Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-02-28, n. 201700927

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-02-28, n. 201700927
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201700927
Data del deposito : 28 febbraio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/02/2017

N. 00927/2017REG.PROV.COLL.

N. 09404/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9404 del 2016, proposto da:
Roma Multiservizi s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati D L, A P, A C, F S e A A, con domicilio eletto presso lo studio Lipani Catricalà &
Partners, in Roma, via Vittoria Colonna, n. 40;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - AGCM, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti di

Associazione Nazionale delle Cooperative di Servizi Legacoop Servizi, non costituita in giudizio nel presente grado;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sede di Roma, Sezione I, n. 10307/2016, resa tra le parti e concernente: illecito antitrust , sanzione amministrativa - mcp;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’AGCM;

Visto l’appello incidentale proposto dall’AGCM;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2017, il Consigliere Bernhard Lageder e uditi, per le parti, gli avvocati Lipani, Piazza e Abbinente, nonché l’avvocato dello Stato Del Gaizo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio accoglieva parzialmente, limitatamente ai motivi che investivano la determinazione dell’ammontare della sanzione amministrativa pecuniaria, il ricorso n. 3575 del 2016, proposto dalla Roma Multiservizi S.p.A. (RM) avverso il provvedimento n. 25802 del 22 dicembre 2015 (e gli atti presupposti e consequenziali), con il quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) aveva ritenuto accertato, alla luce degli acquisiti elementi di prova ‘esogeni’ ed ‘endogeni’, che le imprese Consorzio Nazionale Servizi Società Cooperativa (CNS), Manutencoop Facility Management S.p.A. (MFM), Roma Multiservizi S.p.A. (RM) e K S.p.A. (K), in occasione di una gara d’appalto indetta dalla CONSIP s.p.a. per l’affidamento, mediante stipula di convenzioni, dei servizi di pulizia e di altri servizi funzionali al mantenimento del decoro e della funzionalità degli immobili di istituti scolastici di ogni ordine e grado e dei centri di formazione della p.a. (per una durata di due anni, rinnovabili per un altro anno), avevano posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza contraria all’articolo 101 TFUE, consistente in una pratica concordata avente la finalità di condizionare gli esiti della gara attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti da aggiudicarsi nel limite massimo fissato dalla lex specialis , irrogando alle predette imprese le sanzioni amministrative pecuniarie rispettivamente di euro 56.190.090,00 (nei confronti di CNS), di euro 48.510.000,00 (nei confronti di MFM), di euro 3.377.910,00 (nei confronti di RM) e di euro 5.763.882,00 (nei confronti di K).

1.1. La gara, indetta dalla CONSIP s.p.a. per conto del Ministero dell’Economia e delle Finanze con bando pubblicato sulla G.U.U.E. del 14 luglio 2012 e sulla G.U.R.I. del 16 luglio 2012, si era svolta secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (con un punteggio massimo di 60 per l’offerta tecnica e di 40 per l’offerta economica), al prezzo base d’asta di complessivi euro 1,63 miliardi, ed era suddivisa in 13 lotti definiti con un criterio geografico, e precisamente nei lotti 1 Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria (del valore di euro 110,6 mln), 2 Emilia-Romagna (del valore di euro 92,2 mln), 3 Toscana (del valore di euro 83,8 mln), 4 Sardegna e parte della Regione Lazio (del valore di 192,2 mln), 5 Lazio (del valore di 95,1 mln), 6 Campania - Province di Napoli e Salerno (del valore di 196,8 mln), 7 Campania - Province di Caserta, Benevento e Avellino (del valore di 91,2 mln), 8 Lombardia e Trentino (del valore di 105 mln), 9 Friuli Venezia Giulia e Veneto (del valore di euro 93,8 mln), 10 Umbria, Marche, Abruzzo e Molise (del valore di euro 112,5 mln), 11 Puglia (del valore di euro 194,3 mln), 12 Calabria e Basilicata (del valore di euro 89,8 mln) e 13 Sicilia (del valore di euro 172,3 mln).

Secondo le previsioni del bando, ogni concorrente avrebbe potuto aggiudicarsi fino a un massimo di tre lotti, individuati a cominciare da quello di maggiore rilevanza economica e procedendo in ordine decrescente di valore, mentre i restanti lotti sarebbero stati assegnati al secondo classificato.

Il bando aveva fatto divieto ai concorrenti di partecipare alla gara in forma individuale e contemporaneamente in forma associata (r.t.i., consorzi), oppure di partecipare in più di un r.t.i. o consorzio, a pena di esclusione.

Il bando aveva altresì previsto a pena di esclusione che, in caso di partecipazione a più lotti, il concorrente, singolo o associato (r.t.i. o consorzio), doveva presentarsi sempre nella medesima forma (singola o associata) e, se associato, sempre nella medesima composizione.

L’originario termine per la presentazione delle domande di partecipazione e delle offerte, fissato nel bando al 26 settembre 2012, era stato successivamente prorogato dalla CONSIP al 15 ottobre 2012.

1.2. Il consorzio CNS – società cooperativa senza fine di lucro, la quale conta 209 associate dislocate sull’intero nazionale e, nel 2014, aveva realizzato un fatturato pari ad euro 744.315.174,00 –, in raggruppamento temporaneo con le imprese mandanti K ed Exitone (ATI 1), presentava offerta per i lotti 1, 3, 4, 5, 9 e 10, risultando prima in graduatoria per i lotti 1, 4, 10 e 5 in ordine di rilevanza economica. Il lotto 5 veniva aggiudicato al concorrente che lo seguiva in graduatoria.

La società MFM, la quale, sebbene impresa consorziata di CNS – peraltro, come una delle imprese più importanti, con un fatturato che nel 2014 era pari ad euro 731.142.493 –, aveva partecipato individualmente e separatamente alla gara per i lotti 2, 3, 8 e 9, risultava vincitrice di tali lotti, con la conseguente assegnazione del lotto 3 al concorrente che la seguiva in graduatoria.

Quindi, otto dei tredici lotti in cui si è articolata la gara CONSIP sono stati vinti dall’ATI 1 (di cui fa parte il CNS) e da Manutencoop, soggetti che, in particolare, sono risultati vincitori di quattro lotti ciascuno. Tali otto lotti corrispondono, in termini geografici, alla totalità dell'Italia centro-settentrionale. Degli otto lotti complessivamente vinti da tali due soggetti, tre sono stati assegnati all’ATI 1 e tre a MFM, per via del limite massimo di lotti aggiudicabili previsto dal disciplinare di gara.

La società Roma Multiservizi (RM), partecipata per la quota del 51% del capitale da AMA S.p.A., per la quota del 45,47% da MFM e per la quota restante del 3,53% da La Veneta Servizi S.p.A., con il controllo sostanziale della partecipazione privata da parte del socio industriale MFM, non aveva partecipato alla gara e, in virtù di un accordo stipulato con CNS, sarebbe divenuta assegnataria in subappalto di una serie di servizi aggiudicati al Consorzio nell’ambito del lotto 4.

1.3. In seguito all’analisi delle risultanze della gara, l’AGCM rilevava alcune anomalie e, in data 8 ottobre 2014, avviava un procedimento orientato a constatare un’eventuale violazione della normativa a tutela della concorrenza.

Il procedimento, originariamente avviato nei confronti di CNS, MFN, K ed Exitone, è poi stato esteso con decisione del 1° aprile 2015 a RM.

Al procedimento hanno partecipato l’Associazione Nazionale Imprese di Pulizia - ANIP e l’Associazione Nazionale delle Cooperative di servizi - Legacoop servizi, che ne avevano fatto richiesta.

1.4. Richiamando le risultanze istruttorie, la tipologia di gara e i relativi risultati, le modalità e le strategie partecipative alla gara delle parti, i rapporti tra queste ultime nonché le argomentazioni rese dalle interessate a seguito della comunicazione delle risultanze istruttorie (CRI), l’AGCM perveniva alla conclusione che le imprese sopra richiamate – ad eccezione di Exitone – avevano dato luogo ad un’intesa volta a condizionare l’esito della gara, eliminando il reciproco confronto concorrenziale mediante l’utilizzo distorto dello strumento consortile: ciò, al fine di garantire a CNS e MFM il numero massimo di lotti maggiormente appetibili, sul presupposto che entrambe avrebbero complessivamente beneficiato dei risultati singolarmente conseguiti. L’AGCM individuava un ruolo nell’intesa anche a carico di RM e K, secondo la puntuale e articolata evidenziazione degli elementi di prova acquisiti nel corso dell’istruttoria.

In sostanza, l’Autorità illustrava nelle relative conclusioni che gli acquisiti elementi di prova avevano fatto emergere incontrovertibilmente che, in occasione della procedura di gara in questione, le quattro imprese sopra richiamate avevano posto in essere un’intesa anticoncorrenziale per il suo stesso oggetto (sub specie di pratica concordata), con la finalità di condizionare gli esiti della gara attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti, così da aggiudicarsi i più appetibili nel limite massimo fissato dalla lex specialis . La condivisione della scelta degli otto lotti su cui presentare l’offerta e la conseguente decisione di non partecipare ai residui cinque messi a gara avevano inoltre, secondo la ricostruzione dell’AGCM, influenzato gli esiti della procedura con riguardo a tutti i tredici lotti oggetto della procedura.

In particolare, secondo l’assunto dell’AGCM, risultava che CNS e la sua principale consorziata MFM avevano deciso di partecipare separatamente alla gara, laddove, se quest’ultima avesse partecipato in qualità di impresa indicata dal consorzio, il numero massimo di lotti che si sarebbero potute aggiudicare congiuntamente, sarebbe stato pari a tre, mentre, partecipando separatamente, avevano potuto contare sull’aggiudicazione di sei lotti. Inoltre, le due imprese, una volta decisa la partecipazione autonoma, avrebbero dovuto concorrere come soggetti assolutamente indipendenti, del tutto prescindendo dai legami consortili, mentre risultava che avevano individuato i lotti su cui avrebbero rispettivamente concentrato i propri ‘sforzi’ tramite scambi indiretti di informazioni al fine di perseguire un comune disegno, per il quale risultava essenzialmente che CNS aveva partecipato alla gara avendo tra i propri principali obiettivi quello di tutelare i contratti storici e il portafoglio della propria consorziata di maggior peso quale era MFM, curandone gli interessi in via principale e maggiore rispetto a quelli delle consorziate per conto delle quali pure aveva presentato le sue offerte.

