Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-04-30, n. 201902821

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-04-30, n. 201902821
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201902821
Data del deposito : 30 aprile 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/04/2019

N. 02821/2019REG.PROV.COLL.

N. 07321/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7321 del 2017, proposto dal signor D C, rappresentato e difeso dagli avvocati P B e U R ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo dei suindicati difensori (studio legale D’Ercole) in Roma, via Mirabello n. 18;

contro

il Comune di Orbetello, in persona del Sindaco pro tempore , non costituito nel presente grado di giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, Sez. III, 13 marzo 2017 n. 387, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del 31 gennaio 2019 il Cons. S T e udito, per la parte appellante, l’avvocato Maria Luisa Jaus, per delega dell'avvocato Umberto Ricchiello;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Con ricorso in appello il signor D C ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, Sez. III, 13 marzo 2017 n. 387, con la quale è stato respinto sia il ricorso (R.G. n. 613/2014) proposto ai fini dell’annullamento della determina dirigenziale prot. n. 12/2014 del 12 febbraio 2014, emessa dal dirigente del Settore pianificazione territoriale e lavori pubblici del Comune di Orbetello, con la quale veniva ordinata la rimessa in pristino con ingiunzione di demolizione delle opere abusive realizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.

2. – La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso in grado di appello può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti nei due gradi di giudizio come segue:

- l’odierno appellante, signor D C, all’epoca dei fatti qui in esame era comproprietario (con la madre, signora Laura Scotto e con la sorella, signora Elena Cerulli) di un immobile sito nel Comune di Orbetello (Provincia di Grosseto);

- all’esito di un sopralluogo della locale Polizia municipale, veniva redatto un verbale di contestazione, del 28 ottobre 2013, delle seguenti opere abusivamente realizzate, in quanto per esse non era stato preventivamente ottenuto il necessario titolo edilizio: una struttura in materiali misti e copertura in onduline di eternit parte ad uso abitativo e parte ad uso magazzino;
una tettoia in legno, collocata in posizione antistante rispetto alla suindicata struttura;
un pontile in legno che partendo dall'ancoraggio a terra si protendeva sopra lo specchio acqueo della laguna eseguito su proprietà del demanio statale (censita in Catasto al foglio 107 particella 1);

- veniva quindi adottato dai competenti uffici del Comune di Orbetello il provvedimento di demolizione di tali opere che era impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, con la proposizione di cinque motivi di illegittimità dell’atto gravato;

- con riferimento ai primi quattro motivi dedotti con il ricorso, il Tribunale amministrativo dichiarava la loro inammissibilità “ in quanto investono solo il capo del provvedimento impugnato che pone alla base della irrogata sanzione demolitoria la assenza del permesso edilizio ma non anche l’autonoma parte del provvedimento in cui il comune ha specificato che l’ordine di ripristino trova fondamento anche nell’art. 167 del D.Lgs 42 del 2004 che si riferisce alle opere costruite in zona sottoposta a vincolo paesaggistico senza la prescritta autorizzazione ”, concludendo nel senso che, in ragione di tale deficit impugnatorio veniva meno ogni utilità nello scrutinio da parte del giudice amministrativo dei suddetti motivi in quanto, in ogni caso, “ il provvedimento sanzionatorio è comunque divenuto definitivo nella parte in cui irroga la sanzione paesaggistica i cui fondamenti non sono in alcun modo stati posti in discussione ” (così, testualmente, nella sentenza qui fatta oggetto di appello nonché nell’atto introduttivo del presente grado di giudizio alla pag. 3);

- con riferimento al quindi motivo di ricorso, il giudice di primo grado ne dichiarava la infondatezza sul presupposto che “ secondo un costante orientamento giurisprudenziale, fatto proprio in più occasioni anche dalla Sezione, l’individuazione dell’area di sedime da acquisire gratuitamente in caso di mancato adempimento dell’ordine di demolizione può avvenire anche in una fase successiva a quella della sua emanazione ” (così ancora, testualmente, nella sentenza qui fatta oggetto di appello nonché nell’atto introduttivo del presente grado di giudizio alla pag. 3).

Da qui la proposizione dell’appello nei confronti della sentenza pronunciata dal giudice di primo grado.

