Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-05-23, n. 202204050

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-05-23, n. 202204050
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202204050
Data del deposito : 23 maggio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/05/2022

N. 04050/2022REG.PROV.COLL.

N. 08810/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso per revocazione iscritto al numero di registro generale 8810 del 2021, proposto da
Istituto per il Credito Sportivo, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati M C ed A B, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via di San Nicola Da Tolentino, 67;

contro

BDO Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati F C e M D L, con domicilio digitale come da PEC Registri di giustizia;

nei confronti

PricewaterhouseCoopers s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato Guido Ajello, con domicilio digitale come da PEC Registri di giustizia;
Ey s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V n. 6272/2021, resa tra le parti.


Visti il ricorso per revocazione ed i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di BDO Italia s.p.a. e di PricewaterhouseCoopers s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 aprile 2022 il Cons. V P ed uditi per le parti gli avvocati Clarich, Di Lullo ed Ajello;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con delibera del Consiglio di amministrazione del 28 giugno 2019, l’Istituto per il Credito Sportivo (di seguito anche “ICS”), ente di diritto pubblico con gestione autonoma istituito con l. n. 1295 del 24 dicembre 1957 ed operante nel settore del credito per lo sport e per le attività culturali, soggetto alle disposizioni di cui al d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 ( Testo unico delle Leggi in materia bancaria e creditizia ), avviava una procedura informale per l’affidamento dei servizi di revisione legale per il periodo 2020-2028, alla quale, con lettera spedita l’8 luglio 2019, invitava tra gli altri le società di revisione PricewaterhouseCoopers s.p.a. e BDO Italia s.p.a.

La lettera di invito stabiliva che le disposizioni del d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39 (“ Attuazione della direttiva 2006/43/CE, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE e che abroga la direttiva 84/253/CEE ”) e del Regolamento (UE) del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, n. 537 (“ Sui requisiti specifici relativi alla revisione legale dei conti di enti di interesse pubblico e che abroga la decisione 2005/909/CE della Commissione ”) avrebbero costituito la normativa di riferimento per lo svolgimento della procedura di aggiudicazione.

All’esito delle operazioni di gara il servizio veniva aggiudicato, per nove esercii finanziari (2020-2028), a PricewaterhouseCoopers (pur avendo la stessa conseguito per l’offerta un punteggio complessivo di 87,07 punti, inferiore a quello attribuito all’offerta della BDO di 87,75 punti).

Vistasi negare dall’ICS l’accesso agli atti (sull’assunto di non essere l’Istituto soggetto “ né all’applicazione del Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n. 50 del 2016 né alla disciplina del procedimento amministrativo di cui alla L. 241/1990 ”), BDO Italia s.p.a. proponeva ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio sia contro l’avviso di mancata aggiudicazione della procedura di gara, comunicatole con PEC del 5 dicembre 2019, sia contro l’aggiudicazione in favore di Pricewaterhousenonché, sia, più in generale, contro tutti gli atti della procedura, ivi compresa la lettera di invito.

La ricorrente formulava inoltre, ai sensi dell’art. 116 Cod. proc. amm., domanda affinché fosse dichiarato illegittimo il diniego all’accesso agli atti di gara oppostole dall’ICS con nota del 19 dicembre 2019, lamentando una “ violazione ed errata applicazione della 241/1990 ” (in particolare della disciplina contenuta negli artt. 22 e seguenti, alla quale sarebbero sottoposti l’Istituto e la sua attività, volta al perseguimento di finalità di pubblico interesse), con accertamento del suo diritto a prendere visione e ad estrarre copia della documentazione richiesta.

La ricorrente domandava il risarcimento in forma specifica (mediante aggiudicazione in suo favore e subentro nel servizio, previa declaratoria di inefficacia del contratto medio tempore stipulato), chiedendo, in subordine, il ristoro dei pregiudizi subiti per equivalente monetario;
in ulteriore subordine, domandava che fosse ordinato all’Istituto di rinnovare le operazioni di gara onde

sanarne i profili di illegittimità.

