Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-10-24, n. 202006455

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-10-24, n. 202006455
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202006455
Data del deposito : 24 ottobre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/10/2020

N. 06455/2020REG.PROV.COLL.

N. 05640/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5640 del 2011, proposto da
Società Immobiliare Corso Novara s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato E I, elettivamente domiciliato in Roma, alla Via F. Orestano, n. 21, presso lo studio dell’avvocato F P

contro

Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A A, A P, G T, A C, elettivamente domiciliato in Roma, al Corso Vittorio Emanuele II, n. 18, presso lo studio dell’avvocato G M G

nei confronti

- Provincia di Napoli, in persona del Presidente pro tempore della Giunta Provinciale, rappresentata e difesa dagli avvocati Aldo Di Franco e Luciano Scetta, elettivamente domiciliata in Roma, alla Via di Propaganda, n. 16, presso lo studio dell’avvocato Gennaro Famiglietti;
- Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore della Giunta Regionale, non costituita in giudizio

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Quarta) n. 28002 del 23 dicembre 2010


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Napoli e della Provincia di Napoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2020 il Cons. R P;
per le parti, nessuno comparso;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Espone l’appellante Società Immobiliare Corso Novara di essere comproprietaria di un immobile sito nel Comune di Napoli, alla via Casanova n. 45/c, ricadente nella zona A - Centro storico (disciplinata dall'art. 63 delle N.T.A. della variante generale al P.R.G. di Napoli, approvata con D.P.G.R.C. n. 323 dell’11 giugno 2004) e, altresì, nell’ambito 19 - ex fabbrica Redaelli, disciplinato dall'art. 150 delle N.T.A. ed indicato graficamente quale “rudere”, di cui all'art. 125 delle medesime Norme.

In data 22 aprile 2009, veniva presentata istanza per il rilascio di concessione edilizia preordinata al ripristino filologico dell’immobile anzidetto.

Espresso, in data 28 maggio 2009, parere favorevole da parte della Commissione edilizia comunale, il Comune di Napoli successivamente comunicava alla parte appellante i motivi ostativi all’accoglimento della suindicata richiesta, rappresentati:

- dall’affermato ritardo nella presentazione della istanza medesima, a fronte di un termine (10 giugno 2009) per il cantieramento delle opere, previsto dall’art. 125 delle N.T.A.;

- dal contrasto dell’intervento con l’art. 150 delle stesse Norme, in assenza di strumento urbanistico attuativo preventivamente approvato.

2. Con ricorso N.R.G. 7273 del 2009, proposto innanzi alla Sede di Napoli del T.A.R. della Campania, la Società chiedeva l’annullamento del provvedimento di diniego.

A sostegno della proposta impugnativa, ha dedotto i seguenti motivi di censura:

2.1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 del D.P.R. 380/2001 e della L.R. 19/2001, nonché degli articoli 11, 63, 125 e 150 delle norme tecniche d'attuazione della variante al vigente piano regolatore generale;
violazione del vigente regolamento edilizio comunale, dell'art. 31 della legge 457 del 1978;
eccesso di potere per difetto assoluto d'istruttoria e di motivazione, inesistenza dei presupposti di fatto e diritto, illogicità e contraddittorietà;

2.2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 del D.P.R. 380/2001 e della L.R. 19/2001, nonché degli articoli 11, 63, 125 e 150 delle norme tecniche d'attuazione della variante al vigente piano regolatore generale;
violazione del vigente regolamento edilizio comunale, dell'art. 10 della legge 1150 del 1942 e dell'art. 5 della L.R. 17 del 1982;
eccesso di potere per difetto assoluto d'istruttoria e di motivazione, inesistenza dei presupposti di fatto e diritto, illogicità e contraddittorietà;

2.3) Violazione e falsa applicazione degli articoli 42 e 97 della Costituzione, della legge 1150/1942, della L.R. 16/2004, dei principi del giusto procedimento;
eccesso di potere per illogicità, sproporzione;
illegittimità derivata (l'art. 125, comma 5, delle norme tecniche d'attuazione prevedrebbe un vincolo preordinato all'esproprio senza consentire ai privati l'esercizio delle usuali garanzie procedimentali e senza apposita previsione di spesa);

2.4) Violazione e falsa applicazione dell'art. 10-bis e dell'art. 3 della legge 241 del 1990 e dei principi del giusto procedimento, difetto assoluto d'istruttoria e di motivazione, illogicità, travisamento e contraddittorietà, in quanto il Comune non avrebbe tenuto in conto le considerazioni espresse dall'interessata in sede endoprocedimentale.

3. Costituitasi l’Amministrazione comunale intimata, il Tribunale ha respinto il ricorso.

4. Avverso tale pronuncia, la Società Immobiliare Corso Novara ha interposto appello, notificato il 16-17 giugno 2011 e depositato il successivo 5 luglio, con il quale sono state articolate le seguenti censure:

4.1) Error in judicando et procedendo sul primo motivo di ricorso in primo grado. Erroneità dell'iter logico-giuridico, difetto di istruttoria, contraddittorietà, illogicità, perplessità. Omesso esame di un punto decisivo della controversia

Nell’osservare come il giudice di primo grado sia pervenuto alla qualificazione dell'intervento progettato dall'odierna appellante quale ristrutturazione edilizia “mediante demolizione e fedele ricostruzione" (in quanto il progetto prevede l'abbattimento e la ricostruzione di gran parte del compendio immobiliare), viene dalla parte rilevato che – diversamente – l’intervento de quo rientra nella categoria del restauro e risanamento conservativo, attuato con la tecnica del ripristino filologico , come disciplinato dall'art. 11, comma 5 delle N.T.A. del P.R.G. di Napoli.

Contesta, inoltre, la Società Immobiliare che l'inserimento della categoria edilizia del ripristino filologico nel comma 5 dell'art. 11 delle N.T.A. “non può comportare che l’intervento progettato dalla ricorrente possa essere qualificato come restauro e risanamento conservativo” e che “sotto il profilo concettuale, la collocazione sistematica della norma in esame tra gli interventi di restauro e risanamento conservativo risulta frutto di errore”.

A differenza di quanto sostenuto dal T.A.R., il progetto non avrebbe previsto la demolizione e la ricostruzione della gran parte delle strutture dell'edificio, limitandosi alla eliminazione mirata delle sole parti non risanabili, per assicurare il ripristino filologico dello stesso, nel rispetto dell’impianto originario, senza aumenti di volumetria e di superficie, ovvero modifica della sagoma e dei prospetti, o, ancora, mutamenti della destinazione d’uso (in piena coerenza con quanto previsto dall’art. 125 delle N.T.A).

Conseguentemente, l'intervento in esame rientrerebbe a pieno titolo nella categoria del restauro e del risanamento conservativo, così come definita dall’art. 3, comma 1, lett. c), del D.P.R. 380/2001;
soggiungendosi che la qualificazione quale intervento di restauro conservativo, finalizzato al ripristino filologico, troverebbe conferma anche nella definizione contenuta nell’art. 11 delle N.T.A. del vigente strumento urbanistico;
né l'inserimento degli interventi di ripristino filologico nell'ambito della categoria del restauro e risanamento conservativo integrerebbe, come sostenuto dal T.A.R., un errore.

4.2) Error in judicando et procedendo ancora sul primo motivo di ricorso in primo grado. Erroneità dell'iter logico-giuridico. Difetto di istruttoria. Contraddittorietà. Illogicità. Perplessità. Omesso esame di un punto decisivo della controversia

Contesta parte appellante l'assunto, secondo il quale l’art. 125 del P.R.G. non contemplerebbe la modalità della demolizione e/o ricostruzione del fabbricato diruto, ma solo il restauro ed il risanamento conservativo.

Tale disposizione, infatti, si limita esclusivamente a richiamare il disposto di cui al comma 5 dell'art. 11, il quale stabilisce la ammissibilità “a parità di superficie e volume preesistenti, di interventi di ripristino filologico, rivolti o crollato, purché sia possibile, attraverso fonti iconografiche, cartografiche, fotografiche e catastali, documentarne la consistenza certa”.

4.3) Error in judicando et procedendo sul secondo motivo di ricorso in primo grado. Erroneità dell'iter logico-giuridico. Difetto di istruttoria. Contraddittorietà. Illogicità. Perplessità. Omesso esame di un punto decisivo della controversia

Il giudice di primo grado ha rigettato le articolate censure sollevate con il secondo motivo di ricorso, ritenendo che, nella specie, non vi fosse spazio per l'applicazione dell'art. 9, comma 2, del D.P.R. 380/2001, in quanto l'odierna appellante non ha dimostrato di aver formulato l’impegno, con atto trascritto a favore del Comune e a cura e spese dell'interessato, di praticare, limitatamente alla percentuale mantenuta ad uso residenziale, prezzi di vendita e canoni di locazione concordati con il Comune medesimo ed a concorrere negli oneri di urbanizzazione.

Anche laddove l’intervento di che trattasi sia annoverabile nel genus della ristrutturazione edilizia, nondimeno esso era pienamente assentibile, ai sensi dell’art. 9, comma 2, del citato Decreto;
come, del resto, ritenuto anche dalla Commissione edilizia comunale (la quale, nell’espresso parere favorevole, aveva affermato che è “possibile eseguire opere volte fino alla ristrutturazione edilizia nelle more dell'approvazione del PUA, come nel caso di specie” ) .

In altri termini, nella fattispecie in esame, trattandosi di un intervento di ripristino filologico, mediante parziale demolizione e ricostruzione di un rudere, lo stesso era autorizzabile anche in difetto di P.U.A., ai sensi dell’art. 9, comma 2, del D.P.R. 380/2001 ed in coerenza con l’art. 125, comma 2, lett. a), primo periodo, delle N.T.A., secondo cui la riedificazione della unità edilizia (rudere) può avvenire anche mediante interventi di ripristino filologico;
né sarebbe condivisibile la tesi del Giudice di prime cure, secondo cui, nella specie, si applicherebbe la seconda parte del comma 2 dell’art. 9 (atteso che, in ogni caso, l'impegno a praticare prezzi di vendita e canoni di locazione concordati con il Comune ed a concorrere negli oneri di urbanizzazione, lungi dall’essere assunto all’atto della presentazione dell'istanza, avrebbe dovuto fare seguito al rilascio del permesso di costruire).

Quanto, poi, al diniego di approvazione del progetto per scadenza del termine entro il quale sarebbe dovuto avvenire il cantieramento delle opere (impedito, evidentemente, dalla mancanza di strumento urbanistico attuativo, presupposto per l'esercizio dello jus aedificandi), parte appellante evidenzia il carattere contradditorio del provvedimento avversato in prime cure: sostenendo, peraltro, che per “cantieramento degli interventi”, non possa che intendersi il momento della presentazione dell'istanza di rilascio del permesso di costruire, ovvero della D.I.A., corredata da un progetto esecutivo “cantierabile”, come avvenuto nella specie (avendo l’odierna appellante presentato tempestivamente l'istanza corredata da un progetto esecutivo e cantierabile, entro il 10 giugno 2009).

Avrebbe, quindi, errato il Tribunale nel ritenere che per “cantieramento” dell'intervento, debba intendersi “l’effettivo inizio dei lavori tramite impianto del cantiere, secondo i criteri ordinariamente utilizzati per rilevare il rispetto dei termini di inizio e fine dei lavori di cui alla concessione edilizia, previsti dall'art. 15 del D.P.R. n. 380/2001".

Sotto altro profilo, viene sottolineato che il Comune di Napoli non è dotato di atti di programmazione degli interventi (e, dunque, non può ipotizzarsi alcuna scadenza dei termini per la redazione dei P.U.A.).

Inoltre, dalla lettura della disciplina d’ambito (art. 150 N.T.A.), emerge che, per l’attuazione del P.U.A., è necessaria l’acquisizione di immobili da parte del Comune: conseguentemente, assumendosi che la società odierna appellante non avrebbe potuto “provocare” l'approvazione di uno strumento urbanistico attuativo, anche in considerazione del fatto che la stessa non è titolare del 51% del complessivo valore imponibile dell'area interessata dagli interventi.

L’unica interpretazione logica e razionale dell’art. 125 delle N.T.A. sarebbe, dunque, che il termine per il cantieramento dell'intervento decorre dalla data di approvazione del P.U.A. e non da quella di approvazione della variante al P.R.G.

4.4) Error in judicando et procedendo ancora sul secondo motivo di ricorso in primo grado. Erroneità dell'iter logico-giuridico. Difetto di istruttoria. Contraddittorietà. Illogicità. Perplessità. Omesso esame di un punto decisivo della controversia

Non avrebbe il Tribunale considerato che il Comune di Napoli, con delibera di Giunta n. 587 del 30 aprile 2009, ha approvato un piano di recupero di iniziativa privata relativo all'ambito n. 19 - ex fabbrica Redaelli.

L'area di proprietà dell'appellante è stata inserita in tale piano attuativo, ma per la stessa non c’è stata alcuna previsione.

Quindi vi sarebbe stato anche il preteso piano attuativo, ma senza prescrizioni per la Società Corso Immobiliare Novara;
ciò determinando, anche sotto tale aspetto, il venir meno di uno dei due motivi di diniego che il Comune di Napoli ha posto a fondamento dell'atto impugnato.

4.5) Error in judicando et procedendo sul terzo motivo di ricorso in primo grado. Erroneità dell'iter logico-giuridico. Difetto di istruttoria. Contraddittorietà. Illogicità. Perplessità. Omesso esame di un punto decisivo della controversia.

Contesta parte appellante quanto ritenuto dal giudice di primo grado, relativamente al consolidamento, alla scadenza del quinquennio, di un vincolo di natura espropriativa ex art. 125, comma 5, delle N.T.A.

Diversamente, tale disposizione, nel prevedere una destinazione ad attrezzature pubbliche senza consentire alcuna iniziativa al privato, determina di fatto uno svuotamento del contenuto della proprietà, sì da materializzare un vincolo espropriativo.

4.6) Error in judicando et procedendo sul quarto motivo di ricorso in primo grado. Erroneità dell'iter logico-giuridico. Difetto di istruttoria. Contraddittorietà. Illogicità. Perplessità. Omesso esame di un punto decisivo della controversia.

Quanto alla applicabilità dell’art. 21- octies della legge 241 del 1990 – dal giudice di primo grado esclusa in ragione della natura vincolata del provvedimento gravato – rileva l’appellante come la procedente Amministrazione, pur dopo aver comunicato i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, abbia rigettato quest’ultima, senza tenere in alcuna considerazione le osservazioni presentate ex art. 10-bis.

Conclude, pertanto, l’appellante per l’accoglimento del proposto mezzo di tutela;
e, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.

5. In data 10 agosto 2011 l’Amministrazione comunale appellata si è costituita giudizio.

Il successivo 4 ottobre, si è costituita la Provincia di Napoli.

Entrambe le suindicate Amministrazioni, hanno chiesto la reiezione del proposto appello.

6. In vista della trattazione nel merito del ricorso, parte appellante ha depositato in atti (alla data del 9 settembre 2020), conclusiva memoria, con la quale, ribadite le argomentazioni già esposte con l’atto introduttivo, ha insistito per l’accoglimento del proposto mezzo di tutela.

7. Anche l’appellata Amministrazione comunale ha depositato in atti (alla data dell’11 settembre 2020) conclusiva memoria, con la quale vengono analiticamente confutate le argomentazioni dalla controparte addotte a sostegno del proposto appello, del quale viene, conseguentemente, sollecitata la reiezione.

8. Alle considerazioni esposte con l’atto da ultimo indicato, ha replicato l’appellante Società Immobiliare con memoria depositata il 23 settembre 2020.

9. L’appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 13 ottobre 2020.

DIRITTO

1. Va, in primo luogo, osservato come la determinazione del Comune di Napoli, gravata in prime cure dinanzi al T.A.R. Campania, consti di un duplice apporto motivazionale, rappresentato:

- dalla constatata scadenza del termine per il cantieramento delle opere, ai sensi del comma 5 dell’art. 125 delle N.T.A. al P.R.G., alla data del 10 giugno 2009;
laddove, in ragione della presentazione dell’istanza, da parte dell’odierna appellata, il 22 aprile 2009, non sarebbe stato possibile per la procedente Amministrazione comunale acquisire i necessari pareri dei Vigili del Fuoco e dei settori Sottosuolo, Viabilità e Traffico;

- dalla interpretazione delle previsioni dettate dal citato art. 125 delle Norme Tecniche di Attuazione nonché dal successivo art. 150 (il quale, per l’ambito in cui ricade il complesso edilizio in questione, prevede l’attuazione del P.R.G. mediante “strumento urbanistico esecutivo”), che non consentirebbero l’attuazione di interventi qualificabili come demolizione e ricostruzione, ma dei soli interventi preordinati al recupero di fabbricati crollati o demoliti.

Inoltre, il comma 5 del citato art. 125 dispone che, trascorsi 5 anni dall’approvazione del piano, ove non sia intervenuto il cantieramento degli interventi di cui al precedente comma 2, i sedimi interessati sono destinati ad attrezzature pubbliche previste dal DM 1444 del 1968.

2. In prime cure, così come dinanzi a questo Consiglio, la Società Immobiliare Corso Novara ha sostenuto che il progettato intervento, relativo ad un immobile qualificabile come “rudere” ai sensi dell’art. 125 delle Norme Tecniche d’Attuazione, non sarebbe definibile come “ristrutturazione edilizia”, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d) del D.P.R. n. 380/2001, bensì come “restauro e risanamento conservativo”, in quanto non comportante una demolizione e ricostruzione del complesso edilizio, ma la sola ricostruzione delle parti ammalorate e la demolizione delle superfetazioni incoerenti con l’originaria conformazione del fabbricato

L’intervento si atteggerebbe, pertanto, quale “operazione di recupero filologico”, in conformità di quanto previsto agli articoli 11, comma 5, e 125 delle stesse Norme Tecniche di Attuazione, espressamente equiparata dalla normativa di piano al restauro-risanamento conservativo.

Al fine dell’esecuzione dell’intervento, non sarebbe pertanto necessaria la preventiva approvazione di un Piano Urbanistico Attuativo (P.U.A.): diversamente, venendosi a consumare una violazione dello stesso art. 150 delle Norme Tecniche d’Attuazione, il quale, ove intrepretato nel senso propugnato dal provvedimento di diniego, sarebbe a propria volta illegittimo, in quanto impedirebbe il recupero minimo delle preesistenze.

2.1 Dalla “relazione tecnico illustrativa” allegata all’istanza di permesso di costruire presentata dall’appellante – acquisita agli atti del fascicolo del giudizio di primo grado – emerge che l’intervento di che trattasi riguarda un immobile ricadente in zona A – Centro storico della variante al P.R.G., individuato dalla tipologia edilizia “ruderi e sedimi risultanti da demolizioni”.

L’edificio, in particolare, risulta composto da più corpi di fabbrica, di altezza compresa tra due e tre piani fuori terra, i quali si presentano attualmente in deteriorate condizioni manutentive, essendo crollate “diverse parti di muratura e solai”, e risultando, altresì, pericolanti numerose strutture orizzontali e verticali.

Il giudice di prime cure, nel dare atto che “la ricostruzione di quale fosse la precedente consistenza del compendio è stata effettuata dalla ricorrente mediante rilievi metrici, foto aeree, fotografie d’epoca e rilievi catastali”, ha osservato che il progetto presentato dalla Società prevedeva il “ripristino filologico con demolizione e ricostruzione”, senza variazioni di sagome e volumi preesistenti, a parte la realizzazione di un’autorimessa pertinenziale nel sottosuolo;
prevedendosi, inoltre, “la valorizzazione degli interventi architettonici originari, il recupero dell’impianto distributivo originario, la ricostruzione filologica, documentata da preesistente accatastamento e da documentazione fotografica pregressa, per le parti crollate, la ricomposizione formale dei prospetti, l’eliminazione delle superfetazioni di epoca recente” .

Nel dare atto della corretta “sussunzione del compendio nell’art. 125 delle norme tecniche d’attuazione della Variante al PRG” (atteso che “tale norma definisce quali “ruderi e sedimi risultanti da demolizioni” le unità di spazio costituite da elementi residuali di unità edilizie preesistenti ovvero libere in conseguenza di crollo o demolizione, recente o meno”; e che, inoltre, “il fabbricato in questione, sito in zona A di piano regolatore secondo la scheda n. 78 allegata alle norme tecniche d’attuazione, ricade nell’ambito n. 19 … ed è quindi soggetto … all’applicazione dell’art. 150 successivo, con la conseguente necessità di operare gli interventi mediante uno strumento urbanistico esecutivo”), il giudice di prime cure ha, tuttavia, escluso che “la mera collocazione della nozione di ripristino filologico nel quinto comma dell’art. 11 delle NTA” possa comportare la qualificazione dell’“ intervento progettato dalla ricorrente … come restauro e risanamento conservativo”.

E ciò in quanto:

- “sotto il profilo strettamente letterale l’intervento di ripristino filologico previsto dalla Variante si sostanzia nella ricostruzione di un intero edificio o di sue parti, in quanto oggetto di demolizioni o crolli, purché esistano fonti iconografiche che consentano di ricostruire il fabbricato così come si presentava alle sue origini”;

- “tale forma di intervento riguarda, come confermato dal I comma dell’art. 125 delle NTA, per l’appunto, i ruderi ed i sedimi costituiti dai residui di crolli o demolizioni, anche se non necessariamente recenti”;

- “sotto il profilo concettuale, la collocazione sistematica della norma in esame tra gli interventi di restauro e risanamento conservativo risulta frutto di errore, trattandosi di operazioni ascrivibili ad altre categorie edilizie … alla luce di quanto dispone l’art. 3, comma I, lettera d) del Testo unico n. 380/2001, per cui sono ricompresi nella nozione di ristrutturazione edilizia – e non già di restauro e risanamento conservativo – gli interventi consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente”;

- “la giurisprudenza …, quanto agli interventi di ripristino di edifici diruti, precisa la relativa nozione riportandola agli organismi edilizi dotati di sole mura perimetrali e privi di copertura … e, correttamente, nega che essi possano essere classificati come restauro e risanamento conservativo”.

2.2 Il convincimento del giudice di primo grado, come sopra riportato, merita conferma.

Osserva in proposito il Collegio che il ripristino filologico non è una categoria edilizia definita, alla quale possa ascriversi una determinata disciplina normativa, piuttosto configurando un tipo peculiare di intervento, previsto della normativa edilizia comunale, per la ricostruzione di ruderi o edifici crollati in alcune zone del territorio comunale.

Se è inevitabile, al fine di ricondurre siffatta tipologia di interventi sotto una determinata disciplina, procedere alla relativa qualificazione urbanistica, onde individuare una precisa categoria edilizia di intervento edilizio compiutamente disciplinata dalla legislazione vigente, allora la norma di riferimento non può essere individuata, se non nell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 che detta le definizioni delle diverse tipologie di interventi edilizi.

Va, in proposito, preliminarmente osservato come l’art. 11, comma 5, delle N.T.A., qualifichi espressamente gli interventi di ripristino filologico quali interventi di “restauro e risanamento conservativo”; purtuttavia, descrivendone la concreta portata attuativa quali interventi “rivolti a ricostruire l’intero manufatto, o parti di esso, eventualmente demolito o crollato, purché sia possibile, attraverso fonti iconografiche, cartografiche, fotografiche e catastali, documentarne la consistenza certa”.

Se l’intervento di ripristino filologico previsto dalle N.T.A.:

- viene, dunque, ad atteggiarsi quale ricostruzione di un intero edificio o di sue parti, in quanto oggetto di demolizioni o crolli, purché esistano fonti iconografiche che consentano di ricostruire il fabbricato così come si presentava alle sue origini;

- ed ha ad oggetto (come indicato dall’art. 125 delle N.T.A.) i ruderi ed i sedimi costituiti dai residui di crolli o demolizioni, anche se non necessariamente recenti;

allora non può esimersi il Collegio dal rilevare l’erroneità della qualificazione, per come effettuata dalle N.T.A. in discorso, delle opere di che trattasi, atteso che il “recupero filologico” non può rientrare, a livello concettuale, nell’ambito della categoria del “restauro e risanamento conservativo” (costituita, a norma dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, dagli interventi edilizi “rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio”).

Nel genus del risanamento conservativo e restauro sono comprese, dunque, le opere che, lasciando inalterata la struttura interna ed esterna dell’edificio, sono atte a ripristinare l’individualità originaria dell’immobile.

Al pari della ristrutturazione, anche il restauro ed il risanamento presuppongono la presenza di un organismo edilizio sul quale intervenire, con la conseguenza che, in mancanza delle strutture identificative dello stabile, la loro riedificazione non può inquadrarsi nel concetto di restauro e risanamento, perché le opere nuove portano alla realizzazione di un edificio radicalmente e qualitativamente diverso dal precedente (cfr. Cassazione penale, Sez. III, 30 settembre 2010, n. 35390).

La finalità del restauro e del risanamento conservativo, infatti, è quella di rinnovare l'organismo edilizio in modo sistematico e globale, pur sempre però nel rispetto (perché sempre di conservazione si tratta) dei suoi elementi essenziali tipologici, formali e strutturali.

Né a diverse conclusioni è dato pervenire in applicazione delle disposizioni di cui alle N.T.A. allegate alla variante generale al P.R.G. comunale del 2004, le quali non introducono nuove categorie edilizie, ma vanno lette unitamente alla normativa di rango primario della quale costituiscono applicazione.

Nel rammentare come l’art. 11, comma 5, delle N.T.A. qualifichi espressamente gli interventi di “ripristino filologico” – sostanziati dalla ricostruzione di un intero edificio o di sue parti, in quanto oggetto di demolizioni o crolli, purché esistano fonti iconografiche che consentano di ricostruire il fabbricato così come si presentava alle sue origini – quali interventi di “restauro e risanamento conservativo”, non può esimersi il Collegio dal rilevare l’erroneità della qualificazione di che trattasi, atteso che la ricostruzione di un rudere non può rientrare, a livello concettuale, nell’ambito della categoria del “restauro e risanamento conservativo”, alla stregua della caratterizzazione di quest’ultima, secondo quanto stabilito dal riportato art. 3, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001.

E che la disposizione da ultimo indicata trovi applicazione al caso di specie, quanto alla individuazione e descrizione contenutistica delle tipologie di interventi previsti, è invero incontroverso, laddove si tenga presente che, ai sensi del comma 2 dell’articolo in rassegna, “ Le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi”.

Ciò ribadito, l’esclusa inquadrabilità del recupero filologico nella categoria del restauro e risanamento conservativo è stata, a più riprese, ribadita dallo stesso giudice di prime cure (cfr. T.A.R. Campania, Napoli: Sez. IV, 14 dicembre 2006, n. 10553;
Sez. VIII, 4 marzo 2010, n. 1286;
Sez. VI, 9 novembre 2009 n. 7049), distinguendo:

- tra le ipotesi in cui esista un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da consentire la sua fedele ricostruzione, nel quale caso è possibile parlare di demolizione e fedele ricostruzione, e dunque di ristrutturazione;

- e le ipotesi in cui, invece, manchino elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare, configurandosi in quest'evenienza, invero, un intervento di nuova costruzione, per l’assenza degli elementi strutturali dell'edificio, in modo tale che, seppur non necessariamente “abitato” o “abitabile”, esso possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali (Cons. Stato, Sez. V, 10 febbraio 2004, n. 475).

Se non può, quindi, tenersi conto della qualificazione effettuata dalle N.T.A., che vanno sul punto disapplicate, la riconduzione dell’intervento alle categorie fissate dal T.U.E. va effettuata ai sensi del citato art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, alla stregua del quale la scelta tra le possibili opzioni è rappresentata dalla “nuova costruzione” e dalla “ristrutturazione edilizia”.

La giurisprudenza amministrativa afferma pacificamente che risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia costituiscono interventi di recupero sul patrimonio edilizio esistente (si veda in proposito l’art. 31 della legge n. 457/1978, i cui contenuti sono stati, poi, trasfusi nell’art. 3 del T.U. Edilizia), onde i relativi concetti postulano necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare o risanare, ossia di un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura.

Il concetto di costruzione esistente postula, invero, la possibilità di individuazione della stessa come identità strutturale, in modo da farla giudicare presente nella realtà materiale quale specifica entità urbanistico- edilizia esistente nella attualità, sicché l’intervento edificatorio sulla stessa non costituisce trasformazione urbanistico edilizia del territorio rilevante in termini di nuova costruzione.

Deve, pertanto, trattarsi di un manufatto che, a prescindere dalla circostanza che sia abitato o abitabile, possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 10 febbraio 2004, n. 475 e 15 marzo 1990, n. 293).

In buona sostanza, deve ritenersi che il rilascio di un titolo edilizio per procedere alla ristrutturazione sia subordinato alla possibilità di individuare, in maniera pressoché certa, l’esatta cubatura e sagoma d’ingombro del fabbricato su cui intervenire, come da questo Consiglio precisato (“Costituisce vera e propria costruzione ex novo e non già ristrutturazione, né tantomeno restauro o risanamento conservativo e, come tale, è soggetta a concessione edilizia secondo le regole urbanistiche vigenti al momento dell’istanza del privato … la ricostruzione di un intero fabbricato, diruto da lungo tempo e del quale residuavano, al momento della presentazione dell’istanza del privato, solo piccole frazioni dei muri, di per sé inidonee a definire l’esatta volumetria della preesistenza, in quanto l’effetto ricostruttivo così perseguito mira non a conservare o, se del caso, a consolidare un edificio comunque definito nelle sue dimensioni, né alla sua demolizione e fedele ricostruzione … bensì a realizzarne uno del tutto nuovo e diverso”: Cons. Stato, Sez. V, 3 aprile 2000, n. 1906).

In conclusione, la ricostruzione su ruderi o su di un edificio già da tempo demolito (anche in parte) o diruto costituisce nuova opera (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 15 aprile 2004, n. 2142, 1° dicembre 1991, n. 2021, 10 marzo 1997, n. 240 e 4 novembre 1994, n. 1261).

Né può sostenersi che nella fattispecie in esame vi siano in concreto elementi strutturali dell’edificio tali da caratterizzarne la consistenza e tipologia quale edificio e non mero rudere.

2.3 Le illustrate considerazioni consentono al Collegio di escludere che le doglianze con il primo motivo di appello rivolte avverso la gravata sentenza del T.A.R. Campania meritino condivisione: per l’effetto, imponendosi la reiezione delle relative censure.

3. La stessa parte appellante, “pur ammettendo che nella fattispecie in esame si tratti di un intervento di ristrutturazione edilizia”, peraltro sostiene che “ciò non di meno l’intervento era pienamente assentibile, ai sensi dell’art. 9, comma 2, del DPR 380/2001”.

Si osserva in proposito che:

- se è pur vero che tale norma consente, nelle more della approvazione degli strumenti urbanistici esecutivi, a talune condizioni, anche gli interventi di ristrutturazione edilizia;

- l’intervento di che trattasi non si dimostra comunque assentibile in quanto, trattandosi di ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione a parità di sagoma e volumetria, ai sensi dell’art. 150 della variante, viene in considerazione la necessaria realizzazione della condizione rappresentata dalla approvazione di preventivo strumento urbanistico esecutivo (Piano Urbanistico Attuativo).

Rammenta in proposito parte appellante che l’art. 63 delle N.T.A. stabilisce (comma 1) che “… nelle more dell’approvazione dei piani urbanistici esecutivi di cui alla disciplina degli ambiti, sono comunque consentiti interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo , nel rispetto di ogni altra norma di cui alla presente disciplina per il centro storico”.

Ed assume, conseguentemente, che tale previsione “ammette comunque interventi fino al restauro e risanamento conservativo, anche in assenza di preventiva approvazione dello strumento urbanistico”.

Il giudice di prime cure, nel rilevare come l’ultima parte della norma citata richieda la sussistenza di un impegno, da parte del titolare del titolo, a praticare, limitatamente alla percentuale mantenuta ad uso residenziale, prezzi di vendita e canoni di locazione concordati con il Comune ed a concorrere negli oneri di urbanizzazione, avrebbe errato nell’escludere l’applicabilità di tale disposizione, in quanto:

- “ non è stato … allegato, né risulta dagli atti del giudizio, che la Immobiliare Corso Novara S.r.l. abbia formulato tale impegno verso il Comune, effettuando i relativi adempimenti presupposti”;

- “né, ad onta della dizione legislativa “titolare del permesso di costruire”, è possibile ritenere che detto impegno possa essere assunto dall’esecutore dei lavori dopo l’ottenimento del titolo edilizio”.

Secondo l’appellante, diversamente, l’impegno ben potrebbe essere assunto dal privato anche in epoca successiva al rilascio del permesso di costruire.

Tale tesi non si presta, invero, a condivisione.

Il perfezionamento dell’impegno di che trattasi (e, con esso, il previo conseguimento di un’intesa con il Comune) integra, invero, specifico presupposto per l’espansione dello jus aedificandi: altrimenti dimostrandosi priva di logico fondamento l’eccezionale assentibilità di titolo edilizio, pur in assenza di strumento attuativo, laddove l’integrazione della condizione in discorso possa venire differita ad un momento successivo ed ulteriore rispetto alla trasformazione edilizia dell’area.

Nella fattispecie all’esame, va rimarcata l’assenza di alcun impegno assunto dalla parte appellante nel senso sopra indicato;
né quest’ultima risulta aver mai intrapreso alcun percorso preordinato al conseguimento della necessaria intesa con il Comune (essendosi, piuttosto, limitata a sostenere che l’intervento, qualificabile quale restauro e risanamento conservativo, fosse assentibile a norma dell’art. 150 delle N.T.A.).

4. Viene, quindi, in considerazione la censura relativa al termine di cantieramento delle opere.

Come si è avuto modo di constatare, tale profilo era stato assunto dall’Amministrazione comunale a fondamento del diniego di rilascio di titolo edilizio, unitamente al già esaminato aspetto relativo alla denegata qualificabilità del progettato intervento di “ripristino filologico” nel novero del restauro o risanamento conservativo.

L’art. 125 delle N.T.A., nel prevedere:

- la riedificazione esatta dell’unità edilizia preesistente (c.d. ripristino filologico);

- ovvero, in assenza della documentazione necessaria ad accertare la esatta consistenza del manufatto preesistente, e sempre che ricorrano le condizioni prescritte, l’esecuzione dell’intervento di riedificazione in analogia alle unità edilizie contigue (c.d. ripristino analogico)

ha stabilito, al comma 5, che “trascorsi 5 anni dalla data di approvazione del piano, ove non sia intervenuto il cantieramento degli interventi di cui al precedente comma 2, i sedimi interessati sono destinati ad attrezzature pubbliche previste dal D.M. del 2 aprile 1968 n. 1444”.

Per entrambe le illustrate fattispecie di ripristino, omogeneamente il termine per il cantieramento degli interventi trova fissazione allo scadere del quinquennio dalla data di approvazione del piano, ovvero dalla data di approvazione della Variante generale al P.R.G. (nella fattispecie, intervenuta con decreto del Presidente della Giunta regionale della Campania n. 323 dell’11 giugno 2004, che ha introdotto la disciplina di cui al citato art. 125).

Assume, in proposito, l’appellata Amministrazione che, alla stregua della previsione da ultimo illustrata, il cantieramento dovesse intervenire entro il termine dell’11 giugno 2009.

E, in relazione alla presentazione della richiesta di rilascio di permesso di costruire, da parte dell’odierna appellante, alla data del 22 aprile 2009, sostiene il Comune di Napoli che “ non sarebbe stato materialmente possibile concludere con esito positivo l'istruttoria, acquisendo tutti i pareri necessari (VV.FF., Sottosuolo, Viabilità e Traffico), atteso che il 10 giugno 2009 è scaduto il termine ultimo indicato nell'art. 125, comma 5, del P.R.G. per il cantieramento delle opere”.

Sul punto, il giudice di prime cure ha ritenuto che il cantieramento dell’intervento “deve concretarsi, secondo principi desumibili dalla disciplina edilizia (in base alla cui esistenza non necessita il ricorso all’analogia con la normativa sulle opere pubbliche) nell’effettivo inizio dei lavori tramite impianto del cantiere, secondo i criteri ordinariamente utilizzati per rilevare il rispetto dei termini di inizio e fine dei lavori di cui alla concessione edilizia, previsti dall’art. 15 del DPR n. 380/2001. Si tratta, pertanto, del termine di un anno (salve proroghe) dal rilascio del titolo”.

Va escluso che la data di presentazione della domanda di rilascio del titolo possa assumere, ai fini in discorso, equipollente rilevanza rispetto al “cantieramento” degli interventi preordinati alla realizzazione edilizia.

E ciò in quanto nella nozione di “cantieramento” dell'intervento (in difetto del quale, allo spirare del termine quinquennale di cui all'art. 125 delle N.T.A. alla Variante generale al P.R.G. del Comune di Napoli, sopravviene la destinazione dell’area ad attrezzature pubbliche) va ravvisato l’effettivo inizio dei lavori tramite impianto del cantiere, secondo i criteri ordinariamente utilizzati per rilevare il rispetto dei termini di inizio e fine dei lavori di cui alla concessione edilizia, previsti dall’art. 15, del D.P.R. n. 380 del 2001 (omogeneamente, Cass. Pen. Sez. III, n. 7114/2010 ha rilevato come l’effettivo inizio dei lavori debba essere accompagnato “dalla compiuta organizzazione del cantiere e da altri indizi idonei a confermare l'effettivo intendimento del titolare del permesso di costruire di realizzare l'opera assentita”, integrati dall’impianto del cantiere, dall’innalzamento di elementi portanti, dall’elevazione di muri e dall’esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio”).

Deve, conseguentemente, ritenersi che:

- ferma l’irrilevanza dimostrata, ai fini in discorso, dalla mera presentazione, nel termine quinquennale, della richiesta di rilascio di titolo ad aedificandum (peraltro non completa del necessario corredo documentale, atteso che la relazione storica asseverata e la relazione geologico-tecnica sono state trasmesse solo in data 10 giugno 2009, a fronte di una istanza, come si è visto, risalente al precedente 22 aprile).

- non è stato, obiettivamente, posto in essere il cantieramento, da parte di Immobiliare Corso Novara, degli interventi nel pure indicato spazio temporale;

- né la mancata realizzazione di tale circostanza può fondatamente addebitarsi a prolungata inerzia, da parte del Comune, nell’esame della richiesta di che trattasi (atteso che l’art. 20 del T.U.E., nel testo ratione temporis applicabile, stabiliva il termine di durata del procedimento di rilascio del permesso di costruire, in misura pari a 135 giorni);

per l’effetto, imponendosi la reiezione anche di tale motivo di appello.

5. Con ulteriore argomento di censura, parte appellante si sofferma su quella parte della motivazione della sentenza di prime cure, con la quale il T.A.R.:

- nel rilevare che “né l’art. 125 delle NTA alla Variante, né il successivo art. 150, prevedono che lo strumento urbanistico di secondo livello debba provenire necessariamente dall’iniziativa dell’Amministrazione comunale. Ne segue che, per ciò che riguarda l’assetto dell’ambito n. 19, alla luce dell’art. 27 L.R. n. 16/2004 la redazione del piano è lasciata – anche - all’iniziativa dei privati intenzionati ad attuare il recupero urbanistico dell’ambito, i quali, quindi, per perseguire tale scopo – che essi hanno ritenuto rispondere ai loro interessi – non avrebbero dovuto limitarsi a presentare istanza di permesso di costruire, dovendo, preliminarmente, sottoporre alla Giunta (competente all’approvazione) il loro disegno attuativo della pianificazione di livello generale”

ha osservato che “la ricorrente ha omesso di attivarsi al fine di provocare l’approvazione del piano urbanistico attuativo (indispensabile al fine di condurre all’attuazione concreta dell’intervento di suo interesse, e, in particolare, all’inizio dei lavori)”; da tale condotta inferendo che “è evidente come la Società non abbia particolare interesse alla censura per cui, a suo dire, il dies a quo da cui computare il termine quinquennale di cui all’art. 125 decorrerebbe non dall’approvazione della Variante generale al PRG (11 giugno 2004), bensì dal quindicesimo giorno dalla data di pubblicazione di tale atto sul Bollettino Ufficiale della regione Campania, avvenuta il 14 giugno 2004 (di guisa che il termine sarebbe scaduto il 28 maggio 2009)”.

Sostiene, in proposito, Immobiliare Corso Novara che, diversamente, l’art. 150 delle N.T.A., per l’ambito di interesse (c.d. Ambito n. 19 - ex fabbrica Redaelli) avrebbe imposto l’approvazione di uno strumento urbanistico esecutivo per l’intero ambito “ con la conseguenza che il PUA può essere proposto esclusivamente ad iniziativa dell’Amministrazione comunale ex art. 27 della L.R. n. 16 del 2004”.

Ferma la non preclusa approvabilità di strumenti attuativi anche soltanto parziali (come, in effetti, è avvenuto, quanto all’ambito per cui è controversia, come dalla stessa appellante riconosciuto;
si confronti, in proposito, la delibera di Giunta n. 587 del 30 aprile 2009, con la quale è stato approvato uno strumento urbanistico esecutivo per l’ambito n. 19, rappresentato da un piano di recupero proposto da altra società privata), va rammentato come l’art. 27 della legge regionale 16 del 2004, preveda che i piani urbanistici esecutivi sono redatti, in ordine prioritario:

“a) dal comune;

b) dalle società di trasformazione urbana di cui all'articolo 36;

c) dai proprietari, con oneri a loro carico, nei casi previsti dalla normativa vigente, o nei casi in cui, essendo prevista la redazione dei Pua da parte del comune, questi non vi provvede nei termini definiti dagli atti di programmazione degli interventi, purché il piano attuativo non sia subordinato alla necessità di acquisire immobili da parte dell'amministrazione comunale. La proposta di Pua deve essere formulata dai proprietari degli immobili rappresentanti il cinquantuno per cento del complessivo valore imponibile dell'area interessata dagli interventi, accertato ai fini dell'imposta comunale sugli immobili”.

Se è quindi vero che, fra i soggetti proponenti l’adozione dello strumento attuativo sono contemplati anche i privati, la circostanza che l’odierna appellante fosse titolare del compendio di che trattasi per una quota inferiore al 51% - trattandosi di elemento pertinente alla sfera di disponibilità della parte – non integra la presenza di profilo asseverante un’erronea interpretazione e/o applicazione delle disposizioni di che trattasi ad opera della sentenza di primo grado.

6. Va, poi, confutato quanto dalla parte appellante sostenuto, circa la configurabilità, in termini ablatori, della destinazione come sopra impressa dalle N.T.A. alle aree, in assenza di cantieramento nel termine sul quale il Collegio si è, in precedenza, soffermato.

Nel disciplinare la destinazione dell'area, non viene infatti in considerazione la presenza di alcun vincolo preordinato all’espropriazione.

Detto vincolo, infatti, ai sensi degli articoli 9 e 10 del D.P.R. n. 327/2001, sorge per effetto della previsione da parte di strumenti urbanistici, soltanto allorché sia finalizzato alla realizzazione di una determinata opera pubblica o di pubblica utilità.

Nel caso in esame, diversamente, l’art. 125 parla genericamente di destinazione ad “attrezzature pubbliche”, non altrimenti individuate;
e, soprattutto, la prevede subordinatamente all’inerzia dei privati interessati ad attuare interventi che rispondano ai loro interessi economici: per l’effetto, dovendosi escludersi che tale previsione abbia introdotto un vincolo di natura espropriativa, con conseguente infondatezza anche della censura all’esame.

E, del resto, la giurisprudenza di questo Consiglio, con costante orientamento, ha affermato che “la destinazione ad attrezzature ricreative, sportive e a verde pubblico, data dal P.R.G. ad aree di proprietà privata, non comporta l'imposizione sulle stesse di un vincolo espropriativo, ma solo di un vincolo conformativo, che è funzionale all'interesse pubblico generale conseguente alla zonizzazione effettuata dallo strumento urbanistico” (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 9 dicembre 2015, n. 5582;
28 settembre 2016 n. 4022;
e, da ultimo, Sez. VI, 30 gennaio 2020, n. 783).

7. Quanto, da ultimo, al pure censurato omesso esame delle controdeduzioni, ad opera della procedente Amministrazione comunale, si osserva che:

- se, sotto un profilo sostanziale, queste ultime hanno formato oggetto di compiuta disamina nell’ambito della determinazione avversata in prime cure, atteso che in esso si dà compiutamente conto sia della qualificazione dell’intervento, siccome non riconducibile al genus del restauro, sia della scadenza del termine quinquennale previsto per il cantieramento;

- d’altro canto, come correttamente osservato nella gravata pronunzia, “ il diniego impugnato si atteggiava, per il Comune, quale attività vincolata, dovuta al decorso del termine quinquennale previsto nell’art. 125 delle NTA senza che i privati interessati ad operare gli interventi di ripristino filologico del compendio sito in via Casanova n. 45\C si fossero compiutamente attivati al fine di attuare il progetto. Va, pertanto, applicata al caso di specie la consolidata regola giurisprudenziale per cui l'art. 10 bis, L. 7 agosto 1990 n. 241, consente all'interessato di addurre elementi che arricchiscono il patrimonio conoscitivo dell'Amministrazione, instaurando un contraddittorio finalizzato al migliore contemperamento dell'interesse pubblico con quello di cui è portatore;
la norma non prevede, invece, un mero simulacro formale, la cui violazione sia opponibile anche quando l'omissione non abbia inciso in alcun modo sulla formazione della volontà dell'Amministrazione stessa e nemmeno sulle possibilità di difesa dell'interessato”.

Né, d’altro canto, quand’anche la censura all’esame dimostrasse fondamento in punto di fatto, l’operatività del disposto di cui all’art. 21- octies della stessa legge 241 del 1990 – alla stregua del quale non è annullabile il provvedimento adottato in violazione delle norme sul procedimento, nel caso in cui il provvedimento stesso presenti natura vincolata, quando sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere differente da quello in concreto adottato – consentirebbe di apprezzare la concludenza inficiante del mancato adempimento all’onere sopra indicato.

8. L’esaminata infondatezza dei motivi di censura articolati con il presente mezzo di tutela, impone la reiezione dell’appello.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

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