Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-12-01, n. 201605048

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-12-01, n. 201605048
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201605048
Data del deposito : 1 dicembre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/12/2016

N. 05048/2016REG.PROV.COLL.

N. 02772/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2772 del 2016, proposto dal Ministero dell'Interno e dall’U.T.G. - Prefettura di Milano, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

I signori -OMISSIS-ed -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati L T (C.F. TRCLSU57D55C352N), M S M (C.F. MSNMST67D41H501W) e M D C (C.F. DCRMRA78R04C975S), con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M S M in Roma, via Antonio Gramsci, n. 24;

nei confronti di

Il Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore , ed il Sindaco di Milano, rappresentati e difesi dagli avvocati Antonella Fraschini (C.F. FRSNNL55E46F205Z), Raffaele Izzo (C.F. ZZIRFL48E31F162X) ed Antonello Mandarano (C.F. MNDNNL65H15E919Y), con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Raffaele Izzo in Roma, Lungotevere Marzio, n. 3;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Lombardia, Sede di Milano, Sezione Terza, n. 2037 del 2015, resa tra le parti, concernente la trascrizione nei registri dello stato civile di matrimoni celebrati all'estero;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori -OMISSIS-e -OMISSIS-, del Sindaco e del Comune di Milano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2016 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per la parte appellante l’avvocato dello Stato Maria Vittoria Lumetti e per le parti appellate gli avvocati L T, M S M ed Antonello Mandarano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con atto del 9 ottobre 2014, il Sindaco di Milano ha iscritto - nel registro dei matrimoni presso l’ufficio di stato civile – il matrimonio contratto nel 2013 in Francia dai signori appellati aventi lo stesso sesso.

Dando seguito ad una nota del Ministero dell’Interno di data 7 ottobre 2014 (che ha rilevato come tale trascrizione non sia consentita dal d.P.R. n. 396 del 2000), il Prefetto di Milano – in data 27 ottobre 2014 - ha dapprima invitato il Sindaco ad annullare tale trascrizione e poi, con decreto di data 4 novembre 2014, in applicazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 ha disposto l’«annullamento d’ufficio» della trascrizione del matrimonio dei signori appellati (oltre che di altri dodici atti di matrimonio indicati nello stesso provvedimento), ordinando al Sindaco di Milano, in qualità di ufficiale dello stato civile, di procedere agli adempimenti materiali conseguenti all’annullamento, compresa l’annotazione, a margine delle trascrizioni effettuate, degli estremi del provvedimento di annullamento, assicurando l’espletamento senza ritardo di tali operazioni.

2. Con il ricorso di primo grado n. 3015 del 2014 (proposto al TAR per la Lombardia, sede di Milano), gli appellati hanno impugnato gli atti sopra indicati, chiedendo la declaratoria della loro nullità ovvero il loro annullamento, per vari profili di violazione di legge, per incompetenza assoluta e difetto assoluto di attribuzione.

Il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Milano si sono costituiti in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.

Hanno proposto atto di intervento ad adiuvandum (qualificabile anche come ricorso autonomo) il Comune di Milano ed il Sindaco di Milano;
in particolare, nell’atto di intervento, essi hanno rappresentato che il provvedimento del Prefetto del 4 novembre 2014 contiene l’ordine di annotazione rivolto specificamente al Sindaco di Milano, sicché anche da ciò deriva la loro legittimazione e l’interesse ad impugnarlo, anche in via autonoma, e ne hanno chiesto l’annullamento.

2.1. Con atto notificato il 2 aprile 2015 e depositato il 10 aprile 2015, il Sindaco di Milano ed il Comune di Milano hanno impugnato:

- l’ulteriore provvedimento prefettizio datato 11 febbraio 2015 (n. 11886), con cui è stato delegato un viceprefetto a procedere alla materiale annotazione nei registri di stato civile del Comune di Milano degli estremi del provvedimento n. 84149 del 4 novembre 2014;

- le tredici annotazioni – effettuate in data 11 febbraio 2015 nei medesimi registri - degli estremi del provvedimento n. 84149 del 4 novembre 2014.

2.2. Con ricorso per motivi aggiunti, notificato il 13 aprile 2015 e depositato il 21 aprile 2015, anche gli originari ricorrenti hanno impugnato il provvedimento prefettizio n. 11886 dell’11 febbraio 2015, congiuntamente al verbale delle operazioni eventualmente formulato.

3. Con la sentenza impugnata, il TAR ha accolto il ricorso ed i motivi aggiunti proposti dal Sindaco di Milano e dal Comune di Milano ed ha annullato gli atti con essi impugnati, dichiarando, invece, inammissibili il ricorso ed i motivi aggiunti proposti dai ricorrenti privati.

In particolare, il TAR ha ritenuto che:

- non sussiste la giurisdizione amministrativa con riferimento alla domanda proposta dai ricorrenti originari che hanno contratto il matrimonio all’estero, poiché la controversia ricadrebbe nella giurisdizione del giudice ordinario;

- l’atto di intervento ad adiuvandum proposto dal Sindaco di Milano e dal Comune di Milano va qualificato come ‘ricorso autonomo’, sussistendone i requisiti di sostanza e di forma;

- sussiste la giurisdizione amministrativa generale di legittimità, ai sensi dell’art. 7 del codice del processo amministrativo, con riferimento alla domanda da proposta dal Sindaco e dal Comune, poiché non si tratta di persone fisiche che vedono alterato il proprio status personale, ma di Autorità pubbliche che hanno un interesse qualificato alla corretta gestione di un servizio tipicamente pubblico, loro delegato, sicché la controversia riguarda un rapporto di diritto pubblico tra soggetti pubblici ed avente ad oggetto potestà di tipo pubblico;

- il Sindaco ed il Comune sono titolari di una funzione pubblica in materia di stato civile, sul cui esercizio vigila il Prefetto;

- la titolarità di una posizione sostanziale dà luogo a sua volta ad una posizione di legittimazione ad agire a tutela delle funzioni attribuite direttamente dalla legge;

- non assume rilievo la qualifica di ufficiale del governo del Sindaco, e quindi la sottoposizione della sua attività al potere gerarchico del Prefetto o del Ministero, non trattandosi di gerarchia propria – che consentirebbe al superiore di annullare l’atto del sottoposto in via diretta – ma si è in presenza di un ‘rapporto generico di vigilanza’ che non sottrae la titolarità della funzione all’organo vigilato, unico soggetto individuato dalla legge a svolgere quel compito;

- il Prefetto, nell’espletamento del suo potere di vigilanza e sostitutivo sugli uffici dello stato civile, può impartire direttive ed indirizzi nell’ambito del funzionamento dei predetti uffici;

- in merito alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso, però, il Prefetto non ha alcuna possibilità di emanare un atto di annullamento, poiché la normativa di settore attribuisce alla sola autorità giudiziaria ordinaria il potere di rettificare o annullare gli atti indebitamente trascritti;

- in materia di stato delle persone, non può ammettersi l’esercizio atipico di poteri da parte dell’autorità amministrativa, poiché solo un ‘organo indipendente’ può decidere della sua definitiva conformazione (cfr. art. 101 Cost.);

- il Comune e il Sindaco non possono essere obbligati a modificare il contenuto degli atti già trascritti, pena la violazione della normativa dello stato civile, con la concreta possibilità di produrre lesioni allo stato giuridico di soggetti dell’ordinamento e al rischio di vedersi esposti a profili di responsabilità in diversi ambiti;

- vanno dunque annullati i decreti prefettizi impugnati dal Sindaco e dal Comune di Milano con il ricorso introduttivo e con i successivi motivi aggiunti.

