Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-11-02, n. 201705053

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-11-02, n. 201705053
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201705053
Data del deposito : 2 novembre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/11/2017

N. 05053/2017REG.PROV.COLL.

N. 04045/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4045 del 2015, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati L T e Ugo D'Angelo, con domicilio eletto presso lo studio Lombardo &
associati in Roma, via Taro, 56;

contro

Ministero dell'economia e delle finanze - Comando generale della Guardia di finanza - in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Campania, sezione VI, 3 dicembre 2014, n. 6310.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'economia e delle finanze - Comando generale della Guardia di finanza;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2017 il consigliere G C;

Uditi per le parti l’avvocato Cocchi, su delega dell’avvocato Tretola, e l’avvocato dello Stato Bacosi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Nel 2006 la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nocera Inferiore ha esercitato l’azione penale nei confronti del signor -OMISSIS-, maresciallo capo della Guardia di finanza, per i reati previsti e puniti dagli artt. 81, cpv., e 648 (capo A);
485 e 61 n. 2 (capo B);
56 e 640 (capo C);
48 e 378 c.p. (capo D), in relazione a una presunta truffa in concorso con altri ai danni della compagnia Meie Aurora Assicurazioni per:

a) avere formato un falso modello C.I.D. in relazione a un incidente stradale mai avvenuto;

b) avere presentato una richiesta di risarcimento di danni corredata del falso modello C.I.D. e di foto di un’autovettura, da lui acquistata e intestata alla moglie, mostranti gravi danni, invero già sussistenti al momento dell’acquisto;

c) essersi fatto rilasciare dal titolare di una concessionaria di autovetture una dichiarazione compiacente per attestare che la propria auto, asseritamente coinvolta nell’incidente, sarebbe stata integra al momento dell’acquisto.

2. Con determina del 18 settembre 2006, il Comando generale del Corpo ha deliberato di non adottare, allo stato, il provvedimento di sospensione precauzionale dall’impiego a titolo discrezionale.

3. Con sentenza del 2 ottobre 2008, il Tribunale di Nocera Inferiore:

a) ha assolto l’imputato dall’imputazione sub A perché il fatto non sussiste;

b) ha dichiarato non doversi procedere in ordine ai reati sub B e C per intervenuta prescrizione;

c) ha assolto l’imputato dai reati sub D perché il fatto non costituisce reato.

4. Con sentenza del 12 aprile 2013, divenuta irrevocabile il successivo 27 aprile, la Corte d’appello di Salerno, investita del giudizio su ricorso dell’imputato, ha confermato la decisione di primo grado.

5. In data 22 luglio 2013 il Comandante regionale della Campania ha ordinato un’inchiesta formale nei confronti del signor -OMISSIS- al quale, il successivo giorno 23, l’ufficiale inquirente ha notificato l’avvio dell’inchiesta disciplinare.

6. Con provvedimento del Comando interregionale dell’Italia meridionale del Corpo n. 602880 del 13 dicembre 2013, al signor -OMISSIS- è stata inflitta la sanzione disciplinare della sospensione dall’impiego per la durata di sei mesi a decorrere dal 14 dicembre 2013 e sino al 13 giugno 2014.

7. Il signor -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento disciplinare con ricorso principale poi integrato da atto di motivi aggiunti, proposti avverso la determina del Comando generale del Corpo n. 101430 del 7 aprile 2014, recante il rigetto del ricorso gerarchico esperito avverso la sanzione.

8. Con sentenza 3 dicembre 2014, n. 6310, il T.A.R. per la Campania, sez. VI, ha respinto ricorso introduttivo e motivi aggiunti, compensando fra le parti le spese di giudizio.

9. Il signor -OMISSIS- ha interposto appello - sviluppatosi per 70 pagine - avverso la sentenza n. 6310/2014 denunciando con sette motivi, l’ error in iudicando che la vizierebbe in quanto:

a) avrebbe assegnato alle risultanze processuali penali una valenza ultronea rispetto a quella che avrebbero dovuto avere in sede disciplinare, eluso il principio di autonoma valutazione dei fatti e di effettiva istruttoria in sede disciplinare (versandosi al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 653 c.p.p.), trascurato che il dibattimento in sede penale si sarebbe concluso, in ragione della sopravvenuta prescrizione, prima delle acquisizioni istruttorie chieste dall’imputato;

