Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-07-18, n. 201905061

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-07-18, n. 201905061
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201905061
Data del deposito : 18 luglio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/07/2019

N. 05061/2019REG.PROV.COLL.

N. 03114/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3114 del 2008, proposto dal signor S U,, rappresentato e difeso dagli avvocati N M e P V G, con domicilio eletto presso lo studio N M in Roma, piazza dell'Orologio, 7;

contro

Comune di Venezia (VE), in persona del suo legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati Nicolo' Paoletti, G V, Maria Maddalena Morino, A I, N O, M B e Giulio Gidoni, con domicilio eletto presso lo studio Nicolo' Paoletti in Roma, via Barnaba Tortolini 34;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) n. 00359/2007, resa tra le parti, concernente diniego di concessione edilizia in sanatoria e demolizione opere abusive


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2019 il Conigliere Fulvio Rocco e uditi per le parti l’avvocato Chiara Pesce su delega dell’avvocato N M e l’avvocato Ginevra Paoletti su delega dell’avvocato Nicolò Paoletti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.1.L’attuale appellante, Sig. Ugo S, è proprietario nel territorio comunale di Venezia di immobile ubicato al n. 368 dell’isola di Pellestrina.

Egli espone di aver eseguito a suo tempo taluni “piccoli interventi edilizi” in difformità all’autorizzazione edilizia n. 86151 dd. 12 settembre 21991 a lui rilasciata dal Comune di Venezia e dichiaratamente rappresentati, “nella sostanza di modifiche alle quote dei solai interni e alla forometria, nonché di modifiche distributive interne” (cfr. pag. 2 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio).

In data 3 febbraio 1991 il Comune ha notificato allo S l’ordine – emesso a’ sensi dell’art. 92 della l.r. 27 giugno 1985 n. 61 - di demolire le opere abusivamente realizzate, e nello stesso provvedimento così descritte:

“1) rifacimento solai in legno previo innalzamento degli stessi di circa 30 centimetri;
2) traslazione con modifica (innalzamento) di tutti ifori finestre e porte di circa 30 centimetri;
3) modifiche al distributivo interno con demolizione muro da 26 al piano terreno e posa in opera di
“poutrelles” in ferro, al fine di ricavare una unica unità commerciale ed un appartamento diviso tra il 1° e il 2° piano”.

Tale provvedimento è stato impugnato dal medesimo con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, proposto a’ sensi dell’art. 8 e ss. del d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199.

1.2. Successivamente lo S ha peraltro presentato al Comune di Venezia – segnatamente in data 1 marzo 1995 – una domanda di rilascio di concessione edilizia in sanatoria, a’ sensi della sopravvenuta disciplina contenuta nell’art. 39 della l. 23 dicembre 1994 n. 724.

Dopo vari e vani solleciti, con nota Prot. n. 32869 dd. 21 gennaio 2000 l’amministrazione comunale ha ultimativamente chiesto allo S di corredare la propria istanza di sanatoria con una relazione tecnica delle opere abusive, nonché con documentazione fotografica delle opere interne e il rilievo dello stato attuale: il tutto con l’espresso avvertimento che, in difetto, la domanda di rilascio della concessione edilizia in sanatoria sarebbe stata respinta.

1.3. Con provvedimento Prot. n. 38869/50653/00 dd. 26 febbraio 2001 il Dirigente preposto alla Direzione Sportello Unico – Edilizia privata, ha comunicato allo S che, “non essendo stata presentata la documentazione integrativa richiesta … necessaria alla definizione della sanatoria, la domanda di ristrutturazione frazionamento con ampliamento in Pellestrina n. 368 viene denegata, così come previsto dall’art. 2, comma 37, della l. 23 dicembre 1996 n. 662 e dell’art. 49, comma 7, della l. 27diicembre 1997 n. 449”.

1.4. Tale provvedimento è stato impugnato dallo S innanzi al T.A.R. per il Veneto con ricorso proposto sub R.G. n. 1133 del 2001.

Lo S ha in buona sostanza dedotto che sulla propria domanda di rilascio della concessione edilizia in sanatoria si sarebbe formato il silenzio-assenso per decorso del termine di un anno dalla sua presentazione, come inequivocabilmente previsto dall’art. 39 della l. 724 del 1994 e successive modifiche.

1.5. Susseguentemente, con ulteriore provvedimento Prot. n. 1992/13231/603 dd. 20 agosto 2001 il Direttore Centrale dello Sportello Unico, ha disposto nel senso che il Direttore Centrale Progettazione ed Esecuzione Lavori del medesimo Comune provveda alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dello stato preesistente a spese del responsabile dell’abuso.