4. La sentenza del TAR per la Lombardia n. 2037 del 2015 è stata impugnata unicamente dal Ministero dell’Interno.

4.1. Dopo aver richiamato le vicende che hanno condotto al secondo grado del giudizio, il Ministero dell’Interno col primo motivo d’appello (pp. 5-10):

- ha dedotto l’erroneità e la contraddittorietà della sentenza del TAR, nella parte in cui essa ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nei confronti dei ricorrenti persone fisiche e contestualmente ha affermato la giurisdizione del giudice amministrativo nei confronti del Comune di Milano e del Sindaco di Milano;

- ha rilevato di aver dedotto nella propria memoria depositata in primo grado (pag. 8) il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo «perché la contestazione della sussistenza del potere e delle sue modalità di esercizio non è ammissibile ove disgiunta dalla richiesta di tutela di una situazione giuridica sostanziale, che nel caso in questione, è esclusivamente una situazione giuridica di diritto soggettivo, rientrante nella giurisdizione ordinaria»;

- ha quindi precisato di aver proposto l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nell’ipotesi in cui l’oggetto del giudizio investisse non solo l’atto prefettizio di annullamento della trascrizione, ma anche la legittimità della trascrizione stessa;

- ha dedotto che i ricorrenti, però, hanno «delimitato il petitum alla legittimità o meno del potere di autoannullamento del Prefetto» ed hanno lamentato che la sentenza sarebbe contraddittoria, perché da un lato ha richiamato la tesi secondo cui l’atto prefettizio sarebbe nullo perché adottato in carenza di potere in astratto, e dall’altro ha ritenuto lo stesso atto illegittimo in quanto espressione di cattivo uso del potere, mentre in realtà «la giurisdizione sull’atto di annullamento della trascrizione è una sola» e dipende dall’esistenza o meno della norma attributiva del potere, e non può dipendere dalla natura privata o pubblica dei ricorrenti;

- ha rilevato che sussiste l’interesse dell’Amministrazione statale ad impugnare il capo di sentenza che ha denegato la giurisdizione del giudice amministrativo sul ricorso dei soggetti privati (anche se formalmente una tale statuizione non è pregiudizievole), perché la motivazione dell’accoglimento del ricorso del Comune e del Sindaco di Milano è contenuta nel rinvio alle argomentazioni esposte nella prima parte della sentenza;

- ha concluso nel senso che in questa sede si dovrebbe «dichiarare la giurisdizione del giudice amministrativo sull’intera materia del contendere».

Col secondo motivo d’appello (v. pp. 10-22), il Ministero dell’Interno ha affrontato la questione sostanziale sulla possibilità o meno, in assenza di una normativa di rango legislativo, che vi sia la trascrizione nei registri dello stato civile del matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Col terzo motivo (v. 23-25), il Ministero ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto la sua eccezione di inammissibilità - per carenza di interesse o di legittimazione - del ricorso proposto dal Sindaco di Milano e dal Comune di Milano, richiamando le decisioni del TAR Lazio n. 3911 del 2015 e n. 3900 del 2015, che avevano accolto tale eccezione nei confronti del Comune, nonché la decisione di questa Sezione n. 5039 del 4 novembre 2015, che ha accolto l’eccezione di difetto di legittimazione attiva del Sindaco in qualità di ufficiale di governo.

Il Ministero ha dedotto che questi esercita nella materia dello stato civile funzioni statali delegate nell’ambito di un rapporto di subordinazione gerarchica con il Prefetto ed ha osservato che tale rapporto risulta basato, sul piano normativo - sia per quanto concerne i poteri di vigilanza sull’organizzazione degli uffici, sia per quanto riguarda la regolare tenuta dei registri dello stato civile - sulle previsioni di cui agli artt. 9, 104 e 15 d.P.R. n 396 del 2000.

Pertanto, l’interesse del Sindaco in quanto ufficiale dello stato civile non potrebbe che coincidere con l’interesse del Ministero dell’Interno e del Prefetto alla salvaguardia dell’unitarietà dell’ordinamento giuridico e alla regolare tenuta dei registri dello stato civile, mentre non potrebbe ipotizzarsi la giustiziabilità di contrasti tra organi dello Stato, che potrebbero trovare al più una composizione in seno al Consiglio dei Ministri, con l’adozione di una delibera avente natura di atto di alta amministrazione.

Col quarto motivo (v. pp. 26-36), il Ministero dell’Interno ha dedotto l’erroneità della sentenza in relazione alla ricostruzione dei poteri del Prefetto in materia di stato civile e della sua posizione di sovraordinazione rispetto al Sindaco nella veste di ufficiale di governo, in relazione alla inconfigurabilità – riscontrata dal TAR - del potere di annullamento in via gerarchica della trascrizione del matrimonio.

Il Ministero ha osservato che in materia di stato civile vi sarebbe «una posizione generale di sovraordinazione del Prefetto, rispetto al Sindaco» (e non un «rapporto di vigilanza generico»), con un potere del Prefetto di «annullamento gerarchico» degli atti illegittimi del Sindaco, ai sensi dell’art. 54 del testo unico n. 267 del 2000 e dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, per garantire l’esercizio uniforme, a livello nazionale, della funzione di stato civile ai fini della certezza giuridica.

Col quinto motivo (v. pp. 36-39), il Ministero, infine, ha contestato gli ulteriori motivi del ricorso introduttivo e dell’atto di intervento ad adiuvandum dichiarati assorbiti dal primo giudice (sulla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, nonché sulla applicabilità al caso di specie dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990).

4.2. Si sono costituiti in giudizio gli appellati, originari ricorrenti in primo grado, che hanno dedotto in via preliminare l’inammissibilità del primo motivo di appello diretto a censurare il capo di sentenza che ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sul ricorso da loro proposto dinanzi al TAR per la Lombardia.

Essi hanno inoltre controdedotto in merito alle censure proposte ed hanno chiesto il rigetto dell’appello.

4.3. Si sono costituiti in giudizio anche il Comune di Milano ed il Sindaco di Milano, che hanno chiesto la conferma della sentenza appellata.

4.4. Con l’ordinanza n. 2981 del 22 luglio 2016, la Sezione ha respinto l’istanza del Ministero dell’Interno, con cui è stata chiesta la sospensione della esecutività della sentenza appellata.

4.5. All’udienza del 13 ottobre 2016, dopo che le parti hanno tutte rappresentato di avere un perdurante interesse alla definizione del secondo grado del giudizio, la causa è stata trattenuta per la decisione.

