Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-05-28, n. 202404772
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Pubblicato il 28/05/2024
N. 04772/2024REG.PROV.COLL.
N. 01192/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1192 del 2020, proposto da Anthea Hospital S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A M A, F P, M P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
A B, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato L V, con domicilio eletto presso lo studio Alfredo Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini 30;
nei confronti
C.B.H. Città di Bari Hospital S.p.A., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni Abbattista, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Alfredo Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini n. 30;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda) n. 00806/2019, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della A B e della C.B.H. Città di Bari Hospital S.p.A.;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 10 aprile 2024 il Cons. Giovanni Tulumello e viste le conclusioni delle parti come in atti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La Società Anthea Hospital S.r.l. - struttura ospedaliera istituzionalmente accreditata dalla Regione Puglia, in precedenza autorizzata ad operare in regime di assistenza indiretta - con il ricorso n. 1812/2010 ha agito dinanzi al T.A.R. per la Puglia per l’annullamento del “ Contratto per la erogazione e l’acquisto di prestazioni di ricovero da parte di Strutture della Ospedalità Privata operanti in regime di accreditamento ” per l’anno 2010, sottoscritto in data 9 Settembre 2010 dall’odierna appellante, con riserve dell’8 settembre 2010 e del 9 settembre 2010, nonché dei provvedimenti con i quali era stato quantificato il proprio tetto di spesa relativamente alla suddetta annualità.
La società interessata ha domandato, altresì, l’accertamento del proprio diritto a concludere il contratto di erogazione di prestazioni di ricovero secondo lo schema approvato dalla Regione Puglia (con D.G.R. n. 1073/2002), conformemente alle previsioni di cui all’art. 22 della legge regionale 28 maggio 2004, n. 8, e nel rispetto dei tetti di spesa correttamente determinati secondo i criteri di cui all’art. 17, comma 2, della legge regionale 9 agosto 2006, n. 26, in coerenza con il modello di organizzazione dipartimentale previsto dall’art. 17-bis del d.lgs 30 dicembre 1992, n. 502, e dalla normativa regionale.
Essa ha domandato, inoltre, l’accertamento e la declaratoria del diritto di ottenere, per l’anno 2010, un tetto di spesa invalicabile, pari a quanto indicato nel “piano preventivo delle prestazioni” riferito al complesso di discipline per le quali era istituzionalmente accreditata, già notificato alla ASL di Bari, ossia in euro 33.100.000, ovvero la maggiore o minor somma comunque spettante in base alle determinazioni contenute, in materia di acquisto di prestazioni ospedaliere nei confronti di Case di Cura private, nel D.I.E.F. 2009 (approvato con delibera di G.R. n. 1442 del 4 agosto 2009) e nelle linee guida relative agli accordi contrattuali anno 2009 approvate dalla Giunta regionale con D.G.R. n. 1494 del 4 agosto 2009.
Ha domandato anche l’accertamento e la declaratoria del diritto al pagamento del materiale protesico, per l’anno 2010 e fino all’approvazione del nuovo tariffario regionale, al di fuori del tetto di spesa imposto.
Infine, l’interessata ha chiesto la declaratoria della nullità del contratto impugnato, perché predisposto e sottoscritto in violazione di norme imperative.
Con successivi motivi aggiunti, la società appellante, ricorrente in prime cure, ha impugnato la determina n. 13450/2012 con la quale aveva operato la ricognizione contabile e i conguagli a saldo per le prestazioni eseguite nell’anno 2010.
Con ulteriori motivi aggiunti, essa ha impugnato la nota ASL BA prot. n. 184184/UOR01 del 13 novembre 2012, nella parte in cui si richiede alla Anthea Hospital di emettere una nota di credito pari ad euro 6.715.576,67 con riferimento alle attività di ricovero assolte in regime di accreditamento nell’anno 2010.
2. La sentenza impugnata nel presente giudizio ha respinto il ricorso introduttivo, ed i connessi motivi aggiunti, proposti dall’odierna appellante, recando, in riferimento alle plurime domande della medesima, altrettante statuizioni di improcedibilità, inammissibilità e reiezione nel merito.
3. Con ricorso notificato in data 7 gennaio 2020 e depositato il successivo 6 febbraio 2020, la società appellante ha gravato la sentenza di prime cure, avanzando cinque motivi di censura.
3.1. Con il primo motivo, la medesima deduce l’“inammissibilità della domanda di accertamento del diritto a concludere il contratto a determinate condizioni”.