Lo S ha impugnato anche tale ulteriore provvedimento innanzi all’adito T.A.R. mediante motivi aggiunti di ricorso proposti sempre sub R.G. 1133 del 2001.

Lo S in tal senso ha dedotto l’illegittimità di tale provvedimento sia in via derivata con riguardo all’anzidetto diniego di sanatoria edilizia, sia in via autonoma in quanto non recante le ragioni di pubblico interesse attuale alla demolizione di opere che – oltretutto – a suo dire neppure necessitavano del rilascio della concessione edilizia e relativamente alle quali non era comunque intervenuto il parere della Commissione per la Salvaguardia di Venezia.

1.6. In tale primo grado di giudizio si è costituito il Comune di Venezia, replicando puntualmente alle censure avversarie e concludendo per la reiezione del ricorso e dei motivi aggiunti.

2. Con la sentenza oggi impugnata n. 359 dd. 9 febbraio 2007 la Sezione II^ dell’adito T.A.R. ha respinto l’impugnazione proposta avverso il diniego di concessione edilizia in sanatoria, nel mentre ha accolto l’impugnativa proposta avverso l’ordine di demolizione.

Il T.A.R. ha integralmente compensato tra le parti le spese e gli onorari di tale primo grado di giudizio.

3.1. Con l’appello in epigrafe lo S chiede ora la riforma del capo di tale sentenza con il quale è stata respinta l’impugnativa proposta avverso il diniego di rilascio della concessione edilizia in sanatoria.

L’appellante deduce al riguardo, con un unico e articolato motivo, l’erronea e mancata valutazione delle censure concernenti la violazione dell’art. 39 della l. 724 del 1994 come modificato ed integrato dall’art. 2, comma 37, della l. 662 del 1996 e dell’art. 49 della l. 449 del 1997, nonché l’avvenuta violazione degli artt. 32 e 45 della l. 28 febbraio 1985 n. 47 ed eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza dei presupposti, illogicità, contraddittorietà e difetto di motivazione.

3.2. Anche in tale ulteriore grado di giudizio si è costituito il Comune di Venezia, replicando puntualmente alle censure avversarie e concludendo per la reiezione dell’appello.

4. All’odierna pubblica udienza l’appello è stato trattenuto per la decisione.

5.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va respinto.

5.2. Secondo la tesi dell’appellante, a’ sensi dell’art. 39 della l. 724 del 1994 il decorso del termine di un anno (inizialmente dall’entrata in vigore della legge medesima e poi dall’1 gennaio 1997 secondo la modifica introdotta dall’art. 2 della l. 662 del 1996) comporterebbe comunque la formazione della concessione edilizia in sanatoria per silenzio-assenso, qualora l’amministrazione comunale non si sia pronunciata sulla domanda del privato.

Il provvedimento di sanatoria implicito renderebbe pertanto - secondo l’appellante - illegittimo un eventuale diniego della concessione medesima se intervenuto successivamente.

Sempre secondo l’appellante, l’unica deroga al sopradescritto regime di silenzio-assenso sarebbe previsto dalla disciplina in esame soltanto in relazione al mancato versamento dell’oblazione ovvero alla sua determinazione in modo errato e palesemente doloso: circostanza, questa, non sussistente nel caso di specie.

L’appellante afferma pure che, ove si volesse comunque ritenere che il silenzio-assenso non si formi in caso di carenza documentale, la facoltà dell’amministrazione comunale di chiedere la relativa integrazione potrebbe essere esercitata soltanto prima della formazione del silenzio stesso, nel mentre la richiesta di integrazione documentale susseguente a tale fattispecie concludente non inciderebbe sull’avvenuta formazione tacita del provvedimento di sanatoria.

Né, ad avviso del medesimo appellante, potrebbe condividersi l’assunto del giudice di primo grado secondo cui il silenzio-assenso non potrebbe ritenersi nella specie formato in quanto l’abuso edilizio sarebbe stato perpetrato in area assoggettata a vincolo ambientale.

A questo proposito l’appellante rileva pure che la sentenza impugnata non recherebbe, al di là dell’enunciazione di tale assunto, una motivazione che ne giustifichi la fondatezza.

Invero la sentenza stessa contiene un richiamo al precedente costituito dalla sentenza n. 373 dd. 28 gennaio 2005 resa dalla stressa II” Sezione del T.A.R per il Veneto, ma tale pronuncia – sempre ad avviso dell’attuale appellante – risulterebbe inconferente al caso di specie, laddove sulla domanda di rilascio della concessione edilizia in sanatoria sarebbe intervenuto il parere negativo e vincolante della Commissione per la Salvaguardia di Venezia, emesso a’ sensi dell’art. 4 della l. 8 novembre 1990 n. 361, a quel tempo vigente.

