Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-05-11, n. 202002962

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-05-11, n. 202002962
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202002962
Data del deposito : 11 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/05/2020

N. 02962/2020REG.PROV.COLL.

N. 06524/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6524 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati N D C, A M, R R, G G, F D, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A M in Roma, via Confalonieri n. 5;

contro

Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Verona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, non costituito in giudizio;

nei confronti

Ufficio Motorizzazione Civile di Verona, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente una informazione interdittiva antimafia;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Verona;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza del giorno 30 aprile 2020 il Cons. Stefania Santoleri e trattenuta la causa in decisione ai sensi del d.l. n. 18/2020;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. - Con il ricorso di primo grado R.G. n. -OMISSIS-, proposto dinanzi al TAR per il Veneto, la società ricorrente ha impugnato l’interdittiva antimafia emessa dal Prefetto di Verona, datata 30 marzo 2017, e gli atti ad essa connessi.

Come emerge dagli atti di causa, la -OMISSIS- è una società di autotrasporto costituita nel -OMISSIS-dai soci -OMISSIS-(il cui padre -OMISSIS-sarebbe, secondo la Prefettura, il reale dominus della società) e -OMISSIS-(rispettivamente, cognato e genero degli altri due). La società ha avuto inizialmente sede legale in -OMISSIS- (-OMISSIS-), quindi la sede è stata trasferita in -OMISSIS-, (-OMISSIS-) dapprima in via -OMISSIS-, poi in -OMISSIS-.

La società ricorrente dispone di circa centocinquanta automezzi, tra veicoli e rimorchi, e di oltre cento dipendenti e vanta importanti commesse da parte di soggetti pubblici e privati, tanto da maturare nell’anno-2016 un fatturato di circa € 11.000.000,00 tra trasporto e noleggio.

2. - Con distinto ricorso R.G. n. -OMISSIS-tale società ha impugnato, altresì, il decreto dell’Ufficio Motorizzazione Civile di Verona del 14 settembre 2017, recante sospensione della stessa società dell’autorizzazione all’esercizio della professione di autotrasportatore su strada di merci (A.E.P.) unitamente alla comunicazione di avvio del procedimento di sospensione.

Il provvedimento di sospensione dell’autorizzazione è stato adottato dall’autorità competente in virtù del sopraggiungere dell’informativa antimafia interdittiva – gravata con il ricorso R.G. n. -OMISSIS- – dalla quale è derivata la perdita del requisito dell’onorabilità, necessario ai fini del rilascio e della conservazione dell’autorizzazione stessa.

Il decreto di sospensione dell’A.E.P. ha disposto, in aggiunta, l’obbligo di restituzione (entro quindici giorni) delle carte di circolazione, ed ha accordato alla società intimata il termine di n. 45 giorni per regolarizzare la propria posizione con l’avviso che, in caso di mancata regolarizzazione, si sarebbe avviato il procedimento di revoca del titolo autorizzatorio.

2. - Quest’ultimo provvedimento è stato sospeso dal TAR con ordinanza n. -OMISSIS-e, quindi, la società ha continuato a svolgere la propria attività nonostante l’interdittiva antimafia fino alla definizione del giudizio di primo grado (cfr. pag. 3 ricorso in appello).

3. - Con la sentenza impugnata il TAR, dopo aver riunito i due ricorsi, li ha respinti.

4. - Avverso tale sentenza la società ricorrente ha proposto appello chiedendone anche, in via cautelare, la sospensione degli effetti.

4.1 - Si è costituita in giudizio l’Amministrazione dell’Interno chiedendo il rigetto dell’appello.

4.2 - Con ordinanza n. -OMISSIS-la Sezione – confermando il decreto monocratico n.-OMISSIS-– ha respinto l’istanza cautelare.

4.3 - L’appellante ha depositato, in data 10/2/2020, la memoria ex art. 73 c.p.a. in relazione all’udienza di discussione fissata per il giorno 12 marzo 2020;
ha quindi depositato la memoria di replica del 20/2/2020, con la quale ha contestato la memoria prodotta dall’Amministrazione dell’Interno.

4.4 - La causa già fissata per il giorno 12 marzo 2020, è stata rinviata d’ufficio ai sensi dell’art. 84, comma 1, d.l. n. 18/2020, all’udienza del 30 aprile 2020.

4.5 - In data 24/4/2020 l’appellante ha depositato bevi note, ai sensi dell’art. 84, comma 5, d.l. n. 18/2020, formulando alcuni quesiti da sottoporre alla CGUE.

5. – All’udienza del 30 aprile 2020, tenutasi da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione ai sensi dell’art. 84 comma 5, d.l. n. 18/2020.

6. - L’appello è infondato e va, dunque, respinto.

6.1 - L’atto di appello si articola in una lunghissima parte in fatto (fino a pag. 22) nella quale l’appellante richiama i punti sui quali si fonda l’interdittiva antimafia contestandoli;
riporta anche stralci della sentenza di primo grado, in modo da fornire un quadro descrittivo completo al giudice di appello.

Ricorda l’appellante che l’interdittiva antimafia si articola in 8 capitoli ripercorrendo l’evoluzione storica della società, i rapporti di parentela, la asserita contiguità di -OMISSIS--OMISSIS-con esponenti della criminalità organizzata (‘ndrangheta);
richiama l’elenco delle società riconducibili a quest’ultimo, i procedimenti penali dai quali sarebbe emerso il suo nome e la sua contiguità con esponenti della criminalità, le vicende relative alle emissioni di fatture false, i contatti con taluni commercialisti collusi con la ‘ndrangheta;
richiama i rilievi svolti nei confronti di -OMISSIS-, nei confronti di -OMISSIS-, padre di -OMISSIS-(peraltro -OMISSIS-, secondo quando dedotto in appello);
sottolinea l’acquisto di mezzi e l’assunzione di personale controindicato delle ditte di -OMISSIS--OMISSIS-;
si riferisce specificatamente alle sedi legali e operative delle ditte di -OMISSIS--OMISSIS-con quelle della società -OMISSIS-e la comunanza dei commercialisti che si occupano delle diverse società.

