Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-10-28, n. 201504924
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N. 04924/2015REG.PROV.COLL.
N. 07994/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7994 del 2014, proposto dal Comune di L, in persona del Sindaco, legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati G C e V A, con domicilio eletto presso la Segreteria della sesta Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13
contro
P S, rappresentato e difeso da sé stesso, con domicilio eletto presso Alessandro Rimato in Roma, viale delle Milizie, 9
nei confronti di
DND Immobiliare a r.l.;
Regione Abruzzo
per la riforma della sentenza del T.A.R. dell’Abruzzo – Sezione staccata di Pescara, Sezione I, n. 374/2014
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’avvocato P S;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2015 il Cons. Claudio Contessa e udito l’avvocato Carlini per il Comune appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
Le vicende all’origine dei fatti di causa vengono descritte nei termini che seguono nell’ambito dell’impugnata sentenza del T.A.R. dell’Abruzzo – Sezione staccata di Pescara.
Con sentenza n. 458 del 1999, quel Tribunale amministrativo aveva annullato la concessione edilizia n.180 del 1998 con la quale erano stati autorizzati i lavori di ristrutturazione di una villa unifamiliare e di realizzazione dello stabile in L, via De Tilla, 4, per illegittimità del piano attuativo di recupero che, in contrasto con il P.R.G. vigente, non aveva previsto un unico comparto per l’intervento previo accordo dei proprietari (includendovi anche la villa del ricorrente in primo grado, avvocato S).
La sentenza n. 458 del 1999 aveva ritenuto condivisibili le ragioni addotte dall’odierno appellato “ sulla base del rilievo pregiudiziale ed assorbente che lo strumento urbanistico aveva individuato relativamente alle aree in questione un unico comparto, per cui l’Amministrazione comunale non avrebbe potuto approvare il piano di recupero in questione che interessava solo una parte dell’unico comparto individuato nel vigente strumento urbanistico. Con tale decisione si è inoltre precisato che, ove il P.R.G. avesse in realtà individuato due distinti comparti, gli atti impugnati erano ugualmente illegittimi in quanto non era stata disposta la demolizione dei due fabbricati esistenti, era stata realizzata nella zona una volumetria superiore a quella ammissibile di mc. 3.340, il nuovo edificio era stato costruito in aderenza al supposto limite di zona ed era stata illogicamente realizzata la zona a verde pubblico non all’estremità del comparto, così come previsto nella cartografia di piano ”.
Detta sentenza era stata confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 697 del 2003, “ per l’assorbente considerazione che, attesa l’unitarietà del comparto prevista dallo strumento urbanistico, il Comune non avrebbe potuto approvare il piano di recupero in questione che interessava solo una parte dell’unico comparto. Inoltre, il Collegio ha ritenuto utile portare l’attenzione sulle altre ragioni di illegittimità denunciate ed ha in merito chiarito che in occasione dell’intervento di recupero avrebbe dovuto contestualmente procedersi alle demolizione degli immobili esistenti sui due fondi e che, ai fini delle volumetria assentibile, avrebbe potuto utilizzarsi non l’intera area di proprietà, ma la sola area destinata a ristrutturazione (pari a mq. 1116) ”.Poiché l’Amministrazione comunale aveva dapprima ordinato il ripristino dello stato dei luoghi (ordinanza dirigenziale 20 giugno 2003, n. 330), ma subito dopo aveva proceduto all’annullamento d’ufficio di tale ordinanza, su ricorso in ottemperanza dell’odierno appellato, il T.A.R. dell’Abruzzo adottava la sentenza n. 859 del 2004, con la quale ordinava l’esecuzione della sentenza n. 458 del 1999, riassumendo inoltre il contenuto del giudicato sostanziale, ossia: “ 1) che il comparto previsto dallo strumento urbanistico è unico;2) che il piano di recupero non avrebbe potuto interessare solo una parte dell’unico comparto;3) che l’intervento di recupero avrebbe dovuto contestualmente prevedere la demolizione degli immobili esistenti e non consentire sia la nuova costruzione di un fabbricato residenziale, che la ristrutturazione dell’esistente;4) che, ai fini delle volumetria assentibile, avrebbe potuto utilizzarsi non l’intera area di proprietà, ma la sola area destinata a ristrutturazione (pari a mq. 1116);5) che, in definitiva, sull’area in questione avrebbe potuto realizzarsi un unico fabbricato di mc. 3.348, previa demolizione dei fabbricati esistenti ”.