Lo S rimarca che – viceversa – nel presente caso l’amministrazione comunale non ha neppure inoltrato la pratica a tale Commissione, per cui il surriferito precedente giurisprudenziale non potrebbe essere invocato a supporto della tesi fatta propria dalla sentenza impugnata.

Sempre secondo l’attuale appellante, il giudice di primo grado avrebbe mal interpretato la disciplina contenuta nell’art. 39 della l. 724 del 1994 perché essa non riprenderebbe nel suo contenuto testuale la disciplina contenuta nell’art. 31 e ss. della l. 47 del 1985 che impediva la formazione del silenzio-assenso nel caso di sussistenza di un vincolo ambientale.

Inoltre, sempre secondo lo S, a tutto concedere l’asserita norma che impedirebbe anche per la presente fattispecie la formazione del silenzio-assenso nell’ipotesi di sussistenza di un vincolo ambientale risulterebbe comunque del tutto inconferente, posto che le opere in questione si sostanzierebbero come modifiche meramente interne, senza determinare pertanto qualsivoglia impatto visivo esterno sugli edifici.

Da ultimo lo S contesta pure la fondatezza dell’assunto secondo il quale la documentazione da lui allegata alla domanda di rilascio della concessione in sanatoria era carente e che pertanto doveva essere da lui integrata.

L’attuale appellante afferma in tal senso che la documentazione pur ripetutamente sollecitata dal Comune sarebbe risultata comunque del tutto ultronea in quanto già da lui prodotta al momento della presentazione della domanda,

In particolare lo S afferma che gli elaborati grafici delle opere da condonare sarebbero stati debitamente presentati e che l’unica documentazione ulteriore rispetto a quella già in atti sarebbe stata costituita dalla richiesta di produtrre la relativa documentazione fotografica in originale anziché in copia: e ciò, dunque, a fronte della circostanza che tutta la documentazione contemplata dall’art. 35 della l. 47 del 1985 sarebbe stata dunque da lui ritualmente prodotta, e che pertanto la pratica avrenbbe dovuto essere considerata completa.

Ad avviso dell’attuale appellante, inoltre, se per espressa previsione del medesimo art. 39 della l. 724 del 1994 la mancata presentazione della documentazione prevista a corredo della domanda comportava l’improcedibilità della stessa e il diniego della concessione in sanatoria “per carenza di documentazione” , ciò di per sé non implicava che la domanda medesima non potesse comunque essere riconsiderata in caso di pur tardiva consegna dei supporti documentali asseritamente mancanti.

5.3. Il Collegio, per parte propria, rileva che anche recentemente, e sulla scorta di una precedente giurisprudenza del tutto inequivoca sul punto, è stato affermato che ii fini della corretta formazione del silenzio -assenso sull'istanza di condono edilizio è necessario non solo che sia avvenuto il pagamento dell'oblazione e degli oneri di concessione dovuti, ma che si sia provveduto anche al deposito di tutta la documentazione prevista per la sanatoria, non potendo altrimenti determinarsi l’effetto sanate per il decorso del termine segnatamente previsto dall’art. 39, comma 4, della l. 724 del 1994 (cfr. sul punto, ex plurimis , Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019 n. 897 e 18 settembre 2018 n. 5453, con la giurisprudenza ivi richiamata).

Ma importa soprattutto rilevare che un’altrettanto consolidata e inequivoca giurisprudenza afferma che non sono suscettibili di sanatoria tacita gli immobili siti in aree sottoposte a vincolo paesaggistico-ambientale, essendo all'uopo in ogni caso richiesto il parere espresso dell'Autorità competente alla gestione del vincolo, ragione per cui in tali ipotesi non è configurabile la formazione del silenzio-assenso sull'istanza di condono"(così, ex multis , Cons. Stato Sez. VI, 8 agosto 2014, n. 4226 e la giurisprudenza ivi richiamata).

Se invero il comma 4 dell’art. 39 della l. 724 del 1994 e successive modifiche dà per accolta la domanda di sanatoria una volta decorso il termine di ventiquattro mesi dalla presentazione dell'istanza, allo stesso tempo e non a caso i commi 1 e 6 del medesimo art. 39 rinviano per l’applicazione della nuova disciplina di sanatoria con ciò introdotta alle disposizioni già a suo tempo utilizzate per la precedente disciplina di sanatoria e contenute nei capi IV e V della l. 47 del 1985, significando pertanto che le disposizioni medesime dovevano essere comunque applicate anche per l’ulteriore sanatoria contemplata dallo ius novum , semprechè non fossero state esplicitamente derogate da quest’ultimo.