5. Per le ragioni che saranno esplicitate rispettivamente nei paragrafi 6, 7, 8, 9 e 10, ritiene la Sezione che:

a) è inammissibile il primo motivo di appello, diretto a censurare il capo di sentenza che ha dichiarato il difetto della giurisdizione amministrativa sul ricorso e sui motivi aggiunti proposti dai ricorrenti originari in primo grado;

b) è inammissibile il secondo motivo proposto dal Ministero dell’Interno a pag. 10 ss, relativo alla questione sostanziale – di per sé irrilevante nel giudizio – se il Sindaco abbia potuto disporre la trascrizione dei matrimoni fra persone dello stesso sesso contratti all’estero;

c) è infondato il terzo motivo di appello (pp. 23-25), proposto avverso la statuizione del TAR che ha riconosciuto la legittimazione attiva del Sindaco di Milano e del Comune di Milano;

d) sono infondate le censure di pp. 19-30 dell’appello, proposte contro la statuizione del TAR che ha annullato l’atto del Prefetto di Milano, poiché nessuna disposizione di legge ha attribuito agli organi del Ministero dell’Interno il potere di annullare gli atti sindacali di trascrizione nel registro degli atti di matrimonio [potere che invece, in linea di principio, è attribuito al Governo nella sua composizione collegiale, dall’art. 2, comma 3, lettera p), della legge n. 400 del 1988 e dall’art. 138 del vigente testo unico sugli enti locali, approvato con il d.lg. n. 267 del 2000];

e) sono inammissibili le deduzioni svolte dal Ministero a pag. 36-39, con riferimento ai motivi dedotti dalle sue controparti in primo grado e assorbiti dal TAR.

Nei successivi paragrafi, sono dunque esplicitate le ragioni di queste statuizioni del Collegio, sintetizzate nelle lettere a), b), c), d), e).

6. Per evidenti ragioni di ordine logico, deve essere preventivamente esaminato il primo motivo di appello, con il quale è stato censurato il capo di sentenza che ha dichiarato il difetto della giurisdizione amministrativa sul ricorso proposto dalle persone fisiche, ricorrenti originari.

Ritiene la Sezione che la doglianza è inammissibile.

6.1. Per la comprensione di tale censura, va premesso che gli atti del Prefetto di Milano sono stati impugnati in primo grado col ricorso principale da due interessati che hanno a suo tempo contratto all’estero uno dei tredici matrimoni, di cui vi è stata la trascrizione, nonché dal Sindaco e dal Comune di Milano.

La sentenza impugnata – come sopra si è rilevato – ha ritenuto ammissibile (e fondato) il ricorso proposto dal Sindaco e dal Comune di Milano, mentre ha dichiarato inammissibile il ricorso principale proposto dai due interessati che hanno contratto matrimonio, per difetto della giurisdizione amministrativa (ritenendo sussistente quella ordinaria).

Evidentemente, il TAR ha così ritenuto che avverso i medesimi provvedimenti amministrativi possano essere proposti distinti ricorsi al giudice civile e al giudice amministrativo, a seconda di ‘chi’ proponga l’impugnazione.

6.2. Ciò posto, osserva la Sezione che, effettivamente, in linea di principio la giurisdizione non si può determinare a seconda di ‘chi’ contesti un provvedimento dell’Amministrazione.

Invero, le questioni di legittimazione (e quelle sulla sussistenza di un interesse al ricorso) riguardano le c.d. condizioni dell’azione, che possono essere esaminate dal giudice avente giurisdizione: e - quando si impugna un provvedimento autoritativo e comunque espressione di un pubblico potere – non possono che sussistere posizioni di interesse legittimo (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 19 ottobre 1979, n. 24;
Sez. V, 22 marzo 1995, n. 454;
Sez. V, 9 marzo 1973, n. 253).

6.3. Tuttavia, le deduzioni del Ministero contenute nel primo motivo d’appello vanno dichiarate inammissibili.

Infatti, il Ministero ha concluso espressamente nel senso che sia dichiarata la sussistenza della giurisdizione amministrativa anche sul ricorso principale di primo grado, a suo tempo proposto da coloro che hanno contratto il matrimonio all’estero e sul quale il TAR ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione.

Tale statuizione di difetto di giurisdizione non è stata però contestata in questa sede (con appello incidentale) dai medesimi due interessati, risultati così soccombenti sul profilo della giurisdizione.

Va pertanto richiamato il principio per il quale nei giudizi di impugnazione il difetto di giurisdizione può essere dedotto con specifico motivo - avverso il capo della pronuncia impugnata che ha statuito sulla giurisdizione (articolo 9 c.p.a.) - solo dalla parte che rispetto alla decisione del giudice di primo grado è rimasta sul punto soccombente (cfr. Cass., Sez. Un., 20 ottobre 2016, n. 21260, e il § 10.4. sulla nozione di soccombenza sul ‘capo sulla giurisdizione’;
Cons. Stato, Sez. III, 17 maggio 2012, n. 2857).

Per di più, nel caso di specie, proprio il Ministero dell’Interno – con specifico riferimento al ricorso principale - aveva eccepito in primo grado il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sicché - come correttamente rilevato dagli appellati nel controricorso - non può l’Amministrazione statale proporre in appello una doglianza del tutto opposta alla sua eccezione accolta dal TAR,.

Tale preclusione processuale non può essere superata con la tesi del Ministero secondo cui esso così intende contestare le argomentazioni poste a base di ulteriori e distinte statuizioni del TAR (che non riguardano profili di giurisdizione), sia perché ciò che conta è che vi è stato in primo grado l’accoglimento dell’eccezione del Ministero sul difetto di giurisdizione sul ricorso originario dei due interessati (sicché non può certo in questa sede il Ministero venire contra factum proprium e contestare una statuizione resa in accoglimento della sua eccezione), sia perché comunque, con tutte le sue altre censure, l’Amministrazione statale ha formulato analitiche contestazioni avverso le altre statuizioni del TAR su cui vi è stata la sua soccombenza.

7. Va invece dichiarato inammissibile per difetto di interesse il secondo motivo di appello, relativo alla dedotta non trascrivibilità del matrimonio tra due soggetti aventi lo stesso sesso, tenuto conto che la sentenza di primo grado non contiene alcuna statuizione sul punto.

Poiché oggetto dell’impugnazione proposta in primo grado sono risultati gli atti statali sopra indicati, e poiché va confermata la statuizione con cui il TAR ha annullato tali atti per incompetenza (per le ragioni che saranno esplicitate nel paragrafo 9), il Ministero non può in questa sede chiedere che vi sia un sostanziale obiter dictum (in quanto tale irrilevante per la definizione del giudizio), che si pronunci sulla legittimità o meno degli atti emessi dal Sindaco quale ufficiale di stato civile.

8. Risulta infondato e va respinto il terzo motivo dell’appello del Ministero dell’Interno, diretto a sostenere che vi sarebbe il difetto di legittimazione attiva del Comune di Milano e del Sindaco di Milano ad impugnare gli atti emessi dal Prefetto in data 4 novembre 2014 ed 11 febbraio 2015.

Il Ministero appellante – anche richiamando autorevoli precedenti anche di questo Consiglio - ha argomentato sotto vari profili le proprie deduzioni, con riferimento:

- al rapporto di subordinazione gerarchica intercorrente tra l’ufficiale di stato civile ed il Prefetto;

- alla inconfigurabilità di una giustiziabilità dei contrasti sorti tra ‘organi dello Stato’ (che – a suo avviso - potrebbero trovare composizione in seno al Consiglio dei Ministri, con l’adozione di una delibera avente natura di atto di alta amministrazione).

Ritiene la Sezione di non poter condividere tali considerazioni, per un duplice ordine di considerazioni..

8.1. In primo luogo, in materia non trova deroghe il principio costituzionale per il quale « tutti possono agire in giudizio per la tutela dei diritti e degli interessi legittimi » (art. 24, primo comma, Cost.).