b) avrebbe reputato le difese del ricorrente come mere considerazioni personali, trattandosi invece di argomentazioni fondate su circostanze fattuali che, diversamente valutate, avrebbero condotto a un diverso esito del procedimento disciplinare;
anche ad assumere acriticamente - e dunque illegittimamente - gli atti del procedimento penale, da questi non risulterebbero affatto convergenti elementi di prova, laddove l’appellante avrebbe puntualmente controdedotto a ciascuna delle contestazioni a lui mosse (l’appello espone dettagliatamente sette contestazioni mosse dal signor -OMISSIS- agli addebiti, i relativi riscontri del T.A.R., l’asserita erroneità e infondatezza della decisione impugnata);

c) avrebbe impropriamente valutato in modo difforme gli argomenti dell’Amministrazione e del ricorrente in ordine al medesimo materiale probatorio, invertito l’onere probatorio, obliterato la diversa interpretazione delle circostanze di causa fornita dal ricorrente sulla base di prove documentali, erroneamente ritenuto giustificato il rifiuto opposto dall’Amministrazione alle richieste istruttorie formulate (perizia calligrafica sulla sottoscrizione del modello C.I.D., perizia sui difformi modelli del contratto di vendita);
sarebbe mancata in definitiva una reale istruttoria procedimentale e la sanzione inflitta, oltre a essere sproporzionata, sarebbe inficiata da un evidente travisamento dei fatti;

d) in vari passaggi rappresenterebbe una sostanziale integrazione postuma - oltre che ultronea, arbitraria e infondata - volta a giustificare la sanzione contestata;

e) avrebbe violato l’art. 1380 del codice dell’ordinamento militare, in quanto il Capo di stato maggiore del Comando della Regione Campania della Guardia di finanza sarebbe stato suo superiore gerarchico all’epoca dell’apertura del procedimento penale, avrebbe svolto indagini nell’ambito di questo, avrebbe ripetutamente e pubblicamente manifestato la propria disapprovazione per il comportamento dell’appellante, con il quale avrebbe avuto anche numerosi contrasti;
il Capo di stato maggiore si sarebbe dunque dovuto astenere o almeno avrebbe dovuto rappresentare ai superiori la sussistenza di un conflitto di interessi, nel rispetto dei principi di imparzialità dell’azione amministrativa, tenendo conto che l’ufficio cui spetta la gestione dei procedimenti disciplinari dipenderebbe da lui in linea gerarchica e potrebbe subirne una indebita influenza, come attesterebbe una recente circolare del Comando generale del Corpo;

f) quanto ai motivi aggiunti, avrebbe trascurato l’intento elusivo della P.A., manifestatosi nell’avere adottato il provvedimento di rigetto del ricorso gerarchico dopo una diffida del ricorrente e dopo l’inutile decorso del termine di legge e averlo notificato solo a seguito della notifica del ricorso giurisdizionale innanzi al T.A.R.;

g) avrebbe omesso di motivare su due censure, espressamente riproposte, di omessa indicazione, nei provvedimenti impugnati (sanzione disciplinare e decisione di reiezione del ricorso gerarchico) delle norme disciplinari violate, e di omessa giustificazione circa il diniego delle proprie richieste istruttorie al di là del generico e inammissibile rinvio alla valutazione compiuta in sede penale.

In conclusione l’appellante ha chiesto la riforma della sentenza impugnata con l’accoglimento del proprio ricorso e dei motivi aggiunti e la condanna dell’Amministrazione al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

10. In data 26 maggio 2015 il Ministero dell’economia e delle finanze - Comando generale della Guardia di finanza si è costituito in giudizio per resistere all’appello, rinviando alla memoria difensiva di primo grado.

11. In data 12 settembre 2017 l’Amministrazione ha depositato note d’udienza.

12. In data 25 settembre e 5 ottobre 2017 l’appellante ha depositato memorie, con le quali ha rinnovato le proprie argomentazioni.

13. All’udienza pubblica del 26 ottobre 2017, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

14. In via preliminare, il Collegio osserva che la ricostruzione in fatto, sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite ed è comunque acclarata dalla documentazione versata in atti. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio.