Per l’AGCM, quindi, risultava un utilizzo distorto dello strumento consortile da parte di CNS, il quale aveva principalmente avuto riguardo alle consorziate di maggior peso rispetto a quelle di più ridotte dimensioni. La strategia di gara di CNS era risultata del tutto irrazionale – se non nell’ottica della concertazione con la concorrente MFM e le imprese RM e K –, oltre che incoerente con i principi che lo stesso consorzio aveva riferito essere alla base delle proprie scelte partecipative, presentandosi esso solo in alcuni lotti e non in altri, e coincideva unicamente con l’obiettivo collusivo condiviso con MFM di aggiudicarsi complessivamente sei lotti in luogo di tre, come emergeva dalla scelta – estranea a una sana logica imprenditoriale – di non presentare offerta per i lotti comprendenti l’Emilia-Romagna e la Lombardia (lotti 2 e 8), poi aggiudicati a MFM, e di presentare offerte decisamente non competitive per i lotti relativi alla Toscana e al Veneto (lotti 3 e 9), entrambi pure aggiudicati a MFM.

Analogamente, nel presentare offerta per il lotto comprendente il Lazio e la Sardegna (lotto 4), CNS aveva inteso garantire a una società non consorziata quale RM, ma riconducibile a MFM in virtù della partecipazione societaria di quest’ultima, il pieno mantenimento del portafoglio storico nella città di Roma, nel rispetto di un accordo compensativo nel frattempo stipulato tra CSN e RM.

D’altro canto, a fronte dell’operato di CNS, risultava che MFM aveva rinunciato a presentare offerta per il lotto 4, nonostante il cospicuo portafoglio ivi detenuto da RM sua partecipata, e si era impegnata, tramite lo strumento del subappalto, ad aiutare CNS affinché anche ad altre consorziate detentrici di appalti storici fosse garantito il mantenimento di tali appalti o perlomeno il valore del portafoglio a questi riconducibile.

Quanto alla posizione di K, l’AGCM concludeva nel senso che la stessa tipologia di affidamenti al quadro collusivo era stata garantita in ragione di un credito pregresso vantato nei confronti di CNS, che aveva indotto l’interessata a partecipare al fianco del Consorzio alla gara nell’ambito di un’a.t.i. (ATI 1), accettando nel contempo però di concedere subappalti a consorziate di rilievo di CNS, a cui il consorzio stesso intendeva garantire il mantenimento del portafoglio.

Secondo l’Autorità, l’intesa si era potuta pienamente realizzare e aveva trovato attuazione anche per effetto degli scambi di informazioni sensibili che si erano realizzati nel contesto dei rapporti di governance esistenti tra MFM e RM, laddove, in particolare, quest’ultima aveva svolto un ruolo cruciale di veicolo di informazioni tra la prima e lo stesso CNS.

In sintesi, gli elementi posti dall’AGCM a base dell’accertamento dell’illecito antitrust nei confronti delle quattro imprese sanzionate, sono stati i seguenti:

- l’ATI 1, cui partecipavano CNS quale mandataria e K e Exitone quali mandanti, e MFM si erano aggiudicate quattro lotti ciascuna, tutti ricadenti nell’area geografica centro-settentrionale;

- sui lotti in cui l’ATI 1 era vincitrice, MFM non aveva presentato offerta, mentre sui lotti 3 e 9 – unici in cui vi era sovrapposizione di offerte ed era risultata vincitrice MFM – l’ATI 1 aveva presentato un ribasso decisamente meno aggressivo rispetto a quello formulato sugli altri lotti;

- RM non aveva partecipato alla gara nonostante fosse interessata quantomeno ai lotti 4 (Sardegna con alcune province del Lazio) e 5 (restanti province del Lazio), quale gestore ‘uscente’ dei servizi di pulizia;

- tra la pubblicazione del bando di gara e la scadenza del termine per presentare le offerte era intervenuto un accordo scritto tra CNS e RM avente ad oggetto l’impegno di quest’ultima di non partecipare alla gara e l’obbligo di CNS di richiedere l’autorizzazione al subappalto della ‘quota-parte’ comprendente il pregresso portafoglio di RM, una volta aggiudicatosi il lotto 4;

- CNS e MFM, pur formalmente concorrendo in autonomia, hanno perseguito obiettivi condivisi, consistenti nella tutela del portafoglio della principale consorziata MFM, nella tutela del posizionamento di CNS sui lotti 1, 4 e 10 (Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria, Sardegna-Lazio e Umbria-Marche-Abruzzo-Molise), nella tutela del portafoglio di RM relativamente al lotto 4, nella tutela del portafoglio delle altre consorziate di maggior rilievo, anche grazie a subappalti concessi da K, nonché nella volontà di compensare un debito pregresso di CNS verso la stessa K, consentendo a quest’ultima di partecipare all’ATI 1, pur possedendo CNS per intero i prescritti requisiti di partecipazione;

- la condotta era identificabile quale anticompetitiva ‘per oggetto’, con conseguente mancata necessità di comprovare in concreto eventuali effetti restrittivi, peraltro realizzatisi con l’eliminazione del rischio del confronto concorrenziale reciproco tra i due maggiori players del mercato, quali CNS e MFM;

- CNS aveva individuato con precisione i lotti che si sarebbe aggiudicata già prima dell’esito di gara, pur mantenendo aperte soluzioni alternative sino alla presentazione delle offerte;

- la strategia partecipativa era contraddistinta da scelte irrazionali spiegabili solo con l’intento collusivo, quali: la mancata sovrapposizione sui lotti appetibili per CNS e MFM, il mancato rispetto della procedura di preassegnazione prevista dal regolamento consortile di CNS, l’irragionevole traslazione del portafoglio di talune consorziate in regioni diverse da quelle di radicamento, la mancata tutela del portafoglio di altre consorziate;

- le tesi difensive delle parti si erano fondate su una parcellizzazione delle evidenze agli atti, non idonea a fornire una spiegazione alternativa delle condotte tenute in occasione della gara;

- nessuna offerta risultava presentata per i lotti riguardanti l’Italia meridionale, pur avendo alcune consorziate di CNS manifestato interesse a partecipare, e illogica appariva la scelta di CNS di non presentare offerta per il lotto 2 (Emilia-Romagna) poi aggiudicato a MFM, ove storicamente aveva la sua operatività, con la conseguenza di dover riallocare artificiosamente in altre regioni il portafoglio di consorziate ivi operanti, non risultando idonea la giustificazione per la quale le consorziate stesse avevano chiesto di operare al di fuori della Regione essendo aggiudicatarie di altra specifica commessa sul territorio, in quanto anche MFM aveva acquisito quest’ultima e aveva poi concesso subappalti a consorziate non riallocatesi altrove;

- non idonea era anche la giustificazione in ordine alla mancata partecipazione di CNS al lotto 8 (Lombardia), fondata sull’assenza di consorziate con portafoglio storico di rilievo, laddove in Lombardia esistevano due consorziate e lo stesso CNS aveva presentato offerta per il lotto 3 (Toscana), sebbene privo di ‘portafoglio consortile storico’;

- sui due lotti in cui vi era stata sovrapposizione (3 e 9), CNS aveva formulato un’offerta economica non concorrenziale, sebbene l’offerta tecnica fosse simile a quella per gli altri lotti;

- RM poteva partecipare alla gara disponendo dei requisiti, ma aveva preferito rinunciare a fronte dell’impegno sul lotto 4, come desumibile da e-mail interne acquisite e, inoltre, aveva svolto un ruolo di raccordo tra CNS e K d’un lato, e MFM dall’altro;

- risultavano numerosi scambi di informazioni tra le parti, giustificati in istruttoria con tesi contraddittorie.

2. Contro tale provvedimento le quattro imprese sanzionate hanno proposto separati ricorsi dinanzi al T.a.r. per il Lazio, il quale pronunciava quattro distinte sentenze (tutte pubblicate il 14 ottobre 2016), con le quali confermava l’impugnato provvedimento nei confronti delle ricorrenti CNS (sentenza n. 10303/2016), MFM (sentenza n. 10309/2016) e RM (sentenza n. 10307/2016) in punto di an debeatur , riformandolo parzialmente con riferimento alla quantificazione della sanzione pecuniaria, mentre lo annullava con riguardo alla posizione di K (sentenza n. 10305/2016), ritenendo carente di prova (e di adeguata motivazione provvedimentale) la partecipazione di K all’intesa sanzionata dall’Autorità.

2.1. Per quanto qui interessa, il T.a.r. adìto con la sentenza in epigrafe, pronunciata sul ricorso proposto da RM avverso il provvedimento sanzionatorio, provvedeva come segue.

2.1.1. Previa ricostruzione del quadro giurisprudenziale, nazionale e comunitario, relativo all’istituto dell’intesa restrittiva della concorrenza di cui all’art. 101, comma 1, TFUE ( ex -art. 81 TCE), rilevava che, nel caso sub iudice , « l’AGCM ha contestato alle parti una concertazione “complessa”, definendone il plurimo oggetto anticompetitivo, dato dalla volontà di condizionare gli esiti della gara Consip attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti più appetibili, avvenuta anche mediante l’opera di mediazione di RM » (p. 19 dell’appellata sentenza).

Il T.a.r. respingeva indi il primo motivo di ricorso – con il quale erano stati dedotti i vizi di eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità manifesta, errore sui presupposti e travisamento dei fatti, carenza di istruttoria e difetto di motivazione con riferimento all’estensione soggettiva del procedimento a RM e all’asserita sua responsabilità per aver posto in essere la pratica concordata ritenuta accertata dall’Autorità –, rilevando che:

- il ricorso si fondava su un assioma del tutto indimostrato a priori , consistente nella ritenuta assenza di trasmissione di informazioni sensibili da RM a MFM ai fini del disegno collusivo anticoncorrenziale di cui alla ricostruzione dell’AGCM, che avrebbe dovuto portare ad escludere l’estensione del procedimento nei confronti di RM;

- in realtà, la trasmissione di informazioni vi era stata e, soprattutto, ai fini dell’impostazione del motivo di ricorso, non risultavano sussistenti argomentazioni per escludere la sola estensione soggettiva del procedimento, che è stata ritenuta all’epoca necessaria proprio per approfondire l’esame della posizione di RM alla luce delle evidenze acquisite;

- dal contesto del provvedimento impugnato appariva chiaro come l’AGCM avesse inteso il coinvolgimento di RM nel senso, più volte evidenziato nel provvedimento, che l’intesa sanzionata aveva potuto pienamente realizzarsi e trovare attuazione anche per effetto degli scambi di informazioni sensibili che si erano realizzati nel contesto dei rapporti di governance esistenti tra MFM e RM, e che quest’ultima aveva svolto il ruolo cruciale di veicolo di informazioni tra CNS e MFM, in una logica di condivisione delle proprie scelte imprenditoriali strategiche con la partecipante MFM;

- sotto tale prospettiva, quindi, non appariva alcuna manifesta illogicità nella decisione di estendere soggettivamente il procedimento anche alla ricorrente RM.

