Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-02-08, n. 201800821
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Pubblicato il 08/02/2018
N. 00821/2018REG.PROV.COLL.
N. 01717/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1717 del 2010, proposto dai signori C S C e A A C, rappresentati e difesi dall'avvocato L D, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M G in Roma, via L. Mantegazza, 24;
contro
Comune di Erchie, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato N M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G M G in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Puglia, Lecce, Sezione I, n. 1954 del 30 luglio 2009, resa tra le parti, concernente illecita occupazione di aree private da parte del comune;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Erchie;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2017 il consigliere Daniela Di Carlo e uditi per le parti gli avvocati Durano e Massari;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La controversia riguarda l’azione proposta dai signori C S C e A A C per l’accertamento e la declaratoria dell’illecita occupazione, da parte del comune di Erchie, delle aree di loro proprietà distinte in catasto al foglio 11, part.lle 1071 e 1072, nonché per la conseguente condanna del medesimo comune alla restituzione delle aree e al risarcimento del danno;in subordine, in ipotesi di ritenuta irreversibile trasformazione, per la condanna all’integrale risarcimento del danno.
1.1. I ricorrenti, comproprietari delle predette aree per successione mortis causa , espongono che la particella n. 1072 risulta allo stato occupata per mq. 1380 dal poliambulatorio comunale, per mq. 240 dalla sede stradale di via G. Marconi, per mq. 462 dalla sede stradale di via Giotto, per mq. 10 dall’adiacente scuola elementare e materna;che la particella 1071 risulta, invece, allo stato occupata per mq. 313 dalla sede stradale di via Giotto, per mq. 8 dalla sede stradale di via Raffaello, per mq. 90 dall’adiacente scuola elementare e materna.
1.2. Precisano, inoltre, che una parte di detti terreni risulta essere pervenuta nella disponibilità dell’amministrazione comunale di Erchie a seguito della dichiarazione di pubblica utilità dei lavori di realizzazione del poliambulatorio comunale disposta con deliberazione G.R. 22.3.1974 n. 677, e dell’occupazione d’urgenza eseguita in data 4.6.1976;per la parte oggetto di occupazione d’urgenza, come anche per la residua parte dell’area appresa in via di fatto, non risultano però essere mai stati emanati i relativi decreti di esproprio.
1.3. Riferiscono, ancora, i ricorrenti, che con atto di citazione del 4 aprile 1992, gli stessi avevano evocato in giudizio il comune di Erchie dinanzi al Tribunale di Brindisi chiedendo, dapprima, il risarcimento dei danni derivanti dall’occupazione acquisitiva del bene, salvo poi modificare nel corso del giudizio la domanda, instando - alfine – per l’accertamento dell’avvenuta occupazione usurpativa delle aree;che il suddetto giudizio esitava (sentenza n. 115 del 2005) in una declaratoria di prescrizione del diritto al risarcimento del danno essendo spirato il termine di cinque anni decorrente dalla data di scadenza del termine quinquennale di occupazione d’urgenza;che la sentenza veniva confermata dalla Corte d’Appello di Lecce (sentenza n. 142 del 2007) sia pure con diversa motivazione, giacché la domanda veniva ritenuta infondata nel merito;che detta sentenza è stata oggetto di ricorso per cassazione, esitato in una pronuncia di rigetto (sentenza n. 2796/2014).
2. Il T.a.r. per la Puglia, Lecce, Sezione I, con la sentenza n. 1954 del 30 luglio 2009, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sul rilievo della qualificazione della domanda, da parte dei ricorrenti, in termini di occupazione usurpativa, e ha compensato tra le parti le spese di lite.
3. I signori C hanno impugnano la sentenza deducendo il grave error in iudicando in cui sarebbe incorso – a loro dire - il primo giudice, per non essersi avveduto che i ricorrenti non avevano agito per ottenere la declaratoria dell’avvenuta occupazione usurpativa delle aree (domanda, questa, proposta per la prima volta dinanzi al giudice ordinario in primo grado e subito modificata in domanda di accertamento dell’occupazione appropriativa), bensì per l’accertamento dell’occupazione sine titulo e del conseguente diritto alla restituzione e al risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 43 del d.P.R. n. 327/2001, non essendo mai intervenuto valido ed efficace decreto di esproprio a seguito della dichiarazione di pubblica utilità.
3.1. Hanno, altresì, precisato che – in ogni caso – al di là delle espressioni utilizzate nel ricorso (occupazione acquisitiva/usurpativa) compete al giudice l’esatta qualificazione giuridica della domanda proposta in relazione al petitum sostanziale e alla causa petendi , ricavabili dal ricorso medesimo, sicché il primo giudice avrebbe dovuto fare applicazione del vigente testo unico in materia di espropriazioni per pubblica utilità.
4. Si è costituito il comune di Erchie chiedendo la declaratoria di inammissibilità o di infondatezza, nel merito, dell’avverso appello, sulla base di un duplice rilievo:
a) in punto di rito, la formazione del giudicato (implicito) in punto di sussistenza della giurisdizione in capo al giudice ordinario, derivante dalla pronuncia da ultimo resa dalla Corte di cassazione (sentenza n. 2796/2014);
b) nel merito, l’infondatezza della pretesa al diritto alla restituzione, azionata solo dinanzi al Tar (nel 2008) a distanza di trent’anni (1978) dall’occupazione delle aree, con evidente – si assume – intervenuta prescrizione del diritto, e comunque dopo che nel primo e nel secondo grado del giudizio dinanzi al giudice ordinario si era domandato di accertare che il comune fosse divenuto proprietario delle aree in via definitiva, sicché si insisteva sul solo diritto al risarcimento del danno, con conseguente, altresì, rinuncia (implicita) e abdicazione al diritto di proprietà.
