Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-04-27, n. 202203322

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-04-27, n. 202203322
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202203322
Data del deposito : 27 aprile 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/04/2022

N. 03322/2022REG.PROV.COLL.

N. 04840/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4840 del 2021, proposto da
Comune di Pignataro Maggiore, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato R L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

A B, rappresentato e difeso dall'avvocato L A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

D D G, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 05244/2020, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di A B;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 aprile 2022 il Cons. Thomas Mathà;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’appello che viene sottoposto a questo Consiglio di Stato riguarda il permesso di costruire n. 18/2008, rilasciato dal Comune di Pignatario Maggiore (CE) a D D G e concernente la “ dimostrazione delle regolarità urbanistica ed edilizia della sopraelevazione di cui al permesso di costruire n. 39 del 23/09/2008 e della successiva variante in corso d'opera n. 14 del 03/05/2011 (Testo Unico dell'edilizia (Dpr 380/2001 e succ. mod. e integr.) ”.

2. Con il predetto titolo edilizio del 2008 (e la variante del 2011) il Comune aveva assentito una sopraelevazione di un fabbricato composto da un solo piano terra.

3. Nel 2013, in seguito ad una denuncia di un proprietario confinante, A B, il Comune, ritenendo tale segnalazione fondata e quindi viziati i propri provvedimenti (per: i) violazione delle distanze tra pareti finestrate; ii) eccesso volumetrico; iii) falsa rappresentazione dello stato dei luoghi), annullava i permessi di costruire in autotutela con l’ordinanza n. 90/2013 ed ingiungeva la demolizione delle opere. Successivamente la Signora di Gaetano presentava un’istanza, volta sostanzialmente a (ri)esaminare la regolarità urbanistico-edilizia dei permessi annullati dallo stesso Comune. L’ente locale riscontrava l’istanza con il permesso di costruire n. 18/2018.

4. Tale atto veniva impugnato da A B al TAR per la Campania, che, in seguita ad una verificazione, ha accolto il ricorso e annullato il titolo edilizio con sentenza n. 5244/2020, giudicando fondati i motivi proposti dal ricorrente.

5. Il TAR partenopeo ha motivato tale pronuncia con l’atipicità del provvedimento gravato rispetto al modello legale e la contraddittorietà dell’agire amministrativo, essendo una sanatoria che non rientra però nei canoni dell’accertamento di conformità urbanistica di cui agli articoli 36 o 38 del D.P.R. n. 380/2001. Facendo proprie le conclusioni della verificazione, il primo giudice accertava che la sopraelevazione violava la distanza legale di 10 metri tra pareti finestrate di cui all’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 e che il Comune aveva atipicamente rilasciato un titolo edilizio in sanatoria, non rientrando né nello schema giuridico previsto, né avendo la pratica i relativi presupposti fattuali. Il TAR chiariva invece che l’annullamento del proprio provvedimento avveniva in quanto era stata violata la disciplina urbanistica (art. 11 delle NTA del PRG e art. 9 del D.M. n. 1444/1968).

6. Contro questa pronuncia il Comune di Pignatario Maggiore ha proposto appello, chiedendo incidentalmente la sospensione della sentenza gravata.

7. Si è costituita in giudizio l’appellato Sig. A B, chiedendo il rigetto del ricorso. Non si è costituita la controinteressata D D G, già contumace nel giudizio di primo grado.

8. La Sezione ha accolto l’istanza cautelare e, con l’ordinanza n. 3770/2021, nel bilanciamento tra i contrapposti interessi, ritenendo prevalente l’interesse del Comune appellante a non vedersi costretto ad effettuare un’attività amministrativa irreversibile (consistente nella demolizione dell’immobile di proprietà della signora D G), ha sospeso l’esecutività della sentenza.

9. La parte appellata ha depositato un’ulteriore articolata memoria il 18.3.2022, insistendo sulle proprie conclusioni già rassegnate nella comparsa di costituzione.

