d.P.R. n. 495 del 1992, né erano applicabili le deroghe invocate dalla ricorrente: da un lato, infatti, l’istanza non conteneva un riferimento giuridicamente rilevante alla preesistenza dell’accesso (considerato che l’interessata aveva proposto istanza per l’autorizzazione di una nuova concessione);
dall’altro le deroghe erano ammissibili ai soli accessi esistenti regolarmente autorizzati al tempo della loro realizzazione, o quanto meno successivamente regolarizzati. Al riguardo l’ente locale non è provvisto di alcun potere discrezionale, sicché anche le censure incentrate sulla necessaria comparazione degli interessi che l’amministrazione avrebbe dovuto eseguire non era favorevolmente apprezzabile.

Il T riteneva conseguentemente infondata la censura d’illegittimità derivata degli atti autorizzativi all’installazione dei dissuasori di sosta in favore della controinteressata, e respingeva anche le autonome doglianze formulate al riguardo dalla ricorrente.

A tale ultimo proposito il T riteneva, per quanto di rilievo: che in quanto priva di un titolo legittimante l’accesso carrabile, la ricorrente non era qualificabile come necessaria destinataria della comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 l. n. 241 del 1990;
che l’istruttoria condotta da Roma Capitale ben giustificava l’installazione di dissuasori lungo tutto il tratto della strada, in quanto fra l’altro strada a doppio senso;
che l’installazione dei dissuasori era stata effettuata nell’interesse dell’amministrazione, sicché alcuna autorizzazione doveva ritenersi rilasciata in favore della controinteressata, e comunque l’assenso dell’ente poteva ritenersi presupposto alle determine di concessione dell’autorizzazione per l’o.s.p. necessaria alla realizzazione del percorso pedonale e conseguente modifica temporanea della disciplina del traffico;
alcuna contraddittorietà era ravvisabile nella prescrizione di amovibilità dei paletti installati nel tratto antistante l’impianto della ricorrente, prevista in relazione a situazioni d’emergenza.

Né ai fini del rilascio dell’autorizzazione poteva attribuirsi valenza decisiva, a mente del regime normativo applicabile, all’invocata presenza di una sorgente d’acqua, considerata peraltro l’assenza di un accesso carrabile autorizzato in favore della ricorrente e la mancata dimostrazione di una situazione d’interclusione.

Il T riteneva infine irrilevante e manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale prospettata.

3. Avverso la sentenza ha proposto appello la S.I.V.A.M. deducendo:

I) errores in iudicando : violazione e falsa applicazione dell’art. 22 d.lgs. n. 285 del 1992 e dell’art. 46 d.P.R. n. 495 del 1992 in punto di applicabilità al caso di specie delle deroghe alle distanze minime dalle intersezioni stradali;
eccesso di potere per falsa rappresentazione dei presupposti di fatto e di diritto;
violazione del principio di non contestazione e dell’onere della prova;
motivazione contraddittoria, illogica e comunque insufficiente;

II) error in iudicando : violazione e/o falsa applicazione degli artt. 26 e 32 r.d. n. 1443 del 1927 (cd. “Legge mineraria”);
violazione e/o falsa applicazione della disciplina stradale (d.lgs. n. 285 del 1992 e d.P.R. n. 495 del 1992) in relazione ai parametri costituzionali di cui agli artt. 3, 41 e 42 Cost.;

III) error in iudicando sull’omesso scrutinio della sussistenza nel caso di specie di una intersezione in corrispondenza dell’accesso di via Passo del Furlo;

IV) error in iudicando : eccesso di potere per falsa rappresentazione dei presupposti di fatto e di diritto;
motivazione contraddittoria e insufficiente;

V) sulla condanna alle spese legali.

4. Resistono al gravame Roma Capitale e la Istituto di Ortofonologia, chiedendone la reiezione;
quest’ultima domanda anche la condanna dell’appellante per lite temeraria.

5. All’udienza pubblica del 30 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Può prescindersi dall’esame delle eccezioni preliminari sollevate dalle resistenti, stante il rigetto nel merito dell’appello.

2. Col primo motivo di gravame, l’appellante si duole dell’errore in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado nell’escludere che il cancello sito a via Passo del Furlo n. 53 possa beneficiare delle deroghe alle distanze minime dalle intersezioni stradali di cui agli artt. 22 Cod. strada e 46 d.P.R. n. 495 del 1992.

