Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-12-28, n. 202211502

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-12-28, n. 202211502
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202211502
Data del deposito : 28 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/12/2022

N. 11502/2022REG.PROV.COLL.

N. 05114/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5114 del 2018, proposto da
A A, rappresentato e difeso dall'avvocato A M D L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via Toledo n. 156

contro

Comune di Sorrento, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato M P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 5584/2017


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Sorrento;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 16 dicembre 2022 il Pres. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati A M D L per la parte appellante e M P per la parte appellata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso rubricato al n. R.G. 13194/2001 proposto dinanzi il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania – Napoli Sez. VII, l’Avv. Armano Angelo, proprietario di un’unità immobiliare ubicata in Sorrento, al Corso Italia n. 249, impugnava per l’annullamento: a) l’ordinanza comunale n. 322/41 – 01, prot. n. 36139 dell’11 ottobre 2001;
b) la determinazione di rimessa in pristino espresso dalla Commissione edilizia integrata nella seduta del 28 maggio 2001, richiamata nel provvedimento impugnato sub a);
c) il decreto a firma del Sindaco del Comune di Sorrento n. 141 del 21 giugno 2001, anch’esso richiamato nel provvedimento sub a);
d) ogni atto antecedente, susseguente e connesso con quelli che precedono, in particolare della relazione di accertamento del Comando di Polizia Municipale n. 4131 del 3 aprile 2001, registrata al protocollo generale del Comune di Sorrento al n. 13679 del 6 aprile 2001.

Con la sentenza n. 5584/2017 del 28 novembre 2017, il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Napoli Sez. VII ha respinto il ricorso.

La sentenza in questione è stata impugnata in appello dall’Avv. Armano Angelo, che ha chiesto l’accoglimento del presente appello con ogni conseguenza di legge.

Si è costituito in giudizio il Comune di Sorrento il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Con il primo ed unico motivo, l’appellante ha dedotto la “ Errores in iudicando: violazione e falsa applicazione di legge (L. 05.08.1978 n. 457 art. 31 lett. B);
L. 08.08.1985 n. 431 art.. 1 quinquies;
d. lgs. 29.10.1999 n. 490 artt. 151, 152 e 164;
L. 07.08.1990 n. 241 art. 3). Carenza di istruttoria. Motivazione. Insufficiente genericità
”.

In breve, si contesta la decisione gravata nella parte in cui il TAR ha affermato che il ricorrente avrebbe dovuto munirsi, prima di procedere alla realizzazione delle opere in contestazione, sia della concessione edilizia che del nulla osta paesaggistico. Sul punto, l’appellante evidenzia che il provvedimento impugnato non reca alcuna contestazione circa la mancanza di concessione edilizia.

Invero, il Tribunale non avrebbe tenuto conto che l’ingiunzione impugnata non risulta emessa ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 47 del 1985 (in relazione alla mancanza di concessione edilizia), bensì sul diverso presupposto della assenza di autorizzazione edilizia.

L’appellante osserva inoltre che gli interventi edilizi contestati non erano sanzionabili con la rimessione in pristino. Da ciò deriverebbe l’illegittimità dei provvedimenti impugnati per violazione degli articoli 7 e 10 della l. 47 del 1985, vigenti all’epoca del provvedimento, non essendo prevista la rimessione in pristino per le opere eseguite in assenza di autorizzazione edilizia di cui all’articolo 48 della l. 457 del 1978.

Ed ancora, afferma l’appellante che la mancata considerazione dell’esenzione dal rilascio dell’autorizzazione paesaggistica renderebbe illegittima anche la parte del parere della Commissione Integrata, riferita ai materiali non conformi al PUT ai sensi della legge regionale n. 35 del 1987. Secondo l’appellante, peraltro, si tratterebbe di una motivazione generica e comunque fondata su un’istruttoria inadeguata.

Infine, si evidenzia che i manufatti realizzati non avrebbero richiesto comunque l’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’articolo 151 del decreto legislativo n. 490 del 1999 (ora articolo 149 del decreto legislativo n. 42 del 2004) nonché ai sensi del d.P.R. 31 del 2017, recante approvazione del Regolamento attuativo dell’articolo 12, comma 2 del D.L. 31 maggio 2014 n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2014 n. 106, come modificato dall’articolo 25 comma 2 del D.L. 12 settembre 2014 n. 133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164.

