Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-11-05, n. 201806259

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-11-05, n. 201806259
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201806259
Data del deposito : 5 novembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/11/2018

N. 06259/2018REG.PROV.COLL.

N. 03966/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3966 del 2017, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G T in Roma, piazza San Bernardo, n. 101;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze, Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Campania, Sede di Napoli, Sezione VI, n. 475 del 24 gennaio 2017.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura generale dello Stato;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 giugno 2018 il Cons. R C e uditi per le parti l’avvocato A S e l'Avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il Tribunale ordinario di Nola, Ufficio del giudice delle indagini e dell’udienza preliminare, con sentenza ex artt. 444 c.p.p. e ss., in data 10 giugno 2014, ha condannato il signor -OMISSIS-, appartenente alla Compagnia della Guardia di Finanza di Ottaviano, alla pena di un anno, 11 mesi e 25 giorni, per i reati di concussione, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e tentata concussione, in concorso con il Capopattuglia.

Il Comandante del Comando Interregionale dell’Italia Meridionale della Guardia di Finanza, con provvedimento del 22 luglio 2015, ha determinato che il Vice Brigadiere -OMISSIS- “perde il grado per rimozione ed è iscritto d’ufficio nel ruolo dei militari di truppa dell’Esercito italiano, senza alcun grado, a decorrere dal 14 marzo 2014”.

Il T.a.r. per la Campania, Sede di Napoli, Sesta Sezione, con sentenza n. 475 del 2017, ha respinto il ricorso proposto avverso di tale atto.

Di talché, l’interessato ha gravato detta sentenza, articolando le seguenti doglianze:

- l’art. 2136 del codice dell’ordinamento militare (d.lgs. n. 66 del 2010) indicherebbe quali sono le disposizioni del libro IV applicabili anche al Corpo della Guardia di Finanza e, tra queste, non rientrerebbero quelle di cui si è avvalsa l’amministrazione per irrogare la sanzione disciplinare;

- il legislatore, nella materia disciplinare, non avrebbe inteso parificare il Corpo della Guardia di Finanza alle restanti Forze Armate, per cui alla Guardia di Finanza si applicherebbe il Testo Unico sul pubblico impiego (d.lgs. n. 165 del 2001);

- dalla lettura degli atti del procedimento penale sarebbe indubbio solo che l’appellante era effettivamente in servizio con la pattuglia capeggiata dal Luogotenente E;

- l’inchiesta disciplinare avrebbe fatto emergere con evidenza che: solo il Luogotenente, da tempo, aveva contatti con il regista di una più ampia associazione organizzata per compiere i reati addebitati anche all’appellante;

- l’interessato avrebbe preso per la prima volta parte a quel tipo di controllo alle ditte cinesi, quale mero gregario di una pattuglia;
le uniche minacce di cui vi è prova sarebbero state effettuate quando il Vice Brigadiere -OMISSIS- era assente;
il verbale sarebbe stato redatto dal Luogotenente E che aveva intimato al sottoposto Vice Brigadiere -OMISSIS- di firmarlo;

- l’appellante, in trenta anni di carriera, avrebbe sempre avuto una condotta specchiata;

- il Comandante Interregionale dell’Italia Meridionale della Guardia di Finanza ha ritenuto di non poter approfondire i suddetti aspetti fattuali della vicenda dichiarando nel provvedimento di rimozione che: “l’Amministrazione, recependo le risultanze processuali accertate da una sentenza di patteggiamento emessa dal giudice penale, non può più sindacare l’esistenza del fatto reato ma deve operare esclusivamente un’autonoma valutazione della rilevanza disciplinare degli accertamenti addebitati”;

- la sentenza di patteggiamento, se imponeva senz’altro l’apertura del procedimento disciplinare, onerava, comunque, l’Amministrazione a vagliare la reale posizione dell’interessato, tanto più in presenza di plurimi e concordanti elementi, chiaramente emersi nel corso dell’istruttoria, che deponevano univocamente in tal senso;

- l’Amministrazione avrebbe fatto discendere automaticamente la destituzione dalla sentenza di patteggiamento;