2.1.2. Respingeva il secondo motivo di ricorso – con cui RM aveva dedotto i vizi di violazione delle norme e dei principi in materia di prove ed, in particolare, dell’art. 192 cod. proc. pen. e dell’art. 2729 cod. civ., di violazione delle norme e dei principi sanciti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della Carta dei diritti dell’Unione Europea, in particolare, dell’art. 6 della CEDU e degli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali, dei principi di giusto processo, imparzialità e presunzione di non colpevolezza, nonché di eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità manifesta, errore sui presupposti e travisamento dei fatti, carenza di istruttoria e difetto di motivazione con riferimento all’accertamento dell’asserita intesa anticoncorrenziale, sub specie di pratica concordata, nell’ambito della gara indetta CONSIP –, sulla base dei seguenti rilievi:

- dal tenore del gravato provvedimento non risultava che alle imprese sanzionate fosse stato addebitato il ricorso a forme di aggregazione partecipativa a pubbliche gare in sé considerato, quali associazioni temporanee di imprese, subappalti o partecipazioni consortili, ma l’uso distorto del coordinamento che ne era derivato nella specifica gara esaminata, con conseguente sufficiente grado di dannosità e idoneità degli elementi indiziari individuati;

- quanto agli elementi di prova ‘endogeni’, non poteva che farsi riferimento alla richiamata giurisprudenza secondo cui nell’illecito antitrust da intesa restrittiva della concorrenza la valutazione dei singoli comportamenti individuati doveva integrarsi nello sfondo complessivo della strategia riconducibile alle parti, in cui la tesi ‘accusatoria’ era l’unica in grado di reggere a una logica di giustificazione del suddetto sfondo di ‘insieme’, a confronto delle diverse ricostruzioni proposte dalle imprese interessate;

- quanto ai rapporti CNS/MFM/RM, risultava una e-mail in cui, nel quadro dell’accordo RM/CNS, era trasmesso il regolamento interno dell’ATI 1 con indicazione dei lotti in cui presentare offerta, e ciò non avrebbe avuto ragione di essere se non nell’ottica compensativa/collaborativa identificata dall’AGCM, dato che l’ATI 1 non comprendeva RM;

- né risultava che RM non possedesse i requisiti per partecipare singolarmente, in quanto non avrebbe avuto senso logico la clausola dell’accordo in cui RM dichiarava di rinunciare a partecipare alla gara, se essa ab origine non avesse posseduto i requisiti;

- risultava inoltre una delibera del 2 agosto 2012, con cui il Consiglio di amministrazione di RM aveva in realtà deciso di partecipare alla gara, evidentemente con la consapevolezza di detenere i requisiti richiesti, anche se per soli due lotti;

- così pure irrilevante era l’osservazione in ordine alla circostanza per la quale RM avrebbe potuto decidere, in piena autonomia e sulla base delle proprie valutazioni di opportunità, di accordarsi con CNS anche in caso di partecipazione alla gara di MFM, non essendovi alcuna certezza di aggiudicazione a favore di quest’ultima, dato che tale conclusione era meramente ipotetica e l’eliminazione del confronto concorrenziale era stato il fulcro della condotta sanzionata, non l’intervenuta aggiudicazione o una ragionevole previsione di questa, e ciò valeva anche con riguardo alla consistenza probatoria del documento interno a CNS contenente i nominativi dei partecipanti alla gara e una valutazione prognostica sugli esiti;

- risultavano, poi, una e-mail inviata da RM a MFM contenente il testo dell’accordo con CNS prima della sua sottoscrizione – e ciò appariva plausibile solo nell’ottica di una condivisione di informazioni sulla gara e sulla partecipazione al lotto 4 –, nonché una precedente e-mail in cui invece RM aveva comunicato a MFM di voler partecipare, tra altre, anche alla gara CONSIP in questione;

- seguivano anche varie comunicazioni, in cui MFM inviava a RM il testo di una bozza di accordo di subappalto da lei utilizzata e da considerare nella trattativa con CNS, e MFM riceveva a sua volta da RM il testo definitivo dell’accordo RM/CNS prima della sottoscrizione, poi successivamente applicato mediante affidamento di subappalti anche ulteriori rispetto a quello originario;

- pertanto, il quadro indiziario complessivo faceva emergere la plausibilità dell’unica interpretazione data dall’AGCM, legata all’esistenza di una strategia a valenza anticoncorrenziale orientata a eliminare il rischio del confronto in gara dei due principali competitors su determinati lotti, con conseguente mantenimento di quote di portafoglio di MFM anche attraverso società controllata e mediante subappalto, in base alla preventiva strategia di partecipazione alla gara previamente concordata grazie anche al tramite di RM;

- non risultava, quindi, in contestazione il contratto alla base del rapporto CNS/RM, ma l’uso distorto cui lo stesso era servito;

- proprio per i rapporti di governance intercorrenti tra una consorziata partecipante autonomamente alla gara e la ricorrente, quest’ultima avrebbe dovuto mantenere particolare attenzione nell’indursi, proprio in costanza di gara, a definire rapporti contrattuali con il consorzio e a chiedere alla sua partecipante – a sua volta consorziata di rilievo di CNS – ‘consigli’ e ‘suggerimenti’ ai fini della definizione di tale rapporto contrattuale;

- né era rimasto chiarito, quale spiegazione ‘alternativa’ convincente da parte di RM, per quale motivo la stessa proprio in occasione di tale importante gara avesse deciso di regolare rapporti contrattuali con il consorzio, pure partecipante alla gara: se infatti, come indicato da RM, la volontà imprenditoriale era quella di rimanere a gestire servizi di pulizia nel solo Lazio, non era stato chiarito, perché a tal fine era possibile solo addivenire a un accordo proprio con CNS e non con altre imprese del settore.

2.1.3. Il T.a.r. accoglieva, invece, in parte il terzo motivo con cui RM aveva dedotto l’illegittima determinazione dell’ammontare della sanzione nella misura di euro 3.377.910,00, sotto vari profili – statuendo come segue:

- affermava l’applicabilità, alla fattispecie sub iudice , delle Linee guida adottate dall’Autorità il 22 ottobre 2014 (dunque prima della notificazione della CRI avvenuta il 14 ottobre 2015);

- affermava la corretta assunzione, a base di calcolo della sanzione, del valore delle vendite direttamente o indirettamente interessate dall’illecito, e dunque degli importi oggetto di aggiudicazione o posti a base d’asta in assenza di aggiudicazione, a prescindere dalla « successiva effettiva misura di realizzazione del ricavato “in concreto” »;

- riteneva, invece, illegittima l’inclusione, nella base di calcolo della sanzione, anche del valore massimo del plafond aggiuntivo previsto per ciascun lotto, trattandosi di valore di natura meramente eventuale, perché preso in considerazione nella sola ipotesi in cui l’aggiudicatario avesse ricevuto ordinativi nonostante l’intervenuto esaurimento del massimale di fornitura;

- riteneva, altresì, illegittima l’applicazione della maggiorazione della sanzione nella percentuale minima del 15% – prevista dai paragrafi 11 e 12 delle Linee guida (con un range fino al 30%) per le infrazioni ‘gravi’ degli artt. 101 e 102 TFUE e 2 e 3 l. n. 287 del 1990, ed applicata dall’Autorità nel caso di specie in ragione della « segretezza » dell’intesa anticoncorrenziale –, affermando, per un verso, che « la “percentuale minima per segretezza”, di cui all’art. 12 delle Linee guida, possa rilevarsi solo allorché si riscontrino – e se ne dia atto con congrua motivazione e allegazione di un certo numero di chiari elementi indiziari – ulteriori circostanze idonee a far ritenere la precisa e determinata volontà delle parti non di dare luogo alla specifica condotta poi valutata sotto il profilo “antitrust” ma di occultare ogni contatto avvenuto per dare luogo all’intesa sanzionata, con artifici particolari e indirizzati esclusivamente a tale scopo », e negando, per altro verso, che il gravato provvedimento avesse motivato in modo specifico e congruo attorno ai presupposti di applicabilità della maggiorazione in questione;

- nell’esplicazione della giurisdizione di merito ex art. 134, comma 1, lettera c), cod. proc. amm., fissava i parametri per la concreta determinazione della sanzione da irrogare a RM, indicando come congrua la percentuale di un terzo della percentuale minima del 15% di cui all’art. 12 delle Linee guida e, dunque, la percentuale del 5%, « in considerazione della circostanza per la quale la condotta ha riguardato una sola gara e non sono stati dimostrati impatti economici tali da dare luogo ad effetti pregiudizievoli stabili per il mercato e/o i consumatori » (v. così, testualmente, l’impugnata sentenza).

2.1.4. Il T.a.r. annullava dunque il provvedimento impugnato nella sola parte relativa alla determinazione dell’entità della sanzione, rinviando all’Autorità per la nuova, concreta quantificazione di essa alla luce delle indicazioni date nella parte-motiva della sentenza, e respingeva il ricorso nel resto, a spese compensate tra le parti.

3. Avverso tale sentenza interponeva appello principale l’originaria ricorrente RM, deducendo i motivi come di seguito rubricati:

a) « Sulla estensione soggettiva del procedimento: error in iudicando per mancato riscontro: a) della violazione e falsa applicazione dell’art. 101 TFUE;
b) dell’eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità manifesta, errore sui presupposti e travisamento dei fatti, carenza di istruttoria e difetto di motivazione
», negando in particolare che MFM, in ragione della partecipazione RM, avrebbe avuto illecitamente ‘accesso’ a informazioni relative alla strategia di gara di CNS, di cui altrimenti non avrebbe potuto disporre;

b) « Sulla sussistenza dell’illecito accertato: error in iudicando per il mancato riscontro: a) della violazione e falsa applicazione degli artt. 101 TFUE, delle norme e dei principi in materia di prove, delle norme e dei principi sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e, in particolare, dell’art. 6 della CEDU e degli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali, dei principi del giusto processo, di imparzialità e presunzione di non colpevolezza;
dell’eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità manifesta, errore sui presupposti e travisamento dei fatti, carenza di istruttoria e difetto di motivazione
» (v. così, testualmente, la rubrica del terzo motivo d’appello);

c) l’erroneità della sentenza in punto di determinazione dell’entità della sanzione, per l’omessa valorizzazione delle peculiarità della posizione di Roma Multiservizi rispetto a quella di altre parti sanzionate e per l’imputazione a RM di una condotta di pari gravità rispetto a quella addebitata alle altre imprese coinvolte, e dunque per l’omessa personalizzazione della sanzione in relazione al ruolo svolto dalle singole imprese nel contesto dell’illecito in questione, nonché la violazione dei paragrafi 8 e 18 delle Linee Guida per avere l’’Autorità, ai fini della determinazione della base di calcolo della sanzione, i fatturati relativi agli anni 2014 e 2015, anziché quello relativo solo all’ultimo anno conseguente all’asserita infrazione.