Con successiva memoria, l’appellante ripropone le medesime doglianze contenute nell’atto di appello, ribadendo l’illegittimità dei provvedimenti impugnati.

All’udienza di smaltimento del 16 dicembre 2022 il ricorso in epigrafe è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dall’avvocato Armano – proprietario di un immobile in Sorrento - avverso la sentenza del TAR della Campania n. 5584/2017, con cui è stato respinto il ricorso avverso gli atti con cui il Comune ha contestato la realizzazione sine titulo di alcuni interventi in area sottoposta a vincolo paesistico e ne ha ordinato la rimozione.

2. L’appello è infondato.

2.1. Dall’esame del provvedimento comunale in data 11 ottobre 2001 emerge che la misura ripristinatoria sta stata adottata sulla base di un duplice ordine di rilievi: i ) in primo luogo, per l’abusività delle opere in contestazione, “ da ritenersi abusive in quanto eseguite in assenza di autorizzazione edilizia ”; ii ) in secondo luogo per il fatto che tali opere, realizzate in violazione della disciplina vincolistica esistente nell’area, erano idonee ad “ arreca[re] grave impatto ambientale al contesto circostante ”.

Al riguardo il Collegio osserva:

i ) quanto al primo aspetto, che non è affatto dimostrata l’irrilevanza urbanistica dei due interventi per cui è causa e la loro assoggettabilità al regìme della denuncia di inizio di attività ai sensi dell’articolo 4, comma 7, lettera a) del decreto-legge n. 398 del 1993, convertito con modificazioni dalla legge n. 493 del 1993 (pure, invocata dall’appellante a sostegno delle proprie tesi);

ii ) quanto al secondo aspetto, che non può condividersi la tesi dell’appellante il quale sostiene la piena irrilevanza sul piano paesaggistico degli interventi per cui è causa, con conseguente applicabilità del regìme di esenzione id cui all’articolo 151 del decreto legislativo n. 490 del 1999;

iii ) che, in ogni caso, si trattava di provvedimento ostativo di carattere plurimotivato (atteso che ciascuna delle due ragioni ostative era di per sé idonea a supportarne in modo adeguato e autonomo la parte dispositiva). Ne consegue che, in base a un consolidato orientamento, a fronte di provvedimenti di segno negativo di carattere plurimotivato (fondati su una pluralità di ragioni ostative, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportare il provvedimento di diniego), è sufficiente che una sola di tali ragioni resista alle censure, perché il provvedimento nel suo complesso non sia suscettibile di annullamento (sul punto – ex multis -: Cons. Stato, VII, sent. 4495/2022;
id., VI, 1023/2021;
id., IV, 2423/2019).

Tanto premesso in via generale, è ora possibile passare all’esame dei singoli rilievi su cui si fonda l’unico motivo di appello.

3. Come si è anticipato in narrativa, l’appellante lamenta che il Comune abbia erroneamente contestato di avere realizzato gli interventi per cui è causa in assenza della necessaria autorizzazione edilizia. Lamenta inoltre che il TAR avrebbe – in modo parimenti erroneo – affermato che tali interventi fossero assoggettati al regìme della concessione edilizia.

Secondo l’appellante, al contrario, tali interventi erano assoggettati al solo regìme della denuncia di inizio di attività ai sensi della richiamata legge n. 493 del 1993.

3.1. Ma il punto è che gli interventi realizzati dall’appellante, per la loro dimensione e consistenza, non potevano ritenersi assoggettati al richiamato regìme della semplice dichiarazione di inizio di attività.

Va premesso al riguardo che, secondo risultanze non contestate, gli interventi realizzati dall’appellante consistevano in “ un locale tecnico avente copertura in lamiere coibentate, chiusura perimetrale in alluminio anodizzato e pannelli di bachelite ” delle dimensioni di ml. 3,00 x ml. 2,50 con altezza minima di mt. 2,70 ed altezza massima di ml. 2,80, sul quale risulta installata una canna fumaria a sezione circolare, nonché di “ una tettoia in lamiere coibentate avente dimensioni di ml. 5,30 x ml. 3,80 con altezza minima di ml. 2,85 ed altezza massima di ml. 2,95, poggiante per un lato sulla parete esterna del fabbricato e per l’atro su di un muro in blocchi di siporex ”.