In sostanza, ripercorre, in breve, gli elementi richiamati dal Prefetto nella lunghissima interdittiva antimafia.

6.2 - Ha ricordato l’appellante di aver censurato nel giudizio di primo grado tutti gli aspetti fornendo elementi – a suo dire - idonei a confutare la valutazione discrezionale resa dal Prefetto.

6.3 - L’ultima parte dell’atto di appello si riferisce al capo di sentenza che ha respinto il ricorso avverso il provvedimento dell’Ufficio della Motorizzazione Civile, consequenziale all’interdizione antimafia emessa dal Prefetto di Verona, in quanto disposta per carenza del requisito di onorabilità discendente dal provvedimento prefettizio (tale parte dell’appello sarà esaminata in seguito).

Da pag. 16 a pag. 20, l’appellante richiama stralci della sentenza di primo grado che ha respinto i tre motivi di ricorso proposti avverso il provvedimento prefettizio;
richiama poi i capi di sentenza con i quali il TAR ha rigettato anche il secondo ricorso RG -OMISSIS-(pag. 20-22).

6.4 - La parte in diritto dell’atto di appello si articola in più punti: i primi tre motivi di appello si riferiscono ai capi di sentenza che hanno respinto il ricorso RG -OMISSIS- proposto avverso l’interdittiva antimafia;
i successivi tre motivi di impugnazione riguardano, invece, il provvedimento conseguenziale adottato dall’Ufficio della Motorizzazione Civile.

La disamina delle censure seguirà l’ordine logico predisposto dall’appellante.

7. - Con il primo motivo lamenta l’appellante la censura di “errata e falsa motivazione della sentenza in relazione al vizio di violazione di legge e falsa applicazione degli artt. 84, 89-bis e 91 del d.lgs. n. 159/11 e per mancata applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/90”.

Sostiene l’appellante che mancherebbero, nel caso di specie, i “concreti elementi” e le “necessarie verifiche” richieste dall’art. 91, comma 6, del d.lgs. 159/11: il provvedimento prefettizio si fonderebbe essenzialmente sul rapporto di parentela con -OMISSIS--OMISSIS-, ma poiché quest’ultimo non avrebbe condanne a suo carico, il Prefetto avrebbe fatto riferimento ad intercettazioni telefoniche nei processi “-OMISSIS-” e “-OMISSIS-” ed indagini penali in cui compare il suo nominativo, senza considerare che quest’ultimo non risulta indagato.

Il Prefetto avrebbe applicato la regola che “il figlio di un mafioso non può non essere anche lui mafioso” con l’aggravante che “se un imprenditore conosce un mafioso è anche lui mafioso e di conseguenza lo sono anche i suoi parenti”, senza considerare che non sussistono procedimenti penali per reati di stampo associativo mafioso a carico di soci, o parenti di soci, e non vi è alcuna attività della società -OMISSIS-con imprese mafiose o interdette.

La sentenza avrebbe avallato le mere congetture su cui si fonda l’interdittiva, non potendo considerarsi indizi l’acquisto di alcuni camion e l’assunzione (sei anni prima) di alcuni ex dipendenti.

Non vi sarebbe prova che il figlio -OMISSIS-sarebbe solo formalmente socio, né vi sarebbero elementi di prova sulla contiguità con l’associazione criminale di -OMISSIS--OMISSIS-, dovendo ricorrere legami, frequentazioni, cointeressenze idonee a ritenere che il soggetto controindicato possa influire sulle scelte imprenditoriali dell’azienda.

I rapporti professionali tra -OMISSIS--OMISSIS-e il dott. -OMISSIS-sarebbero cessati nel 2012;
il rapporto con -OMISSIS--OMISSIS- sarebbe stato solo occasionale e del tutto casuale;
nei procedimenti penali nei confronti di quest’ultimo (operazione -OMISSIS-) sarebbe del tutto estraneo -OMISSIS--OMISSIS-, non interessato da questo procedimento né da quello denominato “-OMISSIS-”.

Aggiunge poi l’appellante che non vi sarebbero elementi per dimostrare che il vero dominus della società sarebbe -OMISSIS--OMISSIS-, in quanto tutti gli elementi a pag. 9 della sentenza sarebbero insufficienti: non rileverebbe il rapporto di parentela, la cessione dei veicoli e l’assunzione dei dipendenti;
la comunanza delle sedi non troverebbe riscontro nelle visure camerali, e la gestione della contabilità dagli stessi soggetti costituirebbe un elemento “neutro” e, comunque, non più attuale.

Non vi sarebbe prova del passaggio di testimone dal padre al figlio -OMISSIS-per eludere la normativa antimafia;
la giovane età dei soci non sarebbe elemento sufficiente, trattandosi di soggetti che avevano seguito l’attività di impresa fin da piccoli, e la sede legale a -OMISSIS- non avrebbe alcuno specifico significato.

Le conversazioni intercettate sarebbero del tutto sporadiche ed il giudice non avrebbe esaminato in concreto se l’attività della società -OMISSIS-potesse ritenersi a rischio di infiltrazioni.

Gli illeciti fiscali commessi dal padre – i cui giudizi sono ancora pendenti –, non riguarderebbero la società -OMISSIS-;
l’acquisto dei mezzi e l’assunzione del personale non avrebbe rilevanza, trattandosi di fatti risalenti nel tempo.

L’appellante contesta, infine, la statuizione del TAR secondo cui vi sarebbero stati stretti legami tra -OMISSIS--OMISSIS-e la criminalità organizzata.

8. - Con il secondo motivo di appello ha dedotto l’appellante la censura di “Errata e falsa motivazione della sentenza in ordine al difetto di istruttoria, difetto dei presupposti – travisamento dei fatti – difetto di motivazione abuso sviamento e violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità”.