3. – Con il mezzo di gravame qui in scrutinio l’odierno appellante rileva la erroneità della sentenza fatta oggetto di appello per le seguenti ragioni.

In primo luogo, effettuando una sorta di “sezionamento anatomico” delle varie parti che costituiscono l’atto impugnato, sostiene l’appellante che non è rinvenibile una “autonoma parte del provvedimento in cui il Comune abbia specificato che l’ordine di ripristino trova fondamento anche nell’art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 20014, n. 42 e, conseguentemente l’ordine di demolire si riferisca ad opere costruite in zona sottoposta a vincolo paesaggistico senza il previo rilascio del prescritto titolo a costruire. Puntualizza ancora l’appellante che, anche in considerazione di quanto contenuto nell’oggetto del provvedimento di demolizione, non emerge in alcun modo che l’intento, o la volontà, del Comune fosse di sanzionare l’autore dell’abuso sia per aver realizzato opere in violazione della normativa edilizia sia per aver violato quanto prescritto dalla normativa paesaggistica ai sensi del d.lgs. 42/2004.

D’altronde, deve ribadirsi che gli atti repressivo sanzionatori, per i gravi effetti che da essi discendono, debbono “ indicare in maniera esplicita i presupposti di fatto e diritto che giustifichino l’esercizio del relativo potere amministrativo, la volontà non equivoca di sanzionare quel determinato illecito amministrativo e le conseguenze giuridiche specifiche nelle quali il privato incorre stante la commissione dell’illecito ” (così, testualmente, a pag. 6 dell’atto di appello).

In ogni caso l’appellante aveva e ha interesse alla verifica sulla fondatezza delle censure dedotte in primo grado e ritenute erroneamente inammissibili dal Tribunale amministrativo regionale, anche perché l’opera, al momento della presentazione dell’appello, non è ancora stata demolita e ciò rende ancor più evidente l’interesse del privato alla pronuncia sulla legittimità o meno della parte del provvedimento che irroga la sanzione edilizia, posto che da un punto di vista paesaggistico può ancora essere proposta la domanda di compatibilità.

Va poi ribadita la illegittimità del provvedimento di demolizione nella parte in cui non indica esattamente l'area di sedime da acquisirsi al patrimonio comunale in difetto di demolizione.

4. – L’appellante ripropone, quindi, i quattro motivi di ricorso non esaminati dal Tribunale amministrativo regionale avendoli dichiarati inammissibili. I motivi sono i seguenti:

1) eccesso di potere per carenza di istruttoria, falsa rappresentazione degli elementi di fatto e diritto presupposti al provvedimento e violazione del giusto procedimento, in quanto dalla lettura del provvedimento impugnato emerge con evidenza come gli uffici comunali, nell’adottare l’ingiunzione a demolire, si sono limitati a ricopiare il contenuto del verbale della Polizia municipale del 28 ottobre 2013 piuttosto che, come invece avevano l’obbligo di fare, svolgere una autonoma attività istruttoria per accertare l’esistenza dell’asserito illecito attribuito ai comproprietari dell’immobile. Se tale attività istruttoria fosse stata svolta, gli uffici avrebbero agevolmente potuto constatare che l’opera asseritamente illegittima è costituita trattasi da un manufatto precario adibito al rimessaggio attrezzi, senza che possa in nessun modo considerarsi una struttura adibita, in parte, ad uso abitativo;

2) violazione dell'art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241 ed eccesso di potere per violazione del giusto procedimento, visto che i destinatari del provvedimento recante la ingiunzione a demolire non hanno ricevuto in sede di avvio del relativo procedimento la dovuta comunicazione, per come prescrive puntualmente l’art. 7 l. 241/1990, atteso peraltro che, nell’atto di ingiunzione, manca qualsivoglia riferimento alle ragioni di urgenza che avrebbero, al più, potuto giustificare la mancanza della comunicazione dell’atto di avvio della procedura repressivo sanzionatoria a carico dei proprietari dell’immobile;

3) violazione dell'art. 132 della legge della Regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1/2005, perché se fosse stata espletata una puntuale istruttoria si sarebbe potuto appurare e se fosse stato consentito ai comproprietari di parteciparvi, sarebbe emerso che la struttura in questione non solo non ha alcuna finalità abitativa, ma che la stessa risale alla fine degli anni ‘50. Tale elemento avrebbe escluso in radice l’abusività delle opere in quanto realizzate prima del 1967 e quindi senza necessità di acquisire alcun titolo edilizio;

