Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-07-04, n. 201904588

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-07-04, n. 201904588
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201904588
Data del deposito : 4 luglio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/07/2019

N. 04588/2019REG.PROV.COLL.

N. 00538/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso recante numero di registro generale 538 del 2011, proposto dal sig. M B, rappresentato e difeso dagli avvocati F T e D G, e con domicilio eletto presso lo studio del suddetto avv. F T in Roma, largo Messico n. 7;

contro

il Comune di Follo, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati S G e M M, e con domicilio eletto presso lo studio del suddetto avv. S G in Roma, via Antonio Mordini n. 14 Sc. A/1;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria n. 10731/2010, resa tra le parti con rito abbreviato, concernente demolizione opere abusive e ripristino stato dei luoghi.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Follo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2019 il Cons. Giancarlo Luttazi e uditi per le parti gli avvocati come da verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con atto d’appello recante istanza cautelare, affidato alla notifica, destinata al Comune di Follo, il 13 gennaio 2011 e depositato il 25 gennaio 2011 il sig. M B ha impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria n. 10731 del 2 dicembre 2010, resa con rito abbreviato, non notificata, e depositata in data 3 dicembre 2010, con la quale quel T ha respinto il ricorso n. 983/2010 proposto dal sig. Berettieri per l’annullamento, con gli atti connessi, del provvedimento del Responsabile del Settore edilizia del Comune di Follo n. 3 del 21 luglio 2010 ed avente ad oggetto l'ingiunzione di demolizione di opere abusive eseguite in assenza di titolo autorizzativo e il ripristino dello stato dei luoghi.

Le opere oggetto dell’ingiunzione di demolizione sono cosi descritte dall’atto impugnato in primo grado: “ Costruzione adibita a civile abitazione sovrastante il box seminterrato, esistente e concessionato, censito al NCEU di Follo Foglio 21 mappale 666, delle dimensioni di circa mq 50 derivanti da: lunghezza ml 8,20 x ml 6,10 di larghezza, altezza media circa ml 2,70, di cui il lato corto completamento finestrato e con porta di ingresso delle dimensioni di mt 1,30, mentre nel lato lungo è presente la porta di ingresso di mt 0,90 ”.

L’appellante prospetta quanto segue.

Egli è proprietario dell'immobile adibito ad uso di civile abitazione sito nel Comune di Follo, immobile composto da un fabbricato posto su due livelli e da una corte esterna.

Nell'ambito dell'intervento originariamente assentito, l’appellante ha eseguito un box seminterrato, la cui copertura era adibita a terrazza.

Negli anni successivi all’edificazione (1974-198l), nell'area sopra stante il box seminterrato e dunque sulla terrazza, l’appellante ha realizzato una piccola veranda chiusa in modo permanente su due lati, con contestuale creazione di volume apprezzabile sotto il profilo urbanistico-edilizio, veranda chiusa in tutte le sue parti durante la stagione invernale con materiali amovibili, rimossi durante la stagione estiva;
e con autorizzazione del 17 gennaio 1984, successivamente alla realizzazione della veranda, il Sindaco di Follo ha rilasciato il certificato di abitabilità dell'intero immobile.

Nel corso dell’anno 2003, prosegue il ricorso, l’appellante ha eseguito lievi opere manutentive e conservative, senza aumenti di volumetria rispetto a quanto in precedenza assentito e consistenti nella chiusura permanente dei restanti lati della veranda. Ma inopinatamente è stato emesso il provvedimento di demolizione impugnato in primo grado, e il relativo ricorso è stato, altrettanto inaspettatamente, rigettato dalla sentenza del T qui appellata.

L’appello ascrive alla sentenza vizi rubricati in cinque ordini di censure, esposte più in dettaglio nella parte in diritto della presente sentenza.

Il Comune si è costituito in data 18 febbraio 2011 depositando memoria e documenti e chiedendo il rigetto dell’appello.

Nella camera di consiglio del 1° marzo 2011 l’istanza cautelare è stata abbinata al merito.

In esito ad avviso di perenzione consegnato il 27 gennaio 2016 parte appellante ha depositato, in data 15 luglio 2016, istanza di fissazione di udienza.

Con memoria depositata il 19 aprile 2019 parte appellante ha ribadito i propri assunti e reiterato l’istanza cautelare.

La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 21 maggio 2019.

