Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-03-07, n. 202402253
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Pubblicato il 07/03/2024
N. 02253/2024REG.PROV.COLL.
N. 00753/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 753 del 2022, proposto dalla
signora-O- in proprio e quale genitore esercente la potestà sui figli minori, Francesco -O- e Giuseppe -O-, rappresentata e difesa dagli avvocati F M C e A D C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n.-O- resa tra le parti, relativa ad un provvedimento di revoca della corresponsione dell’indennità di trasferimento di cui alla L. 86/2001.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2024 il cons. C A e udito per la parte appellante l’avvocato A D C;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il dott. -O- commissario capo di Pubblica sicurezza, in servizio presso la Questura di Caserta, con l’incarico di dirigente del posto fisso operativo di -O-, con provvedimento del Questore di Caserta del 7 luglio 2016, veniva trasferito, con decorrenza 11 luglio 2016, dall’incarico di dirigente del posto fisso operativo di -O- alla Questura di Caserta, quale dirigente della DIGOS. Poiché la sede di servizio di Caserta era posta ad oltre 10 chilometri di distanza da quella precedente di -O- gli veniva assegnata la indennità di trasferimento, ai sensi della legge 29 marzo 2001, n. 86.
Successivamente, con provvedimento del Questore di Caserta del 4 maggio 2017, con decorrenza 7 maggio 2017 veniva trasferito dalla DIGOS di Caserta al Commissariato di P.S. di -O- quale dirigente.
Con nota del 18 luglio 2017 l’Ufficio amministrativo contabile della Questura di Caserta chiedeva alla Prefettura di Caserta, Settore contabilità e gestione finanziaria, di confermare l’erogazione dell’indennità di trasferimento, atteso che la distanza tra la sede di Maddaloni e quella di Caserta non superava i dieci chilometri.
Con nota del 28 luglio 2017 l’Ufficio amministrativo contabile della Questura di Caserta comunicava al dottor -O- la sospensione dell’indennità di trasferimento nell’attesa della risposta ad un quesito appositamente formulato al Ministero dell’Interno.
Il 7 agosto 2017 il dottor -O- presentava al Questore di Caserta istanza di annullamento del provvedimento di sospensione, richiedendo il ripristino del beneficio e lamentando l’illegittimo mancato pagamento dell’indennità da maggio 2017.
Con nota del 14 agosto 2017 chiedeva, altresì, al dirigente dell’Ufficio amministrativo contabile della Questura di partecipare al procedimento di revoca della indennità e inviava copia della circolare della direzione generale del personale militare del Ministero della Difesa Prot.n. DGPM/IV/12^/ /10/B.32, relativa all’indennità di trasferimento ai sensi della legge n. 86 del 2001.
Con nota del 31 agosto 2017 il Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica sicurezza, direzione centrale risorse umane, comunicava che il pagamento dell’indennità di trasferimento non poteva essere ripristinato non sussistendo il presupposto della distanza tra le due sedi di servizio superiore a dieci chilometri tra la Questura di Caserta e il Commissariato di -O- richiamando la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 23 del 14 dicembre 2011.
Il dott. -O- ha, quindi, proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Campania chiedendo l’annullamento della nota ministeriale, l’accertamento del diritto alla percezione dell’indennità di trasferimento per un periodo biennale a partire dal trasferimento dalla sede di -O- l’11 luglio 2016, essendo stata mantenuta la distanza superiore a dieci chilometri dall’originaria sede di servizio, e la conseguente condanna dell’Amministrazione al pagamento delle relative somme da maggio 2017, oltre ad accessori di legge.