15. Possono essere esaminati congiuntamente i primi quattro motivi dell’appello con i quali il militare, attraverso sfaccettate articolazioni del medesimo argomento, in sostanza denuncia il difetto di istruttoria e di motivazione che vizierebbe il provvedimento impugnato con il ricorso principale e che il T.A.R. non avrebbe rilevato. In sintesi, l’Amministrazione avrebbe recepito acriticamente le risultanze del giudizio penale, rinunciando a svolgere quella attività di autonoma valutazione cui invece sarebbe stata tenuta, e sulle lacune della motivazione il primo giudice avrebbe operato una non consentita integrazione successiva.

15.1. I motivi non sono fondati.

15.2. Per consolidata giurisprudenza (cfr. per tutti Cons. Stato, sez. IV, 15 giugno 2004, n. 3928;
sez. IV, 17 ottobre 2012, n. 5344;
sez. III, 2 luglio 2014, n. 3324;
sez. IV, 20 gennaio 2015, n. 123;
sez. IV, 31 marzo 2015, n. 1689;
sez. IV, 26 novembre 2015, n. 5367), qualora il procedimento penale si sia concluso con una sentenza di proscioglimento per prescrizione, i fatti oggetto dell’imputazione possono essere legittimamente assunti a presupposto di un'azione disciplinare, salva la possibilità del dipendente di addurre elementi e argomenti che, qualora dotati di oggettivo spessore e valenza, devono essere adeguatamente ponderati;
alle medesime conclusioni si perviene in relazione agli elementi penali posti a base di un decreto di archiviazione del G.I.P. ovvero di una sentenza di non doversi procedere (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14 giugno 2004, n. 3928;
sez. IV, 11 giugno 2015, n. 2851).

Rimane impregiudicata ai fini disciplinari, ai sensi dei novellati artt. 445, co.1- bis e 653, co.1- bis, c.p.p., la vincolatività dell’accertamento del fatto, della sua illiceità penale e dell’affermazione che l’imputato lo ha commesso, contenuti nella sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti - c.d. patteggiamento (cfr. Cons. Stato, sez. III, 17 maggio 2012, n. 2878;
sez. IV, 9 gennaio 2013, n. 80;
sez. VI, 8 agosto 2014, n. 4232;
per completezza si segnala che Corte cost., 18 dicembre 2009, n. 336 ha dichiarato l’infondatezza della norma sancita dal menzionato comma 1- bis e che la Corte di cassazione si è posta ormai da tempo sulla medesima traiettoria argomentativa, cfr. fra le tante, Cass. civ., sez. un., 9 aprile 2008, n. 9166;
Cass. civ., sez. lav., 19 gennaio 2011, n. 1141).

A tanto consegue che all’Amministrazione è consentito utilizzare, nell’ambito disciplinare, sia gli indizi di colpevolezza raccolti al fine di esercitare in giudizio l'azione penale, sia gli elementi emersi nel corso delle successive fasi del procedimento, quando questi hanno assunto una loro valenza probatoria.

15.3. Pertanto, non sussiste, né è ragionevolmente esigibile, un obbligo per l'Amministrazione di svolgere una particolare e diversa attività istruttoria al fine di acquisire ulteriori mezzi di prova nel caso in cui gli elementi fattuali accertati nel corso del procedimento penale siano idonei a sostenere la diversa autonoma e discrezionale pronuncia disciplinare.

15.4. Correttamente, quindi, i fatti compiutamente accertati nella sede penale vengono così in rilievo nel procedimento disciplinare, specie nel caso in cui assumano una valenza oggettiva chiara e inequivocabile, dovendo quindi essere oggetto di una diversa valutazione soltanto in merito alla loro rilevanza sotto il profilo disciplinare.

15.5. Nel caso di specie, la sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore, all’esito di una “ampia e articolata istruttoria”, ha ritenuto per i reati di cui ai capi B (artt. 485 e 61 n. 2) e C (artt. 56 e 640 c.p.) fosse stata “raggiunta la prova della sussistenza della fattispecie di reato e della sicura attribuibilità delle relative condotte all’imputato” , alcuni assunti difensivi del quale sono stati considerati “davvero risibili”.

15.6. La Corte d’appello di Salerno, dopo aver ripercorso analiticamente il percorso istruttorio del giudice di primo grado, ha ritenuto che, in base agli elementi di prova esaminati, la “evidenza dell’innocenza”, necessaria - a norma dell’art. 129, secondo comma, c.p.p. - per ottenere sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere, fosse del tutto insussistente risultando provata la sua responsabilità.