Tale principio riguarda anche i rapporti tra le pubbliche Amministrazioni: salvi i casi in cui sussiste – nei casi previsti dall’art. 134 Cost. - la giurisdizione della Corte Costituzionale sui conflitti di attribuzione, e salvi i casi di giurisdizione esclusiva nei casi previsti dalla legge, sussiste la giurisdizione amministrativa di legittimità quando una pubblica Amministrazione impugna un provvedimento autoritativo di un’altra pubblica Amministrazione.

8.1.1. Di tale principio non si è mai di per sé dubitato in dottrina ed in giurisprudenza, anche perché nella tradizione giuridica già nella legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato A, erano contenute disposizioni che espressamente consentivano ai Comuni di ricorrere avverso tutti gli atti lesivi, emanati da altre Amministrazioni, pur se queste esercitavano poteri di vigilanza o ‘tutori’ (cfr. gli artt. 143 e 172), prima ancora della istituzione delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato.

8.1.2. Ritiene dunque la Sezione di dover ribadire il principio per cui l’ente locale - il cui provvedimento sia stato annullato da un’altra Amministrazione - è senz’altro legittimato ad impugnare l’atto di annullamento, anche se la questione non ha una rilevanza di carattere economico (Cons. Stato, Sez. V, 5 giugno 1953, n. 306).

Tale regola – da ritenere supportata dal principio affermato dall’art. 24 Cost. e che non è derogata da alcuna disposizione di legge – trova attuazione in ogni caso in cui un atto di un ente locale sia annullato da un’altra Autorità, sia quando si tratti di una decisione negativa di controllo (per tutte, v. Cons. Stato, Ad. Plen., n. 9 del 1996, § 6;
Sez. V, 29 gennaio 1999, n. 82;
Sez. V, 15 luglio 1998, n. 1044;
Sez. IV, 9 novembre 1985, n. 503;
Sez. IV, 24 novembre 1981, n. 908;
Cons. giust. Amm., 13 febbraio 1980, n. 8), sia quando il Governo [ai sensi dell’art. 2, comma 3, lettera p), della legge n. 400 del 1988 e dell’art. 138 del testo unico sugli enti locali] ovvero la Regione (ai sensi dell’art. 39 del testo unico sull’edilizia) annulli in via straordinaria un atto di un ente locale, nonché quando siano esercitati poteri sostitutivi, sul presupposto che l’ente abbia commesso una illegalità (Cons. Stato, Sez. V, 8 luglio 1995, n. 1034).

Tale principio generale non trova deroga quando col proprio ricorso l’ente locale miri a riaffermare la legittimità di un atto emanato nell’esercizio di un potere statale.

Tra gli organi dello Stato e quelli comunali sono configurabili rapporti intersoggettivi e non meramente interorganici.

Oltre ad esservi una obiettiva diversità tra i poteri spettanti agli organi dello Stato in materia di stato civile e quelli tipicamente spettanti all’Autorità che effettivamente sia gerarchicamente superiore (sul punto, cfr. il successivo paragrafo 9), va richiamata la oramai consolidata giurisprudenza per la quale gli organi comunali – che istruiscono le pratiche e prendono le relative determinazioni - rispondono in proprio anche per gli atti emessi nell’esercizio di poteri statali.

La giurisprudenza di questo Consiglio ha affermato non solo che le notifiche dei ricorsi avverso gli atti emessi dal Comune (non importa se quale Autorità comunale o in quanto investita di poteri statali) debbano aver luogo presso la sede del Comune stesso, e non presso l’Autorità statale di riferimento nella sede della Avvocatura dello Stato (Cons. Stato, Sez. IV, 28 aprile 2014, n. 2221;
Sez. V, 7 settembre 2007 n. 4718;
Sez. IV, 13 agosto 2007 n. 4448;
Sez. IV, 28 marzo 1994, n. 291;
Sez. V, 27 ottobre 1986, n. 568), ma anche che può essere ravvisata in tali casi la responsabilità degli stessi organi comunali (Cons. Stato, Sez. III, 6 agosto 2014, n. 4184).

Anche quando agisca come ufficiale di governo, infatti, «l’imputazione giuridica allo Stato degli effetti dell'atto del Sindaco ha natura meramente formale, restando il Sindaco incardinato nel complesso organizzativo dell'ente locale, senza alcuna modifica del suo status » (Cons. Stato, Sez. V, 6 maggio 2015, n. 2272;
Sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2221;
Sez. IV, 3 marzo 2009, n. 1209;
Sez. V, 17 settembre 2008 n. 4434;
Sez. IV, 7 settembre 2007, n. 4718;
Sez. IV, 13 agosto 2007, n. 4448).

Non si può dunque negare anche la sussistenza di uno specifico interesse del Comune e del Sindaco a far riaffermare la legittimità dei propri atti, quando il Prefetto ne disponga l’annullamento.

8.2. In secondo luogo, ad avviso della Sezione occorre anche tener conto delle possibili conseguenze che possono derivare dalla mancata esecuzione, da parte del Sindaco e del Comune, delle « istruzioni », disposte dal Ministero ai sensi del d.P.R. art. 9, comma 1, del d.P.R. n. 396 del 2000 (per il quale « l’ufficiale dello stato civile è tenuto ad uniformarsi alle istruzioni che vengono impartite dal Ministero dell’Interno »).

La legislazione sugli enti locali ha da sempre previsto misure dissuasive e sanzionatorie, per il caso in cui il Sindaco non dia applicazione alla legge, ovvero comunque non adempia ai suoi obblighi.

L’art. 159 del testo unico 4 febbraio 1915, n. 148 (come già avevano disposto la legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato A, l’art. 243 del testo unico 10 febbraio 1889, n. 5921, e l’art. 143 del testo unico sugli enti locali 21 maggio 1908, n. 269), disponeva che, « ove il Sindaco, o chi ne esercita le funzioni, non adempia ai suoi obblighi di ufficiale del Governo o non li adempia regolarmente, può con decreto del Prefetto, e per la durata non maggiore di tre mesi, venire delegato un Commissario per l’adempimento delle funzioni di ufficiale del Governo. Le spese occorrenti per l’invio ed esercizio dell’incarico di Commissario sono addossate al Comune, salvo a questo l’azione di rivalsa contro il Sindaco ».

Anche la successiva legislazione ha previsto misure dissuasive e sanzionatorie per il Sindaco che in ipotesi non dia applicazione alla legge ovvero non adempia ai suoi obblighi.

Il vigente art. 142 del testo unico sugli enti locali, approvato col d.lg. n. 267 del 2000, al comma 1 (sulla « Rimozione e sospensione di amministratori locali» ), attualmente dispone che «Con decreto del Ministro dell'interno il sindaco, il presidente della provincia ….. possono essere rimossi quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge o per gravi motivi di ordine pubblico ».

Pertanto, ove risultino i relativi presupposti, in applicazione dell’art. 142 nei confronti del Sindaco possono essere emanate dallo Stato misure tali da impedire lo svolgimento delle sue funzioni.