Con un primo motivo di ricorso lamentava la violazione e falsa applicazione dell’art.1 della legge 86/2001, dell’art. 3 L. 241/1990, del giusto procedimento, il difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto il richiamo alla sentenza del Consiglio di Stato era inidoneo quale motivazione della revoca della indennità di trasferimento, non essendo contestata la distanza chilometrica tra le due sedi del secondo trasferimento, ma la spettanza del beneficio originariamente attribuito per il trasferimento da -O- a Caserta per tutto il periodo biennale previsto. Con un secondo motivo lamentava la violazione e falsa applicazione dell’art.1 della legge 86/2001, la incongruità della motivazione, il travisamento dei fatti e l’illogicità manifesta, deducendo che l’indennità costituisce un diritto soggettivo perfetto del dipendente trasferito di cui non è prevista la cessazione a seguito di un’ulteriore trasferimento, se non a domanda, e che il contrasto giurisprudenziale risolto dall’Adunanza plenaria citata dall’Amministrazione riguardava solo il presupposto della distanza chilometrica tra le sedi di servizio. Citava a sostegno della propria ricostruzione la circolare della direzione generale del personale militare, sostenendo che la ratio della norma è il ristoro dei disagi derivanti da un trasferimento indipendente dalla volontà del destinatario che la stessa norma ritiene congruo compensare per il termine di due anni per compensare tali disagi;tale indennità deve continuare a spettare, quindi, per due anni anche se intervenga un successivo trasferimento d’autorità ad una distanza superiore a dieci chilometri dalla originaria sede di servizio, verificandosi la medesima situazione di disagio, mentre la tesi dell’Amministrazione comporterebbe la possibilità per la stessa di evitare il pagamento dell’indennità solo procedendo ad un successivo trasferimento in una sede vicina prima della scadenza del termine biennale.
Nel giudizio di primo grado si è costituito il Ministero dell’Interno.
Con la sentenza n. 4228 del 21 giugno 2021 il ricorso è stato respinto ritenendo che il beneficio non spetti più al cessare degli effetti del primo trasferimento, proprio in funzione della sua ratio, essendo finalizzato a sopperire alle difficoltà del trasferimento e dunque dovendo cessare in tutti i casi in cui viene meno il presupposto che ha determinato il disagio dato dal trasferimento. Il giudice di primo grado ha affermato che “ la previsione normativa della durata biennale della erogazione deve essere intesa nel senso che la stessa può essere elargita massimo per due anni anche ove la prestazione di servizio nella sede di trasferimento si prolunghi oltre tale termine e non nel senso, voluto dal ricorrente, secondo cui ad ogni trasferimento d’ordine per sede a distanza superiore a 10 chilometri da quella ordinaria di servizio, spetti una elargizione economica a prescindere dalle eventuali sopravvenienze che fanno venire meno i requisiti richiesti dalla legge ”.
La sentenza è stata impugnata con il presente appello dagli eredi del dottor -O-, medio tempore deceduto. Con l’appello si è lamentata l’illogicità della motivazione e l’ingiustizia manifesta della sentenza nonché la violazione e falsa applicazione dell’art.1 della legge. 86/2001, proprio in relazione alla ratio della indennità, richiamata dalla sentenza di primo grado, di sovvenire il disagio del trasferimento, deducendo che tale disagio non sarebbe venuto meno nel caso di specie distando la sede di Maddaloni circa 28 km da quella di -O-, coincidente con quella di circa 29 km da -O- alla Questura di Caserta, che aveva giustificato l’indennità di trasferimento nel 2016;inoltre l’indennità spetta in base alla legge per un periodo biennale nel corso del quale si deve fare riferimento alla originaria sede di servizio;è stato quindi ribadito che una diversa interpretazione condurrebbe l’Amministrazione a potere evitare il pagamento dell’indennità per l’intero biennio procedendo ad un ulteriore trasferimento in una sede vicina a quella del primo trasferimento ma lontana dalla sede originaria. E’ stata, quindi, richiamata nuovamente la Circolare del Ministero della Difesa - Direzione Generale del Personale Militare, Prot.n. DGPM/IV/12^/ /10/B.32. Con l’appello è stato chiesto il pagamento della maggior somma tra interessi e rivalutazione.
Nel presente giudizio si è costituito il Ministero dell’Interno che, nella memoria, ha sostenuto l’infondatezza dell’appello e l’inconferenza della Circolare del Ministero della Difesa richiamata, che riguarderebbe i trasferimenti che non comportino mutamento di sede di servizio.
La difesa appellante ha presentato memoria di replica insistendo per le proprie tesi difensive e ribadendo l’applicabilità delle disposizioni della Circolare del Ministero della Difesa depositata in giudizio.