Nella specie, quanto al fatto che nel modulo di richiesta dell’autorizzazione la S.I.V.A.M. avesse fatto riferimento alla voce relativa alla “ apertura di un nuovo passo carrabile ”, anziché alla regolarizzazione di un accesso già esistente, l’amministrazione avrebbe dovuto da sé - andando oltre l’indicazione fornita dall’istante - approfondire la fattispecie a fronte degli univoci elementi in senso opposto emergenti in concreto, e in particolare della relazione asseverata in cui si dava conto che l’accesso esisteva già dal 1960.

Peraltro dalla documentazione prodotta in giudizio ben emergeva l’esistenza di un cancello in corrispondenza del civico 53 già nel 1931, dal Sistema informativo di toponomastica di Roma Capitale, e poi nel 1975, dalla “planimetria generale” del sito minerario;
né peraltro l’amministrazione ha mai contestato in giudizio la preesistenza dell’accesso, come tale provato anche per non contestazione.

In tale contesto, anche la ritenuta inapplicabilità al caso di specie dell’art. 22, comma 9, Cod. strada sarebbe da ritenere erronea, giacché l’accesso di via Passo del Furlo n. 53 era “regolarmente autorizzato” ai sensi della normativa esistente al momento della sua realizzazione (addirittura anteriormente all’art. 4 r.d. n. 1740 del 1933, e in un contesto in cui l’accesso era realizzato nel rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia in vigore al tempo);
in ogni caso l’art. 46 d.P.R. n. 495 del 1992, nel prevedere le deroghe alle prescrizioni tecniche in materia di accessi carrabili, non presuppone affatto che gli accessi già esistenti siano “regolarmente autorizzati” o “regolarizzati”, ma soltanto che gli stessi siano “esistenti”.

L’art. 22, comma 11, Cod. strada, ben ammetterebbe, al riguardo, un’autorizzazione postuma in deroga alle disposizioni previste per i nuovi accessi, nell’ipotesi in cui l’accesso sia legittimo dal punto di vista edilizio.

2.1. Il motivo non è fondato.

2.1.1. Occorre premettere che la disciplina generale sui passi carrabili, risultante dall’art. 22 Cod. strada, prevede che « Senza la preventiva autorizzazione dell’ente proprietario della strada non possono essere stabiliti nuovi accessi e nuove diramazioni dalla strada ai fondi o fabbricati laterali, né nuovi innesti di strade soggette a uso pubblico o privato » (art. 22, comma 1, Cod. strada).

Un regime particolare è previsto in relazione agli accessi già esistenti, per i quali il successivo comma 2 stabilisce che « Gli accessi o le diramazioni già esistenti, ove provvisti di autorizzazione, devono essere regolarizzati in conformità alle prescrizioni di cui al presente titolo ».

Ne risulta un regime generale che subordina gli accessi dalla strada (cd. “passi carrabili”) a previa autorizzazione amministrativa e, su quelli già esistenti, « ove provvisti di autorizzazione », ne richiede una regolarizzazione in conformità alle prescrizioni stabilite per i nuovi accessi.

In tale contesto, il « mant [enimento] in esercizio [di] accessi preesistenti privi di autorizzazione » (così come il fatto di « Chiunque apre nuovi accessi o nuove diramazioni ovvero li trasforma o ne varia l’uso senza l’autorizzazione dell’ente proprietario ») « è soggetto [a] sanzione amministrativa [pecuniaria]»;
ciò oltre all’applicazione della sanzione accessoria « dell’obbligo del ripristino dei luoghi, a carico dell’autore della violazione stessa e a proprie spese », sanzione, quest’ultima, superabile per tutti i suddetti casi « se le opere effettuate possono essere regolarizzate mediante autorizzazione successiva » (art. 22, comma 11).

Il regime che complessivamente se ne ricava è ben chiaro: l’accesso postula un’autorizzazione;
se lo stesso già esisteva al tempo dell’introduzione del regime di cui al Codice della strada, comunque deve rispettarne la disciplina, e in tale prospettiva va “regolarizzato”, ciò che può avvenire purché lo stesso fosse in precedenza « provvist [o] di autorizzazione » (cfr. Cons. Stato, V, 19 marzo 2018, n. 1742, ove si pone in risalto che “ La carenza di pregressa autorizzazione esclude di per sé la riconducibilità dell’istanza nell’alveo della regolarizzazione, trovando invece applicazione la disciplina prevista per le nuove autorizzazioni […]”);
se l’accesso è aperto ex novo o modificato senza autorizzazione, oppure - laddove preesistente - mantenuto in esercizio ove « priv [o] di autorizzazione », il che integra ex se un illecito sanzionabile.