E’ pertanto evidente, anche sotto tale profilo, e nell’attuale quadro normativo, la sussistenza della legittimazione e dell’interesse - del Sindaco e del Comune - ad impugnare gli atti che dispongano, ed in sostanza ordinino, al Sindaco l’emanazione di determinati atti, al fine di ottenere dal giudice amministrativo l’annullamento degli atti che impongano tale emanazione, dal momento che la sistematica mancata emanazione degli atti in ipotesi dovuti può dar luogo all’emanazione delle misure repressive, previste dalla legge.

8.3. Ritiene pertanto la Sezione che – anche in ragione delle possibili conseguenze negative, cui sono esposti il Sindaco ed il Comune nell’ipotesi di mancata ottemperanza alle « istruzioni » del Ministro e alle misure disposte dal Prefetto - va respinto il motivo d’appello secondo cui sarebbe inammissibile il ricorso di primo grado, proposto dal Sindaco e dal Comune di Milano.

9. Si deve ora passare all’esame della questione, centrale nel presente giudizio, se il Prefetto di Milano abbia esercitato in materia una propria competenza attribuita dalla legge, mediante il suo atto di data 4 novembre 2014, ed il successivo provvedimento datato 11 febbraio 2015 di delega al viceprefetto e delle successive annotazioni degli estremi del provvedimento di annullamento delle trascrizione degli atti di matrimonio n. 287, n. 288, n. 289, n. 290, n. 291, n. 292, n. 293, n. 294, n. 295, n. 296, n. 297, n. 298 e n. 299.

9.1.1. Con l’atto di intervento ad adiuvandum , riqualificato dal primo giudice come ‘ricorso autonomo’ con una statuizione non oggetto di impugnazione, il Comune ed il Sindaco di Milano hanno contestato in primo grado la legittimità dell’atto del Prefetto di data 4 novembre 2014, deducendo che:

- la trascrizione avrebbe efficacia solo certificativa e di ‘pubblicità-notizia’ di un atto posto in essere da uno Stato estero ed ivi valido e produttivo di effetti, sicché, trattandosi di un atto valido e produttivo di effetti giuridici nel luogo di celebrazione del matrimonio, esso sarebbe già di per sé efficace anche in Italia ai sensi dell’art. 65 della legge n. 218 del 1995;

- nessuna legge avrebbe attribuito al Prefetto il potere di annullare gli atti di trascrizione dei matrimoni, emessi dal Sindaco quale ufficiale di stato civile, sicché il potere di sovraordinazione gerarchica di cui è titolare il Prefetto non comprenderebbe anche il potere di annullamento.

Con i successivi motivi aggiunti, il Sindaco di Milano ed il Comune di Milano hanno impugnato innanzi al TAR anche il provvedimento prefettizio datato 11 febbraio 2015, di delega ad un viceprefetto per procedere all’annotazione nei registri dello stato civile l’impugnato decreto del 4 novembre 2014, ed hanno dedotto che:

- il provvedimento di annullamento della trascrizione e l’atto conseguenziale sarebbero nulli ex art. 21 septies della legge n. 241 del 1990, in quanto emessi in « difetto assoluto di attribuzione » ed incompetenza assoluta;

- gli atti applicativi sono affetti dal vizio di illegittimità derivata, rispetto al decreto del 4 novembre 2014.

Con la sentenza appellata, il TAR ha ritenuto che:

- l’atto di annullamento – emesso dal Prefetto in data 4 novembre 2014 – è illegittimo per incompetenza (e non nullo per il « difetto assoluto di attribuzione » disciplinato dall’art. 21 septies della legge n. 241 del 1990), poiché il Prefetto – in materia di stato civile e in presenza di un illegittimo atto del Sindaco – ha poteri di «indirizzo, di vigilanza e sostitutivi», ma non anche quello di annullare l’atto sindacale, emesso quale ufficiale di stato civile.

9.1.2. Con il proprio appello, il Ministero dell’Interno ha dedotto che, in materia di stato civile, vi sarebbe «una posizione generale di sovraordinazione del Prefetto, rispetto al Sindaco», con un potere del Prefetto di «annullamento gerarchico» degli atti illegittimi del Sindaco) e ha altresì dedotto che il TAR - nell’affermare la natura amministrativa dell’atto del Sindaco che dispone la trascrizione del matrimonio contratto all’estero – con un non condivisibile salto logico avrebbe negato la sussistenza del potere del Prefetto di annullare l’atto del Sindaco.

In particolare, le Amministrazioni hanno rilevato che:

- la tenuta dei registri dello stato civile è una materia di competenza statale, rispetto alla quale il Sindaco esercita le sue funzioni come ufficiale di Governo (art. 53, comma 3, del d.lg. n. 267 del 2000);

- il Sindaco, nell’esercizio delle relative funzioni, deve attenersi alle istruzioni impartite del Ministero dell’Interno (art. 54, comma 12, del d.lg. n. 267 del 2000 e art. 9, comma 1, del d.P.R. n. 396 del 2000);

- il Prefetto dispone di poteri di vigilanza sulla tenuta degli atti dello stato civile (art. 9, comma 2, del d.P.R. cit.) e di sostituzione del Sindaco, in caso di inerzia nell’esercizio di taluni compiti (art. 54, comma 11, del d.lg. cit.);

- sussiste tra il Sindaco ed il Ministero dell’Interno una «relazione interorganica» di subordinazione che assoggetta il primo ai poteri di direttiva e vigilanza del secondo, per l’uniformità di indirizzo nella tenuta dei registri dello stato civile su tutto il territorio nazionale;

- il potere del Prefetto di annullare gli atti del Sindaco sarebbe ‘connaturale’ a tale rapporto di sovraordinazione e a tale «relazione interorganica, in quanto ‘implicito’ e comunque desumibile dai medesimi poteri di direzione, sostituzione e vigilanza;

- come ha affermato la circolare ministeriale del 7 ottobre 2014, l’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, tenuto conto in materia dell’art. 54 del d.lg. n. 267 del 2000, andrebbe interpretato nel senso che è ravvisabile il potere di annullamento d’ufficio di un atto illegittimo, da parte di un organo diverso dalla Autorità emanante, che sia ‘sovraordinato’ in quanto disponga della ‘potestà di controllo’ e della ‘sovraordinazione gerarchica’, che implicherebbe anche l’esercizio del potere di autotutela;

- il ravvisare il potere del Prefetto – di annullare gli atti dell’ufficiale di stato civile – significherebbe anche garantire l’«uniformità» dell’esercizio del potere, nel rispetto delle direttive date dall’autorità centrale, poiché con il ricorso alla Autorità giudiziaria ordinaria, previsto dall’art. 95 del d.P.R. n. 396 del 2000, non vi potrebbe essere una equivalente uniformità di indirizzo in materia e non vi sarebbe la più idonea tutela degli interessi pubblici coinvolti.

9.2. Per l’esame delle questioni così sollevate dall’appello del Ministero dell’Interno, ritiene la Sezione di dover premettere due considerazioni, in ordine agli aspetti sostanziali e processuali riguardanti l’emanazione della circolare del Ministero dell’Interno del 7 ottobre 2014, richiamata nell’atto del Prefetto di data 4 novembre 2015.

Tale circolare è stata emessa nell’esercizio del potere previsto dall’art. 9, comma 1, del d.P.R. n. 396 del 2000, già sopra riportato, per il quale « l’ufficiale dello stato civile è tenuto ad uniformarsi alle istruzioni che vengono impartite dal Ministero dell’Interno ».