- la sanzione avrebbe dovuto essere graduata in ragione del grado rivestito e dell’apporto dei vari soggetti nella vicenda analizzata, con precipuo riferimento alla comprovata estraneità dell’appellante al sodalizio criminoso, mentre l’Amministrazione avrebbe operato un’automatica ed illegittima equiparazione sanzionatoria dell’appellante con il capopattuglia;

- il giudice di prime cure ha sostenuto che l’Amministrazione avrebbe considerato tutte le circostanze di fatto addotte dall’interessato in sede disciplinare, mentre l’Amministrazione sia nel rapporto finale, sia nel provvedimento di rimozione, ha ritenuto di non voler pervenire ad una diversa configurazione del fatto accertato in sede penale;

- la sentenza del T.a.r. si fonderebbe sulla confusione tra approfondimento del fatto e valutazione dello stesso da parte dell’Organo disciplinare, che avrebbe consentito al giudice di primo grado di affermare, erroneamente, come vi sarebbero stati elementi tali da sostenere la responsabilità disciplinare del dipendente, proporzionati rispetto alla perdita del grado;

- con l’atto di contestazione degli addebiti, l’ufficiale inquirente, discostandosi dalla legge e dagli stessi ordini del Comando regionale, avrebbe indicato all’incolpato di nominare un difensore di fiducia scelto tra militari in servizio, anche non appartenenti al corpo, di anzianità e grado non superiore a quello scrivente, sicché avrebbe indotto l’interessato a nominare come difensore un militare non solo di grado non superiore, ma anche di anzianità non superiore a quello dell’inquirente;

- il procedimento disciplinare nei confronti dei due incolpati si è svolto separatamente senza un ordine del Ministro sebbene i fatti contestati fossero gli stessi.

L’Avvocatura generale dello Stato ha contestato la fondatezza delle censure dedotte ed ha concluso per il rigetto dell’appello.

L’appellante ha prodotto ulteriori memorie a sostegno delle proprie ragioni ed ha insistito per le conclusioni rassegnate.

All’udienza pubblica del 26 giugno 2018, la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. Le censure formulate nell’atto di appello, nella sostanza, attengono ai seguenti argomenti:

a) applicabilità al personale della Guardia di Finanza delle norme sull’azione disciplinare contenute nel codice dell’ordinamento militare;

b) rapporto tra l’accertamento del fatto contenuto nella sentenza di patteggiamento e le valutazioni amministrative ai fini disciplinari;

c) l’esaustività istruttoria e motivazionale del provvedimento di perdita del grado nonché la proporzione dello stesso rispetto alla condotta posta in essere dall’inquisito;

d) vizi procedimentali e, in particolare, lesione del diritto di difesa per non aver potuto l’incolpato farsi assistere da un difensore di anzianità di grado superiore a quella dell’ufficiale inquirente.

2.1. Le doglianze sub a) sono infondate, sia pure per ragioni in parte diverse da quelle affermate dal giudice di primo grado.

La sentenza impugnata, in proposito, ha così motivato:

Deve preliminarmente rilevarsi l’applicabilità agli appartenenti al Corpo della Guardia di Finanza del codice dell’ordinamento di militare (d. lgs. 66/2010, c.o.m.), atteso che l’art. 2268 del codice, al comma 1, n. 400, ha disposto l’abrogazione espressa, tra le altre, della legge n. 599/1954, concernente lo “Stato dei sottufficiali dell’Esercito della Marina e dell’Aeronautica”, norma che viene espressamente richiamata dalla legge 260/1957 concernente lo “Stato dei sottufficiali della Guardia di finanza” il cui art. 1 dispone che “1. Ai sottufficiali della Guardia di finanza si applicano le disposizioni sullo stato dei sottufficiali dell'Esercito (Arma dei carabinieri) contenute nella legge 31 luglio 1954, n. 599, eccettuate quelle contenute nell'art. 59, con le modificazioni di cui agli articoli seguenti”.

