Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-04-02, n. 202002218

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-04-02, n. 202002218
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202002218
Data del deposito : 2 aprile 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/04/2020

N. 02218/2020REG.PROV.COLL.

N. 06233/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6233 del 2016, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati F S e A S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F S in Roma, via G.G. Belli, n.39;

contro

il Ministero della Difesa, Direzione Generale per il Personale Militare, Comando Generale Arma dei Carabinieri, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. della Campania, Sede di Napoli, Sezione VII, n. -OMISSIS-.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2020 il Cons. R C e uditi per le parti l’avvocato Ugo De Luca, su delega degli avvocati F S e A S, e l’avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il T.a.r. della Campania, Sede di Napoli, Sezione Settima, con la sentenza n. -OMISSIS-, ha respinto il ricorso proposto avverso la determinazione ministeriale del 24 settembre 2015 (18 settembre 2015), con cui il Ministero della Difesa ha inflitto all’odierno appellante la sanzione della “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari” ai sensi degli articoli 861, comma 1, lettera d), e 867, comma 6, del d.lgs. n. 66 del 2010 e, per l’effetto, ha disposto la cessazione dal servizio permanente di detto militare con iscrizione d’ufficio nel ruolo dei militari di truppa dell’Esercito italiano, senza alcun grado, ai sensi degli articoli 923, comma 1, lettera i) e 861, comma 4, del d.lgs. n. 66 del 2010.

Di talché, l’interessato ha proposto il presente appello, articolando i seguenti motivi di impugnativa:

Error in judicando. Error in procedendo. Violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 66 del 2010. Violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 165 del 2001. Violazione dei canoni di trasparenza e del buon andamento dell’azione amministrativa di cui al combinato disposto ex art. 97 Cost. e legge n. 241 del 1990. Eccesso di potere. Sviamento. Difetto di istruttoria. Difetto di proporzionalità della sanzione. Manifesta illogicità.

Il giudice di primo grado avrebbe trascurato la circostanza per cui, a seguito di istanza del 6 febbraio 2015, è stata prodotta agli atti del giudizio la documentazione attestante la avvenuta comunicazione, alla data del 24 febbraio 2015, della irrevocabilità della sentenza n. 30/2014 del GUP del Tribunale Militare di Napoli, per cui a tale data, e non a quella erroneamente indicata del 17 marzo 2015, avrebbe dovuto farsi risalire la decorrenza del termine ex art. 1392 del d.lgs. n. 66 del 2010.

L’Amministrazione avrebbe illegittimamente contestato al ricorrente l’intera vicenda, sotto il profilo disciplinare, e cioè sia quella relativa al peculato militare, sia quella relativa alla falsità in atti e alla frode informatica, mentre, in riferimento alla seconda sentenza del GUP del Tribunale di Napoli n. 2422 del 2014, l’Amministrazione avrebbe potuto contestare soltanto il reato di falso e di frode, e non anche il peculato accertato dal giudice militare, in quanto ormai decaduta dalla possibilità di valutare disciplinarmente tale fattispecie.

La sentenza del GUP del Tribunale di Napoli recherebbe valutazioni assorbite o comunque dipendenti da fatti già accertati come costituenti reato nella pregressa sentenza n. 30 del 2014 del Tribunale Militare, laddove si fa espressamente riferimento al vincolo della “continuazione con gli ulteriori reati di cui alla sentenza del Tribunale Militare”, per cui già solo quest’ultimo avrebbe potuto dare luogo al procedimento disciplinare.

In ogni caso, pur volendo seguire il ragionamento del primo giudice, il procedimento disciplinare sarebbe stato avviato tardivamente anche ove il dies a quo fosse individuato nella data di acquisizione della seconda sentenza (n. 2422/14 del GUP del Tribunale Penale di Napoli), atteso che, quest’ultima, è stata inoltrata all’Arma dalla Cancelleria del GUP, a mano del ricorrente, e, da ultimo, in data 14 gennaio 2015, a mezzo mail dell’avvocato P, vale a dire in data addirittura antecedente al 24 febbraio 2015.