In linea con tale regime vanno lette, a ben vedere, anche le altre disposizioni del Codice della strada e del suo Regolamento di esecuzione;
segnatamente, l’art. 22, comma 9, Cod. strada, che, in relazione all’ipotesi di proprietà intercluse, prevede: « nei casi di impossibilità di regolarizzare in linea tecnica gli accessi esistenti […] l’ente proprietario della strada rilascia l’autorizzazione per l’accesso o la diramazione subordinatamente alla realizzazione di particolari opere quali innesti attrezzati, intersezioni a livello diversi e strade parallele, anche se le stesse, interessando più proprietà, comportino la costituzione di consorzi obbligatori per la costruzione e la manutenzione delle opere stesse ».

Si tratta di una norma speciale rispetto all’ipotesi (a valere qui quale lex generalis ) di cui al comma 2: laddove la regolarizzazione dell’accesso preesistente non sia tecnicamente possibile, al ricorrere dei requisiti e dei presupposti di cui allo stesso comma 9 ( i.e. , proprietà interclusa e realizzazione di opere ad hoc ) lo stesso può essere nondimeno autorizzato.

In quanto previsione speciale la stessa presuppone comunque l’integrazione di tutti gli elementi di quella generale , oltreché di quelli specializzanti che la riguardano: per questo, trattando di regolarizzazione di « accessi esistenti », la previsione presuppone che siano integrati tutti gli altri presupposti all’uopo necessari a tenore dell’art. 22, comma 2, Cod. strada, e cioè anzitutto il fatto che gli accessi stradali interessati siano « provvisti di autorizzazione ».

Del che è peraltro ben comprensibile la ratio : solo laddove si sia in presenza di un accesso già autorizzato potrà discutersi di una sua regolarizzazione , e cioè del renderlo conforme al regime sopraggiunto;
diversamente si sarà al cospetto di una situazione richiedente una nuova autorizzazione (Cons. Stato, n. 1742 del 2018, cit.);
e, anche sul piano sostanziale, il regime derogatorio può trovare giustificazione in termini di “regolarizzazione” solo allorché si sia in presenza di una autorizzazione precedentemente rilasciata.

2.1.2. Facendo applicazione delle suesposte regole e principi al caso di specie emerge l’infondatezza della doglianza proposta dall’appellante.

2.1.3. Emerge chiaramente dall’istruttoria compiuta da Roma Capitale che sul civico n. 53 di via Passo del Furlo non insiste alcun preesistente accesso stradale autorizzato (cfr. nota Ufficio passi carrabili 1 luglio 2019, richiamata espressamente dal provvedimento di diniego impugnato).

Non rileva, in senso contrario, il richiamare l’art. 4 r.d. n. 1740 del 1933, che nel subordinare il rilascio di nuovi accessi o diramazioni dalla strada a preventiva « licenza della competente autorità » (« Non possono essere stabiliti nuovi accessi o nuove diramazioni dalla strada ai fondi e fabbricati laterali, senza preventiva licenza della competente autorità ») fa riferimento comunque a un provvedimento autorizzatorio ad hoc (su cui cfr. l’art. 7 r.d. n. 1740 del 1933), ben distinto dal titolo edilizio (cfr., al riguardo, CGA, 19 febbraio 1998, n. 47).

Per le stesse ragioni, non giova all’appellante il richiamare precedenti risultanze toponomastiche del 1931, stante comunque l’assenza del titolo autorizzativo.

Il che preclude di per sé, per quanto suindicato, la possibilità di una mera “regolarizzazione” ex art. 22, comma 9, Cod. strada dell’accesso invocata dall’appellante, in quanto appunto non si tratta di un “accesso già esistente” ai sensi di tale disposizione e, per essa, del precedente art. 22, comma 2.

Né peraltro l’istanza presentata dall’interessata richiamava « particolari opere » presupposte dall’art. 22, comma 9, Cod. strada per la regolarizzazione degli accessi preesistenti.

Di qui l’assenza delle condizioni previste da tale disposizione per poter legittimare l’accesso “in deroga” invocato dall’interessata.

Analoghe considerazioni valgono a mente delle (e in relazione alle) previsioni di cui all’art. 46 Regol. esec. Cod. strada: in coerenza con il richiamato art. 22 Cod. strada, tale art. 46 prevede infatti al comma 1 che « La costruzione dei passi carrabili è autorizzata dall’ente proprietario della strada nel rispetto della normativa edilizia e urbanistica vigente ».