5. Le parti hanno insistito sulle rispettive tesi difensive mediante il deposito di documenti, memorie integrative e di replica.
6. All’udienza del 12 ottobre 2017 la causa è stata discussa e trattenuta dal Collegio in decisione.
7. L’appello è infondato e non merita accoglimento per i seguenti motivi.
7.1. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza delle Corti superiori il principio secondo cui “ Il giudicato sulla giurisdizione può formarsi, oltre che a seguito della statuizione emessa dalle sezioni unite della Corte di cassazione in sede di regolamento preventivo di giurisdizione o di ricorso ordinario per motivi attinente alla giurisdizione, solo per effetto di declaratoria espressa sulla giurisdizione data dal giudice di merito e non investita da specifica impugnazione, ovvero a seguito del passaggio in giudicato di una sentenza di merito che contenga il riconoscimento, sia pure implicito, della giurisdizione del giudice adito;in mancanza di ciò, resta sempre prospettabile, e rilevabile d'ufficio, ai sensi dell'art. 37 c.p.c., la questione di giurisdizione ” (Consiglio di Stato, sez. VI, 1 dicembre 2003 n. 7862;Cassazione civile sez. un. 10 novembre 1994 n. 9352).
7.2. Il principio ha valore sia all’interno della giurisdizione adita (“ Allorché il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione e le parti abbiano prestato acquiescenza, non contestando la relativa sentenza sotto tale profilo, non è consentito al giudice della successiva fase impugnatoria rilevare d'ufficio il difetto di giurisdizione, trattandosi di questione ormai coperta dal giudicato implicito ”, in termini v. Cassazione civile, sez. un., 20/11/2008, n. 27531), sia all’esterno, nei rapporti con le altre giurisdizioni. A tal riguardo, anche di recente, è stato ribadito che “ Il passaggio in giudicato di una pronuncia del giudice ordinario o del giudice amministrativo recante statuizioni sul merito di una pretesa riferita ad un determinato rapporto estende i suoi effetti al presupposto della sussistenza della giurisdizione di quel giudice su detto rapporto, a prescindere da un'esplicita declaratoria in tal senso, sicché le parti non possono più contestarla nelle successive controversie tra le stesse, fondate sul medesimo rapporto ed instaurate davanti ad un giudice diverso, in quanto il giudicato esterno ha la medesima autorità di quello interno, perseguendo entrambi il fine di eliminare l'incertezza delle situazioni giuridiche e di garantire la stabilità delle decisioni ”. (Cassazione civile sez. un. 27 ottobre 2014, n. 22745).
7.3. La cogenza del principio è talmente forte, proprio in ragione del perseguimento delle richiamate esigenze (certezza del diritto e stabilità delle decisioni giudiziarie), che non ammette eccezioni pure a fronte di una declaratoria di incostituzionalità: è recente l’affermazione secondo cui “ Il giudicato implicito sulla sussistenza della giurisdizione, formatosi per effetto della non impugnazione sulla questione di giurisdizione della sentenza che ha deciso il merito della controversia, preclude alla pronuncia di incostituzionalità della norma sul cui presupposto il giudice ha deciso nel merito di produrre effetti nel processo, poiché il rilievo del difetto di giurisdizione è ormai precluso ” (Cassazione civile sez. trib. 19 luglio 2017, n. 17827).
7.4. In argomento si registra, peraltro, un precedente specifico proprio di questo Consiglio di Stato (cui si rinvia anche ai sensi del disposto di cui agli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d) del c.p.a.), a mente del quale nel giudizio amministrativo per danni derivanti da occupazione usurpativa, promosso in pendenza di un giudizio civile fra le stesse parti col medesimo oggetto, il giudice amministrativo è vincolato al giudicato implicito sulla questione della giurisdizione, formatosi per le pronunce del giudice ordinario sul merito della domanda (Consiglio di Stato, sez. IV, 14 aprile 2010 n. 2079).
8. Le considerazioni che precedono inducono questo Collegio a confermare la statuizione resa dal giudice di prime cure, sebbene per motivi diversi da quelli posti a sostegno dell’impugnata decisione.
8.1. Ciò che è dirimente, infatti, nel caso all’esame, non è la sostenuta (dal primo giudice) qualificazione della domanda, ad opera dei ricorrenti, in termini di occupazione usurpativa piuttosto che di occupazione appropriativa, potendosi pacificamente condividere le prospettazioni della Difesa degli appellanti, secondo cui la qualificazione giuridica della domanda proposta spetta in ogni caso, secondo i principi generali (art. 32, comma 2, c.p.a.), al giudice in base al petitum e alla causa petendi risultanti dal contenuto dell’atto.
8.2. Nel senso, invece, di escludere la giurisdizione di questo plesso, milita la formazione del giudicato implicito esterno sulla giurisdizione, a seguito del pronunciamento della Corte di cassazione (sentenza n. 2796/2014) nel ricorso esperito avverso la sentenza di appello (n. 142/2007), pronunciata a sua volta sull’originaria statuizione di primo grado n. 115/2005.
8.3. In definitiva, pertanto, per le considerazioni che precedono, la sentenza impugnata va confermata ma con diversa motivazione.
9. La complessità ricostruttiva della questione costituisce giustificato motivo per procedere in via equitativa all’integrale compensazione delle spese di giudizio del presente grado tra le parti.