10. Con note depositate il 15.4.2022 e 19.4.2022, entrambe le parti hanno chiesto il passaggio in decisione della causa senza la preventiva discussione.

11. La causa è stata introitata in decisione all’udienza pubblica del 21 aprile 2022.

12. Con il ricorso d’appello il Comune di Pignatario Maggiore ha sollevato due censure avverso l’impugnata sentenza. Sostiene principalmente che la sentenza sarebbe erronea nel suo arresto motivazionale in quanto la fattispecie non sarebbe stata vagliata dai giudici di prime cure alla luce dell’art. 5 del D.L. n. 32/2019, convertito con la legge n. 55/2019 (cd. decreto “ sblocca-cantieri ”) nella parte in cui, incidendo sul DM n. 1444/1968, prevedrebbe che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alle zone di cui al primo comma, n. 3 dell’art. 9 del citato decreto ministeriale. A prosieguo, l’amministrazione appellante si lamenta che il TAR abbia omesso ad integrare la verificazione in primo grado sui quesiti n. 2 e 4 originariamente posto dal collegio.

13. Il ricorso non è fondato.

14. Preliminarmente il Collegio deve affrontare l’eccezione di inammissibilità del primo motivo del ricorso, sollevato dalla parte appellata, che deduce che si tratterebbe di argomento nuovo, non speso in primo grado.

14.1 L’eccezione ha pregio, in quanto non risulta proposta nel giudizio di primo grado, né con il ricorso introduttivo, né con le successive memorie ex art. 73 cod. proc. amm., violando quindi il principio del ius novorum . La censura oggetto del presente capo d’impugnazione non può quindi che essere considerata nuova in quanto formulata per la prima volta in appello, in contrasto con il pacifico principio giurisprudenziale per il quale “ il perimetro del giudizio di appello è circoscritto dalle censure ritualmente sollevate in primo grado, sicché non possono trovare ingresso le censure nuove dell'appellato, proposte per la prima volta in questa sede in violazione del divieto dei nova sancito dall'art. 104 c.p.a. ” (Cons. Stato, Sez. IV, n. 5392/2021).

15. Ma la doglianza è inoltre manifestamente infondata, dovendo ribadire anche in questa sede le conclusioni della Sezione in un caso del tutto analogo (Cons. Stato, sez. VI, n. 6613/2021).

15.1 L’appellante afferma che alla luce dell’articolo 5 del decreto-legge n. 32 del 2019, convertito dalla legge n. 55 del 2019, i limiti di distanza tra fabbricati previsti dall’articolo 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 dovrebbero riferirsi esclusivamente alle zone di cui al primo comma, n. 3 dello stesso articolo 9, ovvero alle zone omogenee C (corrispondenti alle parti del territorio non edificate o con edificazione di minore intensità), mentre nel caso in esame il fabbricato in contestazione sarebbe situato in zona B. Questo avrebbe la conseguenza che il Tar avrebbe errato nell’accogliere il ricorso in quanto prima della decisione già era intervenuta la novella legislativa ed il giudice era tenuto ad applicarla ex officio trattandosi di norma interpretativa (anche se non oggetto di difese sul punto, né in sede di controdeduzioni alla verificazione, né in sede di memorie o di discussione).