Sul punto, deve peraltro rilevarsi che non può essere utilmente invocato, quale precedente asseritamente in termini, la sentenza del T.A.R. Salerno, n. 1089/2014, richiamata dal ricorrente, in quanto nel caso di specie all’esame di questo giudice si tratta di procedimento -OMISSIS- attivato dopo che il procedimento penale si è concluso con pena patteggiata ex art. 444 c.p.p. e non già, come per la fattispecie di cui alla sentenza del T.A.R. di Salerno, di procedimento -OMISSIS- attivato a seguito di sentenza di assoluzione per prescrizione ”.

In realtà, l’applicabilità anche agli appartenenti al Corpo della Guardia di Finanza delle norme del codice dell’ordinamento militare che disciplinano l’esercizio dell’azione disciplinare, senza alcuna necessità di procedere ad interpretazioni più o meno opinabili, discende direttamente dall’art. 2136 d.lgs. n. 66 del 2010, comma 1, lett. ee), secondo cui si applicano al personale del Corpo della Guardia di Finanza, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al titolo VIII del libro IV del codice dell’ordinamento militare.

Nell’ambito del titolo VIII, rubricato “disciplina militare”, è contenuto il capo IV, che detta la normativa del procedimento disciplinare, per cui, sussistendone la sicura compatibilità, l’applicabilità delle norme sull’azione disciplinare contenute nel codice dell’ordinamento militare agli appartenenti al Corpo della Guardia di Finanza risulta per tabulas .

Infatti, la contestazione degli addebiti è avvenuta ai sensi dell’art. 1370 del codice dell’ordinamento militare, contenuto nel titolo VIII del libro IV, e la sanzione applicata, di “perdita del grado per rimozione”, è prevista dall’art. 1357, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 66 del 2010, anch’esso contenuto nel titolo VIII del libro IV.

2.2. Parimenti non condivisibile è il secondo nucleo di censure con cui l’appellante, in sintesi, ha sostenuto che la sentenza di patteggiamento, se imponeva senz’altro l’apertura del procedimento disciplinare, onerava, comunque, l’Amministrazione a vagliare la reale posizione dell’interessato, tanto più in presenza di plurimi e concordanti elementi, chiaramente emersi nel corso dell’istruttoria.

Occorre innanzitutto rilevare che la sentenza ex artt. 444 e 445 c.p.p. non prescinde dall’accertamento della responsabilità penale dell’imputato in quanto il giudice, nonostante la richiesta concorde delle parti, non può emettere la pronuncia di patteggiamento se ricorrono le condizioni per il proscioglimento perché il fatto non sussiste, l’imputato non lo ha commesso ovvero perché il fatto non costituisce reato, per cui rimane impregiudicata ai fini disciplinari - considerato che ai sensi dell’art. 445, comma 1 bis , ultima parte, c.p.p., salve diverse disposizioni di legge, la sentenza de qua è equiparata ad una pronuncia di condanna – l’efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputo lo ha commesso.

Di talché, l’art. 653 c.p.p., a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 97 del 2001, prevede che anche la sentenza di patteggiamento, quale sentenza irrevocabile di condanna, faccia giudicato nei giudizi per responsabilità disciplinare quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.

L’Amministrazione, quindi, nell’esercizio del proprio potere disciplinare, può ( rectius : deve) utilizzare gli indizi di colpevolezza raccolti al fine di esercitare in giudizio l’azione penale, sicché non sussiste, né è ragionevolmente esigibile, l’obbligo di svolgere una particolare e diversa attività istruttoria al fine di acquisire ulteriori mezzi di prova, dovendo i profili di condanna essere oggetto di una diversa valutazione soltanto in merito alla loro rilevanza sotto il profilo disciplinare (cfr. Cons. Stato, IV, 2 novembre 2017, n. 5053).

In altri termini, ai fini disciplinari, ai sensi degli artt. 445, comma 1 bis e 653 comma 1 bis c.p.p., l’Amministrazione è vincolata all’accertamento del fatto, alla sua qualificazione come illecito penale ed all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, contenuti nella sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti.

Nondimeno, l’organo competente deve compiere, sulle univoche risultanze fattuali emerse in sede penale, un autonomo apprezzamento circa la gravità della condotta tenuta dall’inquisito.

