Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-03-11, n. 201901610

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-03-11, n. 201901610
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201901610
Data del deposito : 11 marzo 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/03/2019

N. 01610/2019REG.PROV.COLL.

N. 00119/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 119 del 2018, proposto da:
A.N.A.S. s.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

Jonicoil s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato P Q, con domicilio eletto presso lo studio Alfredo Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 30;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE, Sez. I, n. 01666/2017, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Jonicoil s.r.l., che ha spiegato anche appello incidentale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 luglio 2018 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti gli avvocati dello Stato Giordano e P Q;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.- L’A.N.A.S. s.p.a. ha interposto appello nei confronti della sentenza 26 ottobre 2017, n. 1666 del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Lecce, sez. I, che ha accolto il ricorso esperito da Jonicoil s.r.l. avverso il provvedimento in data 22 dicembre 2016, recante il rigetto dell’istanza di realizzazione di un impianto di distribuzione di carburanti nella S.S. 106, al Km 2+500 (Comune di Palagiano) e la domanda risarcitoria del danno, condannandola al pagamento della somma di euro 160.000,00, oltre ad ulteriori euro 8.000,00 per ogni mese di ritardo.

Con il ricorso in primo grado la società Jonicoil aveva dedotto l’illegittimità del provvedimento sotto plurimi profili sintomatici dell’eccesso di potere, per violazione dell’art. 85, comma 2, del regolamento attuativo del codice della strada, nonché delle circolari A.N.A.S. nn. 9 del 1973 e 5 del 1988, chiedendo il risarcimento del danno da ritardo e da mancato guadagno.

2. - La sentenza appellata, tenendo conto degli esiti della espletata verificazione, che ha escluso la sussistenza delle condizioni di mancanza di visibilità poste a fondamento del provvedimento negativo, ha accolto l’azione di annullamento;
con riferimento all’azione di risarcimento del danno, considerando l’intervenuta reiterazione di tre dinieghi, la sentenza ha poi ritenuto che il danno « va giuridicamente qualificato in termini di pregiudizio da mancato ottenimento del provvedimento favorevole, nel quale è inglobato -sì da venirne assorbito- il danno da ritardo. Danno il cui dies a quo di maturazione va dunque individuato nell’11.3.2016, giorno successivo a quello della pubblicazione della seconda sentenza di annullamento del diniego in esame, che ha reso non più procrastinabile l’adozione del provvedimento ampliativo ». Tale danno è stato determinato in via equitativa, prescindendo dalle risultanze del business plan , nella misura di euro 160.000,00, oltre ad ulteriori 8.000,00 euro per ogni mese di ritardo, importi maggiorati dagli interessi legali.

3.- Con il ricorso in appello l’A.N.A.S. s.p.a. ha dedotto l’erroneità della sentenza nell’assunto della rilevanza, sotto il profilo della visibilità, anche del secondo dosso, successivo alla progettata stazione di servizio, conseguente ai lavori di ammodernamento che hanno mutato la fisionomia della strada rispetto alla situazione vigente al momento dei due precedenti giudicati di annullamento dei dinieghi opposti in data 6 maggio 2014 e 29 ottobre 2015;
tale considerazione si estende anche alle statuizioni di condanna al risarcimento del danno, asseritamente pronunciate peraltro in mancanza di prova sull’ an del danno stesso e nell’insussistenza dei presupposti per concedere le “ astreintes ”.

4. - Si è costituita in resistenza la Jonicoil s.r.l., eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza nel merito del ricorso in appello e spiegando, altresì, appello incidentale nei confronti del capo della sentenza che ha accolto la pretesa risarcitoria in misura molto inferiore a quanto richiesto e con criteri non condivisibili.

5.- All’udienza pubblica del 12 luglio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- Va anzitutto disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello, sollevata dall’appellata società Jonicoil nella considerazione che l’A.N.A.S., con nota in data 8 novembre 2017, ha comunicato la volontà di ottemperare alla sentenza impugnata, per l’effetto disponendo l’archiviazione del provvedimento di diniego.

Non è infatti ravvisabile, neppure in astratto, un’ipotesi di acquiescenza alla sentenza, atteso che la nota predetta dispone l’archiviazione del provvedimento di diniego definitivo “al solo fine di ottemperare alla sentenza”.

