Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-10-29, n. 201405346

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-10-29, n. 201405346
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201405346
Data del deposito : 29 ottobre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10127/2003 REG.RIC.

N. 05346/2014REG.PROV.COLL.

N. 10127/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10127 del 2003, proposto dalla Cogea s.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati M P, G R e G P, con domicilio eletto presso il primo, in Roma, via Pierluigi Da Palestrina, n. 19;

contro

Il Comune di Taranto, rappresentato e difeso dall'avvocato B D, con domicilio eletto presso il signor Arcangelo Bruno in Roma, via Gregorio VII, n. 150;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA – BARI, SEZIONE II, n. 3401/2002, resa tra le parti, concernente una domanda di risarcimento del danno per annullamento di una concessione edilizia per la costruzione di villette;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Taranto;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2014 il Cons. Fabio Franconiero e uditi per le parti l’avvocato Prosperetti e l’avvocato D’Onofrio, su delega dell’avvocato Decorato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Nel presente giudizio la Co.ge.a. s.r.l. chiede che il Comune di Taranto sia condannato a risarcirle i danni patrimoniali conseguenti all’annullamento (disposto in sede giurisdizionale a seguito del ricorso proposto da ‘vicini’) di due concessioni edilizie a suo tempo rilasciate in suo favore per la costruzione in contrada “Lama” di fabbricati a destinazione residenziale: undici villette monofamiliari (concessione n. 296 del 22 dicembre 1986), poi divenute quindici (variante n. 120 del 20 aprile 1990), per un totale di 1688 mq di superficie coperta assentita.

Un’ulteriore richiesta risarcitoria proposta dalla Co.ge.a. in questo giudizio si correla ai pregiudizi sofferti a causa del protratto ritardo dell’amministrazione nella conclusione dei procedimenti amministrativi di sanatoria edilizia, richiesta dalla società per gli edifici realizzati prima dell’annullamento giurisdizionale delle concessioni edilizie.

2. Questi due titoli edilizi sono stati impugnati in sede giurisdizionale da alcuni proprietari di fondi confinanti, con ricorso accolto dal TAR Puglia – sez. staccata di Lecce, con sentenza n. 679 del 13 novembre 1991, confermata da questa Sezione del Consiglio di Stato, con decisione n. 1106 del 25 ottobre 1993.

A base dell’annullamento veniva posta la violazione della fascia di inedificabilità dalla battigia, fissata in 100 metri dall’art. 51, comma IV, delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del Comune di Taranto per la zona in questione (tipizzata D11, “preesistenze edilizie residenziali della fascia costiera e altre preesistenti iniziative edilizie non regolamentate”).

Con una statuizione confermata in appello, infatti, il TAR accertava il superamento della fascia in questione, mediante computo della distanza di ciascun fabbricato rispetto al più vicino punto della battigia, e non già su una ideale linea retta parallela, così da consentire il rispetto della distanza lungo tutta la costa, seguendo la sinuosità della stessa.

3. Successivamente all’annullamento in sede giurisdizionale dei titoli, la società ricorrente chiedeva in data 28 febbraio 1995 - ai sensi della legge n. 724/1994 – la sanatoria delle dieci unità immobiliari costruite in violazione della fascia di rispetto.

Il Comune di Taranto non si è tuttavia mai pronunciato in via definitiva su nessuna delle singole istanze, malgrado il versamento delle somme a titolo di oneri di urbanizzazione ed oblazione.

4. Sulla base di questi fatti, la Co.ge.a. sostiene che il rilascio delle concessioni edilizie ed il ritardo nel pronunciarsi sulle istanze di condono conseguenti al loro annullamento in sede giurisdizionale configurino due distinti fatti illeciti dell’amministrazione, rilevanti ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., e ne chiede pertanto la condanna a risarcirle i pregiudizi perciò subiti, consistenti nelle spese di progettazione e negli oneri infruttuosamente sostenuti per la sanatoria, quale danno emergente, nonché nel mancato guadagno derivante dallo sfruttamento commerciale degli immobili e nella perdita di clientela, a titolo di lucro cessante.

5. Dopo avere respinto l’eccezione di prescrizione sollevata dal Comune resistente, il TAR ha respinto nel merito entrambe le domande risarcitorie.