Sostiene l’appellante che la motivazione della sentenza sarebbe solo apparente: il giudice avrebbe dovuto operare una ponderazione rigorosa degli elementi addotti dal Prefetto con il principio costituzionale della libera iniziativa economica: l’interdittiva, quindi, dovrebbe essere proporzionale al rischio concreto di future infiltrazioni.

9. - Con il terzo motivo, infine, l’appellante ha dedotto la doglianza di “Illegittimità costituzionale dell’art. 84, comma 4, d.lgs. 159/11 per contrasto con l’art. 117 Cost. in relazione all’art. 1 protocollo 1 add. e art. 6 CEDU”.

Tale doglianza è stata prospettata in relazione a quanto stabilito della Corte EDU nella causa De Tommaso c/Italia (sentenza 23/2/2017) nella quale la Corte di Strasburgo ha esaminato la tematica dei rapporti tra le misure di prevenzione personale ed il requisito della tipicità legale, imponendone una tipizzazione e codificazione.

Da tale pronunciamento è stato ipotizzato che anche l’informativa antimafia “generica”, nelle ipotesi dell’art. 84, comma 4, lett. d) ed e) del d.lgs. n. 159/11, conterebbe un deficit di tipicità non dissimile da quello che, secondo i giudizi di Strasburgo, affligge l’art. 1, lett. a) e b) del medesimo d.lgs. n. 159/2011.

L’appellante, seguendo questa impostazione, ha sottolineato la mancata tipizzazione dei presupposti applicativi dell’informazione antimafia, sostenendo che non consentirebbe la prevedibilità dei comportamenti “a rischio”, con conseguente illegittimità gli artt. 84, comma 4 e 91 comma 6 del d.lgs. 159/11 per violazione dell’art. 1, protocollo addizionale;
ha anche rilevato che l’attuale sistema giurisdizionale sull’interdittiva – affidato al giudice amministrativo che dispone di un limitato controllo di legittimità e non di merito – priverebbe il cittadino di una tutela giurisdizionale effettiva, con ciò violando l’ art. 6 CEDU.

Tale doglianza è stata poi sviluppata – ed integrata – nella memoria del 10 febbraio 2020, con la quale l’appellante ha anche chiesto la sospensione impropria del giudizio di appello in attesa della decisione della Corte di Giustizia UE sull’istanza di rinvio pregiudiziale disposto dal TAR per la Puglia con ordinanza n. 28 del 13 gennaio 2020.

10. - I tre motivi di appello, essendo tra loro intimamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

11. - Tali doglianze non possono essere condivise.

11.1 - Correttamente il TAR ha richiamato i costanti principi espressi dalla giurisprudenza, anche di questa Sezione ed, in particolare, quelli indicati nella sentenza n. 1743/2016 che vengono qui richiamati, per sintesi.

L'informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del D.Lgs. n. 159 del 2011, presuppone "concreti elementi da cui risulti che l'attività d'impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata'.

Sia in sede amministrativa che in sede giurisdizionale - rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione 'parcellizzata' di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri”.

In ogni caso, l'impianto motivazionale dell'informativa (ex sè o col richiamo agli atti istruttori) deve fondarsi su una rappresentazione complessiva, imputabile all'autorità prefettizia, degli elementi di permeabilità criminale che possano influire anche indirettamente sull'attività dell'impresa, la quale si viene a trovare in una condizione di potenziale asservimento - o comunque di condizionamento - rispetto alle iniziative della criminalità organizzata di stampo mafioso (ovvero "comunque localmente denominata”).

11.2 - Il tema della contiguità con la criminalità organizzata è stato poi, di recente, approfondito dalla Sezione che ha distinto tra quella c.d. soggiacente e quella c.d. compiacente (Cons. Stato, Sez. III 31/1/2019 n. 758;
5/9/2019 n. 6105), stigmatizzando la particolare insidiosità di quest’ultima, per la propria capacità pervasiva all’interno dell’economia.

Ha sottolineato la Sezione (sent. n. 758/2019) il mutamento intervenuto nel fenomeno mafioso che è passato dalle “tragiche stagioni di sangue degli attacchi frontali allo Stato” alla quotidiana occupazione di settori economici penetrando nell’economia legale.

Il fenomeno è particolarmente evidente nel caso di contiguità compiacente, in cui si rinvengono condotte ambigue di operatori che, benchè siano formalmente estranei ad associazioni mafiose, si pongono su una pericolosa linea di confine tra legalità ed illegalità nell’esercizio dell’attività imprenditoriale.

11.3 - Quanto all’individuazione degli elementi sui quali può fondarsi il provvedimento prefettizio, la Sezione ha delineato, con la sentenza n. 1743/2019, una tipizzazione delle situazioni sintomatiche, richiamando sia quelle desunte da indicazioni legislative, sia quelle ricavate dalla casistica giurisprudenziale, fornendo un decalogo aperto dal quale attingere per l’individuazione degli elementi rilevanti ai fini della misura di prevenzione antimafia in questione, soddisfacendo, in questo modo, il principio di tipicità del quale l’appellante lamenta, infondatamente, la violazione.

Questa Sezione (cfr. Cons. Stato, Sez. III n. 6105/2019) ha già ritenuto che non ricorre in materia né una “norma in bianco”, né una delega all’arbitrio dell’autorità amministrativa, imprevedibile per il cittadino ed insindacabile per il giudice, ma soltanto una clausola generale aperta, sufficientemente delineata dalla tassativizzazione operata dalla giurisprudenza amministrativa.

A quest’ultimo proposito è opportuno rilevare – in risposta ad una precisa obiezione dell’appellante – che tale tipizzazione riconducibile alla sentenza n. 1743/2016 non ha portata retroattiva, in quanto la casistica ivi delineata si limita a riprendere quella desumibile dalla costante giurisprudenza amministrativa in tema di rapporti di parentela, frequentazioni, cointeressenze, vicende anomale dell’impresa, intestazioni fittizie di società, ricorso alle c.d. teste di legno, scambio di mezzi e di personale, intrecci societari in ambito familiare, società di tipo familiare o clanico, e così via.