All’udienza pubblica del 13 febbraio 2024 l’appello è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
L’appello è fondato.
Ai sensi dell’art. l della legge n. 86 del 2001, nel testo vigente attualmente e al momento del trasferimento in questione, “ al personale volontario coniugato e al personale in servizio permanente delle Forze armate, delle Forze di polizia ad ordinamento militare e civile e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, agli ufficiali e sottufficiali piloti di complemento in ferma dodecennale di cui al Codice dell'ordinamento militare emanato con decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 28, comma 1, del decreto legislativo 19 maggio 2000, n. 139, al personale appartenente alla carriera prefettizia, trasferiti d'autorità ad altra sede di servizio sita in un comune diverso da quello di provenienza, compete una indennità mensile pari a trenta diarie di missione in misura intera per i primi dodici mesi di permanenza ed in misura ridotta del 30 per cento per i secondi dodici mesi .
1-bis. L'indennità di cui al comma 1 nonché ogni altra indennità o rimborso previsti nei casi di trasferimento d'autorità non competono al personale trasferito ad altra sede di servizio limitrofa, anche se distante oltre dieci chilometri, a seguito della soppressione o dislocazione dei reparti o relative articolazioni 4.
2. L'indennità di cui al comma 1 è ridotta del 20 per cento per il personale che fruisce nella nuova sede di alloggio gratuito di servizio.
3. Il personale che non fruisce nella nuova sede di alloggio di servizio può optare, in luogo del trattamento di cui al comma 1, per il rimborso del 90 per cento del canone mensile corrisposto per l'alloggio privato fino ad un importo massimo di lire 1.000.000 mensili per un periodo non superiore a trentasei mesi. Al rimborso di cui al presente comma si applica l'articolo 48, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”.
La giurisprudenza di questo Consiglio ha esaminato tale disposizione, anche tramite interventi dell’Adunanza plenaria, con riferimento ad alcuni specifici aspetti.
In particolare con la pronuncia dell’A.p. n. 1 del 2016 è stata esaminata la questione relativa all’applicazione della normativa del comma 1 bis, introdotto dall’art. 1 comma 163 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha escluso la spettanza dell’indennità, in caso di soppressione o dislocazione di reparti o articolazioni territoriali, anche ai trasferimenti precedenti.
Invece, l’Adunanza plenaria n. 23 del 2011, citata nel provvedimento impugnato, ha risolto un contrasto giurisprudenziale in ordine alla vigenza, successivamente alla legge n. 86 del 2001, del presupposto della distanza di oltre dieci chilometri tra le sedi di servizio non espressamente previsto del testo dell’art. 1 della legge n. 86 del 2001 (alcune pronunce della Sesta sezione avevano infatti ritenuto che tale requisito non fosse più richiesto in aderenza al dato normativo). Secondo la Adunanza plenaria tale presupposto, richiesto dalla norma previgente, legge 10 marzo 1987 n. 100 art. 1 (tramite i richiami alla disciplina dell’indennità di missione, per i dipendenti pubblici), si deve intendere implicitamente sussistente anche nella nuova disciplina, in quanto era ritenuto dalla giurisprudenza un presupposto determinante della indennità di missione e la normativa del 2001 non contiene “ alcun elemento univocamente orientato a derogare al requisito della distanza chilometrica minima tra le sedi ”.
La Adunanza plenaria, citata dall’Amministrazione, non ha quindi affrontato la questione, che era stata posta dal dott. -O- anche in sede procedimentale, della spettanza della indennità di trasferimento per tutto il biennale, qualora intervenga un ulteriore mutamento della sede di servizio, con la conseguenza che la nota del Ministero dell’Interno risulta, in primo luogo, priva di congrua motivazione in ordine alla revoca della indennità di trasferimento.
In mancanza di una espressa previsione normativa relativa alla fattispecie in esame, la questione della spettanza dell’indennità di trasferimento non può che essere risolta in base alla stessa ratio della disciplina, facendo, inoltre, riferimento alla Circolare della direzione del personale militare del Ministero della difesa, che, pur non prendendo in considerazione espressamente tale fattispecie, disciplina alcune ipotesi di trasferimento intervenuto nel corso del periodo biennale di godimento della indennità di trasferimento.