15.2 La Sezione – pur concordando sulla natura interpretativa della disposizione (cfr. in questo senso Cass. Civ. n. 7027 del 2021) nella richiamata pronuncia C.d.S., sez. VI n. 6613 del 2021 (rilevante nel caso di specie, come si vedrà, è anche C.d.S., sez. IV, n. 6282 del 2020 sulla nozione di nuovo edificio o costruzione rispetto a ristrutturazione di edifici preesistenti, in parte agevolate a condizione di rispettare la volumetria preesistente per consentire l’operatività dell’ecobonus ed il rilancio dell’economia ) ha accertato al punto 9.2 che “ non sussiste poi la lamentata falsa applicazione dell’articolo 5, comma 1, lettera b-bis, del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 (Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici), convertito dalla legge n. 55 del 2019. Tale disposizione recita: «Al fine di concorrere a indurre una drastica riduzione del consumo di suolo e a favorire la rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, a incentivare la razionalizzazione di detto patrimonio edilizio, nonché a promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti, nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione, ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili e di assicurare il miglioramento e l’adeguamento sismico del patrimonio edilizio esistente, anche con interventi di demolizione e ricostruzione: […] le disposizioni di cui all’articolo 9, commi secondo e terzo, del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, si interpretano nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alle zone di cui al primo comma, numero 3), dello stesso articolo 9». È dirimente considerare che, anche dopo l’intervento citato, in zona “B”, così come nelle altre zone (“D”, “E”, “F”), per le «nuove costruzioni», vale il limite della distanza di dieci metri (senza maggiorazioni). La norma invocata non incide infatti sul contenuto normativo dell’art. 9, comma 1, n. 2), del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, secondo cui: «Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti».

Nel caso che occupa questa vertenza, sussistono i presupposti per l’applicazione della predetta disposizione, considerato che:

i) l’attività edilizia va qualificata come ‘nuova costruzione’, in quanto la sopraelevazione di un piano costituisce un ampliamento plano-volumetrico del fabbricato;

ii) dalla verificazione di primo grado si è potuto rilevare che l’edificio in questione ricade in zona B/1.

iii) non si fa – nella specie – questione di applicazione dei commi secondo e terzo dell’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 (ossia delle c.d. maggiorazioni ivi previste) ma del limite generale di cui al comma 1 applicabile anche in zona B.

15.3 Ma vi è di più. Con le modifiche apportate dall’art. 5 del D.L. n. 32/2019 all’art. 2 bis del TUE (norma avente carattere innovativo e quindi non retroattiva) la demolizione e ricostruzione di un fabbricato (che non è il caso di questo giudizio, che invece è una sopraelevazione) è consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest’ultimo. In caso diverso, le eventuali disposizioni derogatorie sulle distanze devono comunque essere previste dai Comuni nell’ambito degli strumenti urbanistici. Anche la Corte costituzionale con la sentenza n. 30/2020, avallando i principi generali espressi dalla giurisprudenza amministrativa in tema di inderogabilità dell’art. 9 D.M. n. 1444/1968, ha chiarito che la disposizione contenuta nel citato art. 9, che prescrive la distanza di dieci metri che deve sussistere tra edifici antistanti, ha carattere inderogabile, poiché si tratta di norma imperativa, la quale predetermina in via generale ed astratta le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza. Questo Consiglio ha poi ulteriormente chiarito che “ tali distanze sono coerenti con il perseguimento dell’interesse pubblico e non già con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile. La medesima disposizione tuttavia riguarda “nuovi edifici”, intendendosi per tali gli edifici o parti e/o sopraelevazioni di essi (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 3522/2016) “costruiti per la prima volta” e non già edifici preesistenti, per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse .” (Cons. Stato, sez. IV, n. 6282/2020).

16. Inconferente ed infondato risulta al Collegio anche il secondo motivo, con il quale si censura il rigetto del TAR in merito all’integrazione della verificazione su due punti. Il primo giudice ha considerato esaurienti le illustrazioni del prof. G C in merito alla violazione delle distanze, e si può confermare questa conclusione anche in questa sede d’appello, data la chiarezza della verificazione a stabilire il mancato rispetto delle distanze tra pareti finestrate (e come emerge senza dubbio anche dalle risposte n. 2 e 3, che confermavano pienamente l’assunto precedente del Comune nell’ordine di demolizione n. 90/2013). Questo è ulteriormente avvallato dalla circostanza che l’appellante non ha impugnato il principale capo della sentenza con il quale il TAR ha invece accertato puntualmente i vizi del provvedimento.

17. Il Collegio può constatare infine, alla luce dello scrutinio di tutti i motivi proposti ed esaminati, che l’appello non è fondato. Sussistono giustificati motivi, stante la peculiarità della vicenda, per compensare le spese di lite.

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