L’interessato, quindi, anche a mezzo del proprio difensore, aveva correttamente trasmesso la sentenza di patteggiamento del Tribunale Penale di Napoli al Comando dell’Arma, al fine di comunicare la propria posizione processuale nel rispetto di un dovere espressamente previsto dalla Guida Tecnica.

Tra gli atti depositati dall’Avvocatura dello Stato, non vi sarebbe stata la nota di comunicazione della sentenza del GUP del Tribunale di Napoli n. 2422 /14 al Nucleo Informativo da parte della cancelleria dell’Autorità giudiziaria.

Il Tar non avrebbe considerato che l’Arma aveva attivato un unico procedimento disciplinare nei confronti del militare, effettuando valutazioni complessivamente afferenti ad ambedue le sentenze di condanna inflittegli, dal giudice militare e dal giudice ordinario.

Viceversa, sarebbe stata sufficiente per l’Arma, ai fini dell’esercizio del potere disciplinare, la conoscenza della sola sentenza del GIP del Tribunale Penale Militare, sicché, anche se la seconda sentenza del Tribunale Penale di Napoli fosse stata conosciuta dall’Arma il 6 maggio 2015, ciò non avrebbe comunque potuto sospendere il decorso del termine di 90 giorni ex art. 1392 del d.lgs. n. 66 del 2010 a far data dal 24 febbraio 2015.

Error in judicando. Error in procedendo. Violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 66 del 2010. Violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 165 del 2001. Violazione dei canoni di trasparenza e del buon andamento dell’azione amministrativa di cui al combinato disposto ex art. 97 Cost. e legge n. 241 del 1990. Eccesso di potere. Sviamento. Difetto di istruttoria. Difetto di proporzionalità della sanzione. Manifesta illogicità.

La sanzione disciplinare irrogata presenterebbe un evidente difetto di proporzionalità.

La sentenza impugnata sarebbe illegittima in quanto non rileverebbe la manifesta sproporzione, nonché la irragionevolezza, della sanzione irrogata, in cui sarebbe emerso un ingiustificato automatismo della stessa in virtù dell’asettico richiamo al vincolo del giuramento.

Nel decreto impugnato si sarebbero dovute motivare in modo più puntuale le ragioni a base della scelta punitiva adottata, con particolare riguardo alla proporzione dei fatti ritenuti lesivi degli interessi e dei valori del corpo militare e disposto sanzionatorio in concreto adottato, anche in considerazione delle scelte possibili sul punto.

Violazione e falsa applicazione di legge. Violazione art. 923 d.lgs. n. 66 del 2010. Violazione art. 1392 del d.lgs. n. 66 del 2010. Incompetenza. Eccesso di potere. Sviamento.

La sanzione avrebbe dovuto essere adottata dal Comandante generale dell’Arma e non dal Direttore generale del Ministero.

L’Amministrazione appellata si è costituita in giudizio per resistere al gravame.

Le parti hanno depositato altre memorie a sostegno delle rispettive difese.

All’udienza pubblica del 20 febbraio 2020, la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. Il Direttore generale della Direzione generale per il Personale Militare del Ministero della Difesa, con atto del 18 settembre 2015, ha disposto nei riguardi dell’odierno appellante, Appuntato Scelto in servizio permanente, la “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari” ai sensi degli articoli 861, comma primo, lettera d), e 867, comma sesto, del d.lgs. n. 66 del 2010 e, per l’effetto, ha disposto che il predetto militare cessa dal servizio permanente e viene iscritto d’ufficio nel ruolo dei militari di truppa dell’Esercito Italiano, senza alcun grado, ai sensi degli articoli 923, comma primo, lett. i), e 861, comma quarto, del richiamato d.lgs. n. 66 del 2010, con la seguente motivazione:

“Appuntato scelto, all’epoca dei fatti in servizio presso il Comando Stazione Carabinieri di -OMISSIS-, incaricato di funzioni amministrative relative alla gestione dei proventi contravvenzionali afferenti a sanzioni comminate per violazioni del Codice della Strada:

- si impossessava di somme di denaro per un importo pari a euro-OMISSIS-;

- si introduceva, per fini estranei ai doveri del suo ufficio e abusando dei poteri della sua qualifica, nel sistema informatico del registro cronologico delle contravvenzioni, protetto da password, attestando falsamente l’intervenuto annullamento dei verbali contravvenzionali nonché alterando gli importi delle sanzioni amministrative applicate ai sanzionati procurando così loro un ingiusto vantaggio in danno dell’amministrazione finanziaria.