15.7. Di fronte a indicazioni così chiare, precise e concordanti non vi era alcuna ragione che costringesse l’Amministrazione a riprendere dall’origine un esame che il giudice penale aveva già compiuto in modo esaustivo nel doppio grado di merito, anche perché in nessun grado del giudizio l’imputato, come pure avrebbe potuto, ha rinunziato alla prescrizione (art. 157 c.p.), né ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello.

15.8. In concreto, il giudicato penale ha positivamente accertato la responsabilità del militare per i fatti in seguito valutati in sede disciplinare. Benché tale sentenza non faccia stato nel procedimento disciplinare, versandosi al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 653 c.p.p., da un accertamento di tale contenuto discende una presunzione semplice di colpevolezza, che l’incolpato ha l’onere di contrastare adeguatamente se vuole andare indenne dalla sanzione disciplinare.

15.9. Su questo presupposto, il rinvio alle risultanze processuali penali, fatto dal provvedimento di destituzione, appare esaustivo e non richiedeva accertamenti ulteriori, a qualcuno dei quali (le perizie calligrafiche) l’incolpato avrebbe comunque potuto autonomamente provvedere senza dover necessariamente rimettersi ai poteri officiosi dell’Amministrazione procedente. Ciò, anche in considerazione del motivato rifiuto del giudice penale di primo grado di ampliare l’istruttoria così come richiesto dall’imputato, non a seguito dell’intervenuta prescrizione, come ora pretende l’appellante, ma per trattarsi - in specie per la perizia grafica - di attività reputata superflua e assolutamente non necessaria ai fini del decidere.

15.10. Le repliche che il Tribunale regionale dà alle contestazioni mosse dal militare appaiono inoltre ragionevoli, circostanziate e da condividere. D’altronde, il dato che a prima vista parrebbe più significativo (né il nome dell’appellante né quello della moglie compaiono nel C.I.D. ritenuto apocrifo, sicché l’appellante non avrebbe avuto interesse all’indennizzo) perde rilievo, quando si consideri che in relazione al preteso sinistro l’avvocato Miranda ha inoltrato al proprietario dell’autocarro asseritamente coinvolto e alla sua compagnia di assicurazione una richiesta di risarcimento di danni nell’interesse della signora Amalia Miranda, moglie del signor -OMISSIS- e intestataria dell’autovettura danneggiata.

15.11. In definitiva, l’istruttoria disciplinare appare immune da vizi e il provvedimento correttamente motivato anche perché è da escludere che - diversamente da quanto adombrato dall’appellante - l’Amministrazione procedente abbia l’obbligo di replicare punto per punto alle osservazioni del dipendente incolpato, essendo invece sufficiente che l’istruttoria si svolga, nel suo complesso, in aderenza alla legge e alla necessità di acquisire in modo autonomo e completo gli elementi di conoscenza necessari per giungere alla determinazione finale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 dicembre 2013, n. 5992).

15.12. In sintesi, il Collegio ritiene del tutto condivisibile l'operato dell’Amministrazione, escludendo che sussistano i profili di macroscopica illegittimità (travisamento dei fatti, difetto di motivazione e di istruttoria) denunziati con i motivi ora vagliati e che l’Amministrazione stessa abbia fatto cattivo uso dell’ampio potere discrezionale che connota le sue valutazioni in ordine alla sanzione disciplinare da irrogare a fronte delle condotte accertate (giurisprudenza costante: cfr. per tutte Cons. Stato, sez. IV, 15 marzo 2012, n. 1452;
sez. IV, 31 ottobre 2012, n. 5582;
sez. IV, 19 dicembre 2012, n. 6540;
sez. IV, n. 5992/2013, cit.) infliggendone una sproporzionata, in relazione ad un fatto di evidente gravità, per il quale avrebbe potuto prendere in considerazione anche la misura espulsiva.