9.2.1. La prima considerazione della Sezione riguarda gli aspetti sostanziali, sui rapporti tra la circolare del 7 ottobre 2014 e l’ambito dei poteri dei Prefetti e dei Sindaci quali ufficiali di stato civile.

Come rilevato dalla Sezione con la sentenza 26 ottobre 2016, n. 4478 (in occasione della impugnazione della circolare ministeriale 24 aprile 2015, n. 6), «la circolare interpretativa di una disposizione di legge è in linea di principio un atto interno», privo di effetti esterni e di per sé non impugnabile, ma - ai sensi dell’art. 9, comma 1, del d.P.R. n. 396 del 2000 - in materia di stato civile - il Ministero dell’Interno anche con la forma della circolare può emanare « istruzioni ».

Queste sono «vincolanti per ogni ufficiale dello stato civile che deve ad esse uniformarsi e, quindi, anche nei confronti del Sindaco che, nella sua veste di ufficiale dello stato civile, è posto in posizione di subordinazione rispetto al Ministero dell’Interno, per quanto non di tipo gerarchico in senso tecnico, se non altro perché avverso gli atti dell’ufficiale di stato civile non è ammesso alcun ricorso gerarchico, nel sistema previsto dal d.P.R. n. 396 del 2000».

9.2.2. La seconda osservazione della Sezione riguarda gli aspetti processuali del presente giudizio.

Va sottolineato al riguardo che:

- il TAR – accogliendo le censure di primo grado del Sindaco e del Comune di Milano - ha annullato per incompetenza l’atto del Prefetto del 4 novembre 2014, ma non anche la circolare del 7 ottobre 2014 (determinativa dei poteri-doveri degli ufficiali di stato civile), che non è stata dai ricorrenti formalmente impugnata;

- l’appello del Ministero dell’Interno non ha specificamente contestato la statuizione con cui il TAR – malgrado il mancato annullamento della circolare - ha annullato l’atto del Prefetto del 4 novembre 2014, che si è attenuta alle istruzioni del Ministero che avevano sollecitato l’esercizio del potere di autotutela.

Pertanto, nella presente fase del giudizio si deve esaminare unicamente la legittimità dei contestati atti del Prefetto e non anche quella della richiamata circolare ministeriale.

9.3. Ciò posto, ritiene la Sezione che le censure del Ministero appellante – sulla sussistenza della competenza del Prefetto - vadano respinte e che le statuizioni del TAR - di annullamento dell’atto del Prefetto di data 4 novembre 2014 e del successivo provvedimento di data 11 febbraio 2015 – vadano confermate, sia pure sulla base di una motivazione parzialmente diversa da quella posta a base della sentenza di primo grado.

La Sezione, infatti, ritiene di dover rivedere il proprio precedente orientamento circa l’ambito di applicazione dell’art. 21 nonies , comma 1, della legge n. 241 del 1990, per il quale « il provvedimento amministrativo illegittimo … può essere annullato d’ufficio …. dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge ».

9.3.1. Tale disposizione trova il suo fondamento nell’art. 97, primo comma, della Costituzione, per il quale « i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge ».

Prima dell’entrata in vigore dell’art. 21 nonies , comma 1, della legge n. 241 del 1990, sopra riportato, erano sorte delicate questioni interpretative circa l’applicazione del «principio della articolazione delle competenze».

Infatti, per i casi di sussistenza di poteri direttivi, sostitutivi (ad es. di poteri di «avocazione») o ispettivi, sia in dottrina che in giurisprudenza sono state sostenute diverse tesi, in ordine alla necessità o meno che una espressa disposizione prevedesse il «potere di annullamento», da parte dell’Autorità titolare dei medesimi poteri direttivi, sostitutivi o ispettivi.

Viceversa, analoghe discussioni non vi erano per i casi in cui fosse configurabile un rapporto di gerarchia in senso tecnico, poiché l’art. 6, comma quarto, del testo unico di pubblica sicurezza n. 773 del 1931 (sul potere di annullamento gerarchico da parte del Ministro dell’Interno) era considerato espressione di un principio generale, riferibile all’essenza stessa di un rapporto gerarchico.

Tenuto conto di tali dibattiti, il sopra riportato art. 21 nonies , comma 1, della legge n. 241 del 1990 ha affermato la regola generale, per la quale il potere di annullamento d’ufficio può essere esercitato « dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge ».

Quanto al potere di annullamento in sede di autotutela da parte della stessa autorità emanante, nulla quaestio : il medesimo comma 1 ha esplicitato il principio da sempre pacificamente affermato da questo Consiglio, sulla portata generale del principio del diritto pubblico, per il quale la legge – nel prevedere che una determinata autorità possa emanare un provvedimento di amministrazione attiva – attribuisce alla medesima autorità anche il potere di rimuovere il proprio atto, in sede di autotutela (v. il parere del Consiglio di Stato, Sezione dell'Interno, 16 marzo 1864, approvato dalle Sezioni riunite nella adunanza del 20 aprile 1864, sui principi applicabili e sulla facoltatività dell’esercizio del potere di annullamento in sede di autotutela, ovvero da parte di un’altra autorità indicata dalla legge).

Quanto, invece, al potere di annullamento in sede di autotutela da parte di un « altro organo previsto dalla legge », l’art. 21 nonies , comma 1, proprio col richiamo all’altro organo « previsto dalla legge », ha inteso sopire il precedente dibattito sulla sussistenza o meno di ‘poteri impliciti’ ed ha affermato più rigorosamente il principio di legalità sancito dall’art. 97 della Costituzione, disponendo che – in tema di annullamento di un atto amministrativo - le articolazioni delle competenze devono essere previste « dalla legge » (potendosi comunque intendere tale espressione come richiamo anche a disposizioni di rango regolamentare, nel rispetto della legalità formale e sostanziale).

9.3.2. Occorre, dunque, verificare se, nella materia dell’ordinamento dello stato civile, vi sia una disposizione espressa che attribuisca al Prefetto il potere di annullare l’atto del Sindaco, sulla trascrizione di un matrimonio.

Tutte le parti, così come anche la sentenza appellata, hanno richiamato la normativa sulla tenuta dei registri di stato civile.

Per l’art. 453 del codice civile, « nessuna annotazione può essere fatta sopra un atto già iscritto nei registri se non è disposta per legge ovvero non è ordinata dall'autorità giudiziaria ».

L’articolo 95 del d.P.R. n. 396 del 2000 (emanato in applicazione dell'articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127) prevede che si possa proporre ricorso al tribunale civile, per la modifica degli atti di stato civile, compresa la cancellazione di un atto indebitamente registrato.

I primi due commi dell’art. 95, infatti, dispongono che:

- « 1. Chi intende promuovere la rettificazione di un atto dello stato civile o la ricostituzione di un atto distrutto o smarrito o la formazione di un atto omesso o la cancellazione di un atto indebitamente registrato, o intende opporsi a un rifiuto dell'ufficiale dello stato civile di ricevere in tutto o in parte una dichiarazione o di eseguire una trascrizione, una annotazione o altro adempimento, deve proporre ricorso al tribunale nel cui circondario si trova l'ufficio dello stato civile presso il quale è registrato l'atto di cui si tratta o presso il quale si chiede che sia eseguito l'adempimento »;

« 2. Il procuratore della Repubblica può in ogni tempo promuovere il procedimento di cui al comma 1 ».

In coerenza con l’art. 95, l’art. 100 del medesimo d.P.R. n. 396 del 2000 dispone che il tribunale civile possa disporre eventuali correzioni di atti ricevuti da autorità straniere e trascritti in Italia, oltre la cancellazione di quelli indebitamente trascritti.

Altre disposizioni del d.P.R. n. 396 del 2000, rilevanti in materia, sono:

- l'art. 5, comma 1, lettera a), per il quale « l'ufficiale dello stato civile, nel dare attuazione ai principi generali sul servizio dello stato civile di cui agli articoli da 449 a 453 del codice civile e nel rispetto della legge 31 dicembre 1996, n. 675, espleta i seguenti compiti: … a) forma, archivia, conserva e aggiorna tutti gli atti concernenti lo stato civile »;

- l’art. 11, comma 3, per il quale « l'ufficiale dello stato civile non può enunciare, negli atti di cui è richiesto, dichiarazioni e indicazioni diverse da quelle che sono stabilite o permesse per ciascun atto »;

- l’art. 12, comma 1, per il quale « gli atti dello stato civile sono redatti secondo le formule e le modalità stabilite con decreto del Ministro dell'Interno », e comma 6, per il quale « gli atti dello stato civile sono chiusi con la firma dell'ufficiale dello stato civile competente. Successivamente alla chiusura gli atti non possono subire variazioni »;

- l’art. 69, comma 1, lettera i), sulle annotazioni negli atti di matrimonio e sui provvedimenti di rettificazione;

- l'art. 98, comma 1, per il quale « l'ufficiale dello stato civile, d'ufficio o su istanza di chiunque ne abbia interesse, corregge gli errori materiali di scrittura in cui egli sia incorso nella redazione degli atti mediante annotazione dandone contestualmente avviso al prefetto, al procuratore della Repubblica del luogo dove è stato registrato l'atto nonché agli interessati »:

- l’art. 102, per il quale « le annotazioni disposte per legge od ordinate dall'autorità giudiziaria si eseguono per l'atto al quale si riferiscono, registrato negli archivi di cui all'articolo 10, direttamente e senza altra formalità dall'ufficiale dello stato civile di ufficio o su istanza di parte »;

- l'art. 109, per il quale « i tribunali della Repubblica sono competenti a disporre le rettificazioni e le correzioni di cui ai precedenti articoli anche per gli atti dello stato civile ricevuti da autorità straniere, trascritti in Italia, ed a provvedere per la cancellazione di quelli indebitamente trascritti ».

In materia rileva anche il decreto del Ministro dell’Interno del 5 aprile 2002, il quale, nell’individuare la formula di annotazione, all'Allegato A) ha previsto che « con provvedimento del Tribunale di ... n. ...in data ... l'atto di cui sopra è stato cosi rettificato (inserire specificamente le rettificazioni così come sono state disposte ) ».

9.3.3. Dall’esame delle disposizioni sopra riportate, e delle rilevanti disposizioni del codice civile e del d.P.R. n. 396 del 2000 nel suo complesso, si desume che:

- « successivamente alla chiusura gli atti non possono subire variazioni » (art. 12, comma 1, del d.P.R. n. 396 del 2000) e cioè neppure il Sindaco può modificare o annullare in sede di autotutela gli atti da lui emessi quale ufficiale di stato civile, salvo unicamente il potere di correggere « gli errori materiali di scrittura » (art. 98, comma 1, del medesimo d.P.R.);

- in ogni caso, solo il tribunale civile può « disporre le rettificazioni e le correzioni di cui ai precedenti articoli anche per gli atti dello stato civile ricevuti da autorità straniere, trascritti in Italia » e solo il tribunale civile può « provvedere per la cancellazione di quelli indebitamente trascritti » (art. 109 del d.P.R. n. 396 del 2000, coerente con il principio generale previsto dall’art. 453 del codice civile).

Pertanto, si deve concludere nel senso che l’ordinamento dello stato civile prevede specifiche regole, divergenti da quelle di carattere generale previste dall’art. 54 del d.lg. n. 267 del 2000: l’ordinamento dello stato civile va considerato ‘settoriale, speciale e completo’ e non prevede alcuna disposizione attributiva del potere di disporre l’annullamento di un atto trascritto, né in sede di autotutela da parte dell’organo che lo ha emesso, né da parte di un altro organo (che sia il Ministro dell’Interno o il Prefetto).

9.3.4. Dopo aver constatato che il potere di annullamento di un atto amministrativo deve essere previsto da una espressa norma (di rango legislativo o regolamentare) e che il codice civile e il d.P.R. n. 396 del 2000 non hanno attribuito al Prefetto o al Ministro dell’Interno - e, va rimarcato, nemmeno alla stessa Autorità emanante - il potere di annullare atti (in ipotesi illegittimi) degli ufficiali di stato civile, va esaminata la tesi del Ministero dell’Interno, secondo cui un tale potere si dovrebbe desumere dalla esistenza di un ‘rapporto gerarchico’, nel quale il Prefetto andrebbe considerato come Autorità ‘gerarchicamente sovraordinata’.

Ritiene la Sezione che, in effetti, non è posta in discussione – in dottrina ed in giurisprudenza – la sussistenza di un generale potere di annullamento (desumibile dal sopra riportato art. 7 del t.u.p.s., oltre che dal d.lg. n. 1199 del 1971 sulla disciplina dei ricorsi gerarchici) anche da parte della ‘autorità superiore’, quando sussista un rapporto di sovraordinazione di natura gerarchica.

Senonché, nella specie, il potere del Prefetto di annullare l’atto dell’ufficiale di stato civile non si può ritenere sussistente, per un duplice ordine di considerazioni.

In primo luogo, come sopra rilevato al paragrafo 9.3.1., dall’art. 21 nonies , comma 1, della legge n. 241 del 1990, si desume un principio di simmetria per il quale, nei casi previsti dalla legge, un « altro organo » può emanare un atto di annullamento, solo se ciò sia consentito alla Autorità emanante: e, come si è osservato, il Sindaco non è titolare del potere di annullare in sede di autotutela il proprio atto, emesso quale ufficiale di stato civile.

In secondo luogo, la Sezione neppure ritiene che si possa ravvisare un rapporto di gerarchia ‘in senso tecnico e tradizionale’ tra il Prefetto ed il Sindaco, quale ufficiale di stato civile (in termini, Cons. Stato, Sez. III, 26 ottobre 2016, n. 4478).

Qualora vi fosse effettivamente un tale rapporto di gerarchia, si dovrebbe di conseguenza ammettere che, avverso gli atti emessi dal Sindaco quale ufficiale di stato civile, ogni interessato potrebbe proporre al Prefetto un ricorso gerarchico (da considerare quale istituto coessenziale al rapporto di gerarchia) e, inoltre, che la relativa decisione gerarchica a sua volta sarebbe impugnabile con ricorso al tribunale amministrativo regionale o al Presidente della Repubblica, sulla base delle disposizioni del d.lg. n. 1199 del 1971 e dei principi enunciati dalla Adunanza Plenaria di questo Consiglio, con le sentenze nn. 16 e 17 del 1989.