Si censura il capo della sentenza in cui il T.A.R. ha riconosciuto natura di interesse legittimo alla situazione giuridica di cui parte appellante ha domandato tutela, in quanto fronteggiante il potere autoritativo spettante all’amministrazione in ordine alla programmazione della spesa sanitaria.
Deduce in senso contrario l’appellante che la presente controversia non attiene alla contestazione di un provvedimento autoritativo di attribuzione del tetto di spesa, avendo la ASL ritenuto di operare interamente nel contesto negoziale della formazione e sottoscrizione del singolo accordo contrattuale, riconducibile al modello negoziale di cui all’art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Essa deduce, altresì, che la mancata applicazione delle prescrizioni di cui all’art. 17, comma 2, della legge regionale 9 agosto 2006, n. 26, e di quelle derivanti dalla D.R.G. 1494/2009 integra una indebita violazione degli obblighi di correttezza e buona fede che incombono sui contraenti anche in sede di definizione dei contenuti dell’accordo e che l’imposizione di un tetto di spesa irragionevole ed incongruo, a fronte di un “potenziale erogativo” già definito congiuntamente dalla ASL e dall’appellante, come da verbale del 9 aprile 2009, integra la lesione del diritto soggettivo di cui essa è titolare.
Infine, la parte appellante allega che l’errore prospettico in cui sarebbe incorso il T.A.R. ai fini dell’inquadramento della situazione giuridica azionata risulta evidente anche in un altro passaggio della sentenza appellata, laddove viene richiamato il capo di una precedente sentenza di prime cure (n. 1132 dell’1 agosto 2018) riguardante un’ analoga vicenda e in cui si afferma che “la ricorrente non ha fornito prova, anche alla luce di quanto osservato nella prima parte di questa sentenza, che l’applicazione di tali criteri, peraltro per un periodo limitatissimo, le avrebbe assicurato una posizione migliore rispetto a quella alla stessa riconosciuta in base alla normativa precedente alla deliberazione n. 1494 del 2009 e ovviamente rispetto alle altre Case di Cura (tenuto conto che il budget da ripartire è una risorsa limitata), nella ripartizione del budget (quindi un maggior tetto)”. Così motivando - deduce la parte appellante - il T.A.R. ha erroneamente omesso di considerare “l’effetto distorsivo indotto sulla posizione della struttura controinteressata dalla distorta applicazione dei criteri regionali di ripartizione del tetto”. Si contesta, dunque, anche la statuizione di inammissibilità per genericità e difetto di interesse.
3.2. Con il secondo motivo, parte appellante deduce l’“erronea dichiarazione di sopravvenuto difetto di interesse con riferimento alle censure inerenti le clausole dell’accordo”.
Si censura il capo della sentenza in cui si dichiara l’improcedibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, con riferimento a tutte le censure inerenti le clausole dell’accordo che non incidono sul tetto di spesa riconosciuto. Tale statuizione è stata adottata dal T.A.R. sul presupposto che l’accordo suddetto aveva esaurito la sua efficacia e, dunque, l’appellante non avrebbe tratto alcuna utilità dalla dichiarazione di illegittimità/nullità delle clausole contestate.
In particolare, la società interessata deduce - in senso contrario alle conclusioni raggiunte dal giudice di primo grado - che la ricognizione contabile effettuata dalla ASL con la determinazione n. 13450/2012, impugnata con motivi aggiunti, era espressamente qualificata come “suscettibile” di modifica sulla scorta degli esiti del contenzioso promosso dalla suddetta in relazione al contratto 2010. Parte appellante aveva, peraltro, dedotto che la nuova clausola – che eliminava il riferimento ai “raggruppamenti di area”, invece contenuto nella bozza precedente – determinava una limitazione - del tutto immotivata e contraddittoria rispetto al quadro normativo di riferimento - sotto il profilo della autonomia organizzativa della Casa di Cura, introducendo elementi nuovi di diseconomicità rispetto all’assetto complessivo del presidio ospedaliero già definito in sede di accreditamento istituzionale.