L’appellante RM chiedeva pertanto, previa sospensione della provvisoria esecutorietà dell’impugnata sentenza (e degli atti consequenziali) e in sua riforma, l’accoglimento del ricorso di primo grado e l’annullamento del gravato provvedimento.

4. Si costituiva in giudizio l’AGCM, contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone la reiezione, nonché proponendo appello incidentale avverso le statuizioni sub 2.1.3. e 2.1.4., nella parte in cui era stato ridotto l’ammontare della sanzione irrogata a RM, affidato ai motivi come di seguito rubricati:

a) « Primo motivo: difetto di motivazione e travisamento di fatto sulle modalità di calcolo della sanzione irrogata a Roma Multiservizi »;

b) « Secondo motivo: difetto di motivazione ed erronea individuazione della gravità dell’infrazione e proporzionalità della sanzione »;

c) « Terzo motivo: difetto di motivazione ed errore di diritto in merito alla pretesa insussistenza della segretezza dell’intesa e minore gravità dell’infrazione ».

5. Nell’udienza cautelare del 20 dicembre 2016 la difesa erariale dava atto che era in corso di notifica l’appello incidentale (di cui sopra sub 4.), al che tutti i difensori presenti dichiaravano concordemente di rinunciare alle istanze cautelari ed ai termini per la trattazione del merito, ed il Presidente disponeva il rinvio al merito, ad un’udienza in cui sarebbero stati chiamati anche gli appelli nelle more interposti da CNS e MFM, con termine fino a cinque giorni prima dell’udienza per il deposito e lo scambio di memorie difensive.

6. All’udienza pubblica del 26 gennaio 2017 la causa veniva chiamata ed ampiamente discussa unitamente a quelle parallele intentate da CSN e MFM.

In tale udienza, la difesa di RM dichiarava di aderire alle istanze delle difese di CSN e MFM (formulate nei paralleli giudizi d’appello) in ordine alla rimessione alla Corte di Giustizia UE di alcune questioni pregiudiziali meglio sviluppate nei rispettivi atti difensivi.

Indi la causa veniva trattenuta in decisione su tutte le richieste delle parti.

DIRITTO

7. Occorre premettere che non si ravvisano i presupposti per la riunione dei tre ricorsi in appello, proposti separatamente da CNS, MFM e RM avverso le correlative tre distinte sentenze pronunciate dal T.a.r. per il Lazio e tutti chiamati all’odierna udienza, in quanto, d’un lato, non si verte in un’ipotesi di riunione necessaria ai sensi dell’art. 96, comma 1, cod. proc. amm. e, d’altro lato, le varie imprese appellanti hanno dedotto motivi d’appello tra di loro in parte non coincidenti, talché appare preferibile una trattazione separata dei ricorsi medesimi.

8. Affrontando in ordine logicamente prioritario l’appello principale, si osserva che lo stesso è infondato.

8.1. Premesso che il provvedimento sanzionatorio qui impugnato applica dichiaratamente, in via diretta, l’art. 101 TFUE (ponendo in rilievo la rilevanza comunitaria della gara, la circostanza che i servizi oggetto della gara interessavano l’intero territorio nazionale, la partecipazione alla gara di imprese aventi vocazione internazionale e la conseguente potenziale incidenza pregiudizievole del comportamento delle imprese sanzionate sul mercato comune europeo), si osserva che l’art. 101 TFUE vieta « […] tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel: […] c) ripartire i mercati […] ».

8.1.1. Giova, al riguardo, svolgere alcune considerazioni preliminari in diritto rilevanti ai fini della decisione dei primi due motivi d’appello, tenuto conto del quadro giurisprudenziale comunitario e nazionale formatosi in materia di intese restrittive della concorrenza vietate dal diritto antitrust :

(i) l’intesa restrittiva vietata dall’art. 101, paragrafo 1, TFUE può realizzarsi sia mediante un ‘accordo’ – che, in materia antitrust , non si esaurisce nell’istituto civilistico del contratto, ma comprende anche le fattispecie che, senza poter essere qualificate ‘contratti’, non si risolvono neanche in mere ‘pratiche’, sia pure concordate, ma si presentano come manifestazioni di volontà impegnative (sul piano sociale, e non necessariamente anche sul piano giuridico) di due o più soggetti, nelle quali resta irrilevante la forma, così come non rileva che l’accordo sia stato concluso, o meno, da soggetti muniti di potere di rappresentanza delle imprese partecipanti (v. Corte Giust. UE, 7 febbraio 2013, C-68/12;
Trib. I° grado CE, 24 ottobre 1991, T-1/89), essendo sufficiente che esponenti aziendali abbiano, di fatto, impegnato le rispettive imprese all’attuazione dell’intesa –, sia mediante una ‘pratica concordata’;

- storicamente, le ‘pratiche concordate’ emergono, come concetto del diritto antitrust, in qualità di prove indirette indicative dell’esistenza di un accordo, rappresentando dunque non tanto un’autonoma fattispecie di diritto sostanziale rigorosamente definita nei suoi elementi costitutivi, quanto una fattispecie strumentale operante sul piano probatorio in funzione dell’accertamento di una intesa restrittiva vietata dal diritto antitrust , indicativa dell’esistenza di una concertazione tra imprese concorrenti, le quali, invece, dovrebbero agire autonomamente sul mercato;

- infatti, la pratica concordata corrisponde ad una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce, in modo consapevole, un’espressa collaborazione fra le stesse per sottrarsi ai rischi della concorrenza, con la precisazione che i criteri del coordinamento e della collaborazione, che consentono di definire tale nozione, vanno intesi alla luce dei princìpi in materia di concorrenza, secondo cui ogni operatore economico deve autonomamente determinare la condotta che intende seguire sul mercato: pur non escludendo la suddetta esigenza di autonomia il diritto degli operatori economici di reagire intelligentemente al comportamento noto o presunto dei concorrenti, essa vieta però rigorosamente che fra gli operatori abbiano luogo contatti diretti o indiretti aventi per oggetto o per effetto di creare condizioni di concorrenza non corrispondenti alle condizioni normali del mercato (v. sul punto, per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 4 settembre 2015, n. 4123);

- da una giurisprudenza ben consolidata risulta che, se l’art. 101 TFUE (ex-art. 81 TCE) distingue il concetto di ‘pratica concordata’ da quello di ‘accordi fra imprese’ o di ‘decisioni di associazioni di imprese’, ciò è dovuto all’intenzione di comprendere fra i comportamenti vietati da questo articolo forme diverse di coordinamento tra imprese del loro comportamento sul mercato (v., in particolare, Corte Giust. CE, 14 luglio 1972, 48/69;
Corte Giust. CE, 8 luglio 1999, C 49/92 P;
Corte Giust., 23 novembre 2006, C-238/05: quest’ultima, al punto 31 esclude la necessità di qualificare esattamente la forma di cooperazione tra imprese contestata alle parti) e di evitare così che le imprese possano sfuggire alle regole di concorrenza in base alla sola forma con la quale coordinano il loro comportamento;

- in particolare, secondo la giurisprudenza comunitaria, ‘accordi’ e ‘pratiche concordate’ sono forme collusive che condividono la medesima natura e si distinguono solo per la loro intensità e per le forme in cui esse si manifestano (v., ex plurimis , Corte Giust. UE, 5 dicembre 2013, C-449/11P), e possono coesistere anche nell’ambito di una stessa intesa, corrispondendo, in particolare, le ‘pratiche concordate’ a una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere stata spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce consapevolmente una pratica collaborazione fra le stesse ai rischi della concorrenza;

- ne consegue che l’eventuale qualificazione, da parte dell’Autorità antitrust, di una determinata situazione di fatto come ‘accordo’, anziché come ‘pratica concordata’, non vale ad immutare la sostanza dei fatti materiali addebitati alle imprese sanzionate per un’intesa restrittiva della concorrenza, rilevando la distinzione tra le diverse forme di manifestazione dell’intesa vietata primariamente sul piano del regime probatorio [su cui v. infra , sub (vi)];

(ii) parimenti, la distinzione tra intese anticoncorrenziali ‘per oggetto’ e intese anticoncorrenziali ‘per effetto’, contenuta nell’art. 101, paragrafo 1, TFUE, non può essere ricostruita attraverso i concetti civilistici della disciplina generale del contratto (artt. 1346 ss, 1372 ss., cod. civ.), in quanto, per un verso, gli ‘accordi’ non sono necessariamente (e neanche prevalentemente) ‘contratti’ in senso negoziale-civilistico, e, per altro verso, le ‘pratiche concordate’, consistenti in meri comportamenti di fatto (sintomatici di una concertazione sottostante), giammai potrebbero avere un oggetto negoziale, mentre la giurisprudenza comunitaria ha affermato la possibilità di pratiche concordate condannabili ‘per oggetto’ pur in mancanza di effetti concreti (v. Corte Giust. CE, 8 luglio 1999, C-49/92;
Trib. I° grado CE, 8 luglio 2004, T-50/00), con ciò riferendosi a ‘pratiche facilitanti’ atte a favorire il coordinamento dei comportamenti concorrenziali delle imprese coinvolte, per quanto non ancora produttive di concreti effetti anticoncorrenziali (infatti, una tale affermazione sarebbe priva di senso, se il termine ‘oggetto’ e il termine ‘effetto’ fossero intesi in senso giuridico-negoziale, anziché con riferimento alla concreta portata dell’operazione economica oggetto di contestazione);

- peraltro, il testo normativo (anche argomentando dal successivo paragrafo 3), parlando di ‘effetti’, non si riferisce agli effetti giuridici, bensì a quelli economici dei comportamento presi in considerazione, così come anche l’‘oggetto’ di cui parla l’art. 101 TFUE deve essere inteso in senso economico (e non come ‘prestazione giuridicamente dovuta’ dedotta in contratto) (v. Corte Giust. CE, 30 giugno 1966, C-56/64);

- l’affermazione ormai consolidata (v., per tutte, Corte Giust. CE, 11 gennaio 1990, C-277/87;
Trib. I° grado UE, 24 maggio 2012, T-111/08) per cui ‘oggetto’ ed ‘effetto’ sono condizioni alternative e non cumulative deve, pertanto, essere intesa non nel senso che si tratta di termini realmente alternativi (di modo che la presenza dell’uno determina l’esclusione dell’altro), ma nel senso che, se un’intesa ha già un oggetto potenzialmente anticoncorrenziale, è irrilevante il fatto che abbia prodotto o meno effetti concreti, mentre, se ha un oggetto non direttamente anticoncorrenziale, occorre passare all’esame degli effetti prodotti;

- pertanto, i termini ‘oggetto’ ed ‘effetto’ costituiscono semplicemente diverse prospettive di uno stesso fenomeno, che passa da un effetto anticoncorrenziale potenziale (‘oggetto’) a un effetto anticoncorrenziale effettivamente prodotto (‘effetto’), con i seguenti corollari sul piano del regime probatorio: per un verso, la prova dell’effetto concreto è sufficiente ai fini dell’accertamento della violazione del divieto e, per altro verso, il divieto può applicarsi anche in caso di effetto anticoncorrenziale solo potenziale;