Con la richiamata sentenza si era quindi stabilito che l’Amministrazione “ [dovesse] procedere alla demolizione coattiva delle opere edilizie realizzate, ovvero, sussistendo interesse pubblico contrario, all’applicazione di altra sanzione secondo le previsioni delle vigenti norme in materia di abusi edilizi. E’ altresì possibile che essa proceda a conformare diversamente la situazione di fatto alla normativa urbanistica con riferimento agli strumenti vigenti all’epoca di notifica della sentenza del Consiglio di Stato, dando conto in particolare, attraverso un giudizio che implica anche valutazioni di interesse pubblico, della compatibilità delle opere realizzate con gli stessi strumenti urbanistici, con particolare riferimento alla questione concernente la volumetria residenziale realizzata ”.
Si era pertanto stabilito l’obbligo del Comune di L di procedere entro quarantacinque giorni dalla comunicazione in forma amministrativa o dalla notifica della medesima sentenza di porre in essere tutti i provvedimenti, indicati in motivazione, idonei per far cessare l’inottemperanza, nominando un commissario ad acta perché procedesse nell’ulteriore termine di quarantacinque giorni a porre in essere - trascorso infruttuosamente il suindicato termine - in via sostitutiva tutti gli atti necessari all’esecuzione del predetto giudicato.
Con la deliberazione di piano di giunta comunale n.36 del 14 dicembre 2004, impugnata in primo grado con il ricorso n. 67/2005, il Comune di L, in asserita esecuzione della sentenza di ottemperanza n.859/04 del T.A.R. dell’Abruzzo, e ritenendo di “ procedere alla attuazione del comparto nella sua unitarietà (…) approvando un piano di recupero (…) soprassedendo nelle more di approvazione di detto piano alla demolizione dell’edificio compatibile con lo strumento urbanistico di attuazione con invito al dirigente, dopo il completamento della procedura relativa all’approvazione del piano suddetto, di limitare, nel rispetto del giudicato, il provvedimento di demolizione alle sole opere incompatibili con detto piano (villa di proprietà DND) per complessivi mc 1976,51 applicando inoltre la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 38 del d.p.r. n.380 del 2001, stante la concreta impossibilità di procedere alla demolizione della volumetria pari a 253,32 mc in eccedenza al fabbricato stesso ”, ha disposto “ 1) di attivare le procedure di cui all’articolo 26 della legge regionale Abruzzo n.18 del 1983 nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 15 delle N.T.A. dello strumento urbanistico vigente all’epoca di notifica della sentenza del Consiglio di Stato e tutt’ora in vigore;2) di demandare al dirigente del settore le procedure consequenziali di cui al punto precedente e di tenere edotto il Commissario ad acta sia del presente atto che di tutti quelli che saranno adottati nel prosieguo ”.
In attuazione di tale deliberazione, con la successiva determinazione prot. n.18993/05 datata 10 maggio 2005 del dirigente della programmazione urbanistica (provvedimento impugnato con il ricorso n.262/2005), il Comune di L – dopo aver dato al ricorrente in primo grado e alla controinteressata, in data 31 dicembre 2004, comunicazione di “ avvio del procedimento per l’attuazione del comparto come individuato nella tavola 7 bis del vigente PRG (…) foglio 26, particelle 54,55,56,57 e 59 ” – ha invitato l’avvocato S e la società controinteressata in primo grado a “ costituire il consorzio di cui all’articolo 26 comma 2 della legge regionale Abruzzo n.18 del 1983 (…) predisponendo inoltre (…) il progetto inerente il piano di recupero del patrimonio edilizio (PRPE) (…) nel rispetto dell’articolo 15 delle NTA dello strumento urbanistico vigente all’epoca della notifica della sentenza del Consiglio di Stato e tutt’ora vigente, avvertendo che, qualora nulla venga compiuto… l’Amministrazione Comunale provvederà d’ufficio alla redazione di un PRPE secondo le specifiche previsioni innanzi riportate ”.
Avverso detti provvedimenti insorgeva nuovamente l’odierno appellato, con due distinti ricorsi, decisi entrambi con sentenza n. 98 del 2006, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 2840 del 2007.