Se si scorre la casistica indicata nella sentenza n. 1743/2016 si ritrovano le situazioni che a loro volta integrano “i concreti elementi” cui fa riferimento la normativa e la giurisprudenza di settore da moltissimi anni per l’adozione del provvedimento di interdizione antimafia.

11.4 - Anche il principio del “più probabile che non” indicato in tale sentenza trova i suoi precedenti nella giurisprudenza amministrativa precedente (Cons. St., sez. III, 7 ottobre 2015, n. 4657;
Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2011, n. 15709) ed è stato ulteriormente precisato dalla giurisprudenza successiva di questa Sezione, facendo riferimento al principio della c.d. “probabilità cruciale”, secondo cui il provvedimento di prevenzione può essere adottato quando l’ipotesi dell’infiltrazione mafiosa deve ritenersi più probabile rispetto a “tutte le altre ipotesi messe insieme”, quando cioè presenta una soglia di significatività tale da essere superiore a qualunque altra spiegazione logica, laddove l’esistenza di spiegazioni divergenti fornite da qualche elemento concreto, implicherebbe un ragionevole dubbio (Cons. Stato Sez. III, 26 settembre 2017, n. 4483;
5 settembre 2019 n. 6105), con la precisione che la valutazione degli elementi non deve effettuarsi in modo atomistico, ma complessivo, in quanto un solo elemento in sé – sganciato da tutti gli altri – potrebbe non assumere sufficiente significatività e non superare il parametro della probabilità cruciale, ma va preso in considerazione all’interno del complesso degli elementi, effettuando una valutazione prognostica di tipo complessivo, verificando se l’insieme degli elementi sui quali si fonda l’interdittiva sia tale da suffragare, a fini probabilistici nei termini sopra specificati, il giudizio di pericolosità svolto dal Prefetto.

11.5 - A quest’ultimo proposito è bene ricordare che, trattandosi di una misura di prevenzione, non è richiesto che l’accertamento della responsabilità superi qualsivoglia dubbio, tipico del settore penale, non potendo applicarsi alla materia della prevenzione – fondata sul pericolo – le categorie proprie del diritto e del processo penale che frustrerebbero irrimediabilmente la funzione preventiva.

Già nella sentenza n. 1743/2016 la Sezione aveva ribadito – riprendendo il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa che era estranea “al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né - tanto meno - occorre l'accertamento di responsabilità penali, quali il "concorso esterno” o la commissione di reati aggravati ai sensi dell'art. 7 della L. n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell'informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante”.

11.6 - La natura di prevenzione dell’interdizione antimafia, e la correlativa esclusione della sua natura sanzionatoria, consente di superare i rilievi svolti nella memoria da parte della appellante richiamando la sentenza della Corte Costituzionale del 5 dicembre 2018 n. 222 in tema di violazione del principio di proporzionalità e di durata predeterminata delle sanzioni, in quanto inapplicabili ad una misura che non ha natura e funzione di tipo sanzionatorio.

Ad ogni buon conto l’interdizione antimafia è passibile di revisione da parte dell’Amministrazione e, quindi, non si appalesa – per propria natura – come necessariamente irreversibile;
la “morte” dell’impresa non costituisce l’esito indefettibile dopo l’adozione dell’interdizione prefettizia, essendo state apprestate dall’ordinamento (anche a prescindere dalla possibile revisione del provvedimento di interdizione antimafia) altre misure a tutela della continuità aziendale mediante estromissione degli elementi di contagio con la criminalità organizzata che avevano indotto il Prefetto ad assumere la misura di prevenzione antimafia (art. 34-bis d.lgs. 159/11;
art. 32, comma 10, D.L. n. 90 del 2014, convertito in L. n. 114 del 2012).

12. – È opportuno sottolineare come questa Sezione si sia già fatta carico di esaminare la questione di costituzionalità dedotta dall’odierno appellato con riferimento a quanto ritenuto dalla Corte EDU nella sentenza De Tommaso c/Italia ritenendola manifestamente infondata (in relazione a tale aspetto si fa espresso rinvio, in base al criterio di sinteticità di cui all’art. 3, comma 2, c.p.a. alle sentenze sopra citate n. 758/2019 e 6105/2019).

13. - Quest’ultima sentenza si è anche pronunciata, implicitamente, sull’ulteriore questione di costituzionalità, dedotta nella memoria ex art. 73 c.p.a., relativa all’asserito difetto di proporzionalità dal quale sarebbe affetta la misura, ritenendo come “il codice antimafia abbia, al suo interno, principi ed istituti – ancorchè diversi dalla interdittiva antimafia – che sono posti a presidio di un ragionevole contemperamento tra l’interesse generale prioritario alla prevenzione contro la mafia e il diritto di ciascun imprenditore alla tutela costituzionale di cui all’art. 41 Cost, appunto con i limiti che spetta al legislatore stabilire.

13.1 - L’istituto della gestione con controllo giudiziale di cui all’art. 34-bis del codice antimafia, introdotto dall’art. 11 della L. n. 161 del 2017, dimostra, in particolare, come il legislatore abbia ben considerato l’ipotesi in cui – pur in presenza di una informazione antimafia – l’interesse alla sopravvivenza di una impresa può essere tutelata accordando una “occasione” per rimuovere entro un periodo temporale breve, grazie appunto al controllo giudiziale sulla gestione aziendale, la contaminazione mafiosa che il provvedimento interdittivo aveva rilevato;
tale misura comporta la sospensione dell’effetto interdittivo dell’impresa per tutto il periodo della amministrazione controllata.

In pratica, “ove la contaminazione mafiosa sia ritenuta occasionale e quindi rimovibile in tempi brevi, la tutela costituzionale dell’impresa può essere garantita, seppure sotto il controllo del giudice cui spetterà valutare se durante il periodo stabilito – di solito uno o due anni – le infiltrazioni siano state tutte rimosse”.

Ha ritenuto, quindi, la Sezione che “non sussistano dubbi relativi alla sistematica condizione di equilibrio e contemperamento realizzata dal codice antimafia con riguardo a interessi e diritti meritevoli di indubbia considerazione” (Cons. Stato, Sez. III, n. 6105/2019 cit.).