Nel caso di specie, la valutazione è stata compiutamente svolta dall’Amministrazione che ha giudicato come la condotta dell’incolpato denoti un’assoluta incompatibilità con lo status di appartenente al Corpo.

2.3. Il provvedimento impugnato si presenta assistito da adeguata motivazione ed è stato adottato all’esito di un’adeguata istruttoria.

Con nota del 17 febbraio 2015, l’ufficiale inquirente ha contestato al Vicebrigadiere -OMISSIS- i seguenti addebiti:

a. Sovrintendente in forza alla Compagnia di Ottaviano, in concorso con altri:

(1) abusando dei poteri e della sua qualità di appartenente al Corpo, si presentava presso l’opificio di …. , ove, simulando di dover effettuare un controllo e fingendo di ispezionare i locali, nonché chiedendo a … di fornirgli i documenti relativi all’attività commerciale malgrado ne fosse già in possesso e facendo salire a bordo dell’auto la predetta donna portandola in giro senza alcuna ragione connessa al servizio, costringeva la stessa a consegnargli una somma imprecisata di danaro al fine di evitare conseguenze pregiudizievoli per la propria attività;

(2) al fine di assicurarsi l’impunità della illecita condotta sub (1), attestava falsamente, nel verbale di constatazione n. 0534395/13 del 29.10.2013, di essersi recato, nella predetta data, presso la sede della ditta individuale …, sita in San Giuseppe Vesuviano …. , per effettuare un controllo fiscale ai fini Iva, fatto del quale l’atto era destinato a provare la verità. Con l’aggravante di aver commesso il fatto in relazione ad un atto pubblico fidefacente, poiché con il verbale di constatazione il pubblico ufficiale attesta, nell’esercizio delle sue funzioni, una certa attività da lui espletata, ovverosia che determinate circostanze sono cadute sotto la sua diretta percezione e vengono così rievocate;

(3) abusando dei poteri e della sua qualità di appartenente al Corpo, minacciava di condurre … presso l’ufficio immigrazione di Napoli, utilizzando l’espressione “Cina tu sai come si fa, vuoi andare a Napoli o sai come si fa” e richiedendo una somma di denaro per desistere da tale proposito compiva atti idonei condotti in modo non equivoco a costringere il suindicato cittadino cinese a consegnargli una somma di denaro imprecisata, al fine di evitare conseguenze pregiudizievoli. Evento non verificatosi per l’opposizione della vittima

In Palma Campania e Ottaviano, il 29.10.2013;

b) la vicenda costituiva oggetto di procedimento penale, a conclusione del quale il Tribunale di Nola, con sentenza divenuta irrevocabile in data 01.10.2014, applicava all’ispettore, ai sensi degli artt. 444 e seguenti c.p.p., la pena di anni 1 (uno), mesi 11 (undici) e giorni 25 (venticinque) di reclusione in ordine ai reati di cui agli artt. 56, 61 n. 2, 110, 317 e 479 c.p.;

c) la condotta sopra delineata, tenuta in dispregio delle leggi di stato:

(1) costituiva grandissima violazione dei doveri di correttezza e lealtà assunti con il giuramento prestato, tanto più rilevante se posta in relazione alle rivestite qualifiche di ufficiale di p.g., p.t. e agente di p.s.;

(2) arrecava grandissimo nocumento all’immagine e al prestigio del Corpo, nonché al superiore pubblico interesse al corretto svolgimento di servizi della specie”.

La lett. sub a) delle contestazioni riporta i fatti come accertati e descritti dal Tribunale Ordinario di Nola, Ufficio del giudice delle indagini e dell’udienza preliminare, nella sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. e ss., per cui, ai fini disciplinari, l’Amministrazione era vincolata a considerare tali fatti, residuando invece il suo compito di valutare gli stessi dal punto di vista disciplinare.

In altri termini, i fatti sono quelli accertati in sede di procedimento penale e non possono essere più messi in discussione, mentre la valutazione di detti fatti ai fini disciplinari e, quindi, ai fini dell’accertamento dell’eventuale lesione al rapporto fiduciario esistente tra datore di lavoro e lavoratore, rappresenta il momento centrale ed essenziale dell’azione amministrativa disciplinare.