Tali condotte, già sanzionate penalmente, sono da ritenersi biasimevoli anche sotto l’aspetto disciplinare in quanto contrarie ai principi di moralità e di rettitudine che devono improntare l’agire di un militare, ai doveri attinenti al giuramento prestato e a quelli di correttezza ed esemplarità propri di un appartenente all’Arma dei Carabinieri.

I fatti disciplinarmente accertati sono di rilevanza tale da richiedere l’applicazione della massima sanzione disciplinare di stato”.

Il procedimento disciplinare è stato avviato preso atto:

- della sentenza del GUP del Tribunale Militare di Napoli, in data 24 giugno 2014, divenuta esecutiva il 23 settembre 2014, acquisita agli atti dell’Amministrazione il 16 marzo 2015, che ha applicato all’incolpato, unificati tutti i reati di “peculato militare continuato, aggravato”, la pena di anni uno e mesi dieci di reclusione sostituita dalla reclusione militare di pari durata, concedendo il beneficio della sospensione condizionale della pena;

- della sentenza del GUP del Tribunale di Napoli, in data 2 dicembre 2014, divenuta irrevocabile il 1° gennaio 2015, acquisita dall’Amministrazione il 6 maggio 2015, che ha applicato all’incolpato, imputato per “falsità in atti pubblici, accesso abusivo a sistema telematico e frode informatica aggravata e continuata”, riconosciuto l’aumento per l’effetto della continuazione con gli ulteriori reati contestati e con i reati di cui alla sentenza del Tribunale Militare del 26 giugno 2014, la pena sospesa di anni due di reclusione.

Il GUP del Tribunale di Napoli, in particolare, ha così motivato la propria decisione:

“Il Giudice ritiene accoglibile l’applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. richiesta dalle parti, sussistendone i presupposti di legge. Ed invero non sussistono le condizioni di cui all’art. 129 c.p.p. per la pronuncia di proscioglimento come risulta:

- dalla comunicazione notizia di reato dei -OMISSIS- del 20.9.2012 e relativi allegati;

- dagli esiti delle indagini delegate dei -OMISSIS- del 10.1.2013 e relativi allegati.

Atti da cui appare comprovata a carico dell’imputato la condotta contestata nei tempi e nei luoghi di cui all’imputazione con le modifiche di cui in prosieguo.

La qualificazione giuridica del fatto appare corretta così come il riconoscimento:

- delle circostanze attenuanti generiche e del risarcimento del danno in virtù del comportamento processuale dell’imputato che ha ammesso le proprie responsabilità e della prova … dell’avvenuta restituzione di un importo pari a 6.918,00 euro;

- del vincolo della continuazione tra le fattispecie di cui ai capi A, B, C contestate nel presente procedimento e i fatti di cui alla sentenza richiamata passata in cosa giudicata attesa l’evidente unicità del disegno criminoso.

Corretti sono i meccanismi di calcolo adottati per la concreta determinazione della pena che si reputa altresì congrua così come riportata nelle conclusioni in epigrafe.

Attesa l’entità della pena in concreto irrogata e l’assenza di precedenti penali può essere concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena”.

3. Con una prima consistente serie di censure, l’appellante ha contestato la tardività nell’avvio dell’azione disciplinare, per violazione del termine perentorio fissato dall’art. 1392 del codice dell’ordinamento militare (d.lgs. n. 66 del 2010).

L’art. 1392 del d.lgs. n. 66 del 2010 stabilisce che il procedimento disciplinare di stato a seguito di giudizio penale deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all’incolpato, entro 90 giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che lo concludono, ovvero del provvedimento di archiviazione.