13.2 - Peraltro, è opportuno rilevare che è stata versata in atti l’istanza ex art. 34-bis del d.lgs. n. 159/11 presentata dall’appellante al Tribunale di Venezia – Sezione per le Misure di Prevenzione, datata 29 luglio 2019 a dimostrazione che la società appellante ha già chiesto l’applicazione di tale strumento.

Con decreto n.-OMISSIS-del 20/2/2018, depositato nel fascicolo di primo grado RG -OMISSIS-, il Tribunale Ordinario di Venezia ha respinto l’istanza;
nella motivazione il giudice penale richiama il contenuto dell’interdittiva antimafia sottolineandone gli elementi di spessore rappresentando che non avrebbero potuto consentire “nella migliore delle ipotesi” “alcuna prognosi pienamente tranquillizzante” tenuto conto – tra l’altro – dei legami e della “contiguità con ambienti mafiosi propri dei professionisti che da anni e continuativamente figurano depositari delle scritture contabili della società”.

Tale provvedimento non è stato impugnato.

Ciò consente di superare anche gli ulteriori dubbi di costituzionalità sollevati nella memoria defensionale in merito alla mancanza di gradualità e temporaneità della misura.

14. - In merito alla temporaneità (che assume rilievo anche in relazione alla proporzionalità) è opportuno richiamare la decisione della Corte Costituzionale n. 57/2020 (par. 6) che ha sottolineato il carattere provvisorio della misura.

La Corte ha richiamato “l’art. 86, comma 2, del d.lgs. 159 del 2011, secondo cui l’informativa antimafia ha una validità limitata di dodici mesi, cosicchè alla scadenza del termine occorre procedere alla verifica della persistenza o meno delle circostanze poste a fondamento dell’interdittiva con l’effetto, in caso di conclusione positiva, [….] del recupero dell'impresa al mercato, [….] per scongiurare il rischio della persistenza di una misura non più giustificata e quindi di un danno realmente irreversibile”.

15. - Infine è opportuno sottolineare che nella sentenza n. 758/2019 questa Sezione si è anche pronunciata sulla problematica relativa al contraddittorio procedimentale che ha costituito oggetto del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE da parte del TAR per la Puglia;
la problematica è stata quindi approfondita dalla Sezione nella sentenza del 31 gennaio 2020 n. 820 nella quale si è precisato come “l'assenza di una necessaria interlocuzione procedimentale in questa materia non costituisca un vulnus al principio di buona amministrazione, perché, come la stessa Corte UE ha affermato, il diritto al contraddittorio procedimentale e al rispetto dei diritti della difesa non è una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a restrizioni, a condizione che "queste rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti" (sentenza della Corte di Giustizia UE, 9 novembre 2017, in C-298/16, 35 e giurisprudenza ivi citata) e, in riferimento alla normativa italiana in materia antimafia, la stessa Corte UE, seppure ad altri fini (la compatibilità della disciplina italiana del subappalto con il diritto eurounitario), ha di recente ribadito che "il contrasto al fenomeno dell'infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del TFUE che si applicano nell'ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici" (Corte di Giustizia UE, 26 settembre 2019, in C-63/18, 37)”.

“La discovery anticipata, già in sede procedimentale, di elementi o notizie contenuti in atti di indagine coperti da segreto investigativo o in informative riservate delle forze di polizia, spesso connessi ad inchieste della magistratura inquirente contro la criminalità organizzata di stampo mafioso e agli atti delle indagini preliminari, potrebbe frustrare la finalità preventiva perseguita dalla legislazione antimafia, che ha l'obiettivo di prevenire il tentativo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, la cui capacità di penetrazione nell'economia legale ha assunto forme e "travestimenti" sempre più insidiosi”.

“Questa Sezione ha perciò già chiarito che la delicatezza della ponderazione intesa a contrastare in via preventiva la minaccia insidiosa ed esiziale delle organizzazioni mafiose, richiesta all'autorità amministrativa, può comportare anche un'attenuazione, se non una eliminazione, del contraddittorio procedimentale, che del resto non è un valore assoluto, come ha pure chiarito la Corte di Giustizia UE nella sua giurisprudenza (ma v. pure Corte Cost.: sent. n. 309 del 1990 e sent. n. 71 del 2015), o slegato dal doveroso contemperamento di esso con interessi di pari se non superiore rango costituzionale, né un bene in sé, o un fine supremo e ad ogni costo irrinunciabile, ma è un principio strumentale al buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e, in ultima analisi, al principio di legalità sostanziale (art. 3, comma secondo, Cost.), vero e più profondo fondamento del moderno diritto amministrativo (Cons. St., sez. III, 9 febbraio 2017, n. 565)”.

“E d'altro canto, occorre qui ricordarlo, il contraddittorio procedimentale non è del tutto assente nemmeno nelle procedure antimafia, se è vero che l'art. 93, comma 7, del D.Lgs. n. 159 del -OMISSIS-prevede che "il prefetto competente al rilascio dell'informazione, ove lo ritenga utile, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite invita, in sede di audizione personale, i soggetti interessati a produrre, anche allegando elementi documentali, ogni informazione ritenuta utile" (cfr. sentenza n. 820/2020 cit.).

15.1 - Sulla base di tali presupposti, ritiene il Collegio di dover respingere l’istanza di sospensione del presente procedimento in pendenza della definizione della causa pregiudiziale pendente dinanzi alla Corte di Giustizia UE (ord. n. 28 del 13 gennaio 2020).

16. - Infine, in relazione all’asserito deficit di tutela in sede giurisdizionale in materia di interdizione antimafia (e dunque con riferimento all’asserita violazione dell’art. 6 CEDU), è opportuno ricordare che la Corte Costituzionale, nella recentissima sentenza del 26 marzo 2020 n. 57 (par. 5.2), ha ritenuto che le complesse valutazioni discrezionali su cui si fonda l’interdizione antimafia “sono soggette ad un vaglio giurisdizionale pieno ed effettivo”. Ha quindi aggiunto la Corte che le numerose sentenze amministrative che si sono occupate dell’istituto “… non si limitano ad un controllo "estrinseco" [….] e, pur dando il giusto rilievo alla motivazione, procedono ad un esame sostanziale degli elementi raccolti dal prefetto, verificandone la consistenza e la coerenza”.

16. - Svolta questa ampia parentesi di carattere generale è possibile procedere alla disamina delle doglianze proposte al fine di verificare se, come asserito dall’appellante, i concreti elementi addotti dal Prefetto di Verona siano tali da legittimare l’adozione del provvedimento di interdizione antimafia.

16.1 - Nella sentenza di primo grado il TAR ha dapprima richiamato i presupposti sui quali si fonda il provvedimento prefettizio: il primo giudice ha rilevato che l’interdittiva impugnata (in particolare il paragrafo 8 contenente le “valutazioni conclusive”) elenca una molteplicità di indici che comprovano il rischio di infiltrazioni mafiose nella società appellante;
tali elementi dimostrano che il vero “dominus” della società è -OMISSIS--OMISSIS-, cioè un soggetto la cui contiguità ed i cui consolidati rapporti personali e di affari (o, quantomeno, di cointeressenza economica) con esponenti di spicco della criminalità organizzata, sono stati descritti e analizzati partitamente dalla Prefettura di Verona in un apposito paragrafo (il n. 4) dell’interdittiva stessa.

16.2 - Ha quindi aggiunto che “gli elementi da cui si desume la riconducibilità della società appellante al controllo “di fatto” di -OMISSIS--OMISSIS-sono i seguenti:

1) gli attuali soci della società interdetta sono il -OMISSIS-e -OMISSIS-, i quali – al di là dei forti legami familiari (il primo è il figlio convivente, mentre il secondo, che peraltro detiene solo l’1% della società, è il genero) – sono stati dipendenti di -OMISSIS--OMISSIS-per l’intera loro precedente carriera lavorativa;

2) la parte preponderante dei veicoli (oltre novanta) e dei dipendenti (circa ottanta) di cui dispone la società ricorrente proviene dalla cessione da parte di altre imprese (-OMISSIS-di cui -OMISSIS--OMISSIS-è socio di maggioranza ed amministratore unico);

3) la sede legale, ma anche, con ogni verosimiglianza, la sede operativa della società appellante sono ubicate presso gli stessi indirizzi dov’erano stabilite sedi o unità locali di precedenti imprese degli-OMISSIS-e, in specie,-OMISSIS-S.r.l.;

4) risulta una totale coincidenza tra i soggetti che curarono e curano la gestione fiscale delle imprese di -OMISSIS--OMISSIS-e del figlio -OMISSIS-”.

16.3 - A tali indici ha poi aggiunto quello, su cui ha posto l’accento l’ordinanza cautelare di questa Sezione n. -OMISSIS-, consistente nella partecipazione, all’assemblea straordinaria della stessa società appellante del -OMISSIS-, indetta per decidere la modifica della sede legale della società, del sig. -OMISSIS- in rappresentanza (per delega) del socio di minoranza della società, il già citato -OMISSIS-: circostanza, questa, che assume particolare importanza alla luce del fatto che il predetto commercialista – socio dello studio che ha svolto consulenza fiscale per il 2012 nei confronti di tutte le ditte intestate ad -OMISSIS--OMISSIS-, alla di lui moglie, ed al loro figlio -OMISSIS-– è stato successivamente condannato in primo grado dal Tribunale di Bologna, con sentenza del 22 aprile 2016, a dieci anni e quattro mesi di reclusione, per una serie di reati tra cui l’associazione a delinquere di stampo mafioso.

16.4 - Ha quindi ritenuto il TAR immune da vizi la valutazione resa dal Prefetto di Verona, secondo cui “passaggio di testimone” delle aziende (comprensive di mezzi e personale) direttamente intestate ad -OMISSIS--OMISSIS-all’-OMISSIS-altro non sia stata che un’operazione di facciata per celare il fatto che costui era il reale “dominus” della società e che, quindi, l’operazione ad altro non serviva che ad eludere la normativa antimafia. Ed a riprova di ciò, basti considerare – come fa l’interdittiva – la giovanissima età (circa 20 anni) che all’epoca aveva -OMISSIS-, il quale costituì la società nel gennaio del -OMISSIS-e presiedette l’assemblea straordinaria del -OMISSIS-, e che è inverosimile potesse avere le doti di esperienza professionale necessarie per dirigere una struttura aziendale di notevole consistenza. Altrettanto importante è, poi, il ruolo del -OMISSIS-, nel quale plausibilmente l’interdittiva individua il collaboratore e consulente dell’effettivo dominus dell’operazione, -OMISSIS--OMISSIS-.

16.5 - Quanto ai rapporti di affari e di cointeressenze economiche intessuti da -OMISSIS--OMISSIS-con personaggi contigui, se non addirittura affiliati ai sodalizi criminosi, gli stessi – come già accennato – vengono analiticamente descritti in uno specifico paragrafo del provvedimento (il n. 4, intitolato appunto “-OMISSIS--OMISSIS-e gli affari illeciti con la criminalità organizzata”), che occupa un vasto spazio nel corpo dell’interdittiva (pp. 5-27).