Come noto, l’acquiescenza tacita alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329, comma 1, Cod. proc. civ., è configurabile solo allorchè l’interessato abbia posto in essere atti assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione e dai quali sia possibile desumere, in maniera inequivocabile, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia (Cons. Stato, V, 23 aprile 2018, n. 2419). Nel processo amministrativo, l’esecuzione della sentenza di primo grado da parte dell’Amministrazione pubblica soccombente non comporta acquiescenza, né fa venire meno l’interesse all’appello, trattandosi della doverosa ottemperanza ad un ordine giudiziale provvisoriamente esecutivo (Cons. Stato, V, 21 giugno 2017, n. 3030).

2.-L’appello critica la sentenza ritenendola inficiata da un vizio di valutazione in ordine all’esistenza di due dossi (intesi quali cambi di livello stradale) rilevata nella verificazione espletata nel giudizio di primo grado, ma con attribuzione di rilievo alla collocazione del secondo in un tratto di strada successivo alla progettata stazione di servizio, sì da essere ritenuto ininfluente come ostacolo visivo. Assume invece l’appellante, invero un po’ genericamente, che sono intervenuti nel tratto stradale in questione lavori di ammodernamento i quali hanno modificato la fisionomia della strada, al punto che il provvedimento oggetto del gravame di primo grado non può che ritenersi espressione della riedizione del potere amministrativo su basi differenti. In altri termini, l’Amministrazione ha dovuto porsi un problema di visibilità sia “in entrata”, che “in uscita” dalla stazione di servizio, come evidenziato anche dalla segnaletica stradale concernente il pericolo di dosso.

L’appello è infondato e va respinto.

Non vi è in atti la dimostrazione e neppure una circostanziata allegazione di una modificazione della situazione di fatto della strada successivamente al secondo diniego ed al conseguente giudicato di annullamento (l’unico elemento nuovo è rappresentato dall’apposizione del segnale di “dosso”);
anzi allega la società appellata che nel 2012, allorchè è iniziato il primo contenzioso, i lavori di ammodernamento erano già conclusi e la strada era già a doppio senso di marcia, con carreggiate separate divise da guard rail , ognuna delle quali dotata di due corsie per senso di marcia, non potendosi conseguenzialmente ammettere che il diniego di nulla osta gravato sia l’epilogo di un procedimento su basi differenti.

Quanto al rilievo del secondo dosso, occorre osservare che lo stesso dista circa settecento metri dalla costruenda stazione di servizio;
in ogni caso il provvedimento gravato in primo grado fa riferimento al dosso prima del viadotto, richiamando le norme “da osservarsi per l’accesso” all’impianto (pag. 4) e non può dunque in questa sede ammettersi una motivazione postuma, peraltro esprimente una limitazione di visibilità che è stata fattualmente esclusa dalla verificazione tecnica.

3. - Il secondo motivo di appello riguarda la statuizione di condanna al risarcimento del danno;
l’A.N.A.S. deduce l’assenza di prova in ordine all’ an debeatur e alla effettiva immobilizzazione delle risorse, elementi questi che denotano quanto meno l’importo eccessivo della condanna;
lamenta altresì come l’utilizzo del meccanismo dell’ astreinte non abbia tenuto conto di una necessaria comparazione con l’interesse pubblico (in particolare, quello preminente alla sicurezza stradale).

Il motivo è infondato.

La sentenza ha implicitamente aderito al principio dell’ one shot temperato, secondo cui l’Amministrazione, a seguito dell’annullamento di un proprio atto, può rinnovare il procedimento per una sola volta, dovendo perciò riesaminare l’affare nella sua interezza e sollevando, una volta per tutte, ogni questione ritenuta rilevante, senza potere successivamente tornare a decidere in senso sfavorevole neppure in relazione a profili non ancora esaminati (a titolo esemplificativo Cons. Stato, III, 14 febbraio 2017, n. 660). Nel caso di specie è addirittura ravvisabile un second shot , essendo intervenute le sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Lecce, n. 2859 del 2014 e n. 454 del 2016.

Il corollario è che, esaurita la propria discrezionalità ed in assenza di reali motivi di interesse pubblico sopravvenuti o seriamente rivalutati, è effettivamente configurabile un danno da mancato ottenimento del provvedimento favorevole.

La quantificazione del danno è correttamente effettuata dal primo giudice, che ha motivatamente negato valore parametrico al business plan depositato dalla Jonicoil s.r.l., seguendo un criterio equitativo, ai fini della enucleazione dell’utile di impresa, che risulta metodologicamente condivisibile, anche in ragione dell’operata decurtazione del cinquanta per cento a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum , in difetto di prova della immobilizzazione delle proprie risorse lavorative e finanziarie nel periodo che va tra il marzo del 2016 e l’ottobre del 2017.

3.1. - Residua il profilo della condanna al pagamento di euro 8.000,00 per ogni mese di ritardo, dalla data delle singole maturazioni al soddisfo.