Tali conseguenze (sulla ammissibilità del ricorso gerarchico al Prefetto e sulla conseguente proponibilità del ricorso in sede di giustizia amministrativa avverso la decisione del Prefetto), però, si porrebbero in palese contraddizione con le articolate disposizioni del codice civile e del d.P.R. n. 396 del 2000, le quali (salvi i casi di correzione degli « errori materiali di scrittura »: art. 98, comma 1, del medesimo d.P.R.) riservano alla Autorità giudiziaria ordinaria la cognizione delle controversie e comunque non consentono agli organi del Ministero dell’Interno di incidere sugli effetti prodotti dagli atti degli ufficiali di stato civile.

9.3.5. In materia di ordinamento dello stato civile, se proprio si intende ravvisare un rapporto di sovraordinazione gerarchica tra Prefetto e Sindaco, si deve dare comunque rilevanza al principio di legalità e cioè alle complessive disposizioni sopra riportate.

Il d.P.R. n. 396 del 2000, infatti, ha disciplinato i poteri di vigilanza e di direzione, mentre l’art. 54, comma 11, del testo unico n. 267 del 2000 ha previsto il potere di sostituzione nel caso di inerzia e, a sua volta, l’art. 142, comma 1, del medesimo testo unico ha attribuito al Ministro dell’Interno il potere di rimuovere il Sindaco «per gravi e persistenti violazioni di legge».

Nessuna disposizione di legge o di regolamento ha previsto però il potere di autoannullamento da parte dell’ufficiale di stato civile, e – in materia - neppure il potere di annullamento gerarchico (né da parte del Ministro, né da parte del Prefetto), ovvero la possibilità della proposizione di un ricorso gerarchico.

Un tale ricorso gerarchico, per le ragioni sopra esposte, si porrebbe in rapporto di incompatibilità sistematica con l’ambito della giurisdizione della Autorità giudiziaria ordinaria, proprio perché – tranne che per i casi di « errore materiale di scrittura » - per la rettificazione degli atti di trascrizione occorre sempre una pronuncia della medesima Autorità giudiziaria.

9.4. In considerazione del quadro normativo sopra riportato, si deve ritenere che la circolare del Ministero dell’Interno, di data 7 ottobre 2014, ha dato una non condivisibile lettura delle disposizioni sopra riportate e ha ritenuto sussistente un potere di annullamento dei Prefetti, in realtà non previsto da alcuna disposizione di legge.

Né si può affermare che sia stata proprio tale circolare ad ‘attribuire’ un tale potere di annullamento ai Prefetti, poiché l’art. 9 del d.P.R. n. 396 del 2000 non ha conferito al Ministro un proprio potere di ampliare l’ambito delle competenze dei Prefetti (da individuare in materia, alla luce del principio espresso dall’art. 21 septies della legge n. 241 del 1990, unicamente in base alle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile, sopra riportate).

9.5. A questo punto, la Sezione osserva che in materia rilevano l’art. 2, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, per il quale « sono sottoposti alla deliberazione del Consiglio dei Ministri …. p) le determinazioni concernenti l’annullamento straordinario, a tutela dell’unità dell’ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi, previo parere del Consiglio di Stato », nonché l’art. 138, comma 1, del testo unico sugli enti locali 18 agosto 2000, n. 267, per il quale « In applicazione dell'articolo 2, comma 3, lettera p), della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo, a tutela dell'unità dell'ordinamento, con d.P.R., previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno, ha facoltà, in qualunque tempo, di annullare, d'ufficio o su denunzia, sentito il Consiglio di Stato, gli atti degli enti locali viziati da illegittimità ».

Tali disposizioni (nelle quali è stato trasfuso l’art. 6 del t.u. n. 383 del 1934, a sua volta riproduttivo, con modificazioni, dell’art. 164 del regolamento del 12 febbraio 1911, n. 297, dell’art. 117 del regolamento del 10 giugno 1889 e dell’art. 7 del regolamento applicativo dell’allegato A della legge n. 2248 del 1865) devono intendersi senz’altro richiamate dal sopra citato art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990.

Nel rispetto del procedimento ivi previsto, essa – quale chiave di volta del sistema - ha attribuito al Governo della Repubblica nella sua collegialità, e non al Ministro dell’Interno o al Prefetto, il potere di disporre « l’annullamento straordinario, a tutela dell’unità dell’ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi » (tranne gli atti delle Regioni e delle Province Autonome, come statuito dalla sentenza della Corte Costituzionale 21 aprile 1989, n. 229), e dunque, ove ne sussistano i presupposti, anche degli atti formalmente amministrativi, emessi dal Sindaco quale ufficiale dello stato civile.

L’attribuzione in linea di principio di un tale potere al Governo (in sede centrale e non nella sua articolazione territoriale) comporta che in questa sede si deve ritenere viziato da incompetenza relativa (e non dal « difetto assoluto di attribuzione », che di per sé comporterebbe la nullità ex art. 21 septies della legge n. 241 del 1990) l’atto del Prefetto emesso il 4 novembre 2014, che ha invece ritenuto di esercitare una propria ulteriore e concorrente competenza, in realtà non prevista da disposizioni di legge o di regolamento e neppure desumibile dallo spessore dei pur cospicui poteri attribuitigli dal d.P.R. n. 396 del 2000.

L’illegittimità del provvedimento di annullamento delle trascrizioni riverbera i suoi effetti sul provvedimento prefettizio datato 11 febbraio 2015 impugnato con i motivi aggiunti, che risulta anch’esso illegittimo per illegittimità derivata.

Pertanto, sia pure sulla base di una diversa motivazione, la Sezione ritiene che vada confermata la statuizione con cui la sentenza appellata ha ritenuto annullabili, e non nulli, i provvedimenti del Prefetto impugnati in primo grado, e li ha conseguentemente annullati.

10. La conferma della statuizione del TAR, sulla illegittimità degli impugnati atti del Prefetto per incompetenza, comporta l’assorbimento delle ulteriori questioni dedotte in giudizio (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen.,27 aprile 2015, n. 5, § 8.3.2.), anche di quelle riproposte in questa sede dall’Amministrazione comunale e volte a ritenere conformi alla legge le disposte trascrizioni.

Del resto, tale conferma consolida gli effetti delle trascrizioni a suo tempo annullate, sicché – così come la Sezione ha già rilevato al § 7 con riferimento alla posizione del Ministero appellante – anche l’Amministrazione comunale non può chiedere che vi sia sulla questione un sostanziale obiter dictum , in quanto tale irrilevante per la definizione del giudizio.

11. Per le ragioni che precedono:

- l’appello va dichiarato inammissibile nella parte relativa al capo di sentenza che declinato la giurisdizione in relazione al ricorso di primo grado proposto dagli interessati che hanno contratto il matrimonio all’estero;
va respinto, invece, nella parte relativa al capo di sentenza che annullato per incompetenza i provvedimenti emessi in data 4 novembre 2014 e in data 11 febbraio 2015 dal Prefetto di Milano;

- poiché gli atti di trascrizione dei matrimoni hanno riconseguito efficacia (a seguito delle statuizioni di annullamento del TAR, confermate in questa sede), non si possono considerare tutelabili in questa sede – non potendosi affermare principi in via astratta - né l’interesse degli appellati all’accertamento della sostanziale legittimità degli atti sindacali, né l’interesse delle Amministrazioni statali all’accertamento – al contrario – della sostanziale illegittimità di essi.

Tenuto conto della complessità delle questioni trattate, può disporsi la compensazione delle spese di giudizio.

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