Il successivo comma 6, nel prevedere che « I comuni hanno la facoltà di autorizzare distanze inferiori a quelle fissate al comma 2, lettera a), per i passi carrabili già esistenti alla data di entrata in vigore del presente regolamento, nel caso in cui sia tecnicamente impossibile procedere all’adeguamento di cui all’articolo 22, comma 2, del codice », contiene una norma di analoga ratio al suddetto art. 22, comma 9, e rispetto alla quale dunque - giusta anche il richiamo espresso all’art. 22, comma 2 - non può che valere lo stesso regime, e perciò la necessaria pregressa autorizzazione dell’accesso (« ove provvist [o] di autorizzazione », ex art. 22, comma 2, cit.).

Alla luce di ciò, e anche a prescindere dalla (peraltro corretta, per quanto suindicato) dizione utilizzata nell’istanza autorizzatoria (in cui si invocava, correttamente, la “ apertura di un nuovo passo carrabile ”) non è dato ravvisare nella specie presupposti tali da giustificare, nei termini invocati dall’appellante, un’autorizzazione in deroga al regime generale delle distanze previsto per gli accessi stradali.

3. Col secondo motivo l’appellante si duole dell’errore che il giudice di primo grado avrebbe commesso nell’escludere che, nel caso di specie, l’amministrazione dovesse effettuare un apprezzamento comparativo degli interessi, così trascurando che l’accesso era funzionale a esigenze pubbliche di sfruttamento di un sito minerario da parte del concessionario.

Ciò in ragione del fatto che la sicurezza stradale è la risultante delle misure in concreto adottate dall’amministrazione per assicurarla, di guisa che, in presenza di altra esigenza pubblica, l’amministrazione sarà tenuta a dettare le necessarie prescrizioni per garantirla.

In tale contesto, l’attività di sfruttamento del sito minerario costituisce di suo attività d’interesse pubblico, a nulla rilevando il fatto che la disciplina stradale non vi faccia riferimento, altra essendo appunto la sedes (in specie, l’art. 32 r.d. n. 1443 del 1927) che ciò prevede.

Ritenere che il Codice della strada abbia operato un insuperabile bilanciamento degli interessi senza consentire alcuna valutazione delle situazioni concrete e alcuna ponderazione degli interessi in gioco si porrebbe in aperto contrasto con gli artt. 3, 41 e 42 Cost., oltreché in conflitto con la stessa funzione della disciplina stradale.

Tra l’altro la suddetta ponderazione è stata nella specie effettivamente eseguita in concreto dall’amministrazione, laddove è stato previsto che i paletti antistanti il cancello del giacimento minerario fossero “amovibili”, per consentire il transito di eventuali veicoli d’emergenza.

3.1. Il motivo non è condivisibile.

3.1.1. Alla luce di quanto suesposto, emerge chiaramente come il regime previsto dal Codice della strada e suo Regolamento di esecuzione in relazione agli accessi stradali, con previsione di regole generali - nel merito, il regime delle distanze dalle intersezioni ex art. 46, comma 2, lett. a) , Regol. esec. Cod. strada, posto alla base del provvedimento di diniego - e ammissione di deroghe nei casi e alle condizioni specificamente previste, dia luogo a un sistema in sé compiuto e vincolante per l’amministrazione, rispetto al quale non è richiesto un apprezzamento discrezionale da parte della stessa.

Il che non risulta in sé contrario alle invocate previsioni costituzionali, stante l’assenza di una disparità di trattamento (attesa l’oggettiva diversità della condizione in cui versa il soggetto già destinatario di un provvedimento autorizzatorio rispetto a quello che ne sia privo), né l’appellante dimostra che la limitazione così stabilita, funzionale a ragioni di pubblica incolumità in relazione alla circolazione stradale, sia irragionevole od illogica, anche eventualmente rispetto agli altri beni invocati.

Alcuna rilevanza assume, al riguardo, la disposta apposizione di dissuasori amovibili davanti all’ingresso del civico n. 53, stante la loro limitata funzione di consentire il passaggio di mezzi d’emergenza, che in nulla incide sulla (ben diversa) autorizzazione generale di passo carrabile.

4. Col terzo motivo l’appellante si duole dell’errore che il giudice di primo grado avrebbe commesso laddove ha ritenuto tardive le argomentazioni svolte dalla ricorrente in ordine all’inesistenza di un’intersezione stradale dinanzi al civico interessato.