Deve, altresì, richiamarsi la consolidata giurisprudenza della Sezione, per cui i presupposti per la spettanza del beneficio della indennità di trasferimento sono costituiti dalla natura del trasferimento - che deve essere d’autorità ovvero disposto in funzione della realizzazione degli interessi pubblici che fanno capo all’Amministrazione ( Cons. Stato, Sez. II, 2 ottobre 2023, n. 8616;Sez. II, 17 aprile 2023, n. 3830), questione non in discussione nel presente giudizio - e dalla distanza di oltre dieci chilometri tra le sedi di servizio ubicate in comuni diversi;inoltre la spettanza dell’indennità è regolata da un chiaro automatismo, dovendosi escludere la necessità dell'interessato di comprovare che il trasferimento comporti un effettivo disagio, in quanto tale valutazione è stata già effettuata dal legislatore nel prendere in esame i requisiti per il diritto a percepire l'indennità, che infatti l'ha esclusa nelle ipotesi in cui il trasferimento avvenga entro termini geografici limitati ( Cons. Stato, Sez. II, 17 luglio 2023, n. 6920;Sez. II, 26 giugno 2023, n. 6219).
L’indennità di trasferimento, infatti, è finalizzata a sopperire ai disagi legati ai frequenti trasferimenti imposti al personale militare e ai dipendenti pubblici a esso equiparati, trasferimenti il cui carattere essenzialmente autoritativo ne amplifica la particolare onerosità, così da determinare i presupposti per la temporanea erogazione di un emolumento aggiuntivo, finalizzato ad attenuare gli effetti pregiudizievoli causalmente connessi all'imprevisto mutamento della sede di servizio, ma il disagio da compensare è considerato in re ipsa dalla norma, in quanto presunto in sede legislativa (Cons. Stato, Sez. II, 15 marzo 2023, n. 2699).
La spettanza automatica dell’indennità, basata ex lege sul disagio derivante dal trasferimento d’autorità, disposto in funzione della realizzazione degli interessi dell’Amministrazione, indipendentemente quindi dalla effettiva verifica dei disagi subiti dal dipendente, ad avviso del Collegio conduce a ritenere illegittimi gli atti dell’Amministrazione nel caso di specie.
Infatti anche la durata del beneficio è prevista dalla legge in via automatica, avendo il legislatore calcolato presuntivamente ex ante il possibile periodo di disagio dovuto al trasferimento - in una sede distanza più di dieci chilometri dalla propria originaria sede di servizio - indicandolo in complessivi 24 mesi, con attribuzione della indennità in misura ridotta per il secondo periodo di dodici mesi. E’ evidente, dunque, che il periodo di durata della spettanza della indennità di trasferimento può essere successivamente modificato solo se vengano meno, anche per fatti sopravvenuti, gli originari presupposti da cui discende ex lege il pagamento dell’indennità. Tali circostanze sopravvenute non possono che essere rappresentate dal rientro presso la propria originaria sede di servizio (o nel raggio di chilometri da essa), che fa venire meno il disagio della distanza a seguito del trasferimento d’autorità, oppure deve intervenire un trasferimento a domanda, che, soddisfacendo l’interesse del dipendente, comporti in via altrettanto presuntiva ex lege la cessazione del disagio derivante dal trasferimento d’autorità.
Tale interpretazione è seguita anche dalla Circolare del Ministero della Difesa, interpretativa delle disposizioni della legge n. 86 del 2001, depositata in giudizio dalla parte appellante, che all’art. 8, rubricato “ Variazioni nel corso del trattamento ”, espressamente prevede:
“ I trasferimenti che non comportano un cambio di sede di servizio non danno diritto al trattamento economico di cui trattasi;nel caso in cui tali movimenti siano disposti nei confronti di personale che già usufruisce del trattamento in questione, i benefici continueranno ad essere corrisposti dall’Ente ricevente al quale l’Ente cedente dovrà trasmettere tutta la documentazione probatoria.
Qualora durante il periodo di diritto subentri un trasferimento a domanda che comporta un mutamento permanente di sede di servizio, il trattamento cessa dalla data del nuovo trasferimento.