DIRITTO

1. - L’appello sostiene in primo luogo che il T, nel ritenere legittima la sanzione edilizia applicata alla trasformazione della preesistente veranda chiusa su due lati, ha, con apodittiche e immotivate affermazioni, omesso di considerare che il certificato comunale di abitabilità emesso in data 17 gennaio 1984 aveva autorizzato l’intero manufatto comprensivo della veranda chiusa su due lati, già volume apprezzabile sotto il profilo edilizio ed urbanistico;
e che pertanto la chiusura permanente realizzata nel corso del 2003 sui due lati non ancora realizzati in modo permanente, però stagionalmente chiusi d’inverno, non necessitava del preventivo rilascio del permesso di costruire, ma semmai di autorizzazione edilizia ai sensi degli artt. 31, lettere b) o c), e 48 della legge 5 agosto 1978, n. 457 ( n.d.r. : sostituiti, alla data dell’atto impugnato, dalle omologhe disposizioni del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), e sulla base di sola denuncia di inizio attività ai sensi degli artt. 10 e 23 della legge della Regione Liguria 6 giugno 2008, n. 16, e dunque, in difetto, da sanzionare con la sola sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 43 della citata legge regionale.

L’assunto - anche a prescindere dalla contestazione della veridicità in fatto della risalenza del manufatto costituito dalla veranda chiusa su due lati, veridicità contestata nella memoria del Comune - non è fondato, poiché come correttamente rilevato dal T la realizzazione, non contestata, di una costruzione adibita a civile abitazione delle dimensioni di circa mq 50 derivanti avente “ lunghezza ml 8,20 x ml 6,10 di larghezza, altezza media circa ml 2,70, di cui il lato corto completamento finestrato e con porta di ingresso delle dimensioni di mt 1,30, mentre nel lato lungo è presente la porta di ingresso di mt 0,90 ” concreta impatto edilizio-urbanistico molto maggiore di una veranda chiusa su due lati contigui (anche se chiusa con opere provvisorie nel periodo invernale).

Nel senso ora esposto deve intendersi la contestata affermazione del T secondo cui “ la nozione fisica di veranda aperta su due lati non implica infatti la realizzazione del volume, attesa anche la dichiarazione della parte sull'utilizzo precario e stagionale degli strumenti che servivano per elevare le due pareti, rispetto ai pilastri sporgenti ”, peraltro da correlare alla restante parte della sentenza, che chiaramente indica maggiore impatto edilizio dell’abuso contestato rispetto alla preesistente veranda chiusa su due lati contigui.

L’appello rileva anche sul punto che non si comprenderebbe per quale ragione l’atto impugnato in primo grado ha ingiunto la demolizione dell’intera veranda e non solo dei due lati su di essa.

Un simile rilievo non è presente ricorso di primo grado sicché è inammissibile perché introduce una nuova censura in appello.

Può comunque osservarsi che dall’atto impugnato, il quale contesta la nuova unità immobiliare realizzata, non risulta che sia precluso il ripristino dell’originaria veranda con due pareti contigue.

2. - L’appello contesta anche il seguente stralcio della sentenza appellata: …. (l’abuso concretato dalla veranda) …. “ non può essere definito pertinenza nel senso edilizio, atteso che per dimensioni e modalità costruttive ha una valore in sé, non necessariamente connesso a quello del fabbricato abitativo dell'interessato ”, sostenendo in proposito che il manufatto sanzionato è posto al servizio esclusivo del fabbricato di civile abitazione del ricorrente, costituendone un annesso pertinenziale.

Questo rilievo è infondato, specie se considerato alla luce della parte della sentenza appellata immediatamente precedente a quella riportata in stralcio nell’appello ed in esso non riferita: “ il fabbricato descritto ha una superficie di cinquanta metri quadrati, presenta un lato completamente finestrato e due porte di ingresso sui lati opposti della tamponature ": questa precisazione dell’appellata sentenza chiaramente e correttamente sottolinea l’impatto urbanistico edilizio già rilevato nel capo che precede. A questa precisazione l’appellata sentenza aggiunge il corretto rilievo della necessità di un adeguato titolo edilizio per le opere realizzate e, in assenza di questo titolo, la legittima statuizione della sanzione edilizia impugnata.

3. - La pronuncia del T è contestata anche laddove, in considerazione della entità e della natura delle opere sanzionate, ha escluso che l'irrogazione della sanzione contestata dovesse essere preceduta dal previo accertamento circa la possibilità o meno di un ripristino dello stato dei luoghi.