4) eccesso di potere per carenza di motivazione e erroneità dei presupposti di fatto su cui si fonda, giacché l’ingiunzione a demolire è intervenuta a notevole distanza di tempo dalla realizzazione delle opere e dopo che per moltissimi anni l’Autorità aveva tollerato la presenza delle stesse, in tal modo consolidando il legittimo affidamento al loro mantenimento nel tempo e, per converso, facendo sorgere un obbligo di specifica motivazione in ordine all’interesse pubblico all'emissione del provvedimento sanzionatorio, obbligo al quale il Comune, nella specie, non ha in alcun modo ottemperato.

Da qui la richiesta di riforma della sentenza fatta oggetto di appello e, conseguentemente, l’accoglimento del ricorso proposto in primo grado con annullamento dell’atto in quella sede impugnato.

5. – Neppure nel secondo grado di giudizio si è costituito il Comune di Orbetello, seppur correttamente raggiunto dalla notifica dell’atto di appello.

6. – Il Collegio ritiene che, alla luce dei motivi di appello dedotti ed all’esito dello scrutinio di tutta la documentazione prodotta sia nel giudizio di appello che nel corso del processo di primo grado, il gravame non possa trovare accoglimento per le ragioni che verranno qui di seguito illustrate con riferimento a ciascuno dei motivi dedotti dalla parte appellante.

In particolare può superarsi la prima parte della contestazione proposta nei confronti della sentenza qui fatta oggetto di appello, atteso che, indipendentemente dalla dichiarazione di inammissibilità dei primi quattro motivi dedotti con il ricorso di primo grado.

7. - Va preliminarmente riferito che il provvedimento di demolizione impugnato in primo grado reca:

- una premessa nella quale si specifica che l’abusività delle opere è stata acclarata dagli uffici sulla scorta del verbale del Corpo di Polizia municipale n. 217/2013 del 28 ottobre 2013, prot. n. 36359 del 30 ottobre 2013;

- una prima parte motiva in cui sono puntualmente elencate le opere abusive (come sopra sono state sinteticamente riprodotte);

- una seconda parte motiva nella quale sono identificati i comproprietari dell’immobile;

- una terza parte motiva in cui si specifica che le opere descritte al punto 1) (vale a dire: “ a) realizzazione di struttura in materiali misti e copertura in onduline di eternit adibita parte ad uso abitativo e parte ad uso magazzino. La prima porzione è composta da materiali misti di legno, plastica ed onduline catramate, asservita da porta e due finestre, il tutto foderato in cannucciato, internamente pavimentata ed arredata nonché con realizzato impianto elettrico. Le dimensioni di tale porzione, avente copertura ad una falda, sono circa ml. 5,30 x 4, 10 ed altezza ml. 2, 10. In aderenza e continuazione la seconda porzione composta in materiali misti di legno e plastica il tutto foderato in cannucciato e con apertura senza protezione per l'accesso. Le dimensioni di tale seconda porzione, avente copertura con pendenza ad una falda, sono circa ml. 5,30 x 2,30 ed altezza ml.1, 70. La struttura sormonta una platea in cemento della superficie di circa ml. 6,80 x 9,50;
b) realizzazione antistante la struttura, di una tettoia in legno delle dimensioni di ml. 3,85 x 1,83 ed altezza ml. 2,45
”) per le caratteristiche dell'intervento, rientrano nella fattispecie di quelle descritte all'art. 10, comma 1, lett. a) D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nonché in quelle di cui all'art. 78, comma 1, lett. b), l. Regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1;
mentre le opere descritte al punto 2) (vale a dire: “ realizzazione di pontile in legno che partendo dall'ancoraggio a terra si protende sopra lo specchio acqueo della laguna. La struttura, delle dimensioni di circa ml. 3,08 x 0,45, è collegata a sostegno in legno delle dimensioni di circa ml. 2,58 x 0,25 a sua volta fissato alla platea in cemento descritta al punto a) ”) sono opere eseguite su suoli di proprietà dello Stato o di enti pubblici;

- una quarta parte motiva nella quale si specifica e si puntualizza che “ l'area oggetto dell'intervento abusivo è sottoposta a vincolo paesaggistico e ambientale ai sensi dell'art.134 del D.Lgs 42/2004 e che pertanto l'intervento è sanzionato ai sensi dell'art. 167 del medesimo Decreto ”.