- posto che l’accertamento di un’intesa anticoncorrenziale sub specie di intesa vietata ‘per oggetto’ o ‘per effetto’ si basa su un’analisi degli effetti economici (attuali o solo potenziali) dell’intesa, ne consegue che una stessa intesa vietata (sia che si manifesti in forma di accordi, sia che si manifesti in forma di pratiche concordate, sia che si manifesti in forma mista), sotto alcuni aspetti può essere qualificata come intesa anticoncorrenziale ‘per oggetto’ e, sotto altri aspetti, come anticoncorrenziale ‘per effetto’;

(iii) la tipicità legale del negozio o dello strumento contrattuale cui, nel caso concreto, abbiano fatto ricorso le parti (nel caso di specie, vengono in rilievo i raggruppamenti temporanei d’impresa, il contratto sociale consortile, il contratto di subappalto), o il fatto che esso abbia un oggetto principale che nulla abbia a che vedere con la regolazione della concorrenza, non esclude la possibilità di una valutazione degli effetti antitrust e un possibile giudizio di illiceità, totale o parziale, per violazione della normativa antitrust (Corte Giust. CE, 17 novembre 1987, C-142/84);

- diversamente opinando, si perverrebbe al risultato, inaccettabile, che l’illecito concorrenziale sarebbe pressoché inconfigurabile per il semplice fatto che, il più delle volte, consiste in comportamenti analiticamente leciti, se visti solo alla luce di settori dell’ordinamento diversi da quello della concorrenza;

- per quanto qui interessa, la circostanza che associazioni temporanee d’impresa, consorzi e contratti di subappalto costituiscano negozi giuridici tipizzati, non esclude la loro contrarietà al diritto antitrust , allorché risulti che la concreta funzione socio-economica dell’affare sia illecita in quanto volta a contrassegnare un assetto contrario a norme imperative, essendo molteplici istituti civilistici ‘neutri’ sotto profili antitrust e dovendo essere verificato in concreto il loro utilizzo a fini anticoncorrenziali: ciò che rileva a fini antitrust, infatti, non è la legittimità o meno di una specifica condotta, ma la portata anticoncorrenziale di una serie di atti, in tesi anche in sé legittimi (Cons. Stato, Sez. VI, 30 giugno 2016, n. 2947;
id., 15 maggio 2015, n. 2479);

(iv) è altresì giurisprudenza costante che, allorché una decisione che applica l’articolo 101 TFUE ( ex -art. 81 TCE) riguarda più destinatari e pone un problema di imputabilità dell’infrazione, essa deve contenere una motivazione sufficiente nei confronti di ciascuno dei destinatari, specie di quelli che, secondo il tenore della stessa decisione, dovranno sopportare l’onere conseguente all’infrazione (v., per tutte, Trib. I° grado CE, 28 aprile 1994, T 38/92;
id., T 330/01), con la precisazione che l’accertamento dell’elemento soggettivo quanto meno della colpa costituisce il presupposto per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, ai sensi dell’art. 11, paragrafo 2, del Regolamento CE n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002 (concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato), ma non costituisce elemento costitutivo dell’illecito antitrust (ad es., ai fini dell’adozione di misure interdittive);

- gli accordi e le pratiche concordate di cui all’art. 101 TFUE ( ex -art. 81 TCE) derivano necessariamente dal concorso di due o più imprese, tutte coautrici dell’infrazione, la cui partecipazione può però presentare forme differenti a seconda, segnatamente, delle caratteristiche del mercato interessato e della posizione di ciascuna impresa su tale mercato, degli scopi perseguiti e delle modalità di esecuzione scelte o previste: tuttavia, la semplice circostanza che ciascuna impresa partecipi all’infrazione secondo forme ad essa peculiari non basta ad escluderne la responsabilità per il complesso dell’infrazione, compresi i comportamenti materialmente attuati da altre imprese partecipanti che però condividano il medesimo oggetto o il medesimo effetto anticoncorrenziale (v. Corte Giust. CE, 8 luglio 1999, C 49/92 P);

- l’esistenza di un’infrazione perpetrata attraverso una pluralità di atti o condotte non significa necessariamente che un’impresa che partecipi ad uno o più aspetti possa essere ritenuta responsabile dell’intera infrazione, spettando, con riguardo alla prova dell’elemento soggettivo in capo a ciascuna delle imprese coinvolte (rilevante ai fini dell’irrogazione di una sanzione pecuniaria), alla Commissione (o all’Autorità nazionale antitrust ) dimostrare che la suddetta impresa intendeva contribuire con il proprio comportamento agli obiettivi comuni perseguiti da tutti i partecipanti e che era a conoscenza dei comportamenti materiali previsti o messi in atto da altre imprese nel perseguire i medesimi obiettivi, oppure che poteva ragionevolmente prevederli ed era pronta ad accettarne i rischi (Corte Giust. CE, 8 luglio 1999, C‑49/92 P);

- ne consegue che, anche ove in sede giudiziale si ritenga non sufficientemente motivata la partecipazione di una delle imprese all’intesa restrittiva, ciò non di meno le altre imprese possano continuare a rispondere del proprio comportamento anticoncorrenziale, attesa la piena compatibilità dell’assoluzione di una delle imprese coinvolte, per carenza di prova e di adeguata motivazione in ordine alla sua partecipazione alla concertazione, con la persistente responsabilità delle altre imprese coinvolte in ordine ai comportamenti loro contestati, accertati dall’Autorità e rimasti confermati in sede giudiziale;

(v) le intese finalizzate alla ripartizione dei mercati hanno un oggetto restrittivo della concorrenza in sé e appartengono a una categoria di accordi espressamente vietati dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, poiché un siffatto oggetto non può essere giustificato mediante un’analisi del contesto economico e giuridico in cui si inscrive la condotta anticoncorrenziale di cui trattasi (Corte Giust. UE, 19 dicembre 2013, cause riunite C-239/11 P, C 489/11 P e C 498/11 P);

- ne deriva che non può costituire una causa di giustificazione di un’intesa restrittiva vòlta alla ripartizione del mercato – nella specie, attraverso la spartizione dei macro-lotti messi a gara da CONSIP – la circostanza che, diversamente, l’impresa non avrebbe potuto perseguire i propri interessi commerciali (ad es., per quanto qui interessa, per la mancanza dei requisiti economico-finanziari, o per effetto delle clausole del bando che ponevano limiti alla partecipazione ai vari lotti in ragione di collegamenti esistenti tra le imprese, ecc.);

(vi) a proposito del regime probatorio vigente in tema di intese restrittive ai sensi dell’art. 101, paragrafo 1, TFUE, si impongono le seguenti considerazioni:

- benché l’articolo 2 del regolamento n. 1/2003 disciplini espressamente l’attribuzione dell’onere della prova, tale regolamento non contiene disposizioni relative agli aspetti procedurali più specifici, non contenendo, in particolare, disposizioni relative ai principi che regolano la valutazione delle prove e il grado di intensità della prova richiesto nell’ambito di un procedimento nazionale di applicazione dell’articolo 101 TFUE (Corte Giust. UE, 21 gennaio 2016, C-74/14);

- tale conclusione è corroborata dal ‘considerando’ 5 del regolamento n. 1/2003, che prevede esplicitamente che quest’ultimo non incide sulle norme nazionali in materia di grado di intensità della prova (id.);

- secondo costante giurisprudenza, in mancanza di norme dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilirle, in forza del principio di autonomia procedurale, a condizione, tuttavia, che esse non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (id.): di qui la persistente necessità di tener conto anche degli standard probatori ritenuti applicabili nell’ordinamento euro-unitario;

- per costante giurisprudenza comunitaria spetta, d’un lato, all’autorità che asserisca l’esistenza di un’infrazione alle regole di concorrenza l’onere di darne la prova, dimostrando in forma sufficiente i fatti costitutivi dell’infrazione stessa, mentre, dall’altro lato, incombe all’impresa, che invochi a proprio favore un mezzo difensivo diretto a contrastare una constatazione di infrazione, l’onere di provare che le condizioni per l’efficacia di tale mezzo difensivo sono soddisfatte, di modo che la suddetta autorità dovrà ricorrere ad altri elementi di prova (v., per tutte, Trib. I° grado, 18 giugno 2013, T-406/08, con ampi richiami giurisprudenziali);

- per quanto riguarda l’acquisizione della prova di un’infrazione all’articolo 101 TFUE, occorre altresì ricordare che la Commissione deve fornire prove precise e concordanti atte a fondare il fermo convincimento in ordine all’asserita commissione della infrazione, e che l’esistenza di un dubbio nella mente del giudice deve risolversi a vantaggio dell’impresa destinataria della decisione che constata l’infrazione, soprattutto nel contesto di un ricorso volto all’annullamento di una decisione che infligge un’ammenda (id.);

- sempre per costante giurisprudenza comunitaria, non ogni prova fornita dalla Commissione deve necessariamente rispondere ai suddetti criteri in rapporto a ciascun elemento dell’infrazione, essendo sufficiente che il complesso di indizi invocato dall’istituzione, valutato globalmente, risponda a tale requisito (id., con ampi richiami giurisprudenziali);

- peraltro, è usuale che le attività derivanti da pratiche ed accordi anticoncorrenziali si svolgano in modo clandestino, che le riunioni siano segrete e che la documentazione ad esse relativa sia ridotta al minimo, sicché, anche qualora la Commissione scopra documenti attestanti in modo esplicito un contatto illegittimo tra operatori, essi saranno di regola solo frammentari e sporadici, di modo che si rivela spesso necessario ricostruire taluni dettagli per via di deduzioni: pertanto, nella maggior parte dei casi, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale deve essere inferita da un certo numero di coincidenze e di indizi che, considerati insieme, possono costituire, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle norme sulla concorrenza (id., con ampi richiami giurisprudenziali);

- inoltre, tenuto conto della notorietà del divieto di partecipare ad accordi anticoncorrenziali, non si può pretendere che la Commissione produca documenti che attestino in modo esplicito un contatto tra gli operatori interessati, dovendo gli elementi frammentari e sporadici di cui la Commissione potrebbe disporre, in ogni caso poter essere completati con deduzioni che permettano di ricostituire taluni dettagli, con la conseguenza che l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale può essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi che, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole sulla concorrenza Trib. I° grado, 12 luglio 2011, T-113/07);