Al riguardo, l’argomento prospettato dalla ricorrente ( i.e. , inesistenza di un’intersezione stradale) non integra un motivo di censura, ma si limita ad evidenziare come fosse ben possibile per l’amministrazione individuare soluzioni alternative all’interclusione dell’accesso e al diniego di rilascio del passo carrabile.

Nella specie, lo stesso rifacimento della viabilità di quartiere ha comportato modifiche segnaletiche e di percorrenza stradale che hanno, di fatto, escluso l’esistenza dinanzi al cancello di un’intersezione stradale ex art. 3 Cod. strada.

4.1. Il motivo non è suscettibile di favorevole apprezzamento.

4.1.1. A fronte del tenore del provvedimento impugnato, motivato proprio in ragione della violazione delle distanze minime dall’intersezione stradale a norma dell’art. 46, comma 2, lett. a) , Regol. esec. Cod. strada, senz’altro la dedotta illegittimità per difetto di un presupposto (in specie, la sussistenza dell’intersezione ex art. 3 Cod. strada) costituiva un motivo di doglianza da proporre con ricorso.

La sentenza di primo grado ha rilevato al riguardo che il motivo come tale non era presente nel ricorso introduttivo del giudizio, e ciò l’appellante non ha confutato, sicché la statuizione non risulta utilmente superata dalle censure qui promosse dalla S.I.V.A.M.

5. Col quarto motivo l’appellante censura la sentenza nella parte in cui ha respinto i motivi avverso i provvedimenti di autorizzazione implicita all’installazione dei dissuasori parapedonali nella suddetta area antistante al civico n. 53.

Oltre al vizio derivato conseguente al necessario accoglimento dei motivi che precedono, l’appellante pone in risalto come lo stesso T abbia riconosciuto l’autorizzazione all’accesso carrabile (in specie, per situazioni di emergenza).

Allo stesso modo, quanto alla legittimazione alla partecipazione procedimentale, la stessa dovrebbe essere valutata in relazione alla situazione esistente al tempo dell’adozione del provvedimento, anteriore nella specie al rigetto della richiesta di S.I.V.A.M., la quale come tale era ben provvista di legittimazione alla partecipazione al procedimento, legittimazione ravvisabile comunque in ragione della titolarità di concessione mineraria e di locazione sull’area.

La ricorrente aveva inoltre censurato l’apposizione dei dissuasori nell’area antistante il cancello del civico n. 53 di via Passo del Furlo, ove alcuna sosta veicoli è oggettivamente possibile vista la presenza del cancello e l’accesso carrabile per situazioni d’emergenza, né ricorrerebbero nella specie esigenze di tutela per pedoni.

Deduce ancora l’appellante come non sia ragionevolmente prospettabile che l’installazione di paletti sulla strada pubblica possa prescindere dall’ adozione di un provvedimento espresso dell’amministrazione.

5.1. Neanche tale motivo è fondato.

5.1.1. Alla luce del rigetto dei precedenti motivi, la doglianza per illegittimità derivata dell’autorizzazione implicita di installazione di dissuasori parapedonali va di per sé respinta.

In tale contesto, priva di rilievo è poi la censura incentrata sulla dedotta violazione del contraddittorio procedimentale in danno dell’appellante, essendo assorbente rilevare al riguardo come quest’ultima non adduca utili elementi conoscitivi od istruttori che avrebbe potuto offrire in caso di sua partecipazione al procedimento, considerato d’altra parte che le doglianze qui proposte sono infondate.

La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha chiarito al riguardo che spetta al ricorrente il quale lamenti l’omessa comunicazione di avvio del procedimento indicare gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto in sede procedimentale in grado d’incidere sulla determinazione dell’amministrazione ( inter multis , cfr. Cons. Stato, V, 18 dicembre 2023, n. 10887;
27 giugno 2023, n. 6252;
8 marzo 2022, n. 1664;
CGA, 11 ottobre 2021, n. 845;
Cons. Stato, VI, 10 maggio 2021, n. 3641;
V, 20 ottobre 2020, n. 6333;
VI, 28 febbraio 2019, n. 1405;
26 aprile 2018, n. 2526;
12 maggio 2017, n. 2218;
4 aprile 2015, n. 1060;
V, 20 agosto 2013, n. 4192;
IV, 15 luglio 2013, n. 3861);
solo dopo che la parte ha adempiuto a questo onere l’amministrazione ‘ sarà gravata dal ben più consistente onere di dimostrare che, anche ove quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato [...]” (Cons. Stato, n. 1405 del 2019, cit., che richiama Cons. Stato, n. 1060 del 2015, cit., e altre).