La censura d’appello è infondata, poiché la sanzione ripristinatoria costituisce la prima e obbligatoria fase del procedimento repressivo di abusi edilizi ed è quindi il rimedio ordinario di reazione dell'ordinamento contro l'abuso edilizio, mentre l'applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva, disciplinata dall'art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, rappresenta solo un'ipotesi subordinata alla quale si può fare ricorso quando emergano difficoltà tecniche in sede di esecuzione della demolizione: la valutazione circa la possibilità di dar corso alla sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva all'atto di diffida a demolire, sicché la mancata valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva non può costituire un vizio dell'ordine di demolizione (v., per tutte: Cons. Stato, Sez. VI, 10 novembre 2017, n. 5180).

4. - Va respinto anche il motivo d’appello il quale contesta la sentenza del T laddove ha ritenuto ultronea nella fattispecie la comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio edilizio.

Al riguardo, infatti, il T ha correttamente rilevato che quest’obbligo, data la natura di atto vincolato dell’ordine di ripristinatorio edilizio, era escluso sia dalla normativa di riferimento, quale interpretata dalla prevalente giurisprudenza già alla data dell’appellata sentenza e ulteriormente consolidatasi (v., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1281);
sia dalla consapevolezza dell’apertura del procedimento, risultante dalla dichiarazione sottoscritta dal ricorrente il 12 luglio 2010 (con cui quest’ultimo ha rilevato di essere sottoposto a indagini preliminari per la violazione edilizia in argomento). Sotto quest’ultimo profilo non ha rilievo l’assunto d’appello secondo cui la comunicazione di avvio del procedimento non può assimilarsi all’avviso di sottoposizione di indagini preliminari non avendone né i contenuti minimi essenziali né le finalità: per giurisprudenza consolidata le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo non vanno applicate meccanicamente, ma valutando la effettiva conoscenza del procedimento da parte dell’interessato (v., per tutte, Cons. Stato, Sez. IV, 28 febbraio 2017, n. 908).

5. - Da ultimo l’appello censura la sentenza del T laddove, con riferimento al quarto e quinto motivo del ricorso di primo grado, ha escluso un obbligo del Comune di motivare la sanzione edilizia sia con riferimento all’affidamento che si sarebbe ingenerato nel ricorrente sulla legittimità dell’opera realizzata (avendo il T indicato che proprio nell’anno di ultimazione dei lavori abusivi, indicata nel ricorso, era possibile in base alla normativa di riferimento il condono edilizio, sì da escludere affidamento per decorso di un lungo lasso temporale: “ …. il tempo trascorso non è stato così ampio da ingenerare l'allegato affidamento, e il suo trascorrere è stato caratterizzato dalla sanatoria citata, che avrebbe potuto permettere all'interessato di rendersi conto dell'illegittimità commessa e di emendarla ”) sia con riferimento all’obbligo che graverebbe sul Comune di indicare al trasgressore la possibilità di definire la violazione nei modi di legge (avendo il T rilevato che l’opportunità di definire la violazione dei modi di legge è fatta palese dalla normativa di riferimento).

Sul punto la sentenza di primo grado sarebbe:

- contraddittoria e immotivata perché la veranda oggetto dell’ordine di demolizione sarebbe stata già assentita con la citata autorizzazione comunale del 17 gennaio 1984, e sarebbe dunque assolutamente legittima e realizzata da oltre un trentennio anche quanto all’attuale volumetria sanzionata dall’atto impugnato in primo grado, essendo la veranda completamente chiusa durante la stagione invernale sin dai primi anni ’80;

- parimenti viziata perché soltanto un previo accertamento della impossibilità giuridica di presentare denuncia di inizio attività in sanatoria ai sensi dell’art. 37 (“ Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla denuncia di inizio attività e accertamento di conformità ”) del d.P.R. n. 380/2001 avrebbe potuto esimere il Comune dall’invitare l’autore dell’abuso a presentare quella domanda di sanatoria.

Entrambi gli assunti sono infondati. Il primo perché, come correttamente considerato dal T e rilevato nel precedente capo 1 di questa sentenza, l’opera sanzionata concreta impatto edilizio-urbanistico molto maggiore di una veranda chiusa su due lati contigui (anche se chiusa con opere provvisorie nel periodo invernale). Il secondo perché la possibilità di ottenere un permesso in sanatoria per le opere contestate è ininfluente ai fini dell'emanazione della sanzione dell’abuso edilizio, e la tematica dell'eventuale sanabilità dell'opera esula dalle valutazioni che il Comune deve effettuare d'ufficio prima dell'emissione dell'ordinanza di demolizione (confr., per tutte, Cons. Stato Sez. VI, 5 ottobre 2018, n. 5729).

5. - L’appello va dunque respinto.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

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