- anche la giurisprudenza nazionale, consapevole della rarità dell’acquisizione della prova piena (c.d. smoking gun , quali testo dell’intesa, documentazione inequivoca, confessione dei protagonisti) e della conseguente vanificazione pratica delle finalità perseguite dalla normativa antitrust che scaturirebbe da un atteggiamento troppo rigoroso, reputa sufficiente e necessaria in questa materia l’emersione di indizi, purché seri, precisi e concordanti, con la precisazione che la circostanza che la prova sia indiretta (o indiziaria) non comporta necessariamente che la stessa abbia una forza probatoria attenuata (Cons. Stato, Sez. VI, 30 giugno 2016, n. 294;
id., 18 maggio 2015, n. 2514);

- la sentenza impugnata, a pp. 14 - 17, ricostruisce il quadro giurisprudenziale, nazionale e comunitario, in materia di accordi e pratiche concordate integranti un’intesa restrittiva ai sensi dell’art. 101 TFUE e il relativo regime di distribuzione dell’onere della prova, anche in relazione alla tematica della natura degli elementi di prova, ‘esogeni’ ed ‘endogeni’, che di volta in volta possono venire in rilievo, con considerazioni interamente condivise da questo Collegio, sicché le stesse devono intendersi qui interamente richiamate,

(vii) quanto all’ambito e ai limiti del sindacato giurisdizionale sugli atti dell’Autorità antitrust, nella giurisprudenza nazionale (v., per tutte, Corte Cass., Sez. Un., 20 gennaio 2014, n. 1013) è stato puntualizzato che il sindacato di legittimità del giudice amministrativo sui provvedimenti dell’AGCM comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e si estende anche ai profili tecnici, il cui esame sia necessario per giudicare della legittimità di tale provvedimento: ma quando in siffatti profili tecnici siano coinvolti valutazioni ed apprezzamenti che presentano un oggettivo margine di opinabilità – come ad esempio nel caso della definizione di mercato rilevante –, detto sindacato, oltre che in un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, è limitato alla verifica che quel medesimo provvedimento non abbia esorbitato dai margini di opinabilità sopra richiamati, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell’Autorità ove questa si sia mantenuta entro i suddetti margini;

- il giudice amministrativo, in relazione ai provvedimenti dell’AGCM, esercita un sindacato di legittimità che non si estende al merito, salvo per quanto attiene al profilo sanzionatorio: pertanto deve valutare i fatti, onde acclarare se la ricostruzione di essi operata dall’Autorità risulti immune da travisamenti e vizi logici, e accertare che le disposizioni giuridiche siano state correttamente individuate, interpretate e applicate, mentre, laddove residuino margini di opinabilità in relazione ai concetti indeterminati, il giudice amministrativo non può comunque sostituirsi all’AGCM nella definizione di tali concetti, se questa sia attendibile secondo la scienza economica e immune da vizi di travisamento dei fatti, da vizi logici e da vizi di violazione di legge (in tal senso, ex plurimis , Cons. Stato, Sez. VI, 30 giugno 2016, n. 2947;
id., 13 giugno 2014, n. 3032;
peraltro, tali principi giurisprudenziali sono stati di recente recepiti dal legislatore con il d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3, in G.U. n. 15 del 19 gennaio 2017, entrata in vigore il 3 febbraio 2017 – inapplicabile ratione temporis in via diretta al presente processo –, il cui art. 7, comma 1, per quanto qui interessa, testualmente recita: « […] Il sindacato del giudice del ricorso comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata e si estende anche ai profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilità, il cui esame sia necessario per giudicare la legittimità della decisione medesima […] »).

8.1.2. Orbene, affrontando l’esame dei primi due motivi d’appello principale sub 3.a) e 3.b), tra di loro connessi e da esaminare congiuntamente, si osserva che gli stessi sono infondati.

Nel provvedimento sanzionatorio impugnato in primo grado nei confronti delle imprese coinvolte (tra cui RM) risultano accertati atti di natura variegata posti in essere dalle parti (veri e propri accordi, scambi di informazione, pratiche concordate) che, nel loro insieme, sono venuti ad integrare l’illecito unico contestato alle parti, anticoncorrenziale in parte ‘per oggetto’ e in parte ‘per effetto’, costituito da un’intesa restrittiva della concorrenza perpetrata al fine di condizionare gli esiti della gara CONSIP attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti da aggiudicarsi nel limite massimo fissato dalla lex specialis ;
l’illecito addebitato alle imprese e accertato dall’Autorità risulta articolato in forme di condotta diversificate, di cui non ciascuna, in sé considerata, integrante un autonomo illecito anticoncorrenziale.

La valutazione degli elementi di prova ‘esogeni’ ed ‘endogeni’ acquisiti in sede procedimentale, le puntuali e plausibili obiezioni alle spiegazioni alternative offerte dalle parti (tra cui RM) in relazione agli elementi di prova ‘endogeni’ e la ricostruzione in chiave unitaria e globale dell’intero quadro indiziario, svolte dall’Autorità e confermate dal T.a.r., rispondono al regime della distribuzione dell’onere della prova e agli standard probatori, quali elaborati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale in tema di accertamento di fatto di un’intesa anticoncorrenziale ai sensi dell’art. 101, comma 1, TFUE, esposti sopra sub 8.1.1.(vi). Infatti dette operazioni valutative si rivelano aderenti alla realtà dei fatti accertati e agli acquisiti elementi di prova, analiticamente esaminati e ricomposti in una ricostruzione completa dei fatti, i cui singoli passaggi si connotano per la loro coerenza inferenziale interna e non-contraddittorietà, e la quale, nella sua globalità e secondo un approccio metodologico olistico combinato a quello analitico, si connota per la congruità narrativa rispetto ai fatti, pervenendo alla corretta conclusione della comprovata sussistenza dell’illecito anticoncorrenziale sub specie di intesa restrittiva della concorrenza di tipo orizzontale, perpetrata dalle parti con variegate forme di condotta (accordi, scambi di informazione, pratiche concordate in senso stretto), con la finalità di condizionare gli esiti della gara CONSIP attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti più appetibili nel numero massimo fissato dalla lex specialis .

Avverso tale ricostruzione parte appellante deduce una serie di censure volte a parcellizzare e frazionare l’unitaria valutazione dell’Autorità, prospettando una lettura diversa di alcuni elementi dell’impianto motivazionale posto a base del gravato provvedimento, onde indebolire il quadro d’insieme ricostruito dall’Autorità, in tal modo tuttavia incorrendo essa stessa nel vizio metodologico di una valutazione meramente atomistica dei singoli elementi su cui si basa l’accertamento dell’illecito, in violazione dei parametri stabiliti dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale in tema di prova dell’illecito ex art. 101, comma 1, TFUE, riportati sopra sub 8.1.1.(vi).

Prima di esaminare i singoli elementi probatori vagliati dall’Autorità, occorre premettere l’Autorità ha correttamente individuato il ‘mercato rilevante’ nella « procedura di affidamento indetta da Consip S.p.A., per conto del Ministero dell'Economia e delle Finanze, per i servizi di pulizia e gli altri servizi, tesi al mantenimento del decoro e della funzionalità degli immobili di Istituti Scolastici di ogni ordine e grado e dei centri di formazione della Pubblica Amministrazione […], bandita da Consip in data 11 luglio 2012 […] » (§ 158 del provvedimento), essendo questo l’ambito economico interessato dall’illecito anticoncorrenziale de quo, con conseguente altrettanto corretta qualificazione di CNS e MFM come maggiori players del mercato, tenuto conto del loro fatturato in rapporto a quello delle altre imprese concorrenti.

8.1.2.1. Passando al vaglio degli elementi di prova ‘endogeni’ posti a base del provvedimento sanzionatorio, si osserva che:

- CNS, nella e-mail interna del 6 novembre 2012 (doc. I.37.4.53), dunque a pochi giorni dalla prima seduta pubblica di gara (svoltasi il 15 ottobre 2012) destinata all’esame della documentazione amministrativa e alla verifica dell’integrità delle buste contenenti l’offerta tecnica ed economica (che rimanevano sigillate), dava per scontato, in termini perentori, che sarebbe rimasto aggiudicatario dei tre lotti ivi specificati (ossia, dei lotti 1, 4 e 10), sebbene l’ATI 1 capeggiata da CNS avesse presentato offerte anche per altri tre lotti, minimamente menzionati nella e-mail , nella quale, tra l’altro si legge, con una formulazione che non lascia spazio a dubbi sull’esito della gara: « CNS (e Roma Multiservizi) con i lotti 1, 4 e 10 mantengono quasi ovunque la territorialità e raggiungono l’attuale portafoglio »;

- detta e-mail correttamente è stata valorizzata dall’Autorità come indice della previa esclusione dei maggiori rischi della concorrenza, attraverso la spartizione dei lotti sui quali concorrere, con la consorziata MFM, la quale aveva partecipato alla gara individualmente, su altri lotti, per i quali non aveva partecipato CNS ad eccezione dei lotti 3 (Toscana) e 9 (Friuli Venezia Giulia e Veneto), in relazione ai quali CNS aveva, poi, presentato un’offerta economica anormalmente non aggressiva;

- le spiegazioni fornite da CNS a giustificazione della scelta di non partecipare alla gara per i lotti delle regioni meridionali (presenza di lavoratori socialmente utili, c.d. « ex-LSU » da reimpiegare ed insufficienza dei fondi stanziati dal M.i.u.r. per l’integrale assorbimento di tali lavoratori), correttamente sono state ritenute inattendibili dall’Autorità, attesa, per un verso, la rilevata presenza di « ex-LSU » anche nei lotti relativi alle regioni centro-settentrionali cui aveva partecipato CNS, e considerato, per altro verso, che la presenza di tale categoria di manodopera non aveva rappresentato un elemento ostativo alla partecipazione alla gara da parte di altre imprese, a dimostrazione della sussistenza di un rapporto costi/benefici economicamente apprezzabile anche per i lotti relativi alle regioni meridionali;

- va altresì confermata l’attendibilità della valutazione dell’Autorità circa l’irrazionalità, secondo una logica imprenditoriale autonoma, della scelta di CSN di non presentare offerta per i lotti 2 (Emilia-Romagna) e 8 (Lombardia e Trentino), entrambi aggiudicati a MFM, in quanto, in primo luogo, l’Emilia-Romagna era la sede legale e amministrativa di CNS e l’area territoriale in cui il Consorzio e alcune delle consorziale erano storicamente operative, in secondo luogo non si presentava il problema del reimpiego dei c.d. « ex-LSU », assenti in tale area territoriale, e in terzo luogo la giustificazione della preesistente aggiudicazione, in tale area territoriale, ad alcune consorziate di portafoglio di CNS, dell’asserita parallela commessa Intercent.er si era rivelata fallace a fronte dello sfasamento temporale dei due appalti ed alla luce della circostanza che invece MFM, la consorziata più grande e strutturata, avente sede anch’essa in Emilia-Romagna e titolare anch’essa di pregressi contratti in tale regione, tra cui la stessa commessa Intercenter.er - Agenzia regionale di sviluppo dei mercati telematici, aveva partecipato a tale lotto conseguendone l’aggiudicazione;