Con la sentenza n. 98 del 2006, in particolare, il T.A.R. dell’Abruzzo ha ritenuto illegittima la delibera di giunta impugnata poiché in essa la definizione del comparto non perseguiva lo scopo di attuare la previsione del PRG, quanto – piuttosto – quello di sanare un’opera divenuta abusiva a seguito dell’annullamento della concessione edilizia rilasciata in attuazione del piano di recupero, entrambi illegittimi proprio per contrasto con il P.R.G.;in sostanza il fine del Comune resistente si manifestava quello di sanare una situazione di illegalità accertata con sentenza passata in giudicato e non di attuare le previsioni di P.R.G..
Con la medesima sentenza si era poi chiarito che “ le considerazioni svolte dal Collegio, del resto, in un primo momento sono state comprese dalla medesima amministrazione resistente, come si desume dall’ordinanza dirigenziale n.330 del 20 giugno 2003, con la quale si respinge la richiesta della controinteressata DND immobiliare tesa alla formazione di un comparto d’ufficio e si ordina il ripristino dello stato dei luoghi, rilevando espressamente che la “richiesta non è accoglibile perché essa mira a rendere vana la sentenza del Consiglio di Stato mentre la pubblica amministrazione deve esclusivamente applicare il dispositivo della sentenza ”.
Tuttavia, questo provvedimento è stato poi annullato in autotutela dallo stesso dirigente comunale per incompetenza a favore della giunta nella formazione del comparto (quanto al diniego della formazione d’ufficio del comparto) e perché si è ritenuta l’illegittimità di provvedimenti sanzionatori di ripristino in pendenza di istanza di sanatoria (quanto all’ordinanza di demolizione).
Conseguentemente, con la succitata sentenza n. 98 del 2006, confermata in appello, il T.A.R. annullava i provvedimenti impugnati e condannava il Comune di L al pagamento in favore del ricorrente della somma di euro quattromila per ogni anno, dall’ultimazione della costruzione (secondo la dichiarazione di ultimazione dei lavori) e sino al ripristino dei luoghi, a titolo di risarcimento danni.
Il Comune di L adottava quindi l’ordinanza di demolizione n. 346 del 2006, impugnata questa volta in primo grado dalla società costruttrice e da coloro che nelle more avevano acquistato gli appartamenti siti nell’immobile, pur consapevoli della condizione giuridica dello stesso.
Il ricorso della società costruttrice veniva respinto dal T.A.R. con sentenza n. 947 del 2007, confermata da questo Consiglio di Stato con sentenza n. 4458 del 2010.
I ricorsi proposti dagli acquirenti sono stati accolti con sentenze n. 156 e n. 157 del 2008 dal T.A.R. dell’Abruzzo – Sezione staccata di Pescara, riformate tuttavia con sentenze di questo Consiglio di Stato n. 4454 del 2010 e n. 6871 del 2010.
In particolare, con la sentenza n. 4454 del 2010, questo Consiglio di Stato ha precisato che “ non vi è stata alcuna realizzazione delle soluzioni alternative alla demolizione, indicate come giuridicamente possibili dalla sentenza n. 859 del 2004. In particolare, non vi è stata alcuna modifica dello strumento urbanistico generale, che – per non risultare affetto da irragionevolezza o da altri profili di eccesso di potere - comunque non avrebbe potuto consentire alcun superamento dei limiti massimi volumetrici da parte della società costruttrice. In presenza di una attuale eccedenza dei medesimi limiti massimi e in assenza di alcuna modifica dello strumento urbanistico, risultano fondate le deduzioni degli appellanti sulla sussistenza di un obbligo del Comune di dare esecuzione ai precedenti giudicati di annullamento, con la materiale demolizione dell’edificio da considerare realizzato sine titulo. Ne consegue che del tutto legittimamente il dirigente ha ravvisato i presupposti per disporre la demolizione ”.Con la sentenza n. 6871 del 2010, questo Consiglio di Stato ha ancora più chiaramente ribadito che “ non vi è stata alcuna modifica dello strumento urbanistico, volta a dare un nuovo regime alle aree in questione (nel rispetto dei principi di legalità e di ragionevolezza delle scelte). Pertanto, risultano pienamente operanti le statuizioni derivanti dai precedenti giudicati, che impongono al Comune di L di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, con la materiale demolizione dell’edificio da considerare realizzato sine titulo ”.
