Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-12-09, n. 201505589

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-12-09, n. 201505589
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201505589
Data del deposito : 9 dicembre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08928/2014 REG.RIC.

N. 05589/2015REG.PROV.COLL.

N. 08928/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8928 del 2014, proposto da:
N B, rappresentato e difeso dagli avv. G A, Giuseppe D'Acunto, con domicilio eletto presso G A in Roma, Via Terenzio N.7;

contro

A Spa in persona del legale rappresentante in carica in proprio e quale Mandataria Ati, Ati Icla, Ati Impregilo e Costruire Spa, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, rappresentati e difesi dagli avv. Ennio Magri', M A, G R C, con domicilio eletto presso Ennio Magri in Roma, Via Guido D'Arezzo N. 18;

nei confronti di

Ente Autonomo Volturno Srl, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Della Corte, con domicilio eletto presso Studio Srl Della Corte in Roma, Via Vittorio Veneto 169;

per la ottemperanza alla sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. IV n. 00046/2014, resa tra le parti, concernente risarcimento danni per illecita occupazione aree


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di A Spa in proprio e quale Mandataria Ati e di Ati Icla e di Ati Impregilo e Costruire Spa e di Ente Autonomo Volturno Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 3 novembre 2015 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati D'Angiolella, in dichiarata delega di Abbamonte, Ambroselli, Romano Cesareo, e Lentini, per delega di Della Corte;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso ritualmente depositato il Signor N B ha chiesto la piena ottemperanza al giudicato formatosi sulla sentenza di questa Sezione del Consiglio di Stato n. 00046/2014.

Parte ricorrente ha riepilogato le tappe essenziali del risalente contenzioso intercorso, ed ha fatto presente che la predetta sentenza n. 00046/2014 resa da questa Quarta Sezione del Consiglio di Stato, ricostruita la vicenda contenziosa che aveva visto protagonista l’odierno ricorrente in ottemperanza, aveva esaminato le due questioni centrali devolutegli risolvendole in termini a sé (almeno parzialmente) favorevoli.

L’Amministrazione, tuttavia, non si era conformata al detto giudicato, per cui risultava indispensabile costringerla a conformarvisi, attraverso la eventuale nomina del commissario ad acta.

In punto di fatto, va rammentato che la sentenza n. 00046/2014 della quale si è chiesta la ottemperanza ha deciso, previa riunione, gli speculari e contrapposti ricorsi in appello proposti avverso la sentenza del T Campania n. 00570/2013 da parte della odierna intimata A Spain (ricorso in appello n. 1808 del 2013) e da parte dell’odierno ricorrente in ottemperanza Signor N B (ricorso in appello n. 01886/2013 ).

La complessa vicenda processuale può così essere sinteticamente ricostruita.

La sentenza di primo grado resa dal T Campania n. 00570/2013 aveva in parte accolto il ricorso proposto da B N, volto ad ottenere la restituzione delle aree di sua proprietà di cui alle particelle catastali nn.1349 e 1352 quartiere Pianura Napoli ed il risarcimento del danno patito a causa dell’illegittima occupazione delle stesse.

L’obbligo di restituzione sarebbe dovuto conseguire alla circostanza che in data 3 gennaio 2005 il Prefetto aveva comunicato ad A e SEPSA che, dopo il frazionamento in 4 diverse particelle con i numeri 1350,1351 e 1349 e 1352, queste ultime due avrebbero dovuto essere restituite in quanto non più necessarie, con riconsegna immediata al B N.

Si era sostenuto che la mancata restituzione aveva comportato un danno gravissimo all’originario ricorrente, il quale era già titolare del “Programma Integrato in variante al P.R.G.” approvato con Decreto del Presidente della G.R. della Campania del 6 agosto 2001 n.1644 .

Il T ha accolto integralmente, nell’an, il petitum restitutorio, affermando la irrilevanza di tutti gli argomenti difensivi prospettati da A a fronte del dato rappresentato dalla circostanza che con decreto del 7 ottobre del 2002 il Prefetto di Napoli aveva pronunciato l’espropriazione per pubblica utilità in danno del B, soltanto limitatamente alle particelle 1350 e 1351, privando di qualunque ragione giuridica e titolo, il possesso, per contro perdurante, da parte della concessionaria, delle particelle 1349 e 1352.

Nel periodo dal 18 aprile 1997 all’8 ottobre 2002 le particelle erano state dunque occupate legittimamente e dovevano essere restituite (come, infine, non negato neppure da A).

Anche il C.T.U., aveva confermato la praticabilità della restituzione di dette aree sebbene esse non si trovassero (più) nella loro originaria dimensione e configurazione.

Il T ha quindi provveduto a quantificare il danno per equivalente spettante all’odierno ricorrente in ottemperanza e discendente dalla avvenuta trasformazione dell’area, in linea di massima non discostandosi dalla indicazioni suggerite dal CTU nominato.Il T ha poi esaminato il petitum risarcitorio incentrato sulla ulteriore voce di danno lamentato dal B, e riposante sulla incidenza della indebita occupazione delle aree sulla praticabilità e realizzabilità del Programma Integrato di Intervento da questi presentato.

Ha ripercorso le vicissitudini di detto Programma Integrato di Intervento ed ha dato atto che il contrasto tra le parti processuali sull’an ed il quantum del risarcimento da corrispondere era così riassumbile: per A, il Programma in realtà si componeva di interventi scindibili;
a tutto concedere, la occupazione aveva interessato le due particelle afferenti alla realizzazione del corpo D.

L’eventuale danno pertanto doveva essere rapportato unicamente alla mancata realizzazione di quest’ultimo e non poteva trasmodare sino a stabilirsi un nesso di causalità impeditivo della realizzazione dell’intero Programma.

Secondo il B, invece, il Programma era un unicum inscindibile: la illegittima occupazione delle particelle surrichiamate aveva determinato la irrealizzabilità dell’intero, ed il danno doveva essere rapportato all’intero Programma Integrato di Intervento.

Il T - in parte discostandosi, il consulente tecnico – aveva dato atto che il Programma si componeva di quattro interventi denominati “A”, “B” “C” e “D” riguardanti rispettivamente A: Polivalente con sale cinematografiche punti di ristoro, uffici e parcheggi;
B: Studentato;
C: polifunzionale con negozi, residenze e parcheggi interrati;
D (quello interessante le particelle in questione): piazza con annessi negozi.

L’area indebitamente occupata era interessata dal progetto “D”, ma, ad avviso del T i progetti erano evidentemente fra loro coordinati e concatenati e la materiale indisponibilità del terreno aveva impedito qualsivoglia concreta progettualità in proposito.

Il T ha quindi accolto l’opzione per cui il Programma Integrato poteva dirsi di coordinato, ma non interdipendente: ha frazionato il pregiudizio risarcibile per quattro (quattro erano, infatti, gli interventi eseguibili, cos’ recuperando il concetto di “comprensorietà” affermato dal CTU) ed ha quindi ridotto l’importo risarcitorio da corrispondere al B individuandolo nella somma complessiva di euro 3.380.213,07 determinata in base alla somma aritmetica delle voci di danno riconosciute stabilendo altresì che le parti avrebbero dovuto raggiungere un accordo per determinare il quantum spettante al B a titolo di illegittima occupazione del fondo, nel periodo dal 7 ottobre 2002alla data di pubblicazione della sentenza, rispettando i criteri ivi dettati.

La detta sentenza è stata gravata in appello con i due speculari ricorsi suindicati, laddove le parti, oltre a prospettare una congerie di contrapposte eccezioni processuali hanno ribadito i rispettivi argomenti di censura e le eccezioni già prospettate in primo grado.

Con la sentenza n. 00046/2014 della quale si chiede l’ottemperanza, la Sezione, riuniti i due contrapposti ricorsi in appello, e vagliate (e disattese) le radicali censure pregiudiziali ed eccezioni processuali prospettate, ha deciso il merito della controversia.

Escluso che vi fosse contrasto sull’onere restitutorio delle particelle non espropriate (già avvenuto, peraltro, al tempo della discussione della causa d’appello);
esclusa la fondatezza di ogni censura con riferimento alla quantificazione della cifra necessaria per il ripristino dell’area ed in ordine alla legittimità del rifiuto del B a ricevere le aree nello stato in cui erano;
ed esclusa la fondatezza di qualsivoglia obiezione in ordine alla necessità di eliminare lo sbancamento ad avviso della Sezione le due questioni centrali erano corrispondenti alle “poste” risarcitorie liquidate in sentenza (risarcimento per la demolizione degli immobili abusivi e risarcimento da interferenza ostativa alla realizzazione del Programma Integrato).

Il Collegio ha sul punto affermato che:

a)doveva essere riformata la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto configurarsi danno risarcibile quello discendente dalla demolizione di alcuni capannoni abusivi che si trovavano nelle particelle occupate indebitamente (con ciò accogliendo l’appello proposto da A e da Sepsa);

b)quanto invece alla (più rilevante, sotto il profilo economico) questione relativa alla relazione interferenziale della occupazione sulla praticabilità e realizzabilità del Programma Integrato la sentenza meritasse conferma integrale ed ha considerato “unica percorribile “ la scelta del T di utilizzare il metodo equitativo per la determinazione del danno e corretto ed immune da mende l’approdo quantitativo.

In parte qua, sono stati quindi disattesi sia l’appello principale proposto da A (e gli appelli incidentali incardinati su tale ricorso principale) che quello del B volto ad ottenere l’affermazione per cui la indebita occupazione illegittima avesse comportato un ostacolo dirimente alla realizzazione dell’intero Programma, e la conseguente non frazionabilità del pregiudizio risarcibile per quattro.

Nell’ultima parte della sentenza sono stati vagliati – ed in parte disattesi nel merito, ed in parte dichiarati inammissibili perché integranti argomenti “nuovi” ovvero attinti da bis in idem rispetto ad un precedente contenzioso avviato dal B - ulteriori argomenti critici prospettati nell’appello del B e tesi ad ottenere il riconoscimento di ulteriori poste risarcitorio, ovvero l’incremento di quelle già riconosciute.

Con il ricorso in ottemperanza che viene alla decisione del Collegio,il Signor B ha esposto quanto di seguito.

Egli aveva proposto innanzi al T ricorso in ottemperanza (datato 9.9.2013) teso ad ottenere l’ottemperanza alla sentenza del T n. 570/2013, facendo presente che la detta sentenza era stata sospesa dal Consiglio di Stato, con ordinanza n. 01294/2013 , ma soltanto parzialmente.

Non era stato sospeso, infatti, il capo di sentenza con il quale il T aveva ordinato “ ex comma 4 dell’art.34 c.p.a. alle intimate di raggiungere un accordo con il ricorrente per la determinazione del risarcimento del danno per illegittima occupazione delle aree per il periodo indicato in motivazione ed alla luce dei criteri ivi indicati”.

Posto che le parti intimate EAV (incorporante Sespa Spa) ed A SPA non avevano intrapreso alcuna seria iniziativa diretta ad ottemperare alla sentenza, limitandosi a contestare l’invito/diffida in tale senso proposto dal Signor B, limitandosi ad offrire peraltro genericamente una somma assai inferiore (circa un trentesimo) di quella spettante, essa aveva agito in ottemperanza.

Con sentenza n. 3353/2014 resa il 13/3/2014 e pubblicata 16/06/2014 il T ha dichiarato l’improcedibilità del proposto ricorso per sopravvenuta carenza di interesse in quanto medio tempore era stata pronunciata la sentenza della Sezione n. 46/2014 che aveva riformato la sentenza di primo grado per cui, la competenza a pronunciarsi su problematiche di ottemperanza, ai sensi dell’art. 113 del cpa, perteneva al Giudice di appello.

La odierna parte ricorrente in ottemperanza ha prestato acquiescenza alla detta decisione ed ha pertanto riproposto dinanzi alla Sezione l’odierno ricorso in ottemperanza chiedendo che le intimate venissero condannate a corrispondere il risarcimento dovuto per la indebita occupazione nella misura indicata nel ricorso e calcolata per il periodo dal 7 ottobre 2002 alla data della riconsegna del 13 giugno 2013 sulla base del valore venale del suolo fissato dal T in € 597.096,04 (misura da utilizzarsi quale parametro per calcolare l’indennità di occupazione spettante, rapportandola altresì al valore degli affitti medi del periodo in considerazione per beni di egual valore, con maggiorazione della cifra così ottenuta – per consentire l’integrale ristoro del danneggiato - del 50% in ragione dell’accertata illiceità del possesso e della conseguente ingiustizia del danno subìto).

Tale valore reddituale annuo doveva essere individuato nel 10% del valore capitale, al netto della imposizione fiscale.

L’EAV SRL si è costituita depositando memoria e chiedendo la reiezione del mezzo o la declaratoria di inammissibilità del medesimo.

Ha in proposito sostenuto che:

a)il ricorrente in ottemperanza aveva -sia con l’atto di invito che con il ricorso introduttivo- computato gli importi asseritamente dovuti, includendovi gli interessi e la rivalutazione monetaria, in carenza di alcuna statuizione contenuta nella sentenza del T 570/2013 ed in quella di questa Quarta Sezione n. 46/2013, tanto che nel proprio atto di appello (pagg. 12 e 13 ciò aveva chiesto);

b)secondariamente (pag. 3 della memoria) ha fatto presente che la determinazione della voce di danno era avulsa dai criteri esposti nella sentenza di primo grado, in parte qua confermata in appello: ivi si faceva riferimento al valore degli affitti medii nel periodo in contestazione e poi alla maggiorazione del 50%.

L’appellante, invece, individuava una percentuale annua del 12,50%, deducendola da una prescrizione normativa (art. 50 del dPR n. 327/2001) inconferente in quanto inapplicabile al caso di specie.

EAV ha poi contestato l’esattezza della tesi professata da A SPA secondo cui essa doveva essere considerata estranea al giudizio di ottemperanza, in quanto soggetto “privato”.

A SPA si è costituita depositando memoria e chiedendo la reiezione del mezzo o la declaratoria di inammissibilità del medesimo.

Ha fatto presente che era del tutto anomalo rivolgersi al Giudice dell’ottemperanza chiedendo la nomina del commissario ad acta finalizzata ad integrare il decisum giurisdizionale.

Secondo A, non era questa la finalità della nomina commissariale, finalizzata invece a risolvere impedimenti di tipo pubblicistico.

Semmai, si sarebbe dovuta disporre CTU.

Ha chiesto pertanto che la domanda venisse dichiarata inammissibile nei propri confronti.

Peraltro, A aveva prontamente riscontrato l’atto di invito inviatole, per cui (quantomeno nei suoi confronti) non era ravvisabile il necessario presupposto della inerzia nel dare esecuzione al giudicato.

Con la seconda eccezione, in via subordinata, ha fatto presente che il calcolo di quantificazione del danno era errato in quanto:

a) erroneamente applicava l’art. 50 del dPR n. 327/2001;

b)faceva riferimento ad una percentuale (8,333%) annua di ricavo ritraibile dai suoli quale canone di affitto.

Ma trattavasi di aree incolte, per cui il criterio era inesatto ed inapplicabile per carenza di supporto probatorio;

semmai, si sarebbe dovuto fare riferimento al criterio dell’interesse legale sul valore venale dei beni;

c)la rivalutazione annua del valore venale dei suoli non era stata disposta da alcuna sentenza.

Parte ricorrente in ottemperanza ha depositato una memoria di replica, facendo presente che l’evocazione di A era rispettosa del precetto di cui all’art. 114 del cpa secondo cui l’azione doveva essere proposta nei confronti di tutte le parti del giudizio cognitorio.

Essa ha sostenuto che si tentava surrettiziamente – da parte di EAV ed A- di rimettere in discussione il decisum regiudicato (pag. 16 della sentenza del T)

La pregressa vigenza dell’art. 35 del dl 80/1998 era irrilevante;
l’indennità di occupazione doveva essere determinata (anche ex art. 20 comma 3 della legge n. 865/1971) in ragione di 1/12 della indennità di espropriazione.

Alla adunanza camerale del 12 maggio 2015 la causa è stata posta in decisione dal Collegio ed è stata emessa l’ordinanza collegiale n. 02881/2015 (da intendersi integralmente richiamata e trascritta in questa sede) .

Ivi, dato atto sia del passaggio in giudicato della statuizione dispositiva del T, confermata in appello relativa all’ ordine “ ex comma 4 dell’art.34 c.p.a. alle intimate di raggiungere un accordo con il ricorrente per la determinazione del risarcimento del danno per illegittima occupazione delle aree per il periodo indicato in motivazione ed alla luce dei criteri ivi indicati” che di quella determinativa del risarcimento (“infine, su questa linea direttrice va determinato il risarcimento del danno cagionato al B dall’illegittima occupazione delle aree protrattasi dal 7 ottobre del 2002 ad oggi -vedasi supra il perché questo danno non possa, per contro limitarsi, alla data del 12 novembre del 2010, come sostenuto ex adverso- . Il C.T.U., pur non avendo determinato questa voce, ha tuttavia stimato il valore del suolo in euro 597.096,04. Quest’ultima misura –individuata all’esito di una corretta metodologia di indagine - dovrà essere utilizzata quale parametro per calcolare l’indennità di occupazione spettante, rapportandola altresì al valore degli affitti medi del periodo in considerazione per beni di egual valore. La cifra così ottenuta – per consentire l’integrale ristoro del danneggiato - andrà successivamente maggiorata del 50% in ragione dell’accertata illiceità del possesso e della conseguente ingiustizia del danno subìto dal ricorrente. “”) e dato atto che le parti intimate non avevano compiutamente interloquito su detti profili, si è disposto che le stesse depositassero partita “risposta” alla richiesta datata 16 luglio 2013 inviatagli da parte ricorrente in ottemperanza chiarendo le eventuali ragioni che si opponevano alla liquidabilità delle somme da questa richieste.

La causa è stata pertanto rinviata alla odierna adunanza camerale del 3 novembre 2015.

Parte intimata A SPA ha depositato una memoria, in data 20 luglio 2015, nell’ambito della quale ha sostenuto che il calcolo “risarcitorio” proposto da parte ricorrente in ottemperanza in sede di diffida ad adempiere, e ribadito in sede di ricorso per l’ottemperanza al giudicato, era errato.

Premesso che si controverteva in ordine all’importo spettante alla parte ricorrente in ottemperanza del danno da occupazione temporanea illegittima nel periodo fissato nelle sentenze cognitorie regiudicate ( dal 7.10.2002 al 13.6.2013), la cifra richiesta da parte ricorrente in ottemperanza era errata per una triplice ragione:

a)la richiesta formulata invocava l’applicazione di una prescrizione normativa (l’ art. 50 del dPR n. 327/2001) inconferente in quanto inapplicabile al caso di specie, sia ratione temporis, che in considerazione del fatto che essa era “dedicata” a disciplinare la indennità di occupazione “legittima”, e non già quella “illegittima”.

Parte ricorrente in ottemperanza ben si rendeva conto di ciò( ed aveva convenuto su tale considerazione: pag. 5 della memoria depositata in vista della cc del 12.5.2015);
ma aveva “deviato” chiedendo l’applicazione di una norma (art. 20 co. 3 della legge n. 865/1971) che prevedeva che l’indennità di occupazione fosse determinata nella misura di 1/12 di quella di espropriazione.

Senonchè, in disparte le plurime declaratorie di incostituzionalità che avevano attinto detta ultima disposizione, doveva osservarsi che anche essa disciplinava la indennità di occupazione “legittima”, e non già quella “illegittima”e per di più si riferiva alle aree agricole.

L’unico criterio applicabile, quindi, era quello dell’interesse legale sul valore venale del bene (quest’ultimo già determinato dal T);

b)parte ricorrente in ottemperanza in sede di diffida ad adempiere, e di ricorso per l’ottemperanza al giudicato aveva ipotizzato la liquidazione di una cifra comprensiva della rivalutazione anno per anno dal 2002 al 2013 dell’importo determinato dal T quale valore venale del compendio immobiliare illegittimamente occupato. Senonchè ciò integrava un indebito tentativo di allargare e stravolgere il giudicato. La corresponsione della rivalutazione- pur richiesta dal B- era stata esclusa nella sentenza d’appello e, di converso, il T aveva disposto un incremento del 50% proprio per consentire l’integrale ristoro di parte ricorrente in ottemperanza. Il CTU aveva indicato una somma pari a € 597.094,88 corrispondente al valore venale;
su questa doveva calcolarsi la indennità di occupazione “ illegittima”;
non v’era spazio per la liquidazione della rivalutazione richiesta;

c)in ultimo, non era né realistico né applicabile il calcolo fondato sul valore degli affitti medii nel periodo, per beni di eguale valore prospettato da parte ricorrente in ottemperanza (e quantificato in un valore, pari al 10% del valore venale, al netto della imposizione fiscale, addirittura superiore all’8,33% indicato nell’atto di diffida).

Il criterio applicabile era quindi quello dell’interesse legale, ovvero, in via di estremo subordine quello scolpito sub art. 42bis comma 3 del TU Espropriazione (interesse del 5% annuo sul valore venale determinato).

Nel primo caso, applicandosi il tasso di legale annuo sul valore venale determinato nell’importo di € 597.094,88 detta somma era pari ad € 154. 263,44, che aumentato del 50% come statuito dal T era pari ad € 231.395,16.

Applicandosi invece il criterio scolpito sub art. 42bis comma 3 del TU Espropriazione (interesse del 5% annuo sul valore venale determinato in € 597.094,88 ), l’importo sarebbe stato pari ad 320.939,12 che aumentato del 50% come statuito dal T era pari ad € 478.617,46.

L’Ente Autonomo Volturno ha depositato una memoria, datata 1 settembre 2015 nell’ambito della quale ha fatto presente che, attenendosi strettamente al dettato della (regiudicata) sentenza del T n. 570/2013 il valore di partenza era pari ad € 597.094,88 ed il tempo di occupazione dal 7.10/2002 al 13/6/2013.

Si doveva calcolare il valore degli affitti medii del periodo, e maggiorare la somma del 50%.

Posto che il tasso di rendimento degli affitti del periodo era pari al 2,5% il valore determinato ammontava ad Euro 159.275,37 che, maggiorato del 50% era pari ad euro 238.913,06%.

Il ricorrente in ottemperanza ha depositato memoria di replica in data 11 settembre 2015 contestando le note di controparte e riproponendo le proprie tesi già esposte negli scritti difensivi.

Alla odierna camera di consiglio del 3 novembre 2015 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.


DIRITTO

1.Viene alla decisione del Collegio il ricorso in ottemperanza proposto dal Signor N B per ottenere la piena esecuzione al giudicato formatosi sulla sentenza di questa Sezione del Consiglio di Stato n. 46/2014 parzialmente confermativa della sentenza del T Campania n. 00570/2013.

2.Prima di esaminare il merito vanno risolte alcune questioni preliminari.

L’eccezione proposta da A circa il proprio difetto di legittimazione passiva è platealmente infondata ex art. 114 commi 1 e 6 del cpa: le azioni di ottemperanza implicano il necessario coinvolgimento delle parti –tutte- del giudizio cognitorio conclusosi con sentenza regiudicata;A è stata presente sia in primo che in secondo grado nel giudizio di merito;l’eccezione va pertanto disattesa.

Peraltro la sentenza della Sezione n. 46/2014 aveva (capo 2.2.1.) respinto la tesi della “asserita carenza di responsabilità solidale prospettata, per ragioni opposte sia dalla beneficiaria del procedimento espropriativo (Eav Srl) che dalla concessionaria dei lavori e delle espropriazioni (A)”, e ciò (capo 2.3.) anche laddove “il difetto di legittimazione passiva era riferito specificamente al petitum restitutorio.”.

2.1.Le connesse eccezioni relative al supposto “abuso” dello strumento del rito dell’ottemperanza e della richiesta di nomina del commissario ad acta sono del pari infondate: è incontestato che a parte ricorrente nulla sia stato ancora liquidato, quanto a tale “voce” risarcitoria, e non si vede pertanto per quale ragione essa non potrebbe esperire detta domanda.

Certamente, del petitum avanzato in via di richiesta alle parti dovrà verificarsene la fondatezza (integrale, o parziale): ma altrettanto certamente la domanda è proponibile.

3.Come ricordato nella parte in fatto, alla camera di consiglio del 12 maggio 2015 il Collegio ha emesso una ordinanza collegiale, sostanzialmente imponendo alle parti intimate (ma anche alla ricorrente, in sede di eventuali controdeduzioni) di precisare le proprie conclusioni sulle richieste di parte ricorrente in ottemperanza.

3.1.Le parti hanno argomentato nei termini sintetizzati nella parte in fatto della presente decisione.

3.2.Ritiene il Collegio di rilevare quanto segue.

3.2.1.Il capo di decisione della sentenza del T (confermata integralmente, in parte qua, dalla Sezione) è il seguente: “Infine, su questa linea direttrice va determinato il risarcimento del danno cagionato al B dall’illegittima occupazione delle aree protrattasi dal 7 ottobre del 2002 ad oggi (vedasi supra il perché questo danno non possa, per contro limitarsi, alla data del 12 novembre del 2010, come sostenuto ex adverso) . Il C.T.U., pur non avendo determinato questa voce, ha tuttavia stimato il valore del suolo in euro 597.096,04. Quest’ultima misura –individuata all’esito di una corretta metodologia di indagine - dovrà essere utilizzata quale parametro per calcolare l’indennità di occupazione spettante, rapportandola altresì al valore degli affitti medi del periodo in considerazione per beni di egual valore. La cifra così ottenuta – per consentire l’integrale ristoro del danneggiato - andrà successivamente maggiorata del 50% in ragione dell’accertata illiceità del possesso e della conseguente ingiustizia del danno subìto dal ricorrente.”.

3.2.2. L’occupazione termina – non c’è contestazione sul punto – il 13/6/2013.

3.2.3. La Sezione, -con la ottemperanda sentenza n. 46/2014- ha parzialmente riformato la sentenza del T, ma soltanto con riguardo a capi diversi da quello di interesse in relazione al petitum articolato.

Il capo della sentenza del T prima menzionato è quindi passato in giudicato.

3.2.4. Il dictum da ottemperare è quindi quello –prima riportato- di cui alla decisione del T (che fu emessa, è bene ricordarlo, nel 2013).

3.3. Alla stregua delle superiori premesse, va rammentato che in sede di ottemperanza (e soltanto laddove le ottemperande decisioni siano state rese dallo stesso plesso giurisdizionale amministrativo e non da Giudice di altro plesso) il Giudice dell’ottemperanza adito potrebbe in tesi arricchire, integrare, specificare il giudicato (non a caso, con una felice espressione della Dottrina si ricorre al concetto di “formazione progressiva del giudicato): ma ciò, soltanto nell’ipotesi in cui ciò si renda necessario, e giammai modificando e/o stravolgendo il contenuto del decisum.

3.3.1. In armonia con tale consolidato orientamento –dal quale il Collegio non intende discostarsi- va rilevato che:

a) posto che il T ha disposto che “ la cifra così ottenuta – per consentire l’integrale ristoro del danneggiato - andrà successivamente maggiorata del 50% in ragione dell’accertata illiceità del possesso e della conseguente ingiustizia del danno subìto dal ricorrente”, la domanda volta ad ottenere la rivalutazione del compendio determinato va respinta (in disparte la circostanza che una generica domanda simile, avanzata in grado di appello, parimenti venne respinta);
la maggiorazione del 50% è stata, all’evidenza, considerata in sede cognitoria idonea a compensare integralmente l’odierna parte ricorrente in ottemperanza dei danni subiti.

b)anche in considerazione della circostanza che la sentenza del T venne resa nel 2013 (allorquando, quindi, le disposizioni rispettivamente invocate di cui all’art. 50 del dPR 327/2001 e 42 bis del medesimo TU Espropriazione erano in vigore), posto che la detta sentenza non fa alcun richiamo ai criteri previsti in dette disposizioni in ultimo citate, esse non potrebbero in teoria essere invocate né applicate in sede esecutiva ( e ciò, in disparte la circostanza che l’art. 50 del dPR 327/2001 detta una norma riferibile unicamente alle occupazioni legittime).

3.3.2. Il T – si ripete- fa riferimento ad un valore del suolo in euro 597.096,04… “utilizzata quale parametro per calcolare l’indennità di occupazione spettante, rapportandolo altresì al valore degli affitti medi del periodo in considerazione per beni di egual valore”.

Diversi criteri (art. 50 del dPR 327/2001 e 42 bis del medesimo TU Espropriazione )potrebbero essere eventualmente applicati in ipotesi di assoluta impossibilità di accertare il “valore degli affitti medi del periodo in considerazione per beni di egual valore”.

Si anticipa comunque che non potrebbe ad avviso del Collegio farsi ricorso al parametro di cui all'art. 50 d.P.R. n. 327 del 2001 (disposizione che riguarda le occupazioni legittime) in quanto opera in materia un più sicuro referente normativo.

4.Ritiene innanzitutto il Collegio che la assoluta impossibilità di accertare il “valore degli affitti medi del periodo in considerazione per beni di egual valore”, integri proprio l’ipotesi inveratasi nell’odierno processo.

4.1.Le contrapposte parti prospettano un riferimento agli affitti medii del periodo che oltre a discostarsi tra loro in termini rilevanti (il che è già indice di non persuasività di alcuno di essi) è complessivamente inaffidabile perché risente della “incertezza” già riscontrata in sede di processo cognitorio, laddove, pur rilevandosi che trattavasi di terreni incolti adibiti a seminativo irriguo, non si sottaceva la vocazione edificatoria dell’area.

4.1.1. In carenza di dati affidabili ed univoci sul “valore di partenza” fissato dalla decisione del T e riposante negli affitti medii del periodo ( si ripete che sol che si compulsino gli scritti difensivi si evince con chiarezza la larghezza della “forbice” tra i dati forniti da Eav e quelli forniti dal B, quanto al predetto valore degli affitti medii del periodo) soccorre la giurisprudenza, che afferma che il valore d'uso, corrispondente al danno sofferto dal ricorrente per l'illecita, prolungata occupazione illegittima dei terreni di sua proprietà, può quantificarsi, con valutazione equitativa ex artt. 2056 e 1226 c.c., nell'interesse del cinque per cento annuo sul valore venale del bene, in linea con il parametro fatto proprio dal legislatore con il cit. art. 42- bis comma 3, d.P.R. n. 327 del 2001, suscettibile di applicazione analogica in quanto espressione di un principio generale (T.A.R. Basilicata, Potenza, sez. I, 7.03.2014, n. 182;
T.A.R. Liguria, Genova, sez. I, 14 dicembre 2012).

4.2. Tale approdo, peraltro, è quello cui espressamente accede, seppure con prospettazione subordinata, A, alla pag. 11 della propria memoria: con la maggiorazione del 50% l’importo complessivo dovuto sarebbe pari ad Euro 478.617,46.

Tale conteggio non è stato contestato (nel dato dello sviluppo numerico, si intende, mentre si è prima chiarito che la tesi del B è quella per cui si sarebbe dovuto applicare l’art. 50 del TU Espropriazione) per cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64 comma 2 del codice del processo amministrativo, deve considerarsi idoneo alla prova dei fatti oggetto di giudizio.

4.3. Ribadito quindi che il parametro che debba prescegliersi è quello fatto proprio dal legislatore con il cit. art. 42- bis comma 3, d.P.R. n. 327 del 2001 in quanto “riferibile” alle fattispecie di occupazione illegittima (a differenza dell’ambito applicativo dell’art. 50 del TU Espropriazione) il ricorso in ottemperanza va solo in parte accolto, nei termini che precedono.

5.Conclusivamente, definitivamente pronunciando sul ricorso in ottemperanza in epigrafe, lo accoglie parzialmente, nei termini di cui alla motivazione che precede, e per l’effetto, in parziale accoglimento del mezzo, condanna le parti intimate a dare immediata esecuzione alla sentenza regiudicata liquidando a parte ricorrente in ottemperanza, entro il termine di giorni 30 dalla pubblicazione –o notificazione se anteriore- della presente decisione la somma di Euro 478.617,46 a titolo di risarcimento per il periodo di occupazione illegittima come sopra temporalmente determinato, cifra ottenuta applicando al valore del bene quantificato dal T in € 597.096,04 il criterio sub art. 42 bis comma 3 del TU Espropriazione, ulteriormente maggiorato del 50% come dal T disposto nella sentenza in parte qua confermata dalla sentenza di questa Sezione del Consiglio di Stato n. 00046/2014.

5.1.Non si ritiene, allo stato, di provvedere alla nomina del Commissario ad acta, stante la puntuale indicazione del quomodo dell’ottemperanza, che renderebbe incomprensibile ogni eventuale ulteriore ritardo.

6.Le spese processuali del grado vanno integralmente compensate tra le parti, a cagione della reciproca parziale soccombenza, rispetto al petitum instaurato con l’odierno ricorso in ottemperanza.

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