- la scelta di CNS di non presentare offerta per l’Emilia-Romagna non poteva che trovare spiegazione nella strategia collusiva al riguardo perseguita da CNS e MFM, consistente nella tutela del portafoglio della maggiore consorziata MFM, nella traslazione del portafoglio delle consorziate di maggior rilievo dopo MFM, nella tutela – tramite subappalti concessi da MFM – del portafoglio di tre consorziate radicate sul territorio e ivi detentrici di appalti storici e nella mancata riconferma di appalti storici a consorziate di ridotte dimensioni (v. doc. IV.238, II.151.4, II.151.10, IV.239;
§ 277 del provvedimento;
v. anche il documento II.93.6.15, rinvenuto presso MFM, che fa riferimento a una riunione svoltasi presso CNS il 13 marzo 2013, nel pieno svolgimento della gara, ancora prima dell’aggiudicazione, con ordine del giorno « scuole appalti storici », in cui uno dei punti all'ordine del giorno è stato emblematicamente il seguente: « CNS non ha partecipato al lotto Emilia Romagna », § 283 del provvedimento);

- analoghi caratteri di irragionevolezza della condotta di CNS sono stati correttamente attribuiti alla mancata offerta di CNS per il lotto 8 (Lombardia e Trentino), alla luce della presenza di due consorziate con portafoglio storico e della presenza di parità di « ex-LSU » rispetto ad altri lotti cui CNS ha partecipato pur in assenza di consorziata di portafoglio (ad es. Toscana) (v. § 176 del provvedimento);

- pure la scelta, da parte di CNS, delle consorziate, con le quali partecipare alla gara, e le relative modalità (v. §§ 50, 51 e 191 del provvedimento e l’ivi richiamata documentazione) sono state correttamente valutate come non spiegabili se non sullo sfondo di una strategia collusiva che ha ispirato la scelta dei lotti (sul punto l’Autorità ha, inoltre, evidenziato la contraddittorietà delle diverse rappresentazioni che CNS e MFM, in sede di audizione, hanno fornito sull’iter seguito in ambito consortile ai fini della ‘preassegnazione’, avendo i rappresentanti di MFM affermata la natura indispensabile di una richiesta formale in tal senso da parte della consorziata, invece negata dai rappresentanti del Consorzio);

- analoghe anomalie di condotta partecipativa alla gara, non superate in modo plausibile dalle spiegazioni fornite dalle parti, sono state individuate in capo a MFM, la quale, sebbene consorziata a CNS, aveva partecipato singolarmente alla gara – aggiudicandosi i lotti 2, 8 e 9 –, ma, una volta compiuta tale scelta, avrebbe dovuto agire del tutto autonomamente da CNS e presentare offerte assolutamente competitive;

- infatti MFM, in primo luogo, non ha partecipato con offerte sui lotti poi aggiudicati all’ATI 1 capeggiata da CNS, mentre quest’ultima ha presentato offerte non particolarmente competitive sui due lotti 3 (Toscana) e 9 (Friuli Venezia Giulia, Veneto) poi aggiudicati a MFM;

- è sorretta da una razionale base valutativa la qualificazione, da parte dell’Autorità, di predette offerte economiche – contenenti, a mo’ di ‘offerte di appoggio’, un ribasso inferiore rispetto a quelli offerti per gli altri lotti – come non competitive, in quanto, per un verso, la già sopra citata e-mail del 6 novembre 2012, che dava per scontata l’aggiudicazione dei lotti ivi indicati, poi effettivamente aggiudicati a CNS, non prendeva in considerazione i lotti 3 e 9, e, per altro verso, a ragione non è stata ritenuta plausibile la spiegazione alternativa fornita da CNS con richiamo alle caratteristiche diverse rispetto agli altri lotti per cui aveva presentato offerte con ribassi maggiori, essendo stato presentato un identico menu di offerte economiche proprio per i lotti 3 e 9 (così come identica è risultata l’offerta economica formulata dall’ATI 1 per i lotti 4 e 5), pur riferendosi questi ultimi a territori tra loro sicuramente differenti (rispettivamente Toscana per il lotto 3 e Veneto e Friuli Venezia Giulia per il lotto 9), ed avendo MFM presentato un menu identico di offerte per tutti e quattro i lotti per cui ha concorso;

- la condotta di MFM è risultata informata a una strategia a formazione progressiva, protrattasi dalla pubblicazione del bando sino a ridosso del termine di presentazione delle offerte, essendo al riguardo, in particolare, rimasto smentito l’assunto, secondo cui MFM avesse già compiutamente deciso sin dal 30 luglio 2012 i lotti su cui presentare l’offerta (v. il frontespizio della c.d. “carpetta di gara” del 30 luglio 2012, che, peraltro, non figurava nella versione del documento acquisito in sede di ispezione ed è stato prodotto da MFM solo in allegato alle memorie finali, per cui può oggettivamente dubitarsi dell’attendibilità di tale ‘pezzo’ documentale);

- infatti, al riguardo l’Autorità ha correttamente valorizzato la circostanza che MFM aveva affidato a una società esterna un incarico consulenziale svolto tra i mesi di agosto e ottobre 2012 in merito all’appetibilità di tutti i lotti di gara, tra l’altro con specifico riferimento ai servizi aggiuntivi proposti da Roma Multiservizi (v. doc. II.93.6.23), il che non avrebbe avuto senso in caso di intervenuta decisione definitiva sin dal mese di luglio 2012;

- altrettanto correttamente l’Autorità ha rimarcato (§§ 67 e 277 del provvedimento) come MFM abbia stipulato gli accordi di subappalto aventi importi di maggior rilievo con consorziate CNS che detenevano un portafoglio significativo nell’Emilia-Romagna, inferendone un collegamento con la rinuncia della prima a presentare offerta nei lotti 1, 4 e 10 in cui l’ATI 1 è risultata vincitrice (v. sul punto i §§ 67 e 277 del provvedimento;
v. doc. IV.239);

- altra anomalia e irrazionalità economica della condotta di MFM è stata fondatamente ravvisata nella circostanza che la stessa ha presentato offerto per regioni, per le quali (ad eccezione dell’Emilia-Romagna) non vantava alcun tipo di appalto storico, mentre la stessa era detentrice di cospicui portafogli storici nei territori del centro e del sud (v. § 64 del provvedimento e l’ivi richiamata documentazione), la cui obliterazione non può essere plausibilmente giustificata dalla presenza di lavoratori « ex-LSU », per le considerazioni sostanzialmente analoghe già sopra svolte.

8.1.2.2. Quanto agli elementi di prova ‘esogeni’ acquisiti dall’Autorità e posti a base del provvedimento sanzionatorio, il Collegio osserva:

- l’Autorità ha contestato alle parti la stipula di un accordo intervenuto tra CNS e Roma Multiservizi (RM) il 1° ottobre 2012 (cioè due settimane prima del termine per presentare offerte), avente ad oggetto la rinuncia di RM a partecipare alla gara CONSIP in cambio di vantaggi compensativi resi dalla controparte mediante il conferimento di subappalti nel territorio di interesse dell’impresa, e dunque finalizzato a garantire a RM, una società estranea al Consorzio e riconducibile a MFM, il pieno portafoglio storico nella città di Roma;

- in particolare, è rimasto documentalmente comprovato che il consiglio di amministrazione di RM in un primo momento, in data 2 agosto 2012, quindi poche settimane dopo la pubblicazione del bando in data 11 luglio 2012, aveva deliberato di partecipare alla gara CONSIP, ritenendo di possedere i richiesti requisiti, sebbene limitati a due soli lotti, in caso di partecipazione in forma singola, « visti i limiti di fatturato richiesti » (v. doc. II.144 PR;
§ 247 del provvedimento);

- come sul punto osservato dall’Autorità, anche in assenza della totalità dei requisiti partecipativi individuali, RM avrebbe potuto presentare offerta in raggruppamento di impresa, ovvero utilizzando gli idonei strumenti normativi (ad esempio, l’avvalimento, consentito dalla lex specialis di gara anche con riferimento al requisito del fatturato pregresso specifico e che in ogni caso avrebbe permesso alla società di partecipare singolarmente avvalendosi di un’impresa ausiliaria), tanto più che RM, in relazione ad un fatturato richiesto per il lotto 4 di circa 96 milioni di euro, deteneva da sola quantomeno circa 83 milioni di euro (precisamente, euro 72.952.921,00 + euro 10.000.000,00 ca. del fatturato nell’ambito del contratto Global Service;
v. doc. II.114 e IV.235 All. 11.1), sicché il fatturato speciale che RM avrebbe dovuto reperire utilizzando gli strumenti offerti dalla normativa in materia di appalti risultava alquanto esiguo rispetto a quello già in possesso (§ 249 del provvedimento);

- peraltro, come puntualmente rilevato dal T.a.r. nell’impugnata sentenza, diversamente sarebbe stata priva di senso la clausola dell’accordo intervenuto tra CNS e RM con cui RM aveva dichiarato di rinunciare a partecipare alla gara (v. anche lo scambio di e-mail all’interno di RM del 29 agosto 2012, da cui si evince che la stipula dell’accordo con CNS non era una scelta obbligata, ma era stata assunta dopo aver vagliato altre ipotesi di tutela del proprio portafoglio);

- l’Autorità ha, altresì, correttamente rilevato – in aderenza alle premesse in diritto svolte sopra sub 8.1.1.(v) – che l’affermazione delle parti, secondo cui RM, laddove avesse scelto di partecipare da sola o con società diverse da MFM o CNS, si sarebbe esposta al rischio di non aggiudicarsi la gara e di perdere il fatturato pregresso e che quindi la stessa ha ragionevolmente preferito stipulare il descritto accordo con CNS per eliminare tale rischio e conservare il proprio portafoglio, si risolve in una esplicita ammissione dell’intento collusivo che aveva animato le parti nel definire il menzionato accordo (v. § 251 del provvedimento);

- parimenti, le considerazioni in diritto svolte sub 8.1.1.(v) escludono che le condotte collusive poste in essere da CNS, RM e MFM potessero essere scriminate dalla previsione di cui all’art. 38, comma 1, lett. m- quater ), d.lgs. n. 163 del 2006 – secondo cui sono escluse dalla partecipazione alle procedure di affidamento degli appalti le imprese che si trovino, rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all’art. 2359 cod. civ. o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte siano imputabili ad un unico centro decisionale –, che secondo l’assunto della difesa delle imprese avrebbe impedito una partecipazione contestuale di RM e MFM alla gara;

