Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-05-13, n. 201903092

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-05-13, n. 201903092
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201903092
Data del deposito : 13 maggio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/05/2019

N. 03092/2019REG.PROV.COLL.

N. 01594/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sull’appello n. 1594 del 2018, proposto dai signori A S, F C, R C ed A C, rappresentati e difesi dagli avvocati E F ed I F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Grez e associati s.r.l. in Roma, corso Vittorio Emanuele II n. 18;

contro

Il Comune di San Giovanni Rotondo, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato G E C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

i signori Antonio Pio Augello, Antonio Biancofiore, P &
P Costruzioni S.r.l., Domenico Giuliani, Raffaele Acquaviva, Brigida Placentino, Michele Melchionda, Luigi Biancofiore, Antonietta Placentino, non costituiti in giudizio;
il Consorzio Comparto B, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato Nino Sebastiano Matassa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del signor Alfredo Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 30;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) n. 203/2018, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di San Giovanni Rotondo e del Consorzio Comparto B;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2019 il pres. Luigi Maruotti e uditi per le parti gli avvocati E F e Nino Sebastiano Matassa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con la sentenza n. 994 del 2015, il TAR per la Puglia (Sede di Bari) ha accolto il ricorso n. 1040 del 2014 – proposto dal dante causa degli appellanti – ed ha annullato il decreto di esproprio n. 728 del 2014 e gli atti presupposti, emessi dal Comune di San Giovanni Rotondo, aventi per oggetto un’area di sua proprietà estesa 5.132 mq e sulla quale sono state realizzate alcune opere per il completamento della viabilità e del verde pubblico del comparto “B” del piano particolareggiato, e per le finalità ivi indicate.

Tale sentenza del TAR è stata confermata da questa Sezione, con la sentenza n. 5834 del 2015.

2. Con il ricorso di primo grado n. 994 del 2017 (proposto al medesimo TAR per la Puglia, Sede di Bari), gli odierni appellanti – aventi causa dell’originario ricorrente – hanno chiesto che sia data esecuzione alla sentenza del TAR n. 994 del 2015, con la riconsegna dell’area occupata sine titulo .

3. Il TAR, con la sentenza n. 203 del 2018, ha dichiarato inammissibile la domanda volta alla restituzione del terreno, ha accolto la domanda risarcitoria ed ha ordinato al Comune di proporre agli interessati il pagamento di una somma, sulla base dei criteri indicati in motivazione.

4. Con l’appello in esame, gli interessati hanno impugnato la sentenza del TAR ed hanno chiesto che, in sua parziale riforma, sia disposta la condanna alla restituzione del terreno e che siano determinati alcuni criteri per la quantificazione del danno risarcibile.

5. Il Comune di San Giovanni Rotondo ed il Consorzio Comparto B si sono costituiti in giudizio ed hanno chiesto che l’appello sia respinto.

Il Consorzio in data 23 aprile 2019 ha depositato una memoria, con cui ha insistito nelle già formulate conclusioni.

6. Dopo aver esposto i fatti che hanno condotto alla presente fase del giudizio (pp. 1-7), l’appello si compone di cinque motivi.

7. Col primo motivo, gli appellanti lamentano che il TAR – nell’escludere la condanna alla restituzione del terreno – avrebbe equivocato sul contenuto di una dichiarazione di data 29 gennaio 2016, resa dal loro dante causa.

7.1. In punto di fatto, è avvenuto che il consiglio comunale, con le delibere n. 31 del 2004 e n. 22 del 2009, aveva approvato il piano particolareggiato per il comparto B, nel cui perimetro si trova il terreno in questione.

Per la realizzazione delle opere interne al comparto, ai sensi dell’art. 23 della legge n. 1150 del 1942, è stato istituito il ‘Consorzio del Comparto B’.

Al Consorzio ha aderito circa il novanta per cento dei proprietari delle aree inserite nel perimetro: poiché il dante causa degli appellanti non ha inizialmente manifestato la propria adesione al Consorzio, sono stati emessi gli atti ablatori, che poi sono stati annullati in sede giurisdizionale.

7.2. Dopo la pubblicazione della sentenza di questa Sezione n. 5834 del 2015, in data 29 gennaio 2016 il dante causa degli appellanti ha trasmesso al dirigente del Settore urbanistica del Comune la seguente dichiarazione: «In relazione all’espresso invito rivoltomi, dichiaro di voler aderire al Consorzio tra i proprietari, assumendomi gli stessi obblighi e acquisendo gli stessi diritti dei consorziati. Resta fermo che non rinuncio agli effetti del giudicato con riferimento alle spese legali liquidatemi e al danno conseguente all’occupazione del mio fondo, divenuta illecita a seguito delle pronunzie del giudice, a far tempo dal 16.6.2014 e sino alla sottoscrizione della convenzione con il Consorzio».