Qualora il personale trasferito d’autorità goda del trattamento economico ex L. 100/87, quest’ultimo non può che cessare all’atto del presente trattamento economico di trasferimento ”.
In primo luogo, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa appellata, tali disposizioni della circolare non riguardano solo i trasferimenti senza modifica della sede di servizio ma, come indicato espressamente dalla rubrica dell’art. 8, disciplinano le ipotesi in cui nel corso del periodo biennale di godimento dell’indennità appunto subentri una variazione del luogo di servizio.
Peraltro, proprio la disposizione del comma 1 dell’art. 8, relativa al trasferimento senza mutamento di sede, indicando il mantenimento della indennità di trasferimento originariamente assegnata, conferma la spettanza del beneficio nel caso di specie. A ritenere altrimenti, infatti, il dott. -O- avrebbe mantenuto l’indennità - a lui spettante per un periodo biennale a seguito del trasferimento dalla sede di -O- - se fosse stato trasferito da un ufficio all’altro della sede di Caserta, ma lo dovrebbe perdere essendo stato, invece, trasferito da Caserta a -O- sebbene equidistante da -O- rispetto a Caserta. E’ evidente, dunque, che tale disposizione della circolare non può che essere intesa nel senso di riferirsi a trasferimenti che non comportino mutamento della sede di servizio “superiore a dieci chilometri”, per i quali deve essere mantenuto il beneficio originario, spettando altrimenti l’indennità di trasferimento per il nuovo trasferimento.
La detta circolare, infatti, è stata emanata il 6 giugno 2001, successivamente alla entrata in vigore della legge n. 86 del 2001, che non aveva espressamente previsto il requisito della distanza della nuova sede di servizio superiore a dieci chilometri, che è stato poi ritenuto implicitamente vigente dall’Adunanza plenaria n. 23 del 2011, sopra citata e posta dall’Amministrazione a fondamento della revoca della indennità.
Le successive disposizioni dell’art. 8 della circolare confermano ulteriormente l’interpretazione seguita dal Collegio, in quanto prevedono la cessazione del trattamento in caso di trasferimento a domanda e il mantenimento dell’indennità, ai sensi della legge n. 86 del 2001, in caso di nuovo trasferimento d’autorità, escludendo, quindi, solo il cumulo di due trattamenti.
Da tali indicazioni della circolare, pur di carattere interno ma utili quali riferimenti interpretativi, deriva che due indennità non possono essere cumulate in caso di successivo trasferimento, ma che un successivo trasferimento d’autorità non è di per sé impeditivo della fruizione dell’indennità già percepita, nei casi in cui non spetti una ulteriore indennità.
Ad ulteriore riprova della erroneità dell’interpretazione seguita dall’Amministrazione (oltre che, comunque, carente di motivazione), devono richiamarsi le argomentazioni della parte appellante, per cui le Amministrazioni avrebbero la possibilità di evitare il pagamento dell’indennità solo procedendo ad ulteriori trasferimenti, nel limite di dieci chilometri, successivamente ad un trasferimento per il quale era stata attribuita l’indennità, con evidente frustrazione della lettera e della ratio della previsione di legge, che ha ritenuto di sovvenire al disagio derivante dal trasferimento superiore a dieci chilometri per un periodo biennale.
L’appello è, quindi, fondato e deve essere accolto con annullamento degli atti impugnati e accertamento della spettanza della indennità di trasferimento dall’11 luglio 2016 all’11 luglio 2018 nella misura stabilita dalla legge, a cui consegue la condanna del Ministero dell’Interno al pagamento delle somme non corrisposte dal 7 maggio 2017 all’11 luglio 2018.
Sulle somme non tempestivamente pagate spettano gli interessi nella misura legale fino all’effettivo soddisfo, calcolati sui singoli ratei, dalla data di maturazione di ciascun rateo e fino all'adempimento tardivo. Non spetta invece la rivalutazione in base al divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi, previsto dall'art. 22, comma 36, della L. 23 dicembre 1994, n. 724 per i crediti relativi al rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici e non essendo specificamente dedotto che la rivalutazione monetaria nel periodo in questione comporti una somma maggiore degli interessi legali.
In considerazione della novità delle questioni, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate.