Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-10-28, n. 201604550

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-10-28, n. 201604550
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201604550
Data del deposito : 28 ottobre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/10/2016

N. 04550/2016REG.PROV.COLL.

N. 00137/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 137 del 2016, proposto da -O-., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati P S C.F. SCPPLA41C27A479D, Cinzia Picco C.F. PCCCNZ63L62A518T, con domicilio eletto presso l’avvocato L D R in Roma, via della Consulta 50;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore;
U.T.G. - Prefettura di Novara, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati, in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

-O-, -O-, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PIEMONTE - TORINO: SEZIONE I n. 01048/2015, resa tra le parti, concernente informativa interdittiva antimafia


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’ U.T.G. - Prefettura di Novara;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 settembre 2016 il Cons. G V e uditi per le parti l’Avvocato P S e l'Avvocato dello Stato Mario Antonio Scino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il Prefetto della Provincia di Novara, a seguito di richiesta di informazioni di -O-., adottava, in data 19 dicembre 2013, un provvedimento interdittivo nei confronti della Società -O-

In conseguenza del provvedimento prefettizio, -O-. revocava con effetto immediato l’autorizzazione rilasciata in data 20 settembre 2012 a -O- per il sub affidamento alla società -O- del contratto di fornitura di materiali inerti per la realizzazione di pacchetti di impermeabilizzazione (nell’ambito dell’appalto relativo alla sistemazione ambientale del sito di Borsano di Busto Arsizio), ordinando alla medesima di risolvere immediatamente tale contratto.

Con successivo atto del 23 dicembre 2013,-O-. comunicava a -O- la risoluzione del contratto in questione, con decorrenza immediata.

-O- proponeva ricorso per l’annullamento del provvedimento interdittivo dinanzi al TAR Piemonte.

Il TAR respingeva la domanda con la sentenza in epigrafe indicata.

-O- ha interposto appello deducendo una serie di motivi di seguito analiticamente indicati.

Nel giudizio si è costituita l’amministrazione invocando la reiezione del gravame.

La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 29 settembre 2016.

DIRITTO

1. Il TAR Piemonte, con la sentenza in epigrafe indicata, ha escluso l’illegittimità del provvedimento interdittivo nei vari profili prospettati dalla società ricorrente.

In particolare, ha osservato il primo giudice: « Il provvedimento impugnato si fonda su una motivazione articolata e diffusa, nella quale, non soltanto si richiamano le due precedenti “informative supplementari atipiche” già emesse dallo stesso prefetto di Novara nei confronti della società ricorrente negli anni 2009 e 2013 e i provvedimenti giurisdizionali, di primo e secondo grado, che si sono pronunciati sulla prima di tali informative (confermandone la legittimità), ma si delinea un quadro indiziario composito e congruente, non limitato alla valutazione dei soli rapporti di parentela, ma diretto ad evidenziare anche i rapporti personali, pregressi ed attuali, tra l’attuale amministratore unico della società ricorrente ed esponenti della criminalità organizzata, nonché l’esistenza di ramificate cointeressenze tra la stessa impresa ricorrente ed altre imprese collegate a soggetti contigui alla criminalità organizzata» .

1.1. Quanto alla dedotta mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, ha chiarito inoltre che « la mancata comunicazione di avvio del procedimento e la mancata audizione dell’interessato non configurano un profilo di illegittimità del procedimento amministrativo, dal momento che nella specie si tratta di procedimenti in materia di tutela antimafia, come tali caratterizzati intrinsecamente da riservatezza ed urgenza. (T.A.R. Piemonte, sez. I 27 giugno 2013 n. 787;
Consiglio di Stato, sez. VI 12 dicembre 2011, n. 6493). L’audizione personale dell’interessato da parte del prefetto è meramente facoltativa e rimessa ad una valutazione discrezionale dello stesso Prefetto (“ove lo ritenga utile”), ai sensi dell’art. 93 comma 7 D. Lgs. n. 159/2011. Le normativa europee non ostano a discipline nazionali che restringano eccezionalmente le garanzie partecipative dei soggetti interessati per ragioni di tutela dell’ordine pubblico. Analogamente, i principi di libertà dell’iniziativa economica privata e del giusto procedimento non sono assoluti, ma trovano un limite, anche costituzionale, nell’esigenza di garantire che sia l’una che l’altro non rechino danno alla sicurezza, alla libertà e alla libertà umana;
dal che consegue la legittimità della normativa nazionale dettata in subiecta materia, la quale tutela l’ordine pubblico, la corretta allocazione delle risorse pubbliche, nonché il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione»
.

2. A supporto del gravame, l’appellante ora deduce:

2.1. Il Prefetto, nell'interdittiva impugnata, ha dato importante rilievo al fatto che il signor -O- « è coniugato con -O- [...] sorella di -O- [...] attualmente detenuto perché condannato ad anni 30 di reclusione dalla III Corte d'Appello di Milano il 6.2.2001 ritenuto contiguo alla criminalità organizzata calabrese».

Il TAR Piemonte avrebbe sostanzialmente considerato tale elemento sufficiente per « evidenziare rapporti personali pregressi ed attuali tra l'amministratore unico della società ricorrente ed esponenti della criminalità organizzata », secondo l’appellante errando, poiché l'art. 85, co. 3, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, darebbe rilievo ai soli familiari conviventi, ed il -O-, cognato del legale rappresentante della -O-, non avrebbe mai convissuto con quest’ultimo.

3. Il motivo è infondato.

Nel caso di specie l’accertamento è stato correttamente esteso, ai sensi dell'art. 85, co. 3, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, alla moglie del sig. -O-, che certamente è familiare convivente, ed è risultato che quest’ultima ha strettissimi legami di parentela con un esponente della criminalità organizzata calabrese.

I legami di parentela del familiare convivente sono senz’altro rilevanti, soprattutto quando sono stretti ed interessano soggetti la cui appartenenza alla criminalità organizzata è stata definitivamente accertata. Essi, ovviamente, non bastano, di per sé soli, a sostanziare un rischio di infiltrazione, necessitando - come la giurisprudenza della Sezione non ha mai mancato di rilevare - di ulteriori indizi di contiguità, certamente non informati alla logica penalistica di certezza probatoria, ma comunque in grado di fornire un quadro di verosimiglianza secondo il criterio del più 'probabile che non” (da ultimo, Cons. Stato, Sez. III, 15 settembre 2016, n. 3889).

Nel caso di specie, come meglio appresso si spiegherà, il provvedimento impugnato non si basa sui meri rapporti di parentela tra il -O- e il -O- (condannato in via definitiva a 30 anni di reclusione per due omicidi di stampo mafioso legati al traffico di droga), ma inserisce tali strettissimi rapporti nel contesto dei rapporti economici intercorsi tra i due, e caratterizzati da gravi episodi criminali, e nel contesto della partecipazione del -O- e della moglie alla -O-, a sua volta raggiunta da interdittiva antimafia.

4. Su tale ultimo aspetto, invero non manca di soffermarsi l’atto di appello.

Secondo l’appellante, l’indicazione fatta dal giudice di prime cure, circa la sussistenza di un secondo elemento fondante l'ipotesi di correlazioni tra la -O- e la criminalità organizzata, consistente nelle quote di partecipazione della -O- alle società ‘riconducibili alla famiglia -O-’ costituirebbe il frutto di un’errata ricostruzione.

La -O- non avrebbe partecipazioni in compagini sociali della famiglia -O-. I soci della società appellante sarebbero -O-, -O- e -O-. -O- sarebbe proprietario della -O- unitamente alla moglie -O-, quest’ultima del tutto incensurata.

A sua volta la -O- è proprietaria del 19% delle quote societarie della -O-, che, tuttavia, non sarebbe riconducibile in alcun modo alla famiglia -O-, essendo partecipata per le restanti quote da -O- e -O- e da -O-.

Quest'ultima è stata titolare sino al 31 luglio 2013 della società -O-, già oggetto di una interdittiva prefettizia, circostanza indicata dalla Prefettura per avvalorare la sussistenza di un rischio infiltrativo.

Tuttavia – osserva l’appellante - l'unico rapporto sussistente e verificabile tra la -O- e la -O- sarebbe la partecipazione di entrambe le società nell'-O-, e né l'-O- né la -O- sarebbero state colpite da interdittive antimafia.

5. Anche questo motivo va respinto.

Trattasi di un intreccio societario che vede comunque una stretta partnership tra -O-, titolare della -O- già colpita da informativa antimafia, e tutti i soci della -O-, ivi compresi il sig. -O- e la sig.ra -O- per il tramite della compartecipazione nella -O-.

5.1. E’ evidente che nella società di capitali a partecipazione ristretta, vieppiù se a base familiare come nel caso di specie (i -O-sono nipoti del sig. -O-), gli intrecci societari sono sintomatici di colleganza e condivisione di strategia ed obiettivi.

5.2. La Sezione, del resto, si è già occupata del rilievo dei rapporti associativi tra imprese della quali una già ritenuta a rischio di infiltrazione. In quell’occasione ha chiarito che «l’instaurazione di rapporti commerciali o associativi tra un’impresa e una società già ritenuta esposta al rischio di influenza criminale costituisce uno degli indici del tentativo di infiltrazione mafiosa nell’attività d’impresa di per sé sufficiente a giustificare l’emanazione di una interdittiva antimafia» (Cons. St., sez. III, 26 maggio 2016, n. 2232;
sez. III, 22 giugno 2016, n. 2774), poiché la continuità e la particolare qualificazione della collaborazione tra le imprese giustifica il convincimento, seppur in termini prognostici e probabilistici, che l’impresa ’mafiosa’ trasmetta alla seconda il suo corredo di controindicazioni antimafia (Sez III, 22 giugno 2016, n. 2774, cit.)

6. Con il terzo motivo, l’appellante sostiene che Il TAR avrebbe altresì errato nel sostenere che il rinvio ai contenuti delle due informative atipiche pregresse costituisse una idonea e diffusa motivazione. A dire dell’appellante, per effetto dell'art. 9, co. 1, lett. b), del Codice Antimafia, le informative atipiche avrebbero cessato di produrre ulteriori effetti, sicchè il Prefetto non potrebbe utilizzare semplicemente le deduzioni dell'interdittiva atipica precedentemente emessa per adottare quella tipica, ma dovrebbe svolgere ulteriori accertamenti, dandone conto in motivazione.

7. A tale motivo non può che replicarsi con le stesse parole del giudice di prime cure, dal Collegio del tutto condivise: « Il provvedimento impugnato si fonda su una motivazione articolata e diffusa, nella quale, non soltanto si richiamano le due precedenti “informative supplementari atipiche” già emesse dallo stesso prefetto di Novara nei confronti della società ricorrente negli anni 2009 e 2013 e i provvedimenti giurisdizionali, di primo e secondo grado, che si sono pronunciati sulla prima di tali informative (confermandone la legittimità), ma si delinea un quadro indiziario composito e congruente, non limitato alla valutazione dei soli rapporti di parentela, ma diretto ad evidenziare anche i rapporti personali, pregressi ed attuali, tra l’attuale amministratore unico della società ricorrente ed esponenti della criminalità organizzata, nonché l’esistenza di ramificate cointeressenze tra la stessa impresa ricorrente ed altre imprese collegate a soggetti contigui alla criminalità organizzata ».

8. Quanto alla censura di illegittimità dei provvedimenti prefettizi per contrasto con la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU), con la Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea e con la Costituzione della Repubblica , il giudice di prime cure avrebbe omesso di considerare che i casi nei quali la Corte EDU ha ritenuto illegittimo il mancato contraddittorio tra cittadino e amministrazione prima dell'emissione dell'atto lesivo non sono dissimili da quelle del procedimento di adozione dell'interdittiva prefettizia, cosicchè è legittimo pensare che anche ad essa dovrebbe applicarsi l'art. 6 CEDU.

Inoltre – ed a differenza di quanto sostenuto dal giudice di prime cure - analizzando la giurisprudenza della Corte di giustizia si evincerebbe che la semplice e potenziale minaccia all'ordine pubblico nazionale non è di per sè sola sufficiente a giustificare i meccanismi di ‘compressione derogatoria’. Sul piano costituzionale, infine, la disciplina legislativa del Codice Antimafia, nella parte in cui dà al Prefetto la sola facoltà di audire l’imprenditore, sarebbe in contrasto con i principi costituzionali se confrontata con il dovere del prefetto di dare seguito alla richiesta di aggiornamento istruttorio: in sintesi sarebbe irragionevole l’aver sancito l’obbligo di riesaminare ex post e non già l’obbligo di audire ex ante .

9- Come già evidenziato dal Giudice di prime cure, ai sensi dell’art. 93, comma 7, D. Lgs. n. 159/2011 l’audizione personale dell’interessato da parte del prefetto è meramente facoltativa ed è rimessa ad una valutazione dello stesso Prefetto (« ove lo ritenga utile »).

La normativa dunque, lungi dall’escludere l’audizione, la rimette ad una valutazione caso per caso dell’autorità che conduce il procedimento.

Nel caso di specie l’audizione non v’è stata, per la presumibile ragione che trattavasi di una informativa che, come del resto sottolineato dalla stessa appellante, giungeva dopo due informative atipiche e, soprattutto, si fondava su fatti agevolmente accertabili e non opinabili (legami di parentela, condanne passate in giudicato, intrecci societari con società interdette);
nè risulta che l’impresa abbia formulato specifica istanza di essere audita.

La valutazione fatta dal Prefetto è stata dunque ragionevole.

9.1. Le considerazioni di cui sopra consentono di superare ogni considerazione in ordine alla compatibilità dell’art. 93, comma 7, D. Lgs. n. 159/2011, con la CEDU, così come interpretata dalla Corte Europea.

La normativa italiana prevede il diritto ad essere sentito e consente il sindacato giurisdizionale di una eventuale valutazione amministrativa che comprima irragionevolmente tale diritto.

9.2. Quanto alla dedotta violazione della Carta europea dei diritti umani, va osservato che essa non si applica in materie estranee (come la prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata) alle attribuzioni dell’Unione europea;
e comunque non si applica a rapporti economici, come quelli facenti capo alla -O-, privi di qualsiasi dimostrata rilevanza transfrontaliera.

10. Con un’ultima censura, l’appellante critica l’affermazione circa il carattere riservato del procedimento, fatta dal giudice di prime cure al fine giustificare la sottrazione dello stesso all’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento. La riservatezza, secondo l’appellante non avrebbe ragion d’essere con riguardo al caso di specie, considerato che trattasi dell’ultima di tre informative in relazione a vicende ben note all’appellante.

11. La censura va respinta per un duplice ordine di considerazioni.

In primo luogo, rileva il sopra richiamato l’art. 93, comma 4, del d.lgs. 159/2011, per il quale l’audizione dell’interessato è «eventuale», vale a dire che può, ma non anche che deve essere disposta dall’Amministrazione.

Tale disposizione si pone in coerenza con il carattere di tutela preventiva intrinsecamente caratterizzato da profili di urgenza del provvedimento, ed al quale pertanto, secondo la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio, non si applica l’art. 7 della legge 241/1990 (cfr. Cons. Stato, III, n. 4657/2015;
n. 3653/2015;
V, n. 1148/2009;
VI, n. 756/2008;
V, n. 3126/2007, V n. 851/2006;
VI, n. 6555 /2006).

Inoltre, come già rilevato da questa Sezione con le sentenze n. n. 3576 e 3009 del 2016, rilevano le connessioni stabilite dalla legge (e in particolare dall’art. 91 del codice n. 159 del 2011), tra il procedimento ‘presupposto’ – riguardante la stipula di un contratto o di un subcontratto ovvero l’emanazione di uno degli atti indicati dall’art. 67 del medesimo codice – e quello ‘consequenziale’ che termina con il provvedimento del Prefetto.

Infatti, tale secondo procedimento va attivato ex lege necessariamente: in un sistema nel quale gli operatori del settore sono necessariamente sottoposti alle valutazioni della competente Prefettura, non occorre che all’impresa sia segnalata l’attivazione della ulteriore e necessaria fase procedimentale (nel corso della quale essa comunque può fornire alla competente Prefettura gli elementi che ritenga di sottoporre alla sua valutazione), il che rileva anche nell’ipotesi in cui l’oggetto del procedimento ‘presupposto’ sia diverso da quello degli altri atti, emessi dopo l’emanazione dell’atto della Prefettura.

11.2. Inoltre. va osservato che in concreto l’appellante non poteva non conoscere dell’esistenza di un procedimento teso a verificare l’esistenza di un rischio di infiltrazione, atteso che la stazione appaltante ha sempre l’obbligo di stimolarne l’attivazione presso la competente Prefettura ove intenda, sulla base delle risultanza delle procedura di evidenza, instaurare con l’impresa rapporti contrattuali rilevanti.

La formale comunicazione dell’avvio del procedimento serve in questi casi a dare notizie in ordine all’esatta data di avvio del procedimento, ai tempi del procedimento, all’autorità competente a procedere e ad emanare l’atto finale, ossia a fornire elementi illustrativi e di dettaglio che servono ad agevolare il compito all’imprenditore che voglia partecipare al procedimento a mezzo di memorie o documenti.

Tuttavia, nell’ambito dei due gradi del contenzioso giurisdizionale, l’appellante ha avuto ogni facoltà di produrre documenti ed argomentazioni difensive, e al vaglio giurisdizionale essi sono stati considerati insufficienti a sostanziare conclusioni diverse da quelle cui è giunta l’amministrazione.

Sicchè, anche a voler accedere alle considerazioni dell’appellante in punto di riservatezza, sarebbe del tutto inutile discorrere di un vizio che si è rivelato, infine, di mera forma.

12. In conclusione, l’appello è respinto.

13. Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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