Aggiunge la parte appellante di aver dedotto che l’art. 22 della legge regionale 28 maggio 2004, n. 8, prevede che lo schema-tipo sia approvato dalla Giunta regionale e dispone che esso sia obbligatorio e vincolante per le ASL e gli operatori accreditati. Essa ha, in tal modo, prospettato la violazione del proprio diritto soggettivo all’utilizzo dello schema-tipo di accordo predisposto dalla Regione, non venendo in rilievo una discrezionalità della ASL sull’an della sottoscrizione dell’accordo e rispondendo la disposizione invocata ai principi di interesse generale che, secondo la stessa impostazione del T.A.R., sono suscettibili di integrare una causa di nullità del contratto, ovvero l’eguaglianza fra tutte le strutture sanitarie, che devono operare in condizioni di uniformità sull’intero territorio regionale, anche per i profili riflessi sulla qualità ed efficacia delle prestazioni erogate.
La parte appellante allega anche di aver dedotto, con il ricorso introduttivo, vizi incidenti sulla libera formazione del consenso, a causa della violenza morale esercitata dalla ASL nell’imporre un contenuto iniquo del contratto. Ebbene, essa deduce che, tra i rilievi de quibus, vi era anche quello della non conformità del contratto allo schema-tipo regionale all’epoca vigente, per cui l’accertamento della fondatezza delle censure sollevate aveva rilievo anche sotto il profilo “strumentale” della valutazione del comportamento complessivamente tenuto dalla ASL in sede di stipula dell’accordo.
Infine, con riferimento alla questione relativa alla remunerazione del materiale protesico, ad avviso dell’interessata, erroneamente il T.A.R. ha ritenuto che la valorizzazione delle protesi, ai fini della determinazione del tetto di spesa, fosse stata già valutata “a monte” nella fase di costituzione del fondo unico aziendale. Quest’ultimo - sostiene il giudice di prime cure - fissato in euro 137.108.327,04, tiene conto dell’importo di euro 17.331.032,3 quale spesa consolidata dell’anno 2009 relativa al rimborso per il costo delle endoprotesi.
Sul punto, l’appellante deduce che, nelle more dell’entrata in vigore delle nuove tariffe, le protesi avrebbero dovuto essere rimborsate extra tetto. Invero, la stessa ASL, nella nota 1 dicembre 2010, riconosce che il contenuto del contratto non intendeva stravolgere il contenuto della legge regionale 31 dicembre 2009, n. 34, e, quindi, ritenere il costo delle endoprotesi ricompreso nel budget in assenza di approvazione delle nuove tariffe. Ancor più rilevante, ad avviso dell’appellante, è che gli allegati alla determina impugnata (acquisiti in sede di giudizio di primo grado) non contengono alcun riferimento alla valorizzazione delle protesi ai fini della ripartizione del fondo unico in tetti per singola struttura.
3.3. Con il terzo motivo, parte appellante deduce la “violazione dell’art. 17 della L.R. n. 26/2006”.
Tale motivo di appello si prefigge di dimostrare l’erroneità della statuizione con cui il giudice di primo grado ha rigettato la censura diretta a lamentare la violazione dell’art. 17, comma 2, della legge regionale 9 agosto 2006, n. 26, sulla scorta del quale si sarebbe pervenuti alla determinazione di un valore della produzione riferibile alla struttura pari ad euro 33.100.000,00, che si sarebbe dovuto assumere quale riferimento in sede di definizione del budget contrattuale per l’anno 2010.
Ad avviso del T.A.R., che rammenta l’orientamento del Consiglio di Stato (Cons. St., Sez. III, 16 marzo 2012, n. 1521), nonché la propria precedente pronuncia n. 1132 dell’1 agosto 2018, la citata disposizione - diversamente da quanto prospettato dalla ricorrente - non comporta che il volume storico delle attività erogate in regime di assistenza ospedaliera indiretta debba convertirsi in maniera aritmetica nel corrispondente ammontare del tetto di spesa assegnato in regime di accreditamento istituzionale. Il servizio sanitario non è tenuto ad acquistare l’intera capacità produttiva della struttura. Invero, la disposizione regionale in esame stabilisce meri indici di riferimento idonei a delimitare e orientare la discrezionalità della programmazione sanitaria, senza tuttavia eliminarla, facendo salvo l’interesse pubblico al contenimento delle politiche di spesa in relazione ai ben noti vincoli di stabilità economica e finanziaria.
Parte appellante deduce che i suindicati criteri legislativi avrebbero dovuto essere applicati dall’amministrazione, in quanto limitativi della discrezionalità ad essa spettante in materia, laddove, nella specie, è carente sia la motivazione della decisione sui tetti di spesa, sia la congruenza del dispositivo rispetto alle risultanze dell’istruttoria, che avevano dato un esito (consacrato nel verbale del 9 aprile 2009) confermativo della fondatezza della pretesa della struttura in ordine al budget spettante ,ma totalmente ignorato dalla ASL.