Al riguardo ci si limita ad osservare che:

- l’appellante invoca la previsione di cui all’articolo 4, comma 7, lettera a) del decreto-legge n. 398 del 1993;

- tale disposizione ammette(va) il regìme della d.i.a. per gli interventi di “ manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo ”;

- la normativa ratione temporis vigente (l. 457 del 1978, articolo 31) qualifica(va) gli interventi di manutenzione straordinaria come “ interventi di manutenzione straordinaria, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso ”;

- il medesimo articolo 31 qualifica(va) gli interventi di restauro e risanamento conservativo come: “ quelli rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio ”;

- gli interventi realizzati dall’appellante non potevano essere qualificati come di mera ‘manutenzione straordinaria’, ostandovi la circostanza per cui gli stessi avessero certamente comportato la realizzazione di nuova volumetria;

- i medesimi interventi neppure potevano essere qualificati come di ‘restauro e risanamento conservativo’, ostandovi la circostanza per cui gli stessi non risultassero coerenti con “ gli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso ” (in tal senso si era del resto pronunciata - e in modo plausibile - la Commissione edilizia comunale integrata dagli esperti in BB.AA.).

Non può quindi trovare accoglimento la tesi dell’appellante, la quale torna nella presente sede di appello ad invocare “ la irrilevanza urbanistica dei beni on contestazione, in quanto di minime dimensioni (…) ”.

3.2. Neppure può trovare accoglimento l’argomento secondo cui, trattandosi di interventi assoggettati al solo regìme dell’autorizzazione edilizia, avrebbe trovato nel caso in esame applicazione l’articolo 10 della legge n. 47 del 1985 il quale contempla unicamente l’irrogazione di una sanzione pecuniaria (e non anche la misura ripristinatoria nel caso di specie disposta dal Comune).

Si osserva al riguardo:

- che non risulta dimostrata l’affermazione secondo cui l’intervento in parola risultasse assoggettato al regìme dell’autorizzazione edilizia (non risultando a tal fine dirimente un passaggio sostanzialmente atecnico del provvedimento comunale in data 11 ottobre 2001). Al riguardo ci si limita ad osservare che il regìme edilizio applicabile a ciascuna tipologia di intervento rinviene il suo fondamento nella legge e non può essere modificato dall’amministrazione;

- che, in ogni caso, trattandosi di intervento realizzato su area sottoposta a vincolo sin dal 1962, la vicenda per cui è causa restava piuttosto disciplinata dall’articolo 32 della medesima legge n. 47 del 1985 il quale assoggetta(va) il rilascio di una possibile sanatoria al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Ma il punto è che, nel caso in esame, il Comune di Sorrento (autorità sub-delegata ai sensi della pertinente normativa regionale in materia paesaggistica ed ambientale) aveva invece adottato un parere negativo alla permanenza in loco dei manufatti per cui è causa

3.3. Non può infine trovare accoglimento la tesi dell’appellante secondo cui gli interventi per cui è causa sarebbero stati assoggettati al regìme dell’autorizzazione edilizia ai sensi dell’articolo 48 della legge n. 457 del 1978.

Al riguardo è dirimente osservare che la richiamata previsione stabiliva l’applicabilità di tale regìme per le sole ipotesi di interventi di manutenzione straordinaria laddove – per le ragioni già in precedenza esposte sub 3.1 - gli interventi in parola non potevano essere in tal modo qualificati.

4. Sono altresì infondati gli argomenti con cui l’appellante afferma la “ irrilevanza paesaggistica ” degli interventi in contestazione, i quali non avrebbero dovuto essere sottoposti al regìme dell’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’articolo 151 del decreto legislativo n. 490 del 1999 avrebbero – al contrario – dovuto essere considerati esentati dal rilascio di un qualunque nulla osta ai sensi del d.P.R. 31 del 2017.

4.1. Si osserva in primo luogo al riguardo che gli interventi in precedenza descritti non potevano essere ascritti ad alcuna delle ipotesi di cui all’articolo 151, cit.

Ed infatti (per le ragioni già esposte dinanzi sub 3.1) deve ritenersi che tali interventi – per la loro consistenza, dimensione e fattura – non fossero qualificabili né come manutenzione ordinaria, né come manutenzione straordinaria, né come interventi di consolidamento statico e restauro conservativo.

Non può in particolare affermarsi in alcun modo che tali interventi fossero inidonei ad alterare lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici.

Né a conclusioni diverse potrebbe accedersi accedendo alla tesi dell’appellante secondo cui i manufatti per cui è causa non fossero visivamente percepibili dalla pubblica via.

E’ sufficiente osservare al riguardo che il complesso dei valori per la cui tutela viene resa la dichiarazione di notevole interesse pubblico di un’area non si limita a quelli percepibili da singole porzioni del territorio ma mira – al contrario – a tutelare il complesso dei valori (nel caso in esame, paesaggistici) dell’area, qualunque ne sia l’angolo visuale di percezione.

4.2. Neppure può trovare accoglimento l’argomento con il quale si è lamentata la mancata applicazione del regìme di esenzione di cui al d.P.R. 31 del 2017 ( Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata ), con particolare riguardo agli impianti tecnologici esterni al servizio di singoli edifici di cui al punto A.5 dell’allegato ‘A’.

4.2.1. Va premesso che il regolamento in questione (entrato in vigore nel 2017) non potrebbe comunque rappresentare parametro di legittimità di un provvedimento (quale quello impugnato in primo grado) adottato oltre quindici anni prima della sua adozione.

Né può ritenersi – non sussistendo alcun univoco indizio normativo in tal senso – che tale regolamento fosse ricognitivo di princìpi e prescrizioni già desumibili in base alla disciplina previgente.

4.2.2. Va comunque osservato che la disposizione regolamentare invocata dall’appellante fa riferimento ai soli impianti tecnologici in quanto tali (es.: condizionatori e impianti di climatizzazione dotati di unità esterna, caldaie, parabole e antenne) e non anche ai volumi tecnici eventualmente destinati a contenerli (ed infatti, il richiamato punto A.5 non menziona in alcun modo i locali e volumi tecnici).

Fermo restando il carattere dirimente ai fini del decidere di quanto appena rilevato (e anche a voler ammettere che i volumi tecnici rientrassero in via di principio fra le previsioni di esenzione di cui al d.P.R. 31 del 2017, cit.), si osserva comunque che l’appellante non ha fornito alcuna prova del fatto che i manufatti in questione (e in particolare la tettoia di mt. 5,30 x 3,80) fossero destinati ad ospitare specifici impianti tecnici al servizio dell’edificio.

4.2.3. Non può infine essere condivisa la tesi dell’appellante secondo cui dovrebbe trovare applicazione nel caso in esame la previsione di cui all’articolo 17, comma 2 del d.P.R. 31, cit. (a tenore del quale “ non può disporsi la rimessione in pristino nel caso di interventi e opere ricompresi nell'ambito di applicazione dell'articolo 2 del presente decreto e realizzati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente regolamento non soggette ad altro titolo abilitativo all'infuori dell'autorizzazione paesaggistica ”).

La tesi in parola non può essere condivisa in quanto:

- essa fa riferimento a una previsione regolamentare che non potrebbe comunque costituire parametro di legittimità del provvedimento impugnato in primo grado (in quanto adottato ben prima dell’entrata in vigore del regolamento);

- l’articolo 17, comma 2, cit. fa comunque riferimento alle ipotesi di cui al precedente articolo 2 del medesimo regolamento ( i.e .: agli interventi per i quali non è richiesta l’autorizzazione paesaggistica): si tratta – per le ragioni in precedenza evidenziate - di un’ipotesi che non ricorre nel caso in esame;

- non può comunque ritenersi (anche in questo caso, per le ragioni già in precedenza esposte) che gli interventi per cui è causa non fossero soggetti ad altro titolo abilitativo all’infuori dell’autorizzazione paesaggistica.

5. Per le ragioni esposte l’appello in epigrafe deve essere respinto.

Sussistono nondimeno giusti ed eccezionali motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

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