In tale sede sono analizzati, in specie, i rapporti dallo stesso coltivati, oltre che con il già citato -OMISSIS- con -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-(cognato del -OMISSIS-) e -OMISSIS-, ed è dettagliato il coinvolgimento a vario titolo di costoro negli affari illeciti della cosca “-OMISSIS-” di – -OMISSIS- (-OMISSIS-), incidentalmente la stessa località in cui aveva all’origine sede legale la -OMISSIS-

16.6 - Il TAR ha quindi ritenuto che: “il coacervo inestricabile di legami familiari e di affari che caratterizzano la compagine sociale della -OMISSIS- secondo una concezione “clanica” presente in altre realtà analoghe, tali per cui la citata società non può altro che considerarsi la “longa manus” del più volte menzionato -OMISSIS--OMISSIS-;
l’esistenza di ben documentati rapporti di conoscenza, di affari e di vera e propria contiguità tra costui ed esponenti della criminalità organizzata (puntualmente esposti nell’informativa interdittiva antimafia): tutti questi sono elementi che, valutati nel loro complesso, portano il Collegio a condividere le conclusioni della Prefettura di Verona, ad apprezzarne l’operato – caratterizzato da un’istruttoria completa ed esaustiva nell’approfondire ogni aspetto della vicenda – ed a respingere le censure dedotte da parte ricorrente”.

16.7 - Ha poi ribadito che – sulla base del principio del più probabile che non – la società -OMISSIS- non può ritenersi frutto dell’iniziativa autonoma dei giovani, all’epoca poco più che ventenni -OMISSIS-e -OMISSIS-, per crearsi un’azienda autonoma dalle gestioni familiari facenti capo, rispettivamente, al padre e suocero per avviare di propria iniziativa e con le proprie forze un’attività imprenditoriale, tanto più se si considera che notevole parte dei mezzi (91 su 148) e del personale (79 dipendenti su 93) provenivano da imprese di -OMISSIS--OMISSIS-.

17. - Tali statuizioni resistono alle censure proposte in appello.

17.1 - Le deduzioni dell’appellante mirano a ridimensionare ogni elemento attraverso una lettura parcellizzata, laddove invece la valutazione della “tenuta” del provvedimento di interdizione deriva dalla lettura complessiva di tutti gli elementi addotti dal Prefetto.

17.2 - Ebbene, alla stregua del principio della c.d. probabilità cruciale risulta pienamente condivisibile la ricostruzione del Prefetto, condivisa dal TAR, secondo cui la costituzione della società -OMISSIS-sia stata disposta al fine di eludere la normativa antimafia, con conseguente rischio di infiltrazione mafiosa, e che tale società sia influenzabile, se non addirittura gestita in via di fatto dal sig. -OMISSIS--OMISSIS-, tenuto conto:

- della giovane età dei due soci, il primo dei quali titolare del 99% delle quote sociali, figlio convivente con il padre -OMISSIS--OMISSIS-, ed il secondo genero dello stesso;

- della derivazione di buona parte dei mezzi e del personale da precedenti imprese dello stesso -OMISSIS--OMISSIS-;

- della comunanza delle sedi sociali;

- dell’utilizzazione dello stesso studio commerciale.

17.2.1 - Ricorre nel caso di specie il caso (frequentissimo, da quanto consta a questa Sezione) in cui viene costituita, all’interno di un nucleo familiare caratterizzato da un capofamiglia (titolare di una pluralità di aziende che operano in un determinato settore economico), una nuova società intestata formalmente ad uno o più figli conviventi, di giovane età, o ad altri affini, privi di mezzi economici in via autonoma;
tale società si avvale dei mezzi e del personale (in toto o in parte) proveniente da precedenti società riconducibili allo stesso capofamiglia;
la nuova società ha sede presso lo stesso indirizzo di quelle preesistenti della stessa famiglia;
utilizza lo stesso supporto tecnico/contabile di quelle familiari. Tale situazione è stata stigmatizzata dalla giurisprudenza della sezione in più occasioni e costituisce ipotesi richiamata anche nella sentenza n. 1743/2016.

17.2.2 - Nel caso di specie, ulteriore elemento indiziario è desumibile dalla condizione di sequestro preventivo di tutte le quote delle società direttamente intestate ad -OMISSIS--OMISSIS-, elemento che corrobora la tesi prefettizia del “passaggio di testimone” al solo fine di trasferire l’attività già svolta in capo ad una nuova impresa, esente da gravami di qualunque natura, ma al contempo pienamente controllabile, come ritenuto dal Prefetto.

17.2.3 - Di fronte a tali elementi, la tesi dell’appellante diretta a sostenere che non vi sarebbe prova dell’influenza di -OMISSIS--OMISSIS-, e che i due giovani (poco più che ventenni al momento della costituzione della società e di poco più grandi al momento dell’interdittiva) avrebbero agito in via autonoma, sia al momento della costituzione della società, sia nella sua gestione, risulta poco credibile, e comunque sicuramente assai meno probabile rispetto alla ricostruzione del Prefetto.

17.2.3 - E’ altrettanto ragionevole la spiegazione fornita dal Prefetto della presenza del commercialista -OMISSIS-, legato alla ‘ndrangheta emiliana e poi condannato in primo grado per il reato di associazione di stampo mafioso, all’assemblea straordinaria della società del -OMISSIS-.

Non basta sostenere che i due ragazzi “-OMISSIS-” per poter confutare la logica e attendibile ricostruzione del Prefetto, in quanto per costituire e gestire una società di quella entità occorre ben altra esperienza di quella di due ragazzi, oltre a notevoli mezzi economici.

18. - Quanto ai legami tra l’effettivo dominus della società, e cioè -OMISSIS--OMISSIS-ed il clan “-OMISSIS-” di -OMISSIS-, molto attivo in -OMISSIS-, nell’interdittiva sono elencati una pluralità di elementi idonei a sostenere tale vicinanza: vi sono plurimi rapporti commerciali (di natura illecita), solide cointeressenze economiche con:

- -OMISSIS- condannato in primo grado per associazione di stampo mafioso con il ruolo di organizzatore nell’ambito della ‘ndrina -OMISSIS-;

- -OMISSIS- -OMISSIS-, il commercialista di cui si servivano le società collegate in vario modo con tale ‘ndrina;

- -OMISSIS-, contiguo all’associazione mafiosa e prestanome (secondo il Prefetto) di -OMISSIS--OMISSIS-, attuale reggente della omonima cosca;

- -OMISSIS-, cognato e prestanome di -OMISSIS-, condannato in primo grado per emissione di fatture inesistenti e bancarotta fraudolenta nell’ambito della operazione antimafia denominata “-OMISSIS-”;

- -OMISSIS-, condannato per associazione di tipo mafioso nell’operazione ‘-OMISSIS-quale appartenente all’associazione -OMISSIS- e condannato in via definitiva per il reato di cui all’art. 416 bis c.p.