- l’inferenza probatoria dell’Autorità, secondo cui la negoziazione intercorsa tra CNS e RM (controllata da MFM) in relazione al lotto 4, sfociata nella stipulazione dell’accordo compensativo, ha consentito a CNS di acquisire informazioni sulla strategia di gara che avrebbe adottato MFM (v. § 219 e §§ 233 ss. del provvedimento), risulta suffragata da elementi di prova documentale (v. doc. II 141 PR: e-mail del 30 settembre 2012 condivisa da diversi esponenti di CNS e RM con relativi allegati, costituiti da « regolamento consip scuole con modifiche di quadra.doc;
accordo definitivo inviato a roma multiservizi.doc
», tra cui, in particolare, il regolamento interno dell’ATI 1, con la precisa indicazione, tra le altre cose, dei lotti per cui l’ATI 1 avrebbe presentato offerta) in combinazione con le dichiarazioni rese dal rappresentante di CNS, in qualità di direttore area progettazione e sviluppo, in sede di audizione del 16 settembre 2015 (doc. IV.231), del seguente tenore: « Il sig. […] osserva, a titolo personale, come possa ritenersi che il CNS dava per scontato che RM interloquisse con MFM della propria attività industriale e commerciale in quanto socio industriale di riferimento di RM. Pertanto, si può ritenere che RM abbia interloquito con [MFM] anche su questo argomento. D’altronde, trattandosi del socio industriale, è normale che esso metta in campo la sua capacità operativa e che nomini ai vertici di RM qualcuno di specifica competenza nel settore industriale di riferimento »;

- una serie di acquisizioni documentali (doc. II.115, doc. II.88, doc. II.148, doc. II.142, doc. II.113, doc. II.151.9, doc. II.151.2, doc. II.140, doc. II.141 PR, doc. 151.8, doc. I.30.24.67) sorreggono la tesi dell’Autorità circa la sussistenza di una concertazione illecita tra CNS, RM e MFM, che ha portato alla stipula dell’accordo compensativo sul lotto 4 (Lazio e Sardegna), il quale ha trovato piena attuazione attraverso la rinuncia effettiva di RM alla partecipazione alla gara e la stipula, in data 23 febbraio 2014, del contratto di subappalto tra CNS e RM, nonché la successiva stipula di accordi aggiuntivi (v. doc. II.111 e doc. II.125, rispettivamente §§ 240 e 241 del provvedimento), ed il cui progressivo perfezionamento fungeva anche da strumento di diffusione, tra imprese concorrenti, di informazioni strategiche sulle reciproche dinamiche di partecipazione alla gara, nel senso che deve ritenersi comprovato che RM abbia svolto un ruolo centrale quale veicolo di informazioni sensibili tra CNS e MFM, garantendo una conoscenza anticipata delle strategie reciproche di gara;

- particolare valenza assume la stipula, nell’arco temporale intercorso tra la pubblicazione del bando di gara e la scadenza del termine per presentare le offerte, dell’accordo scritto tra CNS e RM avente ad oggetto l’impegno di quest’ultima di non partecipare alla gara e l’obbligo di CNS di richiedere l’autorizzazione al subappalto della ‘quota-parte’ comprendente il pregresso portafoglio di RM, una volta aggiudicatosi il lotto 4;

- la natura anticoncorrenziale dell’accordo relativo al lotto 4 è stata correttamente apprezzata dall’Autorità sia con riguardo alle dinamiche competitive relative a tale lotto sia nel quadro della più ampia intesa collusiva relativa all’intera gara (v. § 262 del provvedimento).

8.1.3. In reiezione dei motivi d’appello in esame ed a conferma in parte qua dell’appellata sentenza, deve pervenirsi alla conclusione che l’Autorità, senza limitarsi ad un’analisi decontestualizzata e atomistica di ciascuno degli acquisiti elementi di prova, ma procedendo ad una valutazione unitaria, sistematica e globale degli evidenziati elementi istruttori, in aderenza ai criteri elaborati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, è pervenuta alla corretta conclusione della comprovata esistenza di una intesa restrittiva anticoncorrenziale riconducibile, da un lato, alla presenza di elementi oggettivi di riscontro – tra i quali figurano scambi di informazioni ed accordi, nel cui ambito RM ha svolto una funzione centrale di veicolo di informazioni sensibili tra CSN e MFM – che rivelano l’esistenza di una collaborazione anomala (elementi esogeni) e, dall’altro lato, all’impossibilità di spiegare alternativamente le condotte parallele sub specie di frutto plausibile di iniziative imprenditoriali autonome delle parti (elementi endogeni).

Con specifico riferimento alla posizione di RM, il T.a.r., in aderenza agli standard probatori sviluppati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale in materia di illeciti antitrust , è correttamente pervenuto alle seguenti conclusioni:

- il quadro indiziario complessivo sorregge l’unica interpretazione plausibile data dall’AGCM, legata all’esistenza di una strategia a valenza anticoncorrenziale orientata a eliminare il rischio del confronto in gara dei due principali competitors su determinati lotti, con conseguente mantenimento di quote di portafoglio di MFM anche attraverso la società controllata RM e mediante subappalto, in base alla preventiva strategia di partecipazione alla gara previamente concordata grazie anche al tramite di RM;

- proprio per i rapporti di governance intercorrenti tra una consorziata partecipante autonomamente alla gara (MFM) e la ricorrente RM, quest’ultima avrebbe dovuto prestare particolare attenzione nell’indursi, in costanza di gara, a definire rapporti contrattuali con il consorzio e a chiedere alla sua partecipante – a sua volta consorziata di rilievo di CNS – ‘consigli’ e ‘suggerimenti’ ai fini della definizione di tale rapporto contrattuale;

- né era rimasto chiarito – quale spiegazione ‘alternativa’ convincente da parte di RM – per quale motivo quest’ultima proprio in occasione di tale importante gara avesse deciso di costituire rapporti contrattuali con il consorzio, pure partecipante alla gara: se infatti, come indicato da RM, la volontà imprenditoriale era quella di rimanere a gestire servizi di pulizia nel solo Lazio, non era stato chiarito, perché a tal fine era possibile solo addivenire a un accordo proprio con CNS e non con altre imprese del settore.

S’impone pertanto la conferma della sentenza del T.a.r. nella parte in cui ha respinto il ricorso di primo grado proposto da RM, vòlto a contestare l’estensione soggettiva del procedimento e la prova della sussistenza dell’illecito nei confronti della stessa ricorrente.

8.2. Scendendo all’esame del terzo motivo d’appello principale, proposto avverso le statuizioni sub 2.1.3. e 2.1.4. – nella parte in cui le stesse sono sfavorevoli all’odierna appellante principale – in tema di determinazione dell’entità della sanzione pecuniaria amministrativa irrogata a RM (nell’ammontare di euro 3.377.910), si osserva che lo stesso è infondato.

In merito alla disciplina dell’esercizio del potere sanzionatorio, da parte delle autorità nazionali antitrust , in relazione agli illeciti di cui agli artt. 101 e 102 TFUE, occorre premettere che:

- ai sensi dell’art. 5 del Regolamento CE n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli artt. 81 e 82 TCE, le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri infliggono ammende in applicazione del loro diritto nazionale;

- l’art. 23, paragrafo 2, del citato Regolamento disciplina unicamente le situazioni, nelle quali siffatte ammende sono imposte dalla Commissione;

- gli Orientamenti del 2006 sono applicabili, in via diretta, unicamente alle ammende imposte dalla Commissione (v., in tal senso, ex plurimis , Corte Giust. UE, ordinanza 28 giugno 2016, C-450/15).

Ciò premesso, si osserva che destituito di fondamento è il primo profilo di censura, relativa alla mancata personalizzazione dell’entità della sanzione irrogata a RM in relazione al ruolo assunto nel contesto complessivo dell’intesa anticoncorrenziale accertata dall’Autorità, in quanto alla luce delle considerazioni svolte sopra sub 8.1.2.1., 8.1.2.2. e 8.1.3. il ruolo di RM nell’ambito dell’intesa restrittiva della concorrenza contraria all’art. 101 TFUE, perpetrata con le modalità di condotta sopra evidenziate ed avente la finalità di condizionare gli esiti della gara CONSIP attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti da aggiudicarsi nel limite massimo fissato dalla lex specialis , non era certo secondario, bensì centrale, fungendo RM quale punto di raccordo tra le strategie concertative di CNS e MFM.

Infondato è altresì il profilo di censura circa l’erronea assunzione, quale base di calcolo dell’entità della sanzione, del fatturato dei subappalti ricevuti da RM negli anni 2014 e 2015, in quanto, come correttamente rilevato dall’Autorità al § 329 del provvedimento, il riferimento delle Linee Guida al valore delle vendite « nell’ultimo anno intero di partecipazione all’infrazione » attiene ad illeciti antitrust realizzati in contesti diversi dalle gare pubbliche, rispetto ai quali detto valore viene poi rimodulato in funzione della durata della violazione stessa, mentre, nei casi di intese realizzate in occasione di gare, l’importo preso a riferimento (valore dell’affidamento, nella specie in subappalto) costituisce intrinseca espressione della durata dell’intesa (specie se relativa a una sola gara), tant’è che esso non viene rimodulato in funzione di tale parametro.

8.3. Quanto alle questioni pregiudiziali comunitarie, sollevate dalle difese di CNS e MFM nei ricorsi paralleli n. 9104 del 2016 e n. 9322 del 2016, cui la difesa di RM ha aderito nell’udienza del 26 gennaio 2017, si intendono qui richiamate le statuizioni di irrilevanza e manifesta infondatezza adottate nelle separate sentenze che hanno definito tali ricorsi.

9. Infondato è l’appello incidentale proposto dall’Autorità avverso le statuizioni sub 2.1.3. e 2.1.4., nella parte in cui il T.a.r. ha disposto la rideterminazione della sanzione in riduzione, in quanto, per un verso, deve ritenersi corretta l’esclusione, dalla base di calcolo della sanzione pecuniaria, del valore del plafond aggiuntivo, trattandosi – a differenza dal valore del prezzo di aggiudicazione rapportato alle prestazioni principali – di prestazioni meramente eventuali ed aggiuntive, e, per altro verso, l’individuazione della percentuale del 5% per il calcolo della sanzione appare aderente al principio di proporzionalità e sorretta da sufficiente e condivisibile motivazione in ordine all’inconfigurabilità della fattispecie della « segretezza della pratica illecita » di cui al paragrafo 12 delle Linee Guida, costituendo espressione di un giudizio che ha tenuto adeguato conto di tutti i criteri oggettivi e soggettivi che presiedono alla determinazione dell’entità delle sanzioni pecuniarie amministrative in materia di illeciti antitrust , con conseguente infondatezza delle correlative censure dedotte in via di appello incidentale, precipuamente incentrate sul vizio di carenza di motivazione.

10. Per le esposte ragioni, in reiezione degli appelli proposti in via principale e incidentale, s’impone la conferma dell’impugnata sentenza nei sensi di cui in motivazione.

11. Considerata la soccombenza reciproca, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra tutte le parti.

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