Si costituivano in giudizio l’Istituto e, a seguito di integrazione del contraddittorio, la società aggiudicataria PricewaterhouseCoopers s.p.a., eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione per essere la stazione appaltante soggetto non tenuto all’applicazione del d.lgs. n. 50 del 2016, e nel merito contestando la fondatezza del ricorso di cui chiedevano il rigetto.

L’adito Tribunale, con sentenza 20 maggio 2020, n. 5336, in accoglimento dell’eccezione preliminare formulata dalle parti resistenti, dichiarava il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione amministrativa, ritenendo non riconducibile l’Istituto di credito sportivo al novero degli organismi di diritto pubblico di cui all’art. 3, comma primo, lettera d) del d.lgs. n. 50 del 2016, conseguentemente dichiarando la giurisdizione del giudice ordinario.

Avverso tale decisione BDO Italia s.p.a. proponeva appello, chiedendone la riforma alla stregua di due motivi di ricorso, sostenendo con il primo “ la fallacia della conclusione del TAR in ordine al (ritenuto sussistente) requisito del rischio di impresa ” e con il secondo la “ sussistenza della giurisdizione amministrativa anche tenuto conto dell’applicabilità a ICS dei principi di cui alla legge n. 241/90 ”, invocando quindi la rimessione del giudizio al primo giudice, ai sensi dell’art. 105 Cod. proc. amm., per la decisione dei motivi dedotti in primo grado.

Costituitisi in giudizio, sia l’Istituto per il Credito Sportivo che l’aggiudicataria Pricewaterhouse, chiedevano il rigetto del gravame.

Con sentenza 13 settembre 2021, n. 6272, la V Sezione del Consiglio di Stato accoglieva l’appello, per l’effetto annullando con rinvio, ai sensi dell’art. 105, comma primo, Cod. proc. amm. la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. I quater, 20 maggio 2020, n.

5336.

Avverso tale decisione l’Istituto di Credito Sportivo proponeva ricorso per revocazione, fondato su due profili di doglianza.

Costituitasi in giudizio, BDO Italia s.p.a. concludeva per l’inammissibilità e, comunque, per l’infondatezza del ricorso, chiedendone la reiezione.

Anche PricewaterhouseCooper si costituiva, aderendo invece al ricorso spiegato da ICS.

Successivamente le parti ulteriormente precisavano, con apposite memorie, le rispettive tesi difensive ed all’udienza del 12 aprile 2022 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Con il proprio ricorso, ICS deduce due complementari profili di doglianza, rappresentando in primo luogo che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente affermato che l’Istituto sarebbe posto “ al di fuori dei meccanismi concorrenziali del settore creditizio ”, in quanto avrebbe svolto “ un’attività (bancaria e creditizia) di interesse pubblico rivolta a soggetti operanti in un settore specifico, quale quello dello sport e delle attività culturali, e destinata così a soddisfare bisogni ed esigenze di rilevanza ‘generale’ ”, di talché “ il settore specifico cui istituzionalmente l’Istituto è prepostosi dalla sua costituzione impedisce di assimilarlo agli altri istituti di credito operanti sul territorio nazionale, poiché esso non svolge mera ed ordinaria attività bancaria e creditizia, bensì attività ‘strumentale’ e ‘funzionale’ alla realizzazione di bisogni di interesse generale della collettività ” (punto 9.7.3 sentenza).

Quindi, deduce ulteriormente la ricorrente, erroneamente la sentenza d’appello avrebbe sostenuto che l’accesso ai Fondi Speciali gestiti da ICS sarebbe stato precluso alle altre banche, all’uopo dovendo “ ritenersi che il ricorso ai detti Fondi speciali (in particolare il Fondo di Garanzia) da parte di altri istituti di credito sia rimasta mera asserzione, sfornita di ogni supporto probatorio, anche solo a livello indiziario ”;
in particolare, la contestata decisione avrebbe altresì ritenuto che il Fondo di Garanzia sarebbe “ di stretta pertinenza dell’Istituto, non essendo previsto l’accesso ad esso in relazione a mutui concessi da altre banche ” (punto 9.7.4 sentenza).