19. - A seguito di una compiuta istruttoria – della quale si dà ampio conto nell’informativa antimafia - è emerso che i maggiori contatti di -OMISSIS--OMISSIS-sussistevano con -OMISSIS--OMISSIS-, tanto che il giudice penale (sent. n. -OMISSIS- del G.I.P. pag. 551) ha definito il rapporto tra loro come di “-OMISSIS-”.

Nell’interdittiva il Prefetto ha richiamato “lo strettissimo e produttivo rapporto non solo per le molteplici fatture per operazioni inesistenti con le quali -OMISSIS- favorì l’attività evasiva di-OMISSIS--OMISSIS-, ma soprattutto l’attività di intercettazione telefonica e di registrazione ambientale delle conversazioni intercorse tra i due, tramite la quale si è appurata la consapevolezza delle rispettive – ed illecite operazioni commerciali” (indicate nel provvedimento a pag. 43).

20. - La conclusione del Prefetto, secondo cui il rapporto di -OMISSIS--OMISSIS-con -OMISSIS- – utilizzando anche il supporto di -OMISSIS-e di -OMISSIS- – è stato qualificato (nel rispetto del principio del più probabile che non) come “fattiva e cosciente collaborazione, basata sulla comune cointeressenza economica” risulta immune da vizi: da tali dati fattuali, interpretati secondo il criterio della c.d. “probabilità cruciale” emerge, infatti, una chiara ipotesi di “contiguità compiacente” della quale è stata già sottolineata la particolare pericolosità.

21. - Altrettanto chiari si appalesano i rapporti con -OMISSIS-, l’altro commercialista coinvolto, ben evidenziati nel provvedimento di interdizione impugnato (pag. 44) soggetto coindagato con lo stesso -OMISSIS--OMISSIS-per l’emissione di fatture false che, contrariamente a quanto sostenuto in giudizio dall’appellante, non si riferiscono ad una mera problematica di tipo fiscale, ma costituiscono una classica metodica utilizzata dalle associazioni criminali per il reimpiego del denaro.

22. - Il Prefetto ha poi sottolineato i legami con -OMISSIS-fornendo elementi indiziari di sicuro spessore in ordine alla riconducibilità di -OMISSIS--OMISSIS-al ‘bacino criminale’ della cosca -OMISSIS- di -OMISSIS-, tramite -OMISSIS-, affiliato al clan -OMISSIS- con sentenza passata in giudicato, attivo nel settore delle false fatturazioni per operazioni inesistenti, particolarmente lucroso per la criminalità organizzata (sent, Trib. di Bologna n. -OMISSIS-pag. 1276).

Ha anche richiamato i rapporti commerciali tra alcune imprese riconducibili ad -OMISSIS--OMISSIS-con soggetti intranei alla cosca -OMISSIS- (pag. 47).

23. - In relazione al figlio -OMISSIS-è stata inoltre precisato il rapporto di collaborazione professionale con il padre -OMISSIS-, precisando che entrambi risultavano coindagati per il reato di attività non autorizzata di rifiuti e per violazioni in materia edilizia, sottolineando anche l’intreccio di quote sociali nelle imprese di famiglia;
il Prefetto ha quindi sottolineato la rilevanza dell’acquisto di veicoli e l’assunzione di personale proveniente da società riconducibili a soggetti affiliati alla criminalità organizzata (pag. 47 dell’interdittiva).

Tali elementi, per la loro significatività, alla luce dei criteri indicati nella giurisprudenza di questa Sezione, non possono essere superati sulla base delle deduzioni dell’appellante, tenuto conto dei principi già richiamati in ordine alla natura preventiva dell’informazione antimafia e alla non applicabilità dei criteri propri del processo penale.

24. - E’ comunque opportuno sottolineare i principi già espressi dalla Sezione in ordine alla “regia familiare” (cfr. tra le tante, sent. n. 1743/16;
n. 6105/2019) specie con riferimento ai casi di soci di giovane età figli, fratelli o affini di imprenditori compromessi con soggetti, logiche e interessi riconducibili alla criminalità organizzata, per i quali non sussiste la sufficiente garanzia di mancato condizionamento;
la non necessarietà della condanna per associazione di stampo mafioso e neppure il rinvio a giudizio per tale fattispecie di reato, tenuto conto della natura di prevenzione della misura.

Questa Sezione ha costantemente ritenuto che il provvedimento di interdizione antimafia può trarre elementi a sostegno del rischio di contaminazione anche in sentenze di assoluzione o in atti processuali relativi a soggetti terzi, qualora ritenuti oggettivamente significativi del contatto con soggetti controindicati;
nel caso di specie i rapporti economici con soggetti collegati alla ‘ndrangheta sono emersi da intercettazioni telefoniche e sono richiamati in sentenze del giudice penale richiamate nel provvedimento impugnato;
sono emerse, nel caso di specie, non solo frequentazioni, ma anche cointeressenze con soggetti controindicati, puntualmente richiamate nell’atto impugnato.

Quanto requisito dell’attualità la giurisprudenza della Sezione è consolidata nel ritenere che “I fatti sui quali si fonda l'interdittiva antimafia possono anche essere risalenti nel tempo, nel caso in cui vadano a comporre un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata. Infatti, il mero decorso del tempo, di per sé solo, non implica la perdita del requisito dell'attualità del tentativo di infiltrazione mafiosa e la conseguente decadenza delle vicende descritte in un atto interdittivo, né l'inutilizzabilità di queste ultime quale materiale istruttorio per un nuovo provvedimento, donde l'irrilevanza della risalenza dei dati considerati ai fini della rimozione della disposta misura ostativa, occorrendo, piuttosto, che vi siano tanto fatti nuovi positivi, quanto il loro consolidamento, così da far virