Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-06-11, n. 201502878

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-06-11, n. 201502878
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201502878
Data del deposito : 11 giugno 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02920/2012 REG.RIC.

N. 02878/2015REG.PROV.COLL.

N. 02920/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2920 del 2012, proposto da:
Comune di Pontedera, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv.ti M P C, L M, con domicilio eletto presso L M in Roma, Via Federico Confalonieri, 5;

contro

L C, D N, D N, G N, rappresentati e difesi dagli avv.ti Luigi Bimbi, Alberto Benedetti, con domicilio eletto presso Gianluca Barneschi in Roma, Via Panama 77;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. della Toscana – Sede di Firenze - Sezione I n. 02065/2011, resa tra le parti, concernente approvazione del piano degli insediamenti produttivi (pip);


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di L C e di D N e di D N e di G N;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 aprile 2015 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Chiti e Benedetti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Toscana ha accolto in parte il ricorso di primo grado proposto dalla odierna parte appellata (proprietaria di un terreno ad uso agricolo posto in Comune di Pontedera, località Gello) volto ad ottenere l’annullamento della deliberazione del Consiglio comunale n. 40 del 16 maggio 2006 che aveva approvato il Piano di Insediamenti Produttivi denominato PIP n. 4 e nel quale l’area di loro proprietà era stata inserita all’interno del comparto “B+C” e degli atti alla stessa correlati.

A seguito dell’approvazione del PIP (gli originarii ricorrenti lamentavano di non avere ricevuto alcun avviso di avvio del procedimento espropriativo) ed all’approssimarsi del termine quinquennale per l’espropriazione medesima il Comune di Pontedera, con deliberazione consiliare n. 40 del 2011, aveva prorogato il termine medesimo, portandolo a dieci anni dall’approvazione del PIP.

Anche la deliberazione di proroga era stata gravata dagli originarii ricorrenti a mezzo di motivi aggiunti.

Essi avevano prospettato plurime ed articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere, ed avevano altresì chiesto la condanna dell'Amministrazione comunale di Pontedera al risarcimento del danno patrimoniale subito e derivante dall'adozione ed esecuzione dei provvedimenti impugnati.

Il Tar ha analiticamente vagliato le dedotte doglianze, muovendo dall’esame del mezzo principale.

Quest’ultimo è stato accolto alla stregua delle seguenti, argomentate considerazioni.

Ivi gli originarii ricorrenti avevano sostenuto che il provvedimento era stato adottato in difetto di previa apposizione sull’area interessata di vincolo preordinato all’esproprio da parte degli strumenti di pianificazione generale, non potendo essere uno strumento meramente attuativo (quale doveva considerarsi il PIP) ad imprimere il vincolo di destinazione.

Il primo giudice ha condiviso il nucleo essenziale della censura.

Ha in proposito rammentato che (art. 8 del dPR 8 giugno 2001, n. 327) il procedimento espropriativo, che culmina nel decreto di esproprio, doveva articolarsi in tre necessarie fasi, (la prima fase atteneva alla apposizione sul bene da espropriare del vincolo preordinato all’esproprio, cui seguiva la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e infine la determinazione in via provvisoria dell’indennità di espropriazione).

Gli artt. 9 e 10 del dPR 327 del 2001, poi, precisavano quali fossero gli atti attraverso i quali poteva essere disposto il vincolo pre-espropriativo: essi dovevano essere individuati nella approvazione di uno strumento urbanistico generale o sua variante (che prevedesse la realizzazione dell’opera pubblica) ovvero mediante conferenza di servizi, accordo di programma o altra intesa che comportasse la variante al piano urbanistico.

Nella specie non risultava che l’approvazione del PIP fosse stata preceduta dalla valida apposizione, sulla proprietà degli originarii ricorrenti di vincolo preordinato all’esproprio.

Tale infatti non poteva considerarsi, -ad avviso del Tar- la previsione da parte degli strumenti urbanistici versati in atti dell’area medesima come “a prevalente carattere produttivo” da trasformare “attraverso piani particolareggiati d’iniziativa pubblica e/o privata” (come da Piano Strutturale).

Ciò in quanto non trattavasi di previsioni pre-espropriative, ma meramente conformative (come dimostrava la prevista realizzabilità delle medesime anche ad iniziativa privata).

Sotto altro profilo, l’approvazione del “piano delle aree da destinare a insediamenti produttivi” era prevista dall’art. 12, comma 1, lett. a) del dPR n. 327 del 2001 come dichiarazione di pubblica utilità.

Essa rappresentava quindi il secondo momento della procedura espropriativa;
presupponeva a monte il vincolo preordinato all’esproprio (che però, nel caso di specie, mancava).

Ciò appariva, ad avviso del Tar, conforme alla natura di atto attuativo che caratterizzava il PIP previsto dall’art. 27 della legge n. 865 del 1971: esso valeva quindi come piano particolareggiato di esecuzione ma avrebbe avuto bisogno della previsione pianificatoria a monte volta a porre il vincolo pre-espropriativo.

Il Tar ha quindi accolto il mezzo principale, mentre i motivi aggiunti (a mezzo dei quali era stata gravata la deliberazione comunale che aveva prorogato il termine di vigenza del PIP medesimo) sono stati assorbiti, stante il travolgimento del piano cui accedevano.

Il petitum risarcitorio è stato invece disatteso, in quanto formulato in termini meramente ipotetici, paventando un futuro danno, ma senza alcuna prova dei pregiudizi asseritamente subiti.

La parte odierna appellante, già amministrazione resistente (non costituitasi innanzi al Tar nel giudizio di primo grado) rimasta soccombente nel giudizio di prime cure ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendo la riforma dell’appellata decisione.

L’appellata amministrazione comunale di Pontedera ha ripercorso sotto il profilo procedimentale le salienti tappe culminate nella delibera di approvazione del PIP, ed ha fatto presente (prima censura) che il mezzo introduttivo del giudizio di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.

Ciò in quanto parte originaria ricorrente non aveva tempestivamente gravato né la delibera di CC n. 70 del 29 luglio 2003 di variante al PRG con funzioni di anticipazione delle previsioni contenute nel piano strutturale (laddove l’area per cui è causa era stata destinata ad “insediamenti artigianali industriali e commerciali” da realizzarsi mediante “piani particolareggiati” di iniziativa pubblica o privata ex art. 15 delle NTA) né le successive delibere del 2004 (n. 29 del CC e n. 208 della Giunta comunale) di affidamento dell’attuazione al Consorzio Sviluppo Valdera, e neppure il Regolamento Urbanistico del 2005, “confermativo” di quanto statuito nella variante “anticipatrice” sopracitata.

Parte ricorrente non aveva gravato detti vincoli di inedificabilità, da qualificarsi pre-espropriativi, ed in ogni caso, non risultavano gravate le delibere del 2004 n. 29 del CC e n. 208 della Giunta comunale con cui il Comune aveva optato per l’esperimento di un piano di iniziativa pubblica affidandolo al Consorzio Sviluppo Valdera.

Al più tardi a detta data (le delibere erano state ritualmente pubblicate) parte appellata aveva avuto conoscenza del vincolo di inedificabilità e della non esperibilità di alcuna “iniziativa privata” sull’area.

Con la seconda censura ha sostenuto che comunque, a tutto concedere, la natura mista del PIP consentiva di ravvisare sussistente un vincolo preordinato all’esproprio apposto da tale ultimo strumento urbanistico.

Con ulteriori motivi di censura ha confutato i motivi del mezzo di primo grado (assorbiti dal Tar) volti a gravare la delibera comunale del 17.5.2011 di proroga dei termini di esecuzione delle espropriazioni.

Con una breve memoria ha ribadito e puntualizzato le proprie censure.

Parte appellata ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato.

Ha ripercorso il contenzioso intercorso ed ha sostenuto che il primo motivo di appello, teso a fare risaltare la asserita originaria inammissibilità od irricevibilità del mezzo di primo grado era infondato.

Parte appellata non contestava la avvenuta approvazione della delibera di CC n. 2 del 20 gennaio 2004 ed era consapevole che contestualmente alla approvazione del Piano strutturale del comune di Pontedera era stata approvata una variante “anticipatrice” nell’ambito della quale i fondi di parte appellata erano stati classificati qual Zona D6 (espansione industriale).

Ma detta destinazione aveva carattere conformativo, consentendo interventi su proposta di privati;

ed analoga natura conformativa discendeva dalla deliberazione di CC n. 49/2005 di adozione del Regolamento Urbanistico in cui le aree furono classificate D1 b (aree a prevalente carattere produttivo, da trasformare mercé piani particolareggiati di iniziativa pubblica o privata).

Detta destinazione fu confermata con la delibera 1372006 di approvazione del Regolamento Urbanistico.

Dalla natura conformativa delle prescrizioni ne discendeva l’assenza di lesività.

La destinazione produttiva consentiva una iniziativa privata;
l’esistenza di una Convenzione con il Consorzio Sviluppo Valdera non era dirimente in senso contrario (poteva riguardare terreni diversi, ovvero essere subordinata ad una variante impressiva di un vincolo –questo sì- espropriativo).

Quanto al secondo motivo di appello, esso era errato nella premessa: riteneva che la destinazione D1 impressa, pur realizzabile promiscuamente da parte di privati, avesse natura espropriativa: né la avvenuta individuazione di un soggetto Attuatore del Piano di Insediamenti produttivi snaturava la natura (conformativa) del vincolo impresso.

Il comune aveva errato nel non imporre un vincolo espropriativo all’interno di un piano di livello generale.

Il PIP fu approvato senza previa approvazione di una variante che avesse sottoposto le aree al vincolo preordinato all’esproprio, e tale necessità non poteva dirsi derogata dalle disposizioni di cui all’art. 27 della legge n. 865/1971 ed art. 72 della legge regionale della Toscana n. 1/2005.

Il PIP non aveva avuto i contenuti di una contestuale variante al regolamento urbanistico ( ex art. 10 comma 2 del TU Espropriazione).

La terza censura era inammissibile, non avendo parte appellata espressamente riproposto i motivi assorbiti dal Tar, e non avendo il Comune espressamente censurato detto avvenuto assorbimento.

Il Tar aveva attribuito all’annullamento “ principale” portata caducante sulla proroga.

Il Comune cercava di dimostrare la legittimità della proroga, ma non aveva gravato il capo di sentenza che aveva assorbito gli originarii motivi aggiunti di primo grado né aveva interesse a proporre detti motivi, non avendo parte appellata riproposto i motivi assorbiti.

In ogni caso la censura sarebbe stata infondata nel merito, in quanto la proroga non era stata supportata da alcuna motivazione.

Con ulteriore memoria, parte appellata, rammentato che il comune di Pontedera era rimasto contumace in primo grado, ha fatto constare l’inammissibilità della (nuova) produzione documentale del comune di cui alla delibera consiliare n. 29/2004 ed alla delibera giuntale n. 208/2004.

In ogni caso, comunque, anche ad ammettere detta produzione, essa nulla dimostrava in punto di pretesa inammissibilità del mezzo di primo grado, posto che con alcuno di detti atti era stato imposto un vincolo espropriativo.

Ha poi evidenziato che con il terzo motivo di appello il comune aveva svolto difese avverso motivi del ricorso di primo grado, assorbiti dal Tar, e non riproposti: dette difese erano improcedibili.

Alla odierna pubblica udienza del 28 aprile 2014 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1.L’appello è infondato e deve respinto nei termini di cui alla motivazione che segue.

2.La prima censura di inammissibilità del mezzo di primo grado per omessa impugnazione degli atti presupposti (doglianza, questa, che comunque si lega strettamente all’ulteriore sviluppo della critica appellatoria) è senz’altro infondata.

E ciò in disparte la circostanza che parte appellata ha chiesto che venisse dichiarata l’inammissibilità della documentazione depositata dal Comune nell’odierno grado di giudizio a supporto della tesi della originaria inammissibilità del mezzo di primo grado, sulla scorta della considerazione (indubitabilmente esatta, si rileva per incidens ) che il Comune di Pontedera, rimasto contumace in primo grado, non poteva in appello produrre delibere e documenti già esistenti al tempo della celebrazione del giudizio innanzi al Tar, senza violare il disposto di cui all’art. 101 del cpa.

2.1.Dunque, ad avviso del Comune, l’inammissibilità discenderebbe dalla omessa impugnazione della delibera n. 70/2003 di adozione della variante “anticipatrice” e della delibera n. 2 del 20.1.2004 di approvazione definitiva della variante al PRG.

Inoltre, rileverebbe in senso contrario alla ammissibilità dell’originario mezzo di primo grado l’omessa impugnazione delle delibere n. 29/2004 e 208/2004 con cui il Comune aveva manifestato l’intenzione di affidare la realizzazione del PIP al Consorzio Sviluppo Valdera.

2.1.1. Il Collegio non concorda con la tesi appellatoria (e ciò, appunto, anche a non volere tenere in considerazione la esatta eccezione ex art. 101 del cpa formulata da parte appellata).

Anche tenendo conto di tutti gli elementi prospettati dal Comune e di tutta la documentazione da questo depositata in grado di appello, non si vede infatti, perché le odierne parti appellate avrebbero dovuto gravare la variante “anticipatrice” posto che la stessa, consentendo la realizzazione del PIP anche su iniziativa privata (previa redazione del piano particolareggiato) non imponeva un vincolo destinato all’esproprio.

2.1.2. Né può ritenersi che le successive delibere –non gravate- del 2004 n. 29 del CC e n. 208 della Giunta comunale con cui il Comune aveva optato per l’esperimento di un piano di iniziativa pubblica affidandolo al Consorzio Sviluppo Valdera - stante la tipicità degli atti adottati in sede di procedure espropriativa- abbiano potuto “surrogare” tale mancanza originaria.

Ciò, sulla scorta del convincimento per cui, da un canto deve ribadirsi la validità del tradizionale insegnamento giurisprudenziale secondo il quale non hanno carattere espropriativo, ma solo conformativo, e non sono soggetti a decadenza e all'obbligo dell'indennizzo, tutti i vincoli di inedificabilità importino una destinazione realizzabile ad iniziativa privata o mista pubblico - privata e non esclusivamente pubblica ( ex aliis C.d.S., IV, 13 luglio 2011, n. 4242;
C.d.S., IV, 12 maggio 2010, n. 2843;
C.d.S., IV, 3 dicembre 2010, n. 853;
T.a.r. Lazio, sez. II bis , 29 novembre 2012, n. 9896: in termini Cons. Stato, sez. V, 2 dicembre 2011, n. 6363).

Per altro verso, deve rimarcarsi che gli atti volti ad imprimere un vincolo preordinato all’esproprio sono “tipici” e tale vincolo non può discendere- come dal Comune invocato- da atti di tutt’altra natura.

2.2. L’appellante amministrazione comunale, infatti – che ben conosce l’orientamento giurisprudenziale consolidato in punto di classificazione “conformativa” della prescrizione urbanistica di natura “mista”, attuabile anche da privato, quale era appunto quella contenuta nella variante di cui alle deliberazioni 70/2003 e 272004- sostiene che tale opinamento non sia traslabile alla fattispecie, in virtù di una rilevante “specificità”.

Tale specificità, appunto, sarebbe dimostrata dalla circostanza che con le - non gravate- delibere del 2004 n. 29 del CC e n. 208 della Giunta comunale il Comune aveva optato per l’esperimento di un piano di iniziativa pubblica affidandolo al Consorzio Sviluppo Valdera, vincolo e quindi “per l’iniziativa pubblica”.

Valgono in proposito invece, ad avviso del Collegio, le deduzioni prima formulate. Le NTA del Regolamento urbanistico prevedevano anche l’iniziativa privata;
la preordinazione all’esproprio utilità non poteva discendere da atti atipici quali quelli in ultimo menzionati.

L’intenzione del Comune di affidare il Piano ad un soggetto Attuatore, prediligendo così l’iniziativa pubblica, non implica una trasformazione del vincolo imposto, da conformativo ad espropriativo: a tacere d’altro, la revocabilità dell’impegno convenzionale assunto dal comune scoraggia una simile equiparazione.

Tutti gli atti e le delibere indicate dal comune a sostegno della propria tesi, in realtà nulla dimostrano in punto di ammissibilità del mezzo: trattavasi infatti, o di atti impressivi di una destinazione attuabile anche ad iniziativa privata (e pertanto di vincoli conformativi) o di delibere non produttive dell’effetto di imprimere un vincolo preordinato all’esproprio (e come tale prodromico alla dichiarazione di PU).

La censura va quindi disattesa, e quanto sinora esposto integra punto fermo da tenere presente –anche al fine di evitare superflue ripetizioni- nella ulteriore disamina delle critiche appellatorie.

3.Con la seconda articolazione della doglianza (pagg. 14 e segg. dell’atto di appello) l’appellante amministrazione comunale sostiene che, comunque, il vincolo preordinato all’esproprio sarebbe disceso dalla stessa delibera di approvazione del PIP avversata in primo grado. Si attribuisce infatti al PIP, non soltanto la natura di atto implicante la dichiarazione di pubblica utilità ex art. 12 del dPR n. 327/2001 ma anche, impositivo del vincolo preordinato all’esproprio.

3.1. Anche tale censura non persuade, collidendo con l’art. 10 comma 2, 9, e 12 del dPR n. 327/2001.

La tesi dell’amministrazione comunale collide con il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Sicilia Catania Sez. I Sent., 13-02-2008, n. 248 “il piano per gli insediamenti produttivi ha efficacia per dieci anni e ha valore di dichiarazione di pubblica utilità, come del resto meglio precisato dall'art. 12, comma 1, lett. a), del D.P.R n. 327/2001. Il piano per insediamenti produttivi è, quindi, non solo e non tanto uno strumento di pianificazione urbanistica nel senso tradizionale, quanto e soprattutto uno strumento di politica economica, perché ha la funzione di incentivare le imprese, offrendo loro, ad un prezzo politico, previa espropriazione ed urbanizzazione, le aree occorrenti per il loro impianto o la loro espansione, e ciò in quanto poiché l'indennità di espropriazione è di gran lunga inferiore al valore di mercato degli immobili espropriati, mediante questi piani si realizza, di fatto, un trasferimento di ricchezza dal proprietario espropriato all'assegnatario.”, ma si veda anche T.A.R. Campania Napoli Sez. II, 18-01-2006, n. 700) e civile (Cass. civ. Sez. I, 24-03-2004, n. 5874: “le aree comprese dal piano regolatore generale nell'ambito di un piano per gli insediamenti produttivi (PIP) assumono carattere edificatorio e subiscono la conformazione propria del piano stesso, onde, nella determinazione del loro valore (nella fattispecie eseguita mediante applicazione del metodo analitico ricostruttivo), come non si può tenere conto, ai fini della liquidazione dell'indennità di espropriazione, dell'incidenza negativa esercitata sul valore dell'area dal vincolo specifico di destinazione preordinato all' esproprio , così sono invece suscettibili di considerazione i vincoli di conformazione appunto stabiliti, indipendentemente dall'espropriazione, in virtù della preesistente destinazione urbanistica legale e deve, perciò, in particolare, essere fatto riferimento agli "standards" del piano anzidetto, come, ad esempio, agli indici di fabbricabilità previsti da quest'ultimo)

Anche tale censura deve essere disattesa: nessuno degli indici normativi nazionali e regionali invocati dal comune alle pagg. 20 e 21 dell’appello è decisivo nel ritenere che al PIP possa attribuirsi natura di atto impressivo di un vincolo preordinato all’esproprio (si veda, ancora, per la natura attuativa del PIP: Cassazione civile sez. I 24/04/2007 n. 9891).

3.2. Tale vincolo è inesistente, non essendo mai stato apposto in precedenza,per quel che si è prima posto in luce, e pertanto la censura va disattesa.

4. Quanto alle ulteriori doglianze (pagg. 21 e seguenti dell’appello) esse sono inammissibili.

Innanzitutto, è dubbia la permanenza dell’interesse a proporle in capo al comune, stante la conferma dei capi demolitorii della sentenza di primo grado, e la portata caducante dell’annullamento.

In ogni caso, ivi il Comune confuta la fondatezza dei motivi aggiunti di primo grado tesi a prospettare la illegittimità, per vizii autonomi, della delibera comunale del maggio 2011 di proroga dei termini per la esecuzione delle espropriazioni: sennonché, trattasi di motivi assorbiti, non riproposti da parte appellata ex art. 101 del cpa, per cui trattasi di tematica sottratta all’accertamento giudiziale, e pertanto la relativa censura è inammissibile.

5. Conclusivamente, l’appello deve essere in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibile, con conseguente conferma della gravata decisione,

6. Quanto alle spese processuali, esse seguono la soccombenza, e pertanto l’appellante Comune di Pontedera deve essere condannato al pagamento delle spese processuali del grado in favore della parte appellata nella misura che appare equo determinare in complessivi Euro tremila (€ 3000/00) oltre oneri accessori, se dovuti.

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