Restando pertanto valida ed efficace l’ordinanza di demolizione n. 346 del 2006, il Comune resistente, con provvedimento n. 92 del 18 gennaio 2011, ha accertato l’inottemperanza a detto ordine ai fini dell’acquisizione nel patrimonio comunale dell’immobile e dell’area di sedime.
Anche tale ulteriore provvedimento è stato impugnato in primo grado dalla D.N.D. Immobiliare S.r.l. e da alcuni proprietari degli appartamenti dello stabile abusivo;detto ricorso è stato tuttavia respinto con sentenza n. 82 del 2012.
In essa, in particolare, nel ritenere non fondate le censure dirette avverso l’atto di acquisizione dell’immobile, si è ulteriormente ribadito che la questione in esame è stata già decisa in senso univoco da diverse sentenze del Giudice amministrativo, tutte passate in giudicato, “ per cui le questioni poste e risolte con tali decisioni, come sembra evidente, non possono più essere rimesse in discussione. In estrema sintesi, per effetto di tali ultime pronunce, che hanno visto come parti in giudizio tutti gli attuali ricorrenti, è stata ritenuta immune dalle doglianze dedotte la predetta ordinanza dirigenziale n. 346 del 13 dicembre 2006 con la quale era stato ordinato “l’abbattimento di tutte le opere edilizie eseguite” “entro il termine di 120 giorni” dalla notifica dell’ordinanza;e va al riguardo anche aggiunto che tale ordinanza conteneva l’avvertenza che, nell’ipotesi in cui la rimessa in pristino non fosse avvenuta entro il predetto termine, si sarebbe provveduto “secondo quanto previsto dall’art. 31 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380” ”.
A questo punto della vicenda il Comune di L, con nota n. 17242 del 29 marzo 2013, aveva comunicato al ricorrente l’avvio del procedimento finalizzato alla dichiarazione di pubblico interesse e non contrasto con rilevanti interessi urbanistici o ambientali ai sensi dell’articolo 31 comma 5 del d.p.r. n. 380 del 2001 dell’opera abusiva, evidenziando altresì che “ la delibera finalizzata alla demolizione, avviata dal settore assetto del territorio con delibera di G.C. n. 147 del 27 marzo 2013 non si è conclusa e a tutt’oggi l’immobile non risulta demolito ”.
Quindi, con la delibera consiliare impugnata in primo grado (n. 111 del 30 dicembre 2013), il Comune di L decideva di dichiarare, ai sensi dell’articolo 31 comma 5 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 il bene immobile sito in L via C. De Titta n. 4, autorizzato con concessione edilizia annullata e già oggetto di ordinanza di demolizione (confermata con sentenza passata in giudicato), di prevalente interesse pubblico e di non contrasto con rilevanti interessi urbanistici ed ambientali, destinandolo ad uffici comunali, “ con la precisazione che il solo piano terra potrà essere aperto al pubblico ” e quindi decideva di non procedere alla demolizione in danno della detta opera edilizia.
Dalla proposta assessorile posta a fondamento della richiamata delibera, inoltre, emerge come il ritenuto interesse pubblico risieda essenzialmente nel risparmio dei costi della demolizione (stimati in circa 300mila euro “ salvo eventuale recupero nei confronti dei soggetti che hanno commesso l’abuso ”) e nel risparmio dei costi di locazione (stimati in circa 85mila euro annui).
Con la sentenza oggetto del presente appello il T.A.R. dell’Abruzzo ha accolto il ricorso n. 139/2014 proposto dall’avvocato S e, per l’effetto, ha dichiarato la nullità degli atti con cui gli Organi comunali avevano stabilito di non demolire l’immobile per cui è causa, ma di destinarlo a uffici comunali.
La sentenza in questione è stata impugnata in appello dal Comune di L il quale ne ha chiesto la riforma articolando plurimi motivi.
Si è costituito in giudizio l’avvocato S il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.
Con ordinanza n. 67/2015 (resa all’esito della camera di consiglio del giorno 8 gennaio 2015) questo Consiglio di Stato ha respinto l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza impugnata.