Così facendo, però, il Collegio giudicante avrebbe omesso di considerare quanto dedotto in giudizio dall’Istituto, in particolare con la memoria del 16 febbraio 2021, nonché la relativa documentazione di supporto probatorio prodotta in atti, incorrendo in un’errata lettura e percezione degli stessi.

In primis , evidenzia il ricorrente, ICS non è un operatore monopolista nel mercato del credito sportivo ma svolge un’ordinaria attività bancaria di carattere imprenditoriale, prestata in regime di concorrenza con altri operatori di mercato;
per contro, il giudice amministrativo avrebbe fondato la propria pronuncia sull’errato presupposto che nessun operatore possa operare, o comunque operi, nel segmento di mercato che vede in ICS solo un importante attore, ma di sicuro non l’unico.

Avere teorizzato il ruolo di monopolista dell’Istituto ” – conclude ICS – “ in assenza di evidenze e riscontri fattuali ed anzi in palese contrasto con gli stessi, impone, pertanto, la revocazione della Sentenza, in quanto fondata su un presupposto fattuale errato, non oggetto di contestazione e contraddetto dalla documentazione in atti e sicuramente rilevante ai fini della decisione ”.

A ciò aggiungasi – quale secondo profilo di censura – che erroneamente il giudice d’appello avrebbe ritenuto che l’accesso ai Fondi Speciali sia riservato all’Istituto: a tale falsata convinzione lo stesso sarebbe giunto per la mancata considerazione di “ una circostanza di fatto decisiva ai fini della decisione ampiamente dimostrata e documentata ” da ICS nel corso del giudizio di appello, ossia che “ in base allo Statuto, nonché ai regolamenti che li disciplinano […], ai Fondi Speciali possono attingere su un piano di parità tutti gli istituti di credito che svolgono attività creditizia nei settori dello sport e della cultura ”.

Dalla lettura di tali documenti emergerebbe con chiarezza l’abbaglio dei sensi nel quale sarebbe incorso il giudicante, laddove dalle predette disposizioni regolamentari e statutarie emergerebbe come l’unica prerogativa dell’Istituto sui Fondo Speciali sia quella di gestirli (peraltro a titolo gratuito), laddove a tutte le banche operanti sul libero mercato del credito sarebbe invece concessa la possibilità di beneficiarne, alle stesse condizioni applicabili (anche) ad ICS.

In questi termini, l’errata percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, “ a causa del quale i giudici d’appello hanno finito col ritenere inesistente un fatto (i.e., la possibilità per le banche diverse da ICS di accedere ai Fondi Speciali) che era stato documentalmente provato ”, risulterebbe manifesta nel momento in cui la sentenza impugnata afferma, con riferimento al Fondo Garanzia, che non sarebbe “ previsto l’accesso ad esso in relazione a mutui concessi da altre banche ” e, con riferimento al Fondo Contributi, che lo Statuto non riconoscerebbe la facoltà alle “ imprese de settore bancario ad attingere a tale Fondo ”.

Più in generale, riguardo ai Fondi Speciali, l’Istituto ricorrente nega che gli stessi siano “ utilizzabili per la copertura delle perdite ” né che, quindi, “ consentono senz’altro ad ICS di beneficiare di un elemento di un ulteriore (e peculiare) elemento di stabilità patrimoniale ” (come invece riportato al punto 9.7.4 della sentenza d’appello): invero, né la legge né lo Statuto prevederebbero contributi pubblici dello Stato a favore dell’Istituto o meccanismi di ripiano di eventuali perdite patrimoniali a carico della finanza pubblica, nemmeno per il tramite dei Fondi Speciali.

Le censure sono inammissibili.

Va ricordato, in generale, che il rimedio della revocazione ha natura straordinaria e per consolidata giurisprudenza ( ex multis , Cons. Stato, V, 5 maggio 2016, n. 1824) l’errore di fatto idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto degli articoli 106 Cod. proc. amm. e 395, n. 4 Cod. proc. civ., deve rispondere a tre requisiti:

a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato;

b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;

c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa (cfr. Cons. Stato, IV, 14 maggio 2015, n. 2431).

Inoltre l’errore revocatorio deve emergere con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (Cons. Stato, IV, 13 dicembre 2013, n. 6006). Esso è configurabile nell’attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento.

Insomma, l’errore di fatto, eccezionalmente idoneo a fondare una domanda di revocazione, è configurabile solo riguardo all’attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza e al loro significato letterale, per modo che del fatto vi siano due divergenti rappresentazioni, quella emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e dai documenti processuali;
ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento e apprezzamento, cioè di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice (Cons. Stato, V, 7 aprile 2017, n. 1640).

Così, si versa nell’errore di fatto di cui all’art. 395, n. 4 Cod. proc. civ. allorché il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo (Cons. Stato, III, 24 maggio 2012, n. 3053);
ma se ne esula allorché si contesti l’erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita.

In tutti questi casi non è possibile censurare la decisione tramite il rimedio – di per sé eccezionale – della revocazione, che altrimenti verrebbe a dar vita ad un ulteriore grado del giudizio, non previsto dall’ordinamento ( ex multis , Cons. Stato, IV, 8 marzo 2017, n. 1088;
V, 11 dicembre 2015, n. 5657;
IV, 26 agosto 2015, n. 3993;
III, 8 ottobre 2012, n. 5212;
IV, 28 ottobre 2013, n. 5187).

Peraltro, affinché possa ritenersi sussistente l’errore di fatto revocatorio nell’attività preliminare del giudice relativa alla lettura ed alla percezione degli atti, è necessario che “ nella pronuncia impugnata si affermi espressamente che una certa domanda o eccezione o vizio – motivo non sia stato proposto o al contrario sia stato proposto ” (Cons. Stato, V, 4 gennaio 2017, n. 8);
inoltre, ricorre l’errore revocatorio in ipotesi di mancata pronuncia su di una censura sollevata dal ricorrente “ purché risulti evidente dalla lettura della sentenza che in nessun modo il giudice ha preso in esame la censura medesima;
si deve trattare, in altri termini, di una totale mancanza di esame o di valutazione del motivo e non di un difetto di motivazione della decisione, non censurabile in sede di revocazione
” (Cons. Stato, VI, 22 agosto 2017, n. 4055).

Sempre in termini, Cons. Stato, V, 12 maggio 2017, n. 2229, secondo cui “ L’errore revocatorio è […] configurabile in ipotesi di omessa pronuncia su una censura sollevata dal ricorrente purché risulti evidente dalla lettura della sentenza che in nessun modo il giudice ha preso in esame la censura medesima;
si deve trattare, in altri termini, di una totale mancanza di esame e/o valutazione del motivo e non di un difetto di motivazione della decisione (cfr., Cons. Stato, Sez. V, 5/4/2016, n. 1331;
22/1/2015, n. 264;
Sez. IV, 1/9/2015, n. 4099)
”.

Va aggiunto che non sussiste errore revocatorio per il mero “fatto” che alcuni documenti o atti siano stati non esplicitamente esaminati o valorizzati in sentenza, giacché non sussiste alcun obbligo di motivare sulla corretta lettura di ciascun documento di causa, essendo sufficiente rispondere al motivo proposto, dando atto naturalmente di averlo rettamente inteso nella sua reale portata giuridica in ragione dei fatti a cui esso fa riferimento (Cons. Stato, V, 4 gennaio 2017, n. 8).

Ancora “ si può affermare che, laddove una sentenza menzioni nella parte descrittiva in fatto un motivo di doglianza, pur se ometta di pronunciarsi espressamente su di esso nella parte motiva, ciò non configura un vizio di omessa pronuncia, dovendosi considerare la pronuncia sul punto implicita nella statuizione complessiva della sentenza ” (Cons. Stato, V, 19 ottobre 2017, n. 4842).

Va poi ribadita la distinzione tra motivo di ricorso ed argomentazione a supporto di ciascuno dei motivi del medesimo, così come delineata – proprio per delimitare l’ambito della revocazione – dalla sentenza dell’Adunanza plenaria 27 luglio 2016, n. 21. Il motivo di ricorso identifica e delimita la spiegata domanda di giustizia e in relazione ad esso si pone l’obbligo della corrispondenza, in positivo o in negativo, tra chiesto e pronunciato, nel senso che il giudice deve pronunciarsi su ciascuno dei motivi e non soltanto su alcuni di essi;
a sostegno del motivo – che identifica la domanda prospettata di fronte al giudice – la parte può addurre, poi, un complesso di argomentazioni logiche volte a sostenere e illustrare le censure, ma inidonee, di per se stesse, ad ampliare o restringere la censura, e con essa la domanda.

Rispetto a tali argomentazioni non sussiste un obbligo di specifica pronunzia da parte del giudice, il quale è tenuto a motivare la decisione assunta esclusivamente con riferimento ai motivi di ricorso come sopra identificati (Cons. Stato, V, 27 luglio 2017, n. 3701).

Alla stregua del delineato quadro, non si rinvengono nella fattispecie in esame i presupposti del vizio revocatorio.

Invero, le questioni dedotte dall’Istituto per il Credito Sportivo a fondamento del ricorso – se il settore del credito sportivo possa o meno considerarsi un mercato chiuso e se l’accesso ai Fondi

Speciali sia o meno riservato al medesimo Istituto – non attengono, con ogni evidenza, a circostanze di fatto in ipotesi ignorate o erroneamente rappresentate, nelle motivazioni della sentenza, dal giudicante, bensì contestano direttamente la correttezza dell’interpretazione delle risultanze di causa operata dal Collegio giudicante.

Invero, se il vizio (revocatorio) di travisamento di fatto effettivamente si sostanzia nell'erronea percezione dei fatti di causa quali emergenti – nella loro ontologica realtà – dagli atti di giudizio, così come nell’affermazione o supposizione dell'esistenza o dell'inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece indiscutibilmente esclusa o accertata in base al tenore degli atti o dei documenti di causa, sempre che il fatto oggetto dell'asserito errore non abbia costituito materia del dibattito processuale su cui la pronuncia contestata abbia statuito, nel caso di specie viene in realtà contestata una erronea lettura delle disposizioni della Statuto di ICS e dei regolamenti disciplinanti i Fondi Speciali, oltreché – più in generale – la mancata “ considerazione [del] la proposta ricostruzione dell’Istituto né i documenti a supporto della stessa ”, per aver piuttosto accolto – ad avviso del ricorrente in modo acritico – la ricostruzione difensiva (in diritto) dell’appellante BDO Italia s.p.a.

In ogni caso va comunque rilevato, sotto diverso ma concorrente profilo, che le questioni sollevate dalla ricorrente hanno costituito materia del dibattito processuale su cui la pronuncia contestata ha infine statuito, il che fa comunque venir meno l’imprescindibile presupposto prescritto dall’art. 395, comma primo n. 4 Cod. proc. civ. per la proposizione del motivo revocatorio per errore di fatto.

Invero, sul punto coglie nel segno l’obiezione mossa da BDO Italia s.p.a., secondo cui l’Istituto ricorrente non considera che il giudice di appello “ ha proceduto ad una ricognizione funzionale ad

indagare, in punto, nuovamente il profilo soggettivo (la citata “essenza” dell’Istituto), accertando il ruolo che tali fondi hanno nell’economia dell’Istituto, volta alla “realizzazione di bisogni di interesse generale della collettività” (pag. 30).

Il Consiglio è così pervenuto a ravvisare, con argomentazione non scalfibile, che soprattutto il Fondo di Garanzia ha decisa incidenza, “per la sostenibilità della sia attività” (pag. 32).

In altre parole, il punto nodale (ben indagato nella Sentenza) attiene al grado di utilizzo del Fondo de quo (in particolare), per prima cosa plasticamente dimostrato, già lo si detto, dalla viva voce del suo Presidente e dai riscontri offerti dal Bilancio 2019 ”.

Alla luce dei rilievi che precedono il ricorso per revocazione va dunque dichiarato inammissibile.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

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