Nella fattispecie in esame, l’istruttoria prevista dalla disciplina di settore è stata puntualmente espletata ed il provvedimento contestato dà analiticamente atto degli atti endoprocedimentali di cui l’Amministrazione ha tenuto conto e, tra gli altri, del verdetto di non meritevolezza a conservare il grado formulato in data 18 giugno 2015 nei confronti dell’inquisito dalla Commissione di disciplina.

L’Amministrazione ha valutato i fatti ai fini disciplinari ed ha valutato a tal fine le memorie difensive prodotte dall’interessato nonché le dichiarazioni fornite in sede di riunione della Commissione di disciplina, traendone la conclusione che “ l’inquisito, con le proprie illecite condotte, ha:

* recato indiscusso nocumento all’immagine e al prestigio del Corpo, considerato anche che, come evidenziato dall’A.G. nolana, il militare non ha “… avuto remore a strumentalizzare la propria alta funzione per raggiungere profitti e vantaggi illeciti interpretando l’orario di lavoro come fonte di arricchimento personale piuttosto che come un servizio a tutela della sicurezza dei cittadini … “;

* ingenerato dubbi sull’operato degli appartenenti al Corpo e recato sicuro nocumento al superiore interesse pubblico, non essendo ammissibile che l’Amministrazione, avente precipue funzioni di polizia giudiziaria e tributaria, mantenga tra le proprie fila un militare che posto in essere tali esecrabili condotte;

* dimostrato indubbiamente rilevanti carenze di qualità morali e di carattere, pregiudicando fortemente l’imparzialità e la correttezza del Corpo, tenuto conto che, in ambito giudiziario, è stata rilevata “ … la estrema gravità delle condotte contestate, il dilagante agire … degli indagati …, la pervasività del loro comportamento delinquenziale nei gangli della P.A. e nei presidi a questa attinenti, soprattutto per quanto essi attengono alla fede pubblica …”;

* violato gravemente i doveri di correttezza, lealtà e rettitudine che, assunti con il giuramento, devono ispirare la condotta di ogni appartenente alla Guardia di Finanza;

* la gravità del comportamento tenuto, oggetto degli specifici addebiti amministrativi innanzi accertati, denota un’assoluta incompatibilità con lo status di appartenente al Corpo, tale da imporre – in ossequio ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità – l’adozione di un provvedimento di natura espulsiva a suo carico non ravvisandosi alcuna attenuante nella valutazione del tipo di sanzione da applicare, data la palese e piena violazione del giuramento prestato” .

Di talché, l’Organo competente ha maturato il convincimento che sia doveroso assumere, nei confronti dell’inquisito, la sanzione della perdita del grado per rimozione, “ considerandola:

- equa e proporzionata alla gravità della condotta sopra stigmatizzata e posta in essere dal militare;

- idonea a tutelare ed a garantire l’imparzialità dell’Istituzione, nonché essenziale al fine di assicurare il legittimo esercizio del potere disciplinare dell’Amministrazione, che costituisce una delle forme più pregnanti per affermare concretamente il principio del buon andamento della medesima ”.

L’Amministrazione, pertanto, non ha irrogato la sanzione della perdita del grado per rimozione come conseguenza automatica della sentenza penale, ma ha correttamente valutato i fatti, accertati in sede penale, ai fini disciplinari, ritenendo che la condotta sia stata di gravità tale da denotare un’assoluta incompatibilità con lo status di appartenente al Corpo.

Né, per quanto esposto nel provvedimento impugnato circa l’irrimediabile cesura del rapporto fiduciario, la sanzione irrogata appare sproporzionata, atteso che, nel percorso logico-giuridico svolto dal Comando della Guardia di Finanza, non è ravvisabile alcuna manifesta illogicità o travisamento del fatto.

Inoltre, anche ove si volesse, per mera ipotesi, addivenire alla tesi che la condotta dell’appellante sia stata di gravità minore rispetto a quella del Capopattuglia, tale considerazione non sarebbe di per sé utile a dimostrare l’illegittimità del provvedimento di perdita del grado per rimozione il quale, pur prescindendo dalla comparazione tra la gravità delle condotte poste in essere, ha puntualmente motivato sulle ragioni per le quali il militare non può più appartenere al Corpo.