Di talché, con l’entrata in vigore del codice dell’ordinamento militare, il dies a quo per la contestazione degli addebiti non è più individuabile, come in precedenza, nella data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza penale da cui origina il procedimento disciplinare, ma è fissato alla data in cui l’Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza, vale a dire in cui ha avuto conoscenza non solo del dispositivo ma anche delle motivazioni della pronuncia, solo sulla cui base può valutare se avviare il procedimento e quali addebiti contestare.

L’appellante ha sostenuto, per entrambe le sentenze citate nell’ambito del procedimento disciplinare, che l’Amministrazione avrebbe acquisito l’integrale conoscenza delle stesse in una data antecedente a quella indicata.

Il Collegio ritiene che l’individuazione della data in cui l’Amministrazione procedente ha acquisito la integrale conoscenza della sentenza pronunciata del GUP del Tribunale Militare di Napoli sia irrilevante.

Infatti, la successiva sentenza del GUP del Tribunale di Napoli, come condivisibilmente argomentato dal giudice di primo grado, ha tenuto conto di tutti i reati commessi dal militare, e cioè, non solo dei reati di falsità in atti pubblici, accesso abusivo al sistema telematico e frode informatica aggravata e continuata, ma anche del reato di peculato continuato ed aggravato, che aveva già costituito oggetto della sentenza del giudice penale militare.

Di talché, se è vero che l’Autorità amministrativa avrebbe potuto avviare il procedimento disciplinare già sulla base del contenuto della sentenza del GUP del Tribunale Militare di Napoli, con esclusivo riferimento ai fatti ivi contemplati, è altrettanto vero che, avviando il procedimento nel termine decorrente dalla conoscenza integrale della sentenza del GUP del Tribunale di Napoli, l’azione disciplinare ha potuto correttamente tenere conto di tutti i fatti valutati e considerati in detta sentenza, anche di quelli che erano già stati accertati nel corso del procedimento penale militare.

In altri termini, ove l’Amministrazione avesse voluto procedere in via disciplinare per i soli fatti di cui alla sentenza del giudice penale militare, il termine ovviamente avrebbe avuto decorrenza dalla data di acquisizione della conoscenza integrale di quella sentenza, mentre, avendo voluto considerare unitariamente, nel loro insieme, le condotte illecite poste in essere dal militare, il dies a quo deve essere individuato nella integrale conoscenza dell’unica sentenza che quelle condotte le ha tutte considerate, vale a dire la sentenza n. 2422 del 2014 del GUP del Tribunale Penale di Napoli.

Né, il mancato avvio del procedimento disciplinare a seguito della sentenza penale militare può costituire una preclusione ad esercitare il potere disciplinare anche in relazione ai fatti ivi contemplati, in quanto detti fatti sono stati oggetto di valutazione, ai fini della continuazione “attesa l’evidente unicità del disegno criminoso”, anche nella successiva sentenza.

Pertanto, diviene dirimente accertare quale sia stata la data di integrale conoscenza di quest’ultima sentenza, al fine di verificare il rispetto del termine perentorio fissato dall’art. 1392 del d.lgs. n. 66 del 2010.

Il Collegio, anche in relazione a tale profilo, ritiene che le doglianze di parte non siano fondate, essendo invece condivisibile l’ iter argomentativo sviluppato dal Tar.

L’Amministrazione ha fatto riferimento alla data del 6 maggio 2015 e, come emerge dagli atti, la sentenza trasmessa con nota del Comando Legione Carabinieri Campania è munita del timbro della cancelleria del GUP recante la data del 6 maggio 2015.

L’appellante, peraltro, non contesta in modo efficace, non fornendo sufficienti elementi probatori, che il timbro di cancelleria apposto a margine della sentenza, riportante la data del 6 maggio 2015 sia inidoneo a dimostrare che l’Amministrazione procedente abbia avuto conoscenza soltanto a tale data della posizione processuale del militare.

Inoltre, la circostanza che l’Arma dei Carabinieri ha avuto accesso alla sentenza in una data in cui la stessa non era dotata del crisma di irrevocabilità si presenta ininfluente ai fini della decorrenza del termine di cui all’art. 1392 del d.lgs. n. 66 del 2010, che fa esplicito riferimento alla “conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili”.