Quanto alla prima, il giudice di primo grado ha statuito che l’errore dell’amministrazione nel rilascio dei titoli edilizi fosse ‘scusabile’, in ragione della non agevole interpretazione ed applicazione nel caso di specie dell’art. 51 delle norme tecniche di attuazione, di cui è stata accertata la violazione nel giudizio impugnatorio.

Quanto alla seconda, il giudice di primo grado ha reputato decisivi la natura discrezionale del potere di sanatoria edilizia e l’esito non prevedibile del relativo procedimento, tali da impedire una prognosi favorevole alla società ricorrente in ordine al bene della vita da questa atteso.

6. La Co.ge.a. ha quindi proposto appello, al quale resiste il Comune di Taranto.

Il Comune di Taranto si è costituito in giudizio, chiedendo la reiezione dell’appello.

Le parti hanno depositato memorie, con cui hanno illustrato le questioni controverse ed hanno insistito nelle formulate conclusioni.

All’udienza dell’8 ottobre 2014, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Si deve preliminarmente dare atto che nella propria memoria conclusionale la società appellante ha posto la questione della sussistenza della giurisdizione amministrativa nella presente controversia, richiamando l’orientamento delle Sezioni unite della Cassazione secondo cui sarebbero devolute alla giurisdizione ordinaria le controversie risarcitorie per lesione dall’affidamento sulla legittimità di atti amministrativi, poi invece annullati (si tratta del criterio di riparto espresso nelle ordinanze delle Sezioni unite 23 marzo 2011, nn. 6594 - 6596;
fatto proprio da questa Sezione, nella sentenza 2 agosto 2013, n. 4059, nonché dal Cons. giust. amm. Sicilia, nella sentenza 14 maggio 2014 n. 282).

La Co.ge.a. ha quindi rimesso alla valutazione della Sezione circa la <<persistenza della giurisdizione in capo al G.A.>> , salvo <<il c.d. giudicato implicito interno>> .

2. Ciò premesso, la questione deve essere esaminata con priorità, poiché la potestà di decidere la controversia costituisce il necessario presupposto processuale per l’adozione da parte del giudice adito qualsiasi tipo di pronuncia sulla stessa (cfr. Ad. Plen., 3 giugno 2011, n. 10).

3. Il Collegio reputa che in questa sede non possa essere oggetto di contestazione la sussistenza della giurisdizione amministrativa.

4. Deve infatti farsi applicazione della regola costantemente affermata da questo Consiglio di Stato, secondo cui non può essere la stessa parte che ha adito una giurisdizione a porne poi in discussione la potestas iudicandi (in questo senso, Sez. VI, 27 agosto 2014, n. 4337;
Sez. V, 12 novembre 2013, n. 5421, 7 dicembre 2012 n. 656).

5. Si rileva, inoltre, che le stesse Sezioni Unite della Cassazione hanno statuito che anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 9, comma 1, cod. proc. amm. il difetto di giurisdizione non può essere rilevato o eccepito in appello quando la causa sia stata decisa nel merito in primo grado (sentenza 29 luglio 2013, n. 18188), e che, quindi, anche per le sentenze emesse prima dell’entrata in vigore del codice del processo opera il giudicato implicito interno su tale questione (Sez. Un., 9 ottobre 2008, n. 24883).

6. Va segnalato che la pronuncia di questa Sezione del 13 maggio 2014, n. 2446 ha invece ritenuto ammissibile l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata in appello mediante memoria dall’amministrazione resistente, nel regime previgente al codice del processo, sul rilievo della irretroattività dell’art. 9 del c.p.a. e, per contro, dell’operatività, prima della sentenza delle Sezioni unite 9 ottobre 2008, n. 24883 (che ha comportato un overruling ), della contraria regola espressa dall’Adunanza plenaria nella decisione 30 agosto 2005 n. 4, secondo cui la questione di giurisdizione poteva essere riesaminata in via ufficiosa dal giudice d’appello, ed a fortiori se riproposta con semplice memoria, purché su di essa non vi fosse stata una esplicita pronuncia del giudice di primo grado.

6. Tuttavia, la fattispecie oggetto del presente giudizio è diversa da quella esaminata da questa Sezione nella citata sentenza n. 2446 del 2014.