A seguito di tale dichiarazione, il Consiglio Direttivo del Consorzio del Comparto B in data 3 febbraio 2016 deliberava di accettare la richiesta di adesione al Consorzio del dante causa degli appellanti.

7.3. In considerazione del testo della dichiarazione resa in data 3 febbraio 2016, ritiene il Collegio che il primo motivo vada respinto, perché infondato.

Come ha correttamente evidenziato la sentenza impugnata, con tale dichiarazione l’allora proprietario del terreno ha aderito al Consorzio ed ha assunto ‘gli stessi obblighi e acquisendo gli stessi diritti dei consorziati’: egli ha univocamente manifestato la propria volontà che l’area a suo tempo occupata continui ad avere le attuali destinazioni, essenziali per l’attuazione degli scopi consortili, e di rinunciare agli effetti del giudicato, limitatamente alla pretesa di tornare nella disponibilità materiale del terreno in questione.

Dal periodo che comincia con le parole ‘Resta fermo’, si desume chiaramente che l’allora proprietario si è riservato di agire a tutela dei propri diritti, esclusivamente quanto alle spese del giudizio a suo tempo liquidate, nonché alla domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno, per ‘l’occupazione divenuta illecita a seguito delle pronunzie del giudice, a far tempo dal 16 giugno 2014 e sino alla sottoscrizione della convenzione con il Consorzio’.

Non risultano fondate le articolate deduzioni secondo cui non vi è stata – né si può desumere - una ‘rinuncia abdicativa’, poiché il TAR - al § 4.1. ha fatto riferimento alla ‘volontà abdicativa rispetto al citato effetto restitutorio’, cioè limitata alla pretesa di riottenere la disponibilità materiale dell’area.

Vanno respinte anche le deduzioni di cui alle lettere B e C contenute nel primo motivo.

Non si può ravvisare una perdurante occupazione sine titulo , proprio perché con la dichiarazione del 3 febbraio 2016 l’allora proprietario ha consentito al Consorzio di utilizzare l’area in questione, sicché il possesso del Consorzio si basa su un idoneo titolo, riferibile alla volontà del dichiarante, alla quale esso ha poi aderito.

8. Col secondo motivo, sono state contestate le statuizioni del TAR circa:

a) la determinazione del periodo di occupazione sine titulo (individuato dal 16 giugno 2014, data della occupazione, sino al 13 febbraio 2016),

b) la determinazione del 5 per cento per ogni anno di occupazione,

c) l’applicazione dell’art. 34, comma 4, del c.p.a. (poiché il TAR ha disposto che l’Amministrazione debba offrire agli interessati un importo, a titolo di risarcimento danno, mentre invece avrebbe dovuto attribuire rilievo alla relazione di stima che ha attribuito all’area il valore di euro 1.385.640).

9. Osserva al riguardo il Collegio che:

- la determinazione del periodo dal 16 giugno 2014 al 13 febbraio 2016 risulta corretta, poiché si deve tener conto della sopravvenuta sussistenza del titolo idoneo a possedere il bene, a seguito della dichiarazione sopra rilevata, oggetto di formale accettazione da parte del Consorzio;

- gli appellanti – per la quantificazione del danno riferibile alla occupazione sine titulo - hanno invocato un criterio sostitutivo di quello statuito dal TAR, col richiamo a quanto disposto dall’art. 50 del testo unico sugli espropri, ma tale articolo risulta inapplicabile nella specie, poiché esso si riferisce ai casi in cui l’occupazione si sia basata su una efficace ordinanza di occupazione d’urgenza, ciò che non è ravvisabile nella specie, a seguito dell’annullamento integrale degli atti del procedimento espropriativo.

Per quanto riguarda la deduzione secondo cui il TAR non avrebbe fatto corretta applicazione dell’art. 34, comma 4, del c.p.a., ritiene il Collegio che essa vada ugualmente respinta.

Infatti, il medesimo art. 34, comma 4, del c.p.a. attribuisce al giudice amministrativo un peculiare potere valutativo, finalizzato a porre in essere in sede amministrativa una preliminare fase di interlocuzione tra le parti, nel corso della quale l’Amministrazione – sulla base di un preliminare procedimento istruttorio – deve formulare una congrua proposta, per le conseguenti determinazioni della parte risultata vincitrice del giudizio.