Alla camera di consiglio del giorno 14 luglio 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal Comune di L avverso la sentenza del T.A.R. dell’Abruzzo – Sezione staccata di Pescara con cui è stato accolto il ricorso proposto dall’avvocato S (proprietario di una villetta risalente ai primi anni del Novecento nel territorio del Comune di L) e, per l’effetto, è stata dichiarata la nullità della delibera consiliare con cui
- dopo che era stata disposta l’acquisizione al patrimonio disponibile del Comune di un immobile abusivo (si tratta della Villa Tinaro, fatta oggetto di interventi eseguiti sine titulo) e che ne era stata disposta la demolizione
- è stata dichiarata la prevalenza di motivi di interesse pubblico che deponevano nel senso della mancata demolizione dell’immobile e della sua destinazione a uffici comunali.
2. Con il primo motivo di appello il Comune di L chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui i primi Giudici hanno respinto l’eccezione con la quale si era eccepita la tardività del deposito del ricorso per ottemperanza (per non essere stato depositato presso la cancelleria del T.A.R. competente entro il termine – dimidiato - di quindici giorni dalla notifica, avvenuta nella tesi del Comune appellante il 3 aprile 2014).
In particolare, i primi Giudici avrebbero erroneamente ritenuto di poter computare il richiamato termine di quindici giorni a partire dal 14 aprile 2014 (data in cui si era perfezionata la notifica nei confronti della Regione Abruzzo). L’erroneità consisterebbe nel non aver considerato che la notifica alla Regione Abruzzo risultasse semplicemente “inutile”: i ) in quanto la Regione Abruzzo non era stata parte dei giudizi succedutisi nel tempo in relazione alla vicenda di causa; ii ) in quanto la Regione non dispone del potere sostitutivo di cui all’articolo 8 della legge regionale 13 luglio 1989 n. 52 (il quale spetta – al contrario – alla Provincia); iii ) in quanto la Regione Abruzzo neppure era legittimata passivamente ai sensi dell’articolo 39 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; iv ) in quanto, oltretutto, la notifica di cui si discute era stata irritualmente effettuata presso la sede regionale (e non presso la sede dell’Avvocatura distrettuale dello Stato).
2.1. Il motivo è fondato.
2.1.1. Va premesso al riguardo che, ai sensi dell’articolo 45, comma 1, nonché dell’articolo 87, comma 2, lettera d) e comma 3 del cod. proc. amm., nel caso di giudizio per ottemperanza il ricorso deve essere depositato entro il termine di quindici giorni decorrenti dal momento in cui l’ultima notificazione dell’atto stesso si è perfezionata anche per il destinatario.
2.1.2. Le date rilevanti nel caso in esame sono le seguenti:
- il 3 aprile 2014 si era perfezionata la notifica del ricorso in ottemperanza nei confronti del Comune di L e della società D.N.D. Immobiliare s.r.l.;
- il 14 aprile 2014 si era perfezionata la notifica del medesimo ricorso nei confronti della Regione Abruzzo (notifica della cui ritualità qui si discute);
- il 29 aprile 2014 l’avvocato S aveva provveduto al deposito del ricorso.
E’ quindi evidente che:
a) laddove si possa tener conto ai fini processuali della notifica del ricorso in ottemperanza nei confronti della Regione Abruzzo (come sostenuto dal ricorrente in primo grado), la conseguenza sarà nel senso della tempestività del deposito del ricorso medesimo (in quanto tale deposito sarebbe davvero avvenuto prima dello spirare del richiamato termine dimidiato);
b) al contrario, laddove non si possa tener conto ai fini processuali della richiamata notifica nei confronti della Regione Abruzzo, la conseguenza sarà nel senso dell’inammissibilità del ricorso di primo grado, per essere stato depositato ben oltre il decorso del termine di quindici giorni dal perfezionamento dell’ultima notifica (utile).
2.1.3. Ebbene, ad avviso del Collegio la notifica effettuata nei confronti della Regione Abruzzo era effettivamente irrituale e della stessa non si poteva tener conto ai fini di cui agli articoli 45, comma 1 e 87, comma 2, lettera d) e comma 3 del cod. proc. amm.
2.1.4. Si può qui prescindere dalla questione relativa alla ritualità della notifica effettuata presso la sede legale della Regione (e non presso la sede dell’Avvocatura distrettuale dello Stato) in quanto tale aspetto resta comunque assorbito dal fatto che la notifica nei confronti della Regione Abruzzo era semplicemente non dovuta e quindi irrilevante ai fini che qui concernono.
2.1.5. Come è noto, ai sensi del comma 1 dell’articolo 114 del cod. proc. amm., “ [il ricorso per ottemperanza] si propone, anche senza previa diffida, con ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta (…) ”.