Si tratta di una forma di risarcimento impropria, di tipo sanzionatorio e con finalità di coercizione indiretta, assimilabile all’ astreinte o penalità di mora.

Quest’ultima è peraltro un istituto previsto dall’art. 114, comma 4, lett. e), con riferimento al solo giudizio di ottemperanza, in quanto funzionale a garantire l’esecuzione del giudicato con la minaccia di un ulteriore peso economico (Cons. Stato, V, 27 novembre 2018, n. 6724); in parte qua l’appello è dunque fondato, non potendosi riconoscere il predetto importo in sede di cognizione di legittimità.

Ciò si evidenzia per chiarezza decisoria, pur dovendosi ritenere, sul piano dell’interpretazione sistematica, che la condanna al pagamento di euro 8.000,00 per ogni mese di ritardo non possa decorrere dal momento della pubblicazione della sentenza di primo grado, proprio perchè presuppone un ritardo, che, dal punto di vista giuridico, è escluso dalla proposizione dell’appello e dunque dalla contestazione della pronuncia di primo grado. Non a caso, come si osservava in precedenza, l’ astreinte è connessa al giudizio di ottemperanza e dunque ad un’azione esecutiva, presupponente un giudicato amministrativo “a spettanza stabilizzata”, rispetto al quale, solo, è postulabile il ritardo nell’esecuzione.

4. - Procedendo allo scrutinio dell’appello incidentale della Jonicoli s.r.l., si osserva che esso si indirizza nei confronti del solo capo della sentenza che ha accolto la domanda di risarcimento del danno, contestandosi in particolare : a) la decorrenza dall’11 marzo 2016 (giorno successivo alla pubblicazione della sentenza n. 454 del 2016), anziché dal 6 maggio 2014 (data del primo diniego illegittimo);
b) il criterio di stima, che rapporta il danno al reddito conseguito dai propri dipendenti salariati, maggiorato di un ulteriore importo a titolo di rischio di impresa, decurtato poi del cinquanta per cento, laddove, ad avviso dell’appellante incidentale, avrebbe dovuto tenersi conto del business plan e dunque degli utili che avrebbe conseguito ove avesse potuto dare avvio all’attività programmata;
in ogni caso la sentenza non ha valutato le spese sopportate (nella misura di euro 50.000,00 all’anno) dalla società per i canoni di affitto dei terreni su cui realizzare la stazione di servizio, da riconoscere con decorrenza dal 2014.

L’appello incidentale è infondato.

La anticipata decorrenza del danno appare preclusa dal giudicato formatosi sulla sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Lecce, 10 marzo 2016, n. 454, che ha dichiarato il non luogo a provvedere sulla domanda risarcitoria « dovendosi attendere il riesercizio del potere amministrativo senza il quale non risulta possibile né un giudizio prognostico in relazione alla spettanza del bene della vita, né una quantificazione del danno eventualmente subito dalla ricorrente », in coerenza con l’accertamento contenuto nella sentenza, riconducibile essenzialmente al paradigma del difetto di istruttoria. E’ noto infatti che l’annullamento di un provvedimento amministrativo per vizi tralatiziamente definiti formali, quali il difetto di istruttoria o di motivazione, in quanto non contiene alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto nel provvedimento impugnato, non consente di accogliere la domanda finalizzata al perseguimento della pretesa sostanziale, quale è il risarcimento del danno (Cons. Stato, V, 14 dicembre 2018, n. 7054). Ed evidentemente tale soluzione si impone anche con riguardo alla decorrenza della voce di danno a titolo di “fitti passivi”.

Quanto, poi, al criterio di stima, la sentenza ha adeguatamente motivato le ragioni della mancata condivisione di un criterio presuntivo di risarcimento, che rinviene l’utile di impresa nelle indicazioni contenute nel business plan , pervenendo ad una liquidazione equitativa che appare congrua e scevra da vizi logici. E’ evidente altresì che il riconoscimento dell’utile di impresa (nel quale consiste il danno da mancato ottenimento del nulla osta) assorbe le spese sostenute anche per l’affitto, trattandosi di un danno emergente strumentale alla produzione dell’utile in cui si sostanzia il danno da lucro cessante.

4. - Alla stregua di quanto esposto, l’appello principale va accolto in parte, nei limiti di cui in motivazione, mentre l’appello incidentale va respinto.

Sussistono le ragioni previste dalla legge per compensare tra le parti le spese del giudizio di appello, ferma rimanendo la statuizione sulle spese del giudizio di primo grado.

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