Analoghe considerazioni valgono peraltro per la dedotta mancata adozione di un provvedimento espresso, atteso che l’appellante non allega né dimostra specifici e concreti profili di pregiudizio, né d’illegittimità, che da ciò deriverebbero, in un contesto in cui del resto l’assenso all’installazione emerge univocamente dalla concessione all’o.s.p. rilasciata il 9 agosto 2019 e dalle precedenti note favorevoli del 26 giugno 2019, del 10 luglio 2019 e del 26 luglio 2019, quest’ultima in cui, in termini conclusivi, si diffidava l’Istituto istante dall’esecuzione di lavorazioni fino all’adozione di disciplina temporanea del traffico, successivamente adottata il 12 agosto 2019 e 4 settembre 2019.

Quanto alla dedotta illegittimità della previsione di dissuasori presso il civico n. 53, in quanto non interessato dalla sosta e non richiedente tutele per i pedoni, le deduzioni - meramente assertive - non valgono a superare quanto rilevato dall’amministrazione, con assenso in specie “ alla realizzazione di un percorso pedonale che renda sicuro il transito degli utenti dell’Istituto che presentano disabilità e per questo maggiormente vulnerabili ”, “ Viste le caratteristiche della strada che, di fatto, per dimensioni non può consentire la sosta su ambo i lati della carreggiata priva di marciapiedi ”, e previsione al riguardo che “ Il percorso pedonale in adiacenza ai civici, realizzato con dissuasori di sosta, deve essere esteso sull’intero tratto partendo da piazza Monte Torrone a via Picco dei Tre Signori ” (cfr. nota del 26 giugno 2019, cit., in atti).

Né risulta a ciò ostativo il sol fatto che presso il suddetto civico insista un cancello, e men che meno la circostanza che i paletti dissuasori installati davanti al civico n. 53 siano amovibili, in ragione delle possibili esigenze di transito dei veicoli di emergenza.

6. Col quinto motivo l’appellante censura, anche in via autonoma, la statuizione sulla condanna alle spese, in quanto del tutto immotivata e irragionevole nella sua quantificazione.

6.1. Il motivo è infondato, considerato che, secondo il consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato, la statuizione del primo giudice sulle spese e sugli onorari di giudizio costituisce espressione di un ampio potere discrezionale, anche ai fini della loro compensazione (se del caso pure per il riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per farvi luogo) come tale insindacabile in sede di appello, fatta eccezione per l’ipotesi di condanna della parte totalmente vittoriosa, oppure per il caso che la statuizione sia manifestamente irrazionale o si riferisca al pagamento di somme palesemente inadeguate ( inter multis cfr., per l’affermazione del principio e sua declinazione nelle diverse fattispecie, Cons. Stato, V, 15 novembre 2023, n. 9791;
22 agosto 2023, n. 7890;
10 marzo 2023, n. 2543;
7 febbraio 2023, n. 1298;
III, 10 ottobre 2022, n. 8665;
5 settembre 2022, n. 7739;
11 luglio 2022, n. 5802;
6 maggio 2022, n. 3565;
11 aprile 2022, n. 2685;
IV, 15 luglio 2022, n. 6036;
17 gennaio 2022, n. 278;
VI, 20 gennaio 2022, n. 362;
1 marzo 2021, n. 1720;
II, 30 novembre 2021, n. 7962;
IV, 17 ottobre 2017, n. 4795;
IV, 10 gennaio 2014, n. 46;
cfr., al riguardo, anche i principi affermati da Corte cost., 19 aprile 2018, n. 77).

Nel caso di specie non sono ravvisabili profili di abnormità o irragionevolezza nella statuizione di condanna alle spese adottata dal giudice di primo grado (per l’importo di € 5.000,00 in favore di ciascuna delle resistenti) a fronte della chiara (e correttamente ritenuta) soccombenza della ricorrente, in linea con il principio posto dall’art. 91, comma 1, Cod. proc. civ.

7. In conclusione, per le suesposte ragioni, l’appello va respinto.

8. La peculiarità della fattispecie e la complessità di alcune delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese del presente grado di giudizio fra le parti.

9. Non può infine trovare applicazione la condanna per lite temeraria invocata dalla controinteressata resistente, non emergendo elementi tali da rendere del tutto imprudente, ovvero fondata su mala fede o colpa grave, la proposizione del ricorso e relativo appello da parte della S.I.V.A.M.

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