8. – Dalla piana lettura del provvedimento impugnato in primo grado emerge in tutta evidenza la inaccoglibilità dei primi quattro motivi di censura dedotti con il ricorso di primo grado e riproposti nella sede di appello perché infondati per le ragioni che qui di seguito vengono illustrate.

Per come emerge fin dalla premessa dell’atto con il quale viene ingiunta la demolizione delle opere abusive, l’abusività delle stesse è stata constatata ed acclarata in seguito al sopralluogo della locale Polizia municipale, per come risulta dal verbale del 28 ottobre 2013, nel quale sono state puntualmente definite le opere da considerarsi abusivamente realizzate, perché prive di titolo abilitativo alla loro costruzione. Da ciò deriva che correttamente gli uffici comunali hanno adottato il provvedimento con il quale è stata ingiunta la demolizione dei manufatti abusivi sulla scorta del verbale di sopralluogo, peraltro richiamato espressamente nel provvedimento repressivo sanzionatorio, in quanto esso fonda la sua ragione giuridica su quanto riscontrato dagli agenti intervenuti sul luogo ove sono state realizzate le opere.

E’ infatti di incontestabile evidenza che tutti i verbali provenienti da pubblici ufficiali, hanno efficacia di piena prova, fino a querela di falso, ai sensi dell'art. 2700 c.c., relativamente alla provenienza dell'atto dal pubblico ufficiale che lo ha formato, alle dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 24 agosto 2017 n.4060).

9. - Sotto altro versante la data di realizzazione delle opere non è stata provata dall’odierno appellante.

Costituisce costante affermazione giurisprudenziale che l'attività di repressione degli abusi edilizi non costituisce attività discrezionale, ma del tutto vincolata (cfr., ex multis , Cons. Stato, Sez. VI, 6 settembre 2017 n. 4243).

In linea di diritto, l'onere della prova dell'ultimazione entro una certa data di un’opera edilizia abusiva, allo scopo di dimostrare che essa rientra fra quelle per le quali si può ottenere una sanatoria speciale ovvero fra quelle per cui non era richiesto un titolo ratione temporis , perché realizzate legittimamente senza titolo, incombe sul privato a ciò interessato, unico soggetto ad essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l'epoca di realizzazione del manufatto (cfr., sul punto, Cons. Stato, Sez. IV 30 agosto 2018 n. 5101 e Sez. VI, 5 marzo 2018 n. 1391).

Ne consegue che l'ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell'abuso corrisponde per definizione all'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, con la conseguenza che essa è già dotata di un'adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 5 novembre 2018 n. 6246).

La legittimità dell'ingiunzione demolitoria richiede, dunque, l'affermazione della accertata abusività dell'opera, attraverso la descrizione delle opere, la constatazione della loro esecuzione in assenza del necessario titolo abilitativo e l'individuazione della norma applicata, ogni altra indicazione esulando dal contenuto tipico del provvedimento.

A tal fine, non rilevano neppure eventuali dichiarazioni sostitutive di atto notorio, richiedendosi invece una documentazione certa, univoca ed obiettiva in ordine alla data di realizzazione dell'abuso (cfr., in argomento, Cons. Stato, Sez. VI, 5 gennaio 2015, n. 6 e Sez. IV, 10 giugno 2014 n. 2960).

In siffatto contesto non spetta all’amministrazione di fornire indicazioni in ordine all'epoca di realizzazione dell'illecito, non rientrando tale verifica tra i contenuti dell'ordinanza di demolizione avente ad oggetto l'accertamento dell'abuso esistente. Né nel corso del presente giudizio l’appellante ha fornito prova inconfutabile che le opere fatte oggetto dell’ordine di ripristino siano state realizzate in epoca antecedente al 1967, essendosi limitato ad affermare che l’epoca di realizzazione dell’immobile rimonta agli anni cinquanta del secolo scorso, ben potendo le opere contestate come abusive essere state realizzate nella vigenza della normativa edilizia che impone al proprietario di fornirsi di adeguato titolo edilizio per realizzare interventi di trasformazione del territorio.