Per quanto attiene invece, alla consegna diretta da parte del militare all’Amministrazione di copia della sentenza penale e alla mail inviata dal difensore in data 14 gennaio 2015, il Collegio rileva che il dies quo per la decorrenza del termine può certamente essere individuato anche in un atto di parte e non deve essere ancorato necessariamente all’attivazione d’ufficio dell’Amministrazione nei confronti della cancelleria del giudice penale da cui proviene la sentenza ai sensi dell’art. 70 del d.lgs. n. 150 del 2009.

Tuttavia, non è sufficiente un qualunque atto di parte a generare la decorrenza del termine, essendo necessaria la “notifica” del provvedimento penale da parte dell’incolpato all’Amministrazione competente, solo la quale individua una data certa di conoscenza e non di mera conoscibilità dell’atto giudiziario, per cui solo tale modalità si rivela idonea a realizzare un equo contemperamento tra l’interesse dell’Amministrazione ad avere piena ed effettiva conoscenza della sentenza prima dell’avvio del procedimento disciplinare e quello del dipendente a non essere, in relazione all’instaurazione dello stesso, sottoposto a colpevoli ritardi (cfr Cons. Stato, IV, 26 novembre 2015, n. 5367).

Ciò posto, nel caso di specie, il dies quo è individuabile nella data del 6 maggio 2015, per cui il procedimento disciplinare a carico dell’interessato, recando la contestazione degli addebiti la data del 12 giugno 2015, è stato avviato ampiamente entro il il termine perentorio di cui all’art. 1392 del d.lgs. n. 66 del 2010.

4. Con un’altra serie di censure, l’appellante ha sostenuto che la sanzione disciplinare irrogata presenterebbe un difetto di proporzionalità, sicché la sentenza impugnata sarebbe illegittima in quanto non avrebbe rilevato un ingiustificato automatismo del provvedimento in virtù dell’asettico richiamo al vincolo del giuramento.

Inoltre, l’appellante ha prospettato che nel decreto impugnato si sarebbero dovute motivare in modo più puntuale le ragioni a base della scelta punitiva adottata, con particolare riguardo alla proporzione dei fatti ritenuti lesivi degli interessi e dei valori del corpo militare e disposto sanzionatorio in concreto adottato, anche in considerazione delle scelte possibili.

Le doglianze non possono essere condivise.

Occorre innanzitutto rilevare che la sentenza ex artt. 444 e 445 c.p.p. non prescinde dall’accertamento della responsabilità penale dell’imputato in quanto il giudice, nonostante la richiesta concorde delle parti, non può emettere la pronuncia di patteggiamento se ricorrono le condizioni per il proscioglimento perché il fatto non sussiste, l’imputato non lo ha commesso ovvero perché il fatto non costituisce reato, per cui rimane impregiudicata ai fini disciplinari - considerato che ai sensi dell’art. 445, comma 1 bis , ultima parte, c.p.p., salve diverse disposizioni di legge, la sentenza de qua è equiparata ad una pronuncia di condanna – l’efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputo lo ha commesso.

Di talché, l’art. 653, comma 1 bis , c.p.p., a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 97 del 2001, prevede che anche la sentenza di patteggiamento, quale sentenza irrevocabile di condanna, faccia giudicato nei giudizi per responsabilità disciplinare quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.

L’Amministrazione, quindi, nell’esercizio del proprio potere disciplinare, può ( rectius : deve) utilizzare gli indizi di colpevolezza raccolti al fine di esercitare in giudizio l’azione penale, sicché non sussiste, né è ragionevolmente esigibile, l’obbligo di svolgere una particolare e diversa attività istruttoria al fine di acquisire ulteriori mezzi di prova, dovendo i profili di condanna essere oggetto di una diversa valutazione soltanto in merito alla loro rilevanza sotto il profilo disciplinare (cfr. Cons. Stato, IV, 5 novembre 2019, n. 6259;
Cons. Stato, IV, 2 novembre 2017, n. 5053).