Ma il punto è che la Regione Abruzzo non era stata parte in alcuno dei precedenti giudizi della cui ottemperanza si tratta e, conseguentemente, non era parte necessaria del giudizio di ottemperanza.
2.1.6. I primi Giudici hanno ritenuto “non inutile” ai fini processuali la notifica nei confronti della Regione, atteso che la stessa è comunque detentrice del potere sostitutivo di annullamento di cui all’articolo 39 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Al riguardo il Comune appellante ha persuasivamente obiettato che la disposta evocazione in giudizio della Regione risulti comunque “inutile” in ragione del fatto che l’articolo 8 della legge regionale n. 52 del 1989 prevede la delega alle province “ [delle] funzioni di vigilanza e controllo delle attività urbanistico-edilizie in tutto il territorio provinciale ” (in tal modo derogando alla previsione – richiamata dai primi Giudici – di cui all’articolo 39 del d.P.R. 380 del 2001 in tema di esercizio del potere sostitutivo regionale per il caso di titoli abilitativi comunali illegittimi).
E in ogni caso – osserva il Collegio – il richiamo ai generali poteri di annullamento spettanti alla Regione sulla base della normativa statale non consentirebbe di pervenire a conclusioni diverse da quelle sin qui indicate.
Ed infatti il presente giudizio di ottemperanza non ha ad oggetto la legittimità di atti e provvedimenti comunali che consentono la realizzazione di interventi edilizi, quanto – piuttosto – la corretta esecuzione di un cospicuo numero di decisioni che, nel corso degli anni, hanno già disposto l’annullamento dei titoli che avevano reso possibile l’edificazione del manufatto e ne avevano disposto la conseguente demolizione.
In sintesi, a fronte dell’annullamento già disposto da molti anni dei richiamati titoli edilizi, non appare perspicuo il richiamo – operato dai primi Giudici – al generale potere di annullamento che la legislazione statale riconosce alla Regione.
2.1.7. Ma, si ripete, anche a prescindere dal carattere perspicuo dell’argomento difensivo del Comune e dal richiamo all’articolo 39 del d.P.R. 380 del 2001, il punto è che la Regione non era comunque stata parte in alcuno dei giudizi della cui ottemperanza si discute, né poteva essere considerata quale parte necessaria pretermessa (al più, potendo spiegare un intervento nell’ambito del giudizio in questione).
Conseguentemente, la notifica alla Regione non era dovuta e di tale notifica non si poteva tener conto in alcun modo ai fini del computo dei termini per la verifica della tempestività del ricorso in ottemperanza.
2.1.8. Semplicemente infondata in punto di fatto, poi, è l’affermazione dell’appellato (v. la pag. 22 della memoria di costituzione) secondo cui sarebbe stato questo stesso Consiglio di Stato (con un passaggio contenuto alla pag. 47 della sentenza n. 2840 del 2007) ad indicare la Regione Abruzzo come parte necessaria del giudizio, imponendo la notifica nei suoi confronti del ricorso di primo grado.
Al riguardo ci si limita ad osservare che la sentenza in questione si compone di sole sedici pagine e che, nel suo ambito, non è rinvenibile alcuna indicazione che consenta di individuare nella Regione Abruzzo una parte necessaria del giudizio.
2.1.9. Si osserva, poi, che a conclusioni diverse da quelle sin qui tracciate non può giungersi neppure in considerazione del motivo svolto dall’appellato (pagina 24 della memoria di costituzione e difensiva) secondo cui l’eccezione di irricevibilità del primo ricorso sarebbe stata sollevata in modo sostanzialmente inopportuno dal Sindaco di L (medio tempore nominato Presidente della Provincia di Chieti), con rischio di “potenziale interferenza” con l’esercizio delle funzioni regionali.
A tacere d’altro si osserva: i ) che la questione di irricevibilità presenta un carattere rigidamente oggettivo (risultando connessa al tempus di notifica e deposito del ricorso); ii ) che essa è rilevabile anche ex officio , nonché iii ) che il suo rilievo prescinde – quindi – da ogni più o meno sussistente ragione di opportunità.
3. Per le ragioni sin qui esposte l’appello in epigrafe deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza in epigrafe, deve essere dichiarata l’irricevibilità del ricorso di primo grado stante la tardività del deposito del ricorso notificato.Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
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