2.5. L’appellante ha sostenuto che, con l’atto di contestazione degli addebiti, l’ufficiale inquirente, discostandosi dalla legge e dagli stessi ordini del Comando regionale, avrebbe indicato all’incolpato di nominare un difensore di fiducia scelto tra militari in servizio, anche non appartenenti al corpo, di anzianità e grado non superiore a quello dello scrivente, sicché avrebbe indotto l’interessato a nominare come difensore un militare non solo di grado non superiore, ma anche di anzianità non superiore a quello dell’inquirente-

La censura, sia pure per ragioni diverse da quelle contenute nella motivazione del giudice di primo grado, non è persuasiva.

Nella contestazione degli addebiti, effettivamente, l’ufficiale inquirente ha informato della facoltà per l’inquisito, ai sensi dell’art. 1370 d.lgs. n. 66 del 2010, di nominare “ un difensore di fiducia scelto tra i militari in servizio anche non appartenenti al Corpo e di anzianità di grado non superiore a quello dello scrivente ”.

In proposito, questa Sezione (sentenza n. 1114 del 2013) ha avuto modo di precisare che:

L’art. 1370 del codice dell’ordinamento militare, nel riconoscere al militare inquisito in sede disciplinare il diritto all’assistenza di un difensore scelto fra militari in servizio, stabilisce che il difensore “non può essere di grado superiore a quello del presidente della commissione” (comma 3, lettera a).

La disposizione va letta in relazione a quella dell’art. 626, comma 1, dello stesso codice, secondo la quale “il personale militare è ordinato gerarchicamente in relazione al grado rivestito. Il grado corrisponde alla posizione che il militare occupa nella scala gerarchica”.

Su queste indiscutibili premesse, è evidente che il divieto di ricorrere all’assistenza di un difensore rivestito di un grado più elevato di quello del presidente della commissione non può essere forzato sino a ricomprendere nell’ambito del divieto i militari che, sebbene appartenenti allo stesso grado, abbiano una anzianità maggiore nel grado medesimo”.

Tuttavia, nel caso di specie, l’interessato, in data 24 febbraio 2015, ha provveduto alla nomina del militare difensore senza alcuna ulteriore specificazione, sicché ha prestato acquiescenza all’invito rivoltogli dall’ufficiale inquirente, ponendo in essere, ai sensi dell’art. 329 c.p.c., un atto incompatibile con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge.

In proposito, le Sezioni Unite della Cassazione Civile, con sentenza n. 26226 del 2002, con riferimento ad una fattispecie in cui l’interessato aveva analogamente lamentato la lesione del diritto di difesa per non aver potuto nominare difensore un legale del libero foro, ha ritenuto infondato il relativo motivo “ perché l’incolpato, non avendo manifestato, nel corso del procedimento disciplinare la volontà di nominare proprio difensore un legale del libero foro …. non può denunziare in questa sede la lesione di una facoltà difensiva non rivendicata ”.

2.6. La doglianza - secondo cui il procedimento disciplinare nei confronti dei due incolpati, in violazione dell’art. 1391 del codice dell’ordinamento militare, si è svolto separatamente senza un ordine del Ministro sebbene i fatti contestati fossero gli stessi - deve ritenersi irrilevante.

Infatti, sulla base di tutte le argomentazioni svolte, non è dato comprendere, quale interesse potesse avere (o quale utilità potesse ritrarre) l’appellante ad una trattazione congiunta dei procedimenti disciplinari.

2.7. Infine, costituisce un assunto indimostrato che l’Amministrazione non abbia tenuto in alcun conto le difese inoltrate dall’appellante e pervenute in data 7 maggio 2015, atteso che l’esame delle stesse non postula necessariamente una analitica motivazione in proposito.

3. L’appello, in definitiva, deve essere respinto, e, per l’effetto, deve essere confermata, con diversa motivazione, la sentenza appellata.

4. Le spese del giudizio, in ragione della peculiarità e della complessità della fattispecie, possono essere integralmente compensate tra le parti.

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