15.13. Neppure può ritenersi violato il principio di proporzionalità.

Come più volte precisato da questo Consiglio, "il principio di proporzionalità consiste in un canone legale di raffronto che, anche dopo la sua espressa codificazione a livello comunitario sulle suggestioni del diritto tedesco (art. 5, ultimo comma, del trattato Ce ora art. 5 trattato UE), non consente di controllare il merito dell'azione amministrativa ... il sindacato giurisdizionale non può spingersi ad un punto tale da sostituire l'apprezzamento dell'organo competente con quello del giudice, valutando l'opportunità del provvedimento adottato ovvero individuando direttamente le misure ritenute idonee (cfr. Corte giust. 18 gennaio 2001, causa C-361/98);
il giudice amministrativo, pertanto, non può sostituirsi agli organi dell'amministrazione nella valutazione dei fatti contestati o nel convincimento cui tali organi sono pervenuti;
ne discende che il principio di proporzionalità dell'azione amministrativa, ed il suo corollario in campo disciplinare rappresentato dal c.d. gradualismo sanzionatorio, non consentono al giudice amministrativo di sostituirsi alle valutazioni discrezionali compiute dall'autorità disciplinare, che possono essere sindacate esclusivamente ab externo, qualora trasmodino nell'abnormità;
altrimenti opinando, si introdurrebbe surrettiziamente una smisurata ed innominata ipotesi di giurisdizione di merito del giudice amministrativo in contrasto con le caratteristiche ontologiche di siffatta giurisdizione, che sono, all'opposto, la tipicità e l'eccezionalità in quanto deroga al principio di separazione dei poteri, cui si ispira la legislazione (in tal senso depone ora la lettura testuale e sistematica dell'art. 134 c.p.a.)"
(cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 marzo 2017, n. 1302;
sez. IV, 16 aprile 2015, n. 1968;
sez. IV, 23 febbraio 2012, n. 1022;
sez. IV, 9 ottobre 2010, n. 7383;
sez. IV, 12 novembre 2008, n. 5670;
sez. VI, 29 febbraio 2008, n. 758).

16. Il quinto motivo dell’appello denuncia la situazione di incompatibilità rispetto al procedimento disciplinare in cui si sarebbe venuto a trovare il Capo di stato maggiore del Comando regionale della Campania della guardia di finanza.

16.1. Il motivo è infondato, perché - come non è contestato -: I) l’ufficiale non ha svolto alcun ruolo nel procedimento disciplinare conclusosi con il provvedimento impugnato;
II) l’art. 1380 c.o.m. riguarda la composizione della commissione disciplina, il previo deferimento alla quale non era necessario per il tipo di sanzione irrogato (ai sensi dell’art. 1379 c.o.m.) e che è rimasta estranea al procedimento disciplinare di stato;
III) gli artt. 24 e 97 Cost. non possono essere adoperati come un grimaldello per forzare l’elenco delle cause di incompatibilità previste dalla legge (art. 1380 c.o.m. e art. 51 c.p.c.);
IV) la circolare del Comando generale del Corpo in data 14 aprile 2014 è successiva all’avvio dell’azione disciplinare e non ha alcun rapporto con la concreta vicenda.

17. Del pari infondato (e comunque improcedibile per sopravvenuta carenza interesse una volta confermata la validità dell’originario provvedimento impugnato in sede giurisdizionale) è il sesto motivo dell’appello (tardività della decisione del ricorso gerarchico e della successiva notifica, che rivelerebbe l’intento elusivo dell’amministrazione) in quanto:

a) il decorso del termine per decidere sul ricorso gerarchico non ha effetti sostanziali (non determinando una decisione tacita di rigetto), ma solo effetti processuali, facoltizzando l’interessato a proporre ricorso giurisdizionale;

b) da ciò consegue, da un lato, che l’Amministrazione non perde il potere di provvedere, sebbene tardivamente;
dall’altro lato, che l’interessato può scegliere se proporre subito ricorso giurisdizionale o attendere la tardiva decisione sul ricorso gerarchico;

c) la proposizione del ricorso giurisdizionale che il ricorrente in sede gerarchica esperisce contro il provvedimento originario, entro il termine decorrente dalla scadenza dell’infruttuoso periodo di novanta giorni per la decisione, determina l’improcedibilità del ricorso amministrativo;

d) la decisione tardiva di rigetto del ricorso gerarchico, emessa dopo che il ricorrente abbia impugnato il provvedimento originario in sede giurisdizionale, non è un atto di conferma, ma un atto a effetto confermativo del provvedimento originario, privo di autonomi effetti pregiudizievoli per il ricorrente, che pertanto non ha neppure l’onere di impugnarla (cfr. Cons. Stato, ad. plen., 1° gennaio 1989, n. 16 e n. 17;
nonché, da ultimo, sez. IV, 21 gennaio 2013, n. 347).

17.1. D’altronde, solo una lettura del tutto soggettiva della tempistica procedimentale potrebbe condurre a giudicare mossa da un intento elusivo la decisione di rigetto del ricorso gerarchico proposto avverso la sanzione inflitta.