E risulta – sempre in tal senso – dirimente che, in via contestuale all’introduzione della stessa, nuova disciplina speciale di sanatoria, il legislatore abbia novellato per effetto del comma 7 dello stesso art. 39 anche il contenuto dell’art. 32 della predetta l. 47 del 1985 – segnatamente disciplinante il rilascio della sanatoria per le opere realizzate su aree assoggettate a vincolo - con ciò all’evidenza presupponendo la sua perdurante applicazione anche ai procedimenti di sanatoria complessivamente disciplinati dall’art. 39 anzidetto.

Proprio in dipendenza dei surriferiti elementi testuali, quindi, un consolidato - e qui condiviso - orientamento di questo Consiglio di Stato ha stabilito che dal combinato disposto degli artt. 32, 33 e 35 della l. 47 del 1985 – qui, per l’appunto, puntualmente applicabile - può desumersi il principio che non sono suscettibili di sanatoria tacita immobili siti in aree sottoposte a vincolo paesaggistico-ambientale, essendo all'uopo in ogni caso richiesto il parere espresso dell'Autorità competente alla gestione del vincolo medesimo, ragione per cui in tali ipotesi non è configurabile la formazione del silenzio-assenso sull'istanza di condono (in tal senso, ex plurimis , Cons. Stato, Sez. IV, 18 settembre 2012, n. 4945;
Sez. V, 2 maggio 2013, n. 2395;
Sez. VI, 14 agosto 2012, n. 4573).

Venendo al caso di specie, se è vero che la richiesta del Comune dd. 21 gennaio 2000 (peraltro preceduta da altri, numerosi solleciti rivolti all’attuale appellante) di integrazione documentale è intervenuta ben oltre al termine previsto per la formazione del silenzio-assenso in quanto l’istanza di sanatoria era stata presentata più di 5 anni prima (ossia l’1 marzo 1995), risulta altrettanto incontrovertibile che la definizione della relativa pratica per silenzio-assenso risultava impedita sia dall’incompletezza della pratica, ma soprattutto, a monte, dall’insistenza dell’immobile su area incontrovertibilmente assoggettata a vincolo paesaggistico-ambientale.

Per quanto attiene all’asserita completezza della documentazione posta a corredo della domanda, non risulta incongrua la richiesta della produzione degli originali delle fotografie delle opere eseguite, posto che una loro fotocopia ben poteva risultare insufficiente per rappresentare con la dovuta efficacia la loro consistenza.

Risulta altrettanto assodata l’insufficienza, sempre a tal fine, dell’asseritamente completa rappresentazione cartografica delle opere in questione se non accompagnata da una congrua relazione descrittiva delle stesse.

Se è vero – poi – che nella specie la pratica dello S non è stata trasmessa alla Commissione per la Salvaguardia di Venezia ai fini dell’emissione del parere di competenza (rilevante nella specie agli effetti dell’art. 32 della l. 47 del 1985) e che tale circostanza non ha consentito il perfezionamento della pratica medesima, è altrettanto incontestabile che ciò non è avvenuto per inerzia del Comune, ma solo ed esclusivamente proprio per effetto del reiterato comportamento omissivo dello stesso S, che in tal modo ha impedito - per sua evidente e non smentibile responsabilità – il buon esito del procedimento, essendo le anzidette integrazioni documentali necessarie non soltanto al Comune, ma anche all’organo preposto alla tutela del vincolo, altrimenti impossibilitato ad esprimersi.

Alquanto arbitraria risulta inoltre la tesi dell’attuale appellante laddove nega la sussistenza di un obbligo di adempiere alle incombenze del predetto art. 32 della l. 47 del 1985 nelle ipotesi in cui le opere abusive – ancorchè realizzate su di un immobile ricadente in area assoggettata a vincolo ambientale-paesaggistico - non risultino “visibili” esternamente in quanto meramente interne all’edificio.

Anche al di là della stessa circostanza che la legge non contempla eccezioni in termini di “visibilità” - o meno - delle opere al fine di escludere la necessità di acquisire il parere di cui all’art. 32 della l. 47 del 1985 di competenza dell’autorità preposta alla vigilanza sui vincoli ambientali-paesaggistici, è comunque qui del tutto dirimente la notazione in fatto che i lavori abusivamente realizzati hanno nella specie comunque determinato – come ben si legge nella stessa documentazione di causa – un non smentito innalzamento di 30 centimetri dei fori delle finestre rispetto alla loro posizione preesistente e, quindi, una difformità rispetto alla loro collocazione originaria visivamente riscontrabile anche all’esterno dell’edificio.

6. Per l’insieme delle considerazioni suesposte l’appello in epigrafe va pertanto respinto.

7.Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio seguono la regola della soccombenza di lite e sono liquidati nel dispositivo.

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