In altri termini, ai fini disciplinari, ai sensi degli artt. 445, comma 1 bis, e 653, comma 1 bis, c.p.p., l’Amministrazione è vincolata all’accertamento del fatto, alla sua qualificazione come illecito penale ed all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, contenuti nella sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti.

Nondimeno, l’organo competente deve compiere, sulle univoche risultanze fattuali emerse in sede penale, un autonomo apprezzamento circa la gravità della condotta tenuta dall’inquisito e la sua rilevanza ai fini disciplinari.

Nel caso di specie, la valutazione è stata compiutamente svolta dall’Amministrazione che ha giudicato, in modo non irragionevole, come le condotte dell’incolpato siano contrarie ai principi di moralità e di rettitudine che devono improntare l’agire di un militare, ai doveri attinenti al giuramento prestato e a quelli di correttezza ed esemplarità propri di un appartenente all’Arma dei Carabinieri, il cui prestigio è stato gravemente compromesso.

Infatti, l’interessato ha posto in essere le condotte illecite nello svolgimento dell’attività professionale, quale incaricato di funzioni amministrative relative alla gestione dei proventi contravvenzionali afferenti a sanzioni comminate per violazioni del Codice della Strada.

Il provvedimento impugnato, pertanto, si presenta assistito da adeguata motivazione ed è stato adottato all’esito di un’adeguata istruttoria in ragione di fatti incontroversi, accertati in sede penale, valutati di rilievo disciplinare.

In altri termini, i fatti sono quelli accertati in sede di procedimento penale e non possono essere più messi in discussione, mentre la valutazione di detti fatti ai fini disciplinari e, quindi, ai fini dell’accertamento dell’eventuale lesione al rapporto fiduciario esistente tra datore di lavoro e lavoratore, rappresenta il momento centrale ed essenziale dell’azione amministrativa disciplinare.

Nella fattispecie in esame, l’istruttoria prevista dalla disciplina di settore è stata puntualmente espletata ed il provvedimento contestato dà analiticamente atto degli atti endoprocedimentali di cui l’Amministrazione ha tenuto conto e, tra gli altri, del verdetto di non meritevolezza a conservare il grado formulato in data 25 agosto 2015 nei confronti dell’inquisito dalla Commissione di disciplina.

L’Amministrazione, in definitiva, non ha irrogato la sanzione della perdita del grado per rimozione come conseguenza automatica della sentenza penale, ma ha correttamente valutato i fatti, accertati in sede penale, ai fini disciplinari, ritenendo che la condotta sia stata di gravità tale da denotare il vulnus al rapporto fiduciario, che sempre deve caratterizzare la relazione tra dipendente e datore di lavoro nell’espletamento dell’attività lavorativa.

Né, per quanto esposto nel provvedimento impugnato circa la natura dei fatti commessi, la sanzione irrogata appare sproporzionata, atteso che, nel percorso logico-giuridico svolto dall’Autorità procedente, non è ravvisabile alcuna manifesta illogicità o travisamento del fatto.

5. Con riferimento alla dedotta censura di incompetenza all’adozione dell’atto da parte del Direttore generale della Direzione generale per il Personale Militare del Ministero della Difesa, adozione che, secondo la prospettazione di parte, sarebbe stata di competenza del Comandante generale dell’Arma, è sufficiente rilevare, da un lato, che, ai sensi dell’art. 867, comma 1, del d.lgs. n. 66 del 2010, il provvedimento di perdita del grado è disposto con decreto ministeriale e, dall’altro, come il provvedimento impugnato dia conto che, con il decreto ministeriale del 18 marzo 2014, l’Ufficiale generale incaricato delle funzioni di Direttore generale per il personale militare è stato delegato all’adozione dei provvedimenti e degli atti in materia di sanzioni disciplinari di stato per il personale militare fino al grado di Generale di Brigata e gradi corrispondenti.

6. In conclusione, l’appello è infondato e va di conseguenza respinto.

7. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, liquidate in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge, sono poste a carico dell’appellante ed a favore del Ministero appellato.

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