La ratio di tale comma 4 ha un rilievo non soltanto sostanziale, con le regole volte alla determinazione consensuale in sede stragiudiziale del danno risarcibile, ma anche processuale, mirando esso – come il corrispondente art. 35 – comma 2, del decreto legislativo n. 80 del 1998, cui si è ispirato – a far terminare il giudizio amministrativo senza ulteriori incombenti istruttori sulla questione e disponendo che il giudice determini quanto dovuto soltanto se in sede amministrativa non vi sia stato l’accordo tra le parti.

Non risultando anomala o manifestamente irragionevole la statuizione del TAR, la censura dell’appellante va respinta.

10. Col quarto motivo, gli appellanti lamentano la violazione dell’art. 114, comma 4, lettera e), del codice del processo amministrativo, deducendo che il TAR avrebbe dovuto disporre una penalità di mora.

11. Ritiene il Collegio che la censura vada respinta.

11.1. L’invocato art. 114, comma 4, lettera e), del codice del processo amministrativo dispone che il giudice, in caso di accoglimento del ricorso per l’ottemperanza, “ salvo che non sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del giudicato ”.

Tale disposizione non prevede l’obbligo del giudice dell’ottemperanza di accogliere senz’altro la richiesta di parte e di disporre automaticamente una tale misura, nel caso di constatato mancato pagamento: il giudice dell’ottemperanza è “dotato di un ampio potere discrezionale” (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 gugno 2014, n. 15), che gli consente di effettuare una valutazione ostativa alla liquidazione, per considerazioni di carattere equitativo che possono anche escludere la meritevolezza della ‘pena’ in questione.

Tra gli aspetti che possono essere complessivamente valutati dal giudice, per accogliere o meno una tale richiesta di parte, rientrano tutte le circostanze del caso concreto, tra cui possono avere rilievo la natura dell’eventuale credito insoddisfatto (ad esempio, la sua natura alimentare), la durata dell’inadempimento, la mancata esecuzione di precedenti sentenze già rese in sede di esecuzione, le questioni di carattere organizzativo quando si tratti di giudizi sostanzialmente di carattere seriale, ecc.

11.2. Nella specie, il TAR ha correttamente rilevato che l’Amministrazione non ha l’obbligo di disporre la restitutio in integrum dell’area e la sua restituzione agli aventi causa dell’originario ricorrente, ma deve dare applicazione dell’art. 34, comma 3, del c.p.a., avviando la fase della interlocuzione volta alla quantificazione dell’importo da corrispondere.

Per il caso in cui tale interlocuzione non sia tale da definire la controversia, la misura processuale posta a tutela della parte vincitrice del giudizio è quella della proposizione di un ricorso volto alla esecuzione del giudicato, sicché non sussiste alcuna iniquità nella determinazione del giudice di non prevedere alcuna penalità di mora.

12. Col quinto motivo, è lamentato che il TAR – nel riferirsi alla ‘peculiarità della controversia’ - avrebbe erroneamente compensato le spese del giudizio di primo grado.

13. Ritiene il Collegio che la censura sia infondata e vada respinta.

Per la pacifica giurisprudenza, che il collegio condivide e fa propria anche nell’attuale quadro normativo, il TAR ha ampi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali, ovvero per escluderla (Cons. Stato, Ad. Plen., 24 maggio 2007, n. 8), con il solo limite, in pratica, che non può condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio o disporre statuizioni abnormi (per tutte, Consiglio Stato, Sez. IV, 22 marzo 2019, n. 1913;
Sez. III, 9 novembre 2016, 4655;
Sez. IV, 3 novembre 2015, n. 5012;
Sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 891;
Sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4471;
Sez. IV, 27 settembre 1993, n. 798).

14. Nella specie la statuizione del TAR non solo non risulta abnorme, ma si è basata su una specifica motivazione, che ha dato conto di una circostanza la quale – nella valutazione del TAR, che questo Collegio condivide, per la sua ragionevolezza – risulta idonea a supportare la statuizione sulla compensazione.

Infatti, la peculiarità del caso consiste nella sostanziale contestazione – da parte degli interessati – del contenuto della dichiarazione del loro dante causa: essi sono rimasti dunque parzialmente soccombenti, quanto alla domanda di restituzione dell’area, ciò che di per sé ha oggettivamente giustificato la contestata statuizione del TAR.

15. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.

La condanna al pagamento delle spese del secondo grado del giudizio segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo.

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