Invero, l'esistenza nell'attualità sul territorio comunale dell'opera abusiva la rende illecito connotato da caratteri di permanenza, con la conseguenza che l'ente locale può ordinarne la demolizione sulla base della riscontrata assenza del titolo abilitativo, con la conseguenza che non grava sull'amministrazione l'onere di fornire prova della data di realizzazione dell'abuso, al fine di supportare la legittimità della ingiunta demolizione.

10. - In virtù di quanto sopra è dunque confermata la correttezza dell’operato dell’amministrazione, anche sotto il profilo della legittimità procedimentale, dal momento che, a fronte della pacifica sussistenza e consistenza degli abusi, va ribadito come l'ordine di demolizione sia un atto vincolato ancorato esclusivamente alla sussistenza di opere abusive, per la cui adozione non è richiesta una specifica motivazione circa la ricorrenza del concreto interesse pubblico alla rimozione dell'abuso;
in sostanza, verificata la sussistenza dei manufatti abusivi, l'amministrazione ha il dovere di adottarlo, essendo la relativa ponderazione tra l'interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore;
in ragione della natura vincolata dell'ordine di demolizione, non è pertanto necessaria la preventiva comunicazione di avvio del procedimento né un'ampia motivazione (cfr., ex multis , Cons. Stato, Sez. VI, 13 novembre 2018 n. 6367 e Sez. IV 22 agosto 2018 n. 5008).

Nessun rilievo ha poi la contestazione posta dall’appellante ad un asserito mancato riferimento, nel provvedimento impugnato in primo grado, al coinvolgimento delle norme a tutela del paesaggio e del territorio di cui al d.lgs. 42/2004.

A smentire, infatti, tale imprecisa deduzione soccorre proprio la lettura dell’ultimo segmento della parte motiva del provvedimento impugnato laddove si specifica, senza possibili confusioni, che “ l'area oggetto dell'intervento abusivo è sottoposta a vincolo paesaggistico e ambientale ai sensi dell'art.134 del D.Lgs 42/2004 e che pertanto l'intervento è sanzionato ai sensi dell'art. 167 del medesimo Decreto ”.

11. – L’appellante inoltre intende attribuire rilievo alla circostanza che il provvedimento impugnato in primo grado non reca puntualmente l’estensione dell’area di sedime che potrebbe essere oggetto dell’eventuale acquisizione gratuita da parte del Comune.

Sul punto, nel dichiarare la infondatezza di tale censura, non può che ribadirsi quanto espresso dall’orientamento interpretativo ormai consolidato in ragione del quale la circostanza che l'ordine di demolizione del manufatto abusivamente realizzato non contenga l'indicazione dell'effetto acquisitivo e non descriva l'area da acquisire non è causa di illegittimità dello stesso, atteso che l'effetto acquisitivo costituisce una conseguenza fissata direttamente dalla legge, senza necessità dell'esercizio di alcun potere valutativo da parte dell'Autorità eccetto quello del mero accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi;
per quanto invece riguarda l'indicazione dell'area da acquisire, il provvedimento con cui si ingiunge al responsabile della costruzione abusiva di provvedere alla sua distruzione nel termine fissato, non deve necessariamente contenere l'esatta indicazione dell'area di sedime che verrà acquisita gratuitamente al patrimonio del Comune in caso di inerzia, atteso che il provvedimento di ingiunzione di demolizione (i cui requisiti essenziali sono l'accertata esecuzione di opere abusive ed il conseguente ordine di demolizione) è distinto dal successivo ed eventuale provvedimento di acquisizione, nel quale, invece, è necessario che sia puntualmente specificata la portata delle sanzioni irrogate (cfr., ex multis , Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2018 n. 755, Sez. V, 7 luglio 2014 n. 3438 e Sez. IV, 20 maggio 2014 n. 2568).

12. - Da ultimo l’appellante intende attribuire rilievo al lungo tempo trascorso tra la realizzazione delle opere e l’intervento repressivo comunale al fine di sostenere che si sia consolidato un legittimo affidamento da parte dei comproprietari al mantenimento delle opere, nel rispetto del quale il Comune avrebbe dovuto puntualmente motivare nell’atto di ingiunzioni le ragioni che rendevano prevalente l’interesse pubblico al ripristino dell’area interessata dagli interventi abusivamente realizzati nel bilanciamento del diritto dei comproprietari a conservare le opere realizzate.

In argomento, anche grazie all’intervento dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato non vi sono più dubbi circa la ininfluenza del trascorrere del tempo sulle modalità di esercizio del potere repressivo sanzionatorio comunale nei confronti delle realizzazioni edilizie abusive.

Poiché gli abusi edilizi sono illeciti permanenti, il potere amministrativo di vigilanza e repressione, ossia l’accertamento dell'illecito e l’applicazione della relativa sanzione, può intervenire anche decorso un rilevante lasso temporale dalla realizzazione dell'abuso, il quale è da considerare sempre attuale finché non venga rimosso o represso. Il trascorrere del tempo di per sé non legittima situazioni che, essendo ab origine contra ius , non possono fondare alcun affidamento incolpevole.

Tale assunto risulta dirimente nel chiarire i termini del contrasto giurisprudenziale sorto in tema di necessaria motivazione dell'ordinanza di demolizione di abuso edilizio, definito dal Consiglio di Stato attraverso due Adunanze Plenarie, del 17 ottobre 2017, nn. 8 e 9. Seppure le due pronunce siano strettamente connesse in ordine al possibile riconoscimento di un onere motivazionale che grava sull'amministrazione, si riferiscono a due fattispecie diverse: da un lato, l'emanazione di un atto di annullamento di una concessione edilizia in sanatoria, intervenuto a considerevole distanza di tempo dal provvedimento originario;
dall'altro, la comminazione di una sanzione demolitoria per un abuso edilizio realizzato oltre trent'anni prima.

Nel primo caso la discrezionalità insita al potere di autotutela rende essenziale la valutazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all'atto di ritiro da contemperare con gli interessi dei privati coinvolti dal provvedimento sfavorevole. Di tale valutazione l'amministrazione potrà definitivamente dare conto all'interno della motivazione del provvedimento. Per questa ragione l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nell'ambito della sentenza n. 8 del 2017, ha precisato che: “ nella vigenza dell'articolo 21-nonies della l. 241 del 1990 - per come introdotto dalla l. 15 del 2005 - l'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all'adozione dell'atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole ”.

Le premesse mutano tuttavia quando non viene in rilievo l'annullamento di un titolo edilizio, adottato a distanza di anni dal rilascio del titolo medesimo, ma si esamina una situazione di totale assenza di titolo edilizio e conseguente, seppure tardiva, ingiunzione di demolizione disposta dalla pubblica amministrazione.

Il discrimen fra i due casi è evidente soprattutto se si considera la posizione soggettiva del privato. Nel primo caso, la presenza di un originario atto amministrativo favorevole, radica una posizione di legittimo affidamento;
nel secondo caso, al contrario, non può ipotizzarsi alcun legittimo affidamento in capo al privato, il quale non è mai stato destinatario di un provvedimento favorevole, avendo egli edificato sine titulo . L’intervento edilizio è sin dall’origine illegittimo e, per tale motivo, inidoneo a “ ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata ”.

La mancanza di affidamento incolpevole esclude che il mero decorso del tempo possa pregiudicare l’esercizio (doveroso) del potere amministrativo di adottare il provvedimento di demolizione, al fine di ripristinare l'assetto urbanistico ed edilizio preesistente. Conformemente a quanto sopra l’Adunanza plenaria nella sentenza n. 9 del 2017 ha affermato che “ il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso ”.

13. - Ritenuti quindi infondati i motivi dedotti in grado di appello, il relativo gravame (n. R.g. 7321/2017) va respinto potendosi, per l’effetto, confermare la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, Sez. III, 13 marzo 2017 n. 387, seppure con diversa motivazione, con conseguente conferma della reiezione del ricorso di primo grado proposto dall’odierno appellante.

La mancata costituzione in giudizio, anche nel grado di appello, del Comune di Orbetello, esenta il Collegio dal decidere in merito alla ripartizione delle spese di lite.

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