18. Con il settimo e ultimo motivo l’appellante si duole dell’omessa pronuncia, da parte del T.A.R., su due censure formulate in primo grado.

18.1. Nessuno dei profili sviluppati ha pregio.

18.2. In primo luogo il Collegio evidenzia che il rapporto finale dell’ufficiale inquirente spende più di una pagina per dare conto delle ragioni dell’irrilevanza della documentazione e degli accertamenti peritali che l’appellante ha chiesto di acquisire e svolgere.

18.3. Quanto all’altra doglianza, è sufficiente rilevare come la contestazione degli addebiti disciplinari è risultata idonea alla finalità per la quale è preordinata in quanto - mediante precisi riferimenti a un'azione od omissione e con espressa dichiarazione che era stata effettuata a titolo di responsabilità disciplinare - ha permesso all'interessato l'esatta individuazione del fatto addebitatogli, al fine di consentirgli ogni possibile discolpa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 1° ottobre 2004, n. 6403;
sez. IV, 19 maggio 2010, n. 3166;
sez. IV, n. 1302/2017, cit.). Nel caso di specie, già la contestazione in sede penale, da cui poi l’azione disciplinare ha preso le mosse, era puntualmente circostanziata e consentiva all’appellante di comprendere perfettamente quale specie di condotta illecita gli fosse addebitata.

18.4. La sentenza del T.A.R. Parma che il militare richiama a proprio favore (sez. I, 22 maggio 2012, n. 197) è del tutto inconferente, dal momento che riguarda una ben diversa vicenda in cui non era stato contestato alcun mancato assolvimento di compiti istituzionali, non risultavano aspetti di infedeltà alle istituzioni, condizionamento dell’esercizio delle funzioni dell’incolpato o lesione del prestigio della Forza armata, e l’ufficiale istruttore aveva concluso per l’esclusione della responsabilità disciplinare, proponendo alla commissione di disciplina di non irrogare sanzioni.

18.5. Il codice dell’ordinamento militare (artt. 622 e 1352) e il relativo regolamento (art. 712) si limitano a tipizzare le sanzioni disciplinari (con la relativa eccezione concernente i fatti punibili con la consegna di rigore, arg. ex artt. 1360, 1361, 1362 e 1355 cod. ord. mil.), confermando l’atipicità dell’illecito disciplinare militare di stato attraverso il rinvio a un’ampia sfera di apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione, con il limite “questo solo sindacabile dal Giudice Amministrativo, della macroscopica abnormità, della insostenibile illogicità, della conclamata erroneità fattuale, quali sintomi di un uso non semplicemente opinabile, ma intrinsecamente patologico del potere conferito” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1302/2017, cit.).

18.6. Per altro verso, la natura stessa della responsabilità disciplinare, nella sua configurazione storicamente determinatasi, implica che, al contrario di quella penale, essa derivi dal contrasto con clausole generali di comportamento, alle quali si vincola chi entra a far parte di un’istituzione e - al di là delle ipotesi espressamente previste dalla legge, prima fra tutte la responsabilità disciplinare dei magistrati, per la quale vengono però in gioco specifici interessi costituzionalmente tutelati - non richiede affatto la violazione di precetti specificatamente identificati.

19. Dalle considerazioni che precedono discende che - come anticipato - l’appello è in toto infondato e va perciò respinto, con conferma della sentenza impugnata.

20. Le spese del presente grado di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55.

21. Il Collegio rileva, inoltre, che la pronuncia di reiezione dell’appello si basa, come sopra illustrato, su ragioni manifeste e sulla violazione del dovere di sinteticità, che integrano i presupposti applicativi dell’art. 26, co. 1, c.p.a. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio, sostanzialmente recepita, sul punto in esame, dalla novella recata dal decreto-legge n. 90 del 2014 all’art. 26 c.p.a. [cfr. sez. V, 21 novembre 2014, n. 5757;
sez. V, 11 giugno 2013, n. 3210;
sez. V, 31 maggio 2011, n. 3252;
sez. V, 26 marzo 2012, n. 1733, sez. V, 9 luglio 2015, n. 3462, cui si rinvia ai sensi degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della misura indennitaria conformemente, per altro, ai principi elaborati dalla Corte di cassazione (cfr. da ultimo sez. VI, 2 novembre 2016;
sez. VI, 12 maggio 2017, n. 11939)].

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