Parte appellante contesta la sentenza anche nella parte in cui viene disconosciuto il valore vincolante del predetto verbale.
3.4. Con il quarto motivo, parte appellante sostiene l’infondatezza dell’eccezione d’inammissibilità del ricorso sollevata dall’ASL in prime cure - e su cui il T.A.R. non si è pronunciato - sotto il profilo della omessa impugnazione della deliberazione del Direttore Generale della ASL n. 2403/2006, con la quale era stato fissato il primo tetto di spesa per la ricorrente per l’anno 2006,
Parte appellante deduce che proprio gli esiti del verbale del 9 aprile 2009, acquisiti preventivamente alla quantificazione del budget 2009 e 2010, costituiscono un quid novi che distingue l’odierna controversia da quella relativa ai limiti di spesa per gli anni 2006-2008. Infatti, il citato verbale ha consentito di appurare l’esistenza di errori nella rilevazione e valorizzazione delle prestazioni rese in assistenza indiretta nell’anno 2005, anche tenuto conto del fatto che la D.G.R. n. 1494/2009 è intervenuta a sancire formalmente il superamento del criterio della “spesa storica” che in precedenza aveva fortemente condizionato l’assegnazione dei budget di spesa.
3.5. Con il quinto ed ultimo motivo, parte appellante censura la statuizione con la quale il T.A.R., integralmente richiamando il punto 4.3 della citata sentenza n. 1132 dell’1 agosto 2018, ha respinto, oltre che dichiarato inammissibile, la doglianza intesa a lamentare la violazione dei criteri e delle linee guida regionali dettate in tema di assegnazione dei tetti di spesa, in particolare dal D.I.E.F. 2009 (D.G.R. n. 1442/2009) e dalla D.G.R. n. 1494/2009.
Essa premette che l’allegato 1 di quest’ultima deliberazione delinea il percorso logico-procedimentale che deve condurre all’assegnazione del tetto di spesa per ciascuna struttura, nel senso che, determinato il Fondo Unico, la ASL deve procedere: 1) “alla determinazione del fabbisogno di prestazioni in considerazione delle liste di attesa rilevate nel proprio territorio, con particolare attenzione all’appropriatezza dei ricoveri”;2) “alla determinazione del volume di attività distinto per singola disciplina accreditata”;3) all’ “attribuzione dei volumi di attività in ragione dei posti letto da contrattualizzare per singola disciplina accreditata”;4) “alla assegnazione del tetto di spesa per ciascuna struttura”, tenendo conto di una serie di elementi quali, ad esempio, la tipologia ed il numero dei posti letto accreditati, la dislocazione territoriale (onde assicurare facilità di accesso alle cure), la partecipazione allo svolgimento delle attività di emergenza-urgenza, gli ulteriori standard di miglioramento del comfort e dell’accoglienza posseduti dalla struttura, i livelli di inappropriatezza rilevati nell’erogazione delle prestazioni.
Secondo parte appellante, il T.A.R. ha erroneamente sostenuto che la delibera impugnata non appare inficiata da deficit istruttorio, in quanto, come si desume dagli allegati della stessa, il tetto è stato assegnato alla società interessata “sulla base del quantitativo di prestazioni”.
Deduce, inoltre, parte appellante che escludere che sussista un vincolo nell’acquisto dell’intera capacità produttiva non significa l’insussistenza dell’obbligo della ASL di rispettare i criteri guida regionali in sede di attribuzione dei tetti di spesa.
L’appellante si duole anche della statuizione in cui il T.A.R. - rinviando alla propria precedente sentenza del 2018 - rileva la mancanza di prova in ordine alla maggiore misura del tetto che la società avrebbe conseguito rispetto a quello assegnato, ove fossero stati applicati i criteri di cui alla originaria D.G.R. n. 1494/2009.
Sostiene sul punto la parte appellante che non possa imputarsi alla stessa l’onere di dimostrare in concreto che l’applicazione dei criteri ex D.G.R. n. 1494/2009 avrebbe comportato l’assegnazione di un budget più elevato, trattandosi di una sorta di probatio diabolica, considerato che la ASL non ha mai esplicitato i criteri utilizzati ai fini della ripartizione dei tetti 2010, avendo ritenuto di imporre i tetti in sede di negoziazione del singolo contratto.
4. Si sono costituite, per resistere all’appello, la Società C.B.H. – Città di Bari Hospital S.p.a, e l’ASL di Bari, rispettivamente il 26 febbraio 2020 e il 25 maggio 2020.
5. La Società C.B.H. – Città di Bari Hospital S.p.a., odierna controinteressata, ha depositato una memoria difensiva in data 19 febbraio 2024, con la quale, a tutela della propria posizione, ha sostanzialmente rinviato alle argomentazioni svolte dal T.A.R. nella sentenza ivi gravata.
6. All’udienza straordinaria del 10 aprile 2024, la causa è stata trattenuta in decisione.
7. Ad avviso del Collegio tutti i motivi di gravame sono infondati, alla luce della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, che il Collegio condivide e alla quale si riporta, e in particolare alla sentenza n. 10169/2023, resa fra le stese parti, che ha esaminato le medesime questioni con riferimento a diversa annualità.
In particolare va osservato che:
6.1. Il primo motivo di appello deve essere respinto, e deve conseguentemente essere confermato il capo 3.1 della sentenza impugnata, che ha dichiarato l’inammissibilità della domanda di accertamento del diritto a concludere il contratto a determinate condizioni.
A tal riguardo, il punto 5 della citata sentenza Cons. St., Sez. III, 27 novembre 2023 n. 10169, ha chiarito che “ la qualificazione giuridica della situazione soggettiva fatta valere dalla ricorrente è fine a sé stessa, se non agganciata a specifiche doglianze aventi ad oggetto le statuizioni direttamente decisorie di cui quella qualificazione, asseritamente scorretta, costituirebbe l’immediato presupposto logico-giuridico: sì che, da questo punto di vista, la censura in esame, siccome intesa alla mera affermazione della natura di diritto soggettivo della posizione azionata dalla ricorrente, non sarebbe suscettibile, anche se fondata, di condurre alla riforma della sentenza appellata nelle sue componenti propriamente decisorie. In ogni caso, deve osservarsi che la scelta del modello convenzionale – in luogo ed in alternativa a quello tradizionalmente (nel senso di unilateralmente) provvedimentale – ai fini dell’esercizio della potestà programmatoria, ovvero della decisione in ordine all’an ed al quantum di acquisto delle prestazioni sanitarie erogate dalle strutture accreditate – attiene al quomodo dell’azione amministrativa, piuttosto che all’intima essenza giuridica della stessa: con la conseguenza che, a fronte delle determinazioni asseritamente illegittime della parte pubblica, anche se manifestate secondo il modello negoziale, si stagliano pur sempre, alla luce della permanente connotazione discrezionale delle stesse, posizioni di interesse legittimo in capo al privato (ciò, quantomeno, nella fase formativa dell’accordo, potendo prospettarsi un vincolo all’agere della P.A., suscettibile di generare posizioni di diritto soggettivo in capo al contraente privato, solo nella successiva fase esecutiva, ove si ritenga rigidamente conformata dalle regole negoziali). ”.
Inoltre, “ non è ravvisabile alcun effettivo nesso causale tra la suddetta statuizione in rito e la qualificazione operata dal T.A.R. della posizione soggettiva della ricorrente come di interesse legittimo, la quale avrebbe impedito al giudice di primo grado di apprezzare adeguatamente il peculiare modus operandi – incentrato sulla stipulazione di accordi separati con le singole strutture accreditate – attuato dalla ASL, per effetto del quale sarebbe stato precluso alla suddetta di mettere in correlazione il budget ad essa assegnato rispetto a quello attribuito alle altre Case di Cura interessate e quindi assolvere all’onus probandi di cui la sentenza appellata afferma il mancato assolvimento: deve infatti osservarsi che la statuizione censurata non scaturisce dalla mancata allegazione da parte della ricorrente dei vantaggi che, rispetto alle altre Case di Cura, avrebbe conseguito ove fossero stati applicati ab initio i criteri di cui alla D.G.R. n. 1494/2009, ma dalla omessa dimostrazione tout court degli effetti migliorativi che, in termini di budget assegnato, sarebbero discesi dall’applicazione dei criteri sanciti dalla delibera citata ”.
6.2. Il secondo motivo di appello è parimenti infondato, con conseguente conferma del capo 3.4 della sentenza impugnata, per le ragioni indicate al punto 4 della sentenza Cons. St., Sez. III, 27 novembre 2023 n. 10169, alla quale si rinvia.
6.3. Neppure il terzo motivo di appello può essere accolto, per le ragioni già indicate al punto 6 della sentenza Cons. St., Sez. III, 27 novembre 2023 n. 10169: “ Acclarato – sulla scorta delle stesse deduzioni della parte appellante – che la disposizione regionale citata non vincola l’Amministrazione alla quantificazione del tetto di spesa secondo criteri rigidamente determinati, essa si limita a lamentare la mancata applicazione dei suddetti criteri, senza specificare le concrete ragioni di contrasto in cui gli atti impugnati si porrebbero rispetto ad essi né allegare gli elementi di prova (ulteriori rispetto alla mera affermazione del tetto di spesa ad essa spettante e della incongruità di quello assegnato dall’Amministrazione) sui quali le stesse si fonderebbero: invero, il fatto che il quantum del budget assegnato alla ricorrente per il 2009 non corrisponda esattamente al valore da essa determinato nel suo “piano preventivo delle prestazioni” non depone necessariamente - proprio in ragione del carattere non vincolante di quei criteri, a cominciare da quello incentrato sulla capacità erogativa della struttura - nel senso del mancato rispetto degli stessi. Né rileva, al fine di dimostrare l’illegittimo esercizio del potere discrezionale spettante all’Amministrazione, la dedotta carenza motivazionale degli atti gravati in primo grado, atteso che la connotazione convenzionale della quantificazione del tetto di spesa, destinata a trovare riscontro nell’accordo stipulando con la struttura accreditata, non esigeva un autonomo corredo motivazionale, costituente adempimento proprio dell’attività stricto sensu provvedimentale. Quanto invece alla rilevanza ascrivibile al verbale congiunto del 9 aprile 2009, deve osservarsi che la negazione della stessa discende dal fatto che il predetto verbale muove dal postulato – smentito dalla sentenza citata di questa Sezione – del carattere imperativo e vincolante dell’art. 17 l.r. n. 26/2006, con la conseguente assunzione a parametro inderogabile di riferimento del valore delle prestazioni erogate nel 2005 dalla struttura in regime di assistenza indiretta ”.
6.4. Neppure il quarto motivo di appello può essere accolto, per le ragioni già indicate al punto 7 della sentenza Cons. St., Sez. III, 27 novembre 2023 n. 10169, cui sul punto si rinvia.
6.5. Il quinto motivo di appello è parimenti infondato, per le ragioni indicate al punto 8 della sentenza Cons. St., Sez. III, 27 novembre 2023 n. 10169: “ la mancata esplicitazione dei criteri sottesi alla quantificazione del tetto di spesa 2009, consacrato con gli atti impugnati, non è idonea a dimostrare la mancata osservanza degli stessi o comunque la loro distorta o incompleta applicazione da parte dell’Amministrazione, né la lamentata carenza motivazionale degli atti impugnati è suscettibile da sola di assurgere a vizio invalidante degli stessi, essendosi già rilevato l’estraneità del relativo obbligo all’attività consensuale della P.A. Quanto invece alla statuizione di inammissibilità recata dalla sentenza appellata e contestata dalla parte appellante, è sufficiente evidenziare che la determinazione “individuale” dei tetti di spesa non precludeva in modo assoluto alla ricorrente di svolgere specifiche censure al fine di dimostrare la mancata compiuta osservanza delle linee guida regionali, non trattandosi di una procedura comparativa basata sulla competizione di soggetti concorrenti (e fermo restando che, comunque, la parte ricorrente avrebbe ben potuto richiedere di avere accesso ai dati concernenti le altre strutture, al fine di verificare la correttezza del riparto dei tetti di spesa effettuato dall’Amministrazione) ”.
7. La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell'ormai consolidato "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015, n. 5, nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti difensivi non accolti e ciononostante non espressamente richiamati – in ossequio al principio di sinteticità di cui all’art. 3, comma 2, cod. proc. amm. - sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione, in ragione dell’economia della stessa, e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è infondato e che va pertanto respinto, con conferma della sentenza di primo grado qui gravata.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza nei rapporti fra l’appellante e l’Azienda sanitaria.
Sussistono, nondimeno, giusti motivi legati alla peculiarità della vicenda sottesa al presente contenzioso per disporre, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a, l’integrale compensazione delle spese del presente grado di giudizio tra l’appellante e la controinteressata.