In quel caso, infatti, il difetto di giurisdizione era stato comunque eccepito dall’amministrazione resistente, in conformità alle regole applicabili al momento in cui tale facoltà difensiva era stata esercitata, cosicché la relativa questione risultava ritualmente devoluta alla cognizione del giudice d’appello.

Invece, nel presente giudizio d’appello la questione non è stata posta da alcuna delle parti litiganti, né con l’appello principale, né con un appello incidentale.

Conseguentemente, in applicazione del principio tempus regit actum applicabile in sede processuale, è inibito a questo giudice esercitare un potere ormai non più consentito dalla disciplina vigente allo stato attuale, in virtù dell’art. 9 cod. proc. amm. più volte citato.

7. Di seguito, deve essere esaminata l’istanza di sospensione del processo, che il Comune di Taranto ha formulato nella propria memoria conclusionale, sul presupposto che davanti alla VI Sezione di questo Consiglio di Stato pende il giudizio d’appello (r.g. n. 1429/2014) avverso la sentenza del TAR di Lecce n. 1497 del 21 giugno 2013, che ha accolto l’impugnativa promossa dalla Co.ge.a. contro l’annullamento ministeriale del nulla-osta paesaggistico all’istanza di condono dei fabbricati oggetto del presente giudizio (decreto n. 11127 del 20 dicembre 2006, notificato in data 10 gennaio 2007, del Soprintendente per i beni e le attività culturali per le province di Lecce – Brindisi – Taranto).

Ad avviso dell’amministrazione appellata, la conferma della sentenza di primo grado determinerebbe il venir meno di ogni ostacolo al rilascio della sanatoria, così rimuovendo i pregiudizi lamentati dalla società nel presente contenzioso.

8. La tesi del Comune è tuttavia contraddetta da quanto deduce la Co.ge.a. nei propri scritti difensivi, e ha ribadito poi in sede di discussione, e cioè che il condono non eliderebbe tutti i pregiudizi di cui la stessa società invoca il risarcimento, non potendo la sanatoria essere rilasciata per l’intera volumetria originariamente assentita.

Questa circostanza, non contestata, costituisce quindi ragione sufficiente per respingere l’istanza di sospensione.

Peraltro, anticipando sin d’ora le conclusioni cui si perverrà esaminando nel merito delle richieste risarcitorie, l’istanza di sospensione deve essere disattesa anche per la decisiva considerazione che le domande della Co.ge.a. devono essere respinte.

9. Prima di affrontare il merito della controversia, occorre tuttavia dare atto che il Comune di Taranto ha reiterato nella propria memoria conclusionale anche l’eccezione di prescrizione della domanda ex adverso azionata, in modo tuttavia evidentemente inammissibile, perché la stessa eccezione è già stata respinta dal giudice di primo grado, con statuizione non ritualmente impugnata con appello incidentale da parte della medesima amministrazione.

10. Venendo quindi al merito, deve innanzitutto rilevarsi che risulta coperto dal giudicato interno anche il capo della sentenza con cui è stata respinta la domanda per il danno da ritardo nel rilascio della sanatoria.

Nel proprio appello, infatti, la Co.ge.a. non ha formulato nei confronti di tale statuizione alcuna censura. I motivi contenuti nella presente impugnazione sono per contro rivolti in via esclusiva all’altro capo di sentenza, vale a dire a quello in cui è stata del pari disattesa la domanda risarcitoria da affidamento sulla legittimità della concessione edilizia e successiva variante, poi annullate in sede giurisdizionale.

11. Come accennato sopra, la domanda risarcitoria riproposta in questa sede è invece infondata.

Il Collegio ritiene che per il suo rigetto non rileva l’errore scusabile riscontrato dal T.A.R., ma rileva l’insussistenza di un affidamento meritevole di tutela risarcitoria.

Le concessioni edilizie a suo tempo sono state rilasciate all’odierna appellante a seguito della presentazione, da parte sua, dei progetti da essa elaborati: la società non può ora dolersi a fini risarcitori del loro annullamento giurisdizionale, perché gli atti di assenso dell’amministrazione sono risultati illegittimi, in quanto i suoi progetti erano contrari alle norme tecniche di attuazione.

Applicando allora il principio generale dell’ordinamento giuridico secondo cui l’ignoranza della legge non scusa, estensibile anche agli atti normativi di carattere regolamentare, deve ritenersi che la Co.ge.a. fosse consapevole o comunque abbia quanto meno colpevolmente ignorato che la propria iniziativa era contra legem .

Conseguentemente, o si deve escludere qualsiasi affidamento sulla legittimità dei titoli ad edificare ciò nondimeno ottenuti o si deve negare che questo affidamento sia meritevole di tutela risarcitoria.

12. Va allora evidenziato sul punto che – sia pure nel ritenere sussistente la giurisdizione del giudice civile per le controversie relative a domande di risarcimento danni azionate dai privati destinatari di provvedimenti favorevolie poi annullati - con le ordinanze nn. 6594-6596 del 23 marzo 2011 le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno individuato l’essenza di questa fattispecie di illecito, sul piano sostanziale, proprio nell’<< incolpevole convincimento>> dei destinatari sulla legittimità degli atti, invece frustrato in conseguenza del loro annullamento.

Nell’ordinanza n. 6594, relativa ad un caso analogo a quello oggetto del presente giudizio, di danni lamentati dal proprietario di suoli per i quali era stato rilasciato un permesso di costruire, la Suprema Corte ha affermato che quest’ultimo ha <<il diritto di fare affidamento sulla legittimità dell'atto amministrativo e, quindi, sulla correttezza dell'azione amministrativa>> .

13. La Sezione ritiene tuttavia che un simile affidamento è tutelabile in quanto esso non sia a sua volta inficiato da colpa.

Nell’ordinamento giuridico, vi è un principio generale, secondo cui non può fondatamente chiedere il risarcimento dei danni chi abbia con la sua colpa cagionato la sua verificazione.

Nel diritto privato ciò si desume dall’art. 1338 cod. civ., relativo alle ipotesi di responsabilità precontrattuale in capo alla parte che abbia taciuto una causa di invalidità del contratto nei confronti dell’altra parte, che ottiene la tutela risarcitoria solo se abbia confidato, <<senza sua colpa>> , nella validità del contratto: l’affidamento sul buon esito delle trattative non è quindi riconosciuto meritevole di tutela se la parte si sia rappresentata o si sarebbe potuta rappresentare l’esistenza di una patologia del contratto poi concluso.

Nel diritto amministrativo, è applicabile un corrispondente principio, per il quale chi chiede il rilascio di un provvedimento amministrativo, in assenza dei relativi presupposti e dunque chiedendo ciò che non ha titolo ad ottenere, non si può dolere del fatto che – in applicazione doverosa del principio di legalità – il provvedimento medesimo sia annullato o in sede giurisdizionale (su ricorso di chi vi abbia interesse), o in sede di autotutela (da parte dell’autorità emanante), ovvero quando vi siano ragioni di tutela dell’unità dell’ordinamento (da parte del Governo, ai sensi dell’art. 2, comma 3, lettera p) della legge n. 400 del 1988).

In tal caso, o in sede giurisdizionale o in sede amministrativa è rimosso il provvedimento che ha inevitabilmente leso l’interesse pubblico rilevante nel settore (e nelle materie dell’edilizia e del paesaggio, l’integrità del territorio e dell’ambiente, la cui lesione comporta l’irrogazione delle relative sanzioni e non la spettanza di un risarcimento che altrimenti premierebbe un comportamento contra ius ).

Nel caso di proposizione di una domanda non accoglibile, il “bene della vita” non spetta ab origine e il successivo annullamento del titolo abilitativo illegittimamente formatosi non consente di chiedere un risarcimento del danno per la perdita di un quid sostanzialmente non spettante.

Del resto, nel caso di annullamento in sede giurisdizionale di un titolo abilitativo, in accoglimento del ricorso proposto da parte di chi vi abbia interesse, è solo costui che può chiedere il risarcimento del danno nei confronti del soggetto che ha chiesto ed ottenuto il titolo non spettante, ovvero – se del caso – anche nei confronti dell’amministrazione che avrebbe dovuto respingere la domanda e non abbia adeguatamente valutato la fattispecie, così concausando il danno verificatosi (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 15 ottobre 2012, n. 5379).

Non può invece dolersi del danno chi – per una qualsiasi evenienza e con un provvedimento espresso, ovvero a seguito di un silenzio assenso o una s.c.i.a. – abbia ottenuto un titolo abilitativo presentando un progetto oggettivamente non assentibile: in tal caso il richiedente sotto il profilo soggettivo ha manifestato quanto meno una propria colpa (nel presentare il progetto assentibile solo contra legem ) e sotto il profilo oggettivo attiva con efficacia determinante il meccanismo causale idoneo alla verificazione del danno.

In altri termini, la domanda della Co.ge.a. va respinta perché ha causato l’emanazione delle concessioni edilizie, per avere appunto presentato un progetto non conforme alle norme urbanistiche rilevanti nella presente fattispecie: essa, a ben vedere, in linea di principio va considerata autrice di un illecito, e non già danneggiata, poiché gli unici soggetti astrattamente danneggiati dall’emanazione dei titoli ad edificare (poi annullati in sede giurisdizionale) sono la stessa Amministrazione (del quale è stato violato il territorio, salve le questioni riguardanti le domande di condono), nonché i confinanti che hanno vittoriosamente esperito l’azione impugnatoria contro i provvedimenti in questione.

Solo nei confronti di costoro, la società immobiliare odierna appellante ed il Comune di Taranto hanno invece colpevolmente concorso all’illegittimità provvedimentale, mediante condotte autonome ma causalmente convergenti nella realizzazione dell’illecito, secondo un principio generale dell’ordinamento cui si ispira anche l’art. 2055, primo comma, cod. civ.: la prima per avere presentato un progetto costruttivo in violazione dei limiti di edificabilità applicabili nella zona, la seconda per averne consentito la realizzazione mediante i necessari assensi.

Ne consegue che un medesimo fatto non può, per la contraddizione che non lo consente, ad un tempo costituire un illecito fonte di responsabilità civile, ma anche di pregiudizi tutelabili allo stesso titolo per il suo autore.

Difetta in questo caso il necessario presupposto dell’antigiuridicità, che nell’illecito civile si sostanzia nell’ingiustizia del danno ex art. 2043 cod. civ. ( contra ius e non iure ), e che consiste – come ampiamente noto - nella lesione di una situazione soggettiva riconosciuta meritevole di tutela dall’ordinamento giuridico, e che rileva anche quando si tratti di controversie di diritto pubblico, per verificare quando sia configurabile un illecito.

Lo stesso ordinamento giuridico non può ad un tempo riprovare un fatto e allo stesso offrirgli protezione, sotto forma di risarcimento per equivalente. E la conferma di quanto ora affermato si trae dal fatto che, come visto sopra, non è ammessa la tutela dell’affidamento colpevole in ordine ad un comportamento altrui.

Pertanto, la Co.ge.a. non può pretendere dal Comune di Taranto alcunché a titolo di risarcimento di danni per il rilascio in suo favore delle concessioni edilizie poi annullate, atteso che, lungi dall’avere per effetto di ciò subito una lesione ad un bene giuridicamente protetto, in realtà l’appellante – nel presentare un progetto ab origine inaccoglibile – con il proprio determinante impulso ha concorso con l’amministrazione ad arrecare danni ingiusti a terzi.

14. Un ultimo rilievo va doverosamente svolto con riguardo a dubbi circa possibili punti di frizione tra quanto osservato finora ed i principi affermati dalle Sezioni unite della Cassazione nelle più volte citate ordinanze nn. 6594 – 6596 del 23 marzo 2011.

Dubbi della specie devono tuttavia essere fugati, perché, innanzitutto, la presente vicenda contenziosa è connotata da un decisivo contributo causale della pretesa danneggiata, che può in ipotesi non essere riscontrabile in altre ipotesi di attività amministrativa a fronte della quale si collocano interessi legittimi pretensivi, ed in secondo luogo perché le pronunce delle Sezioni unite in esame sono state emesse in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, trattandosi quindi di statuizioni limitate alla sola qualificazione delle domande azionate in quei giudizi, al fine di individuare il giudice munito di giurisdizione sulle stesse, senza alcun esame della relativa fondatezza.

18. Per tutto quanto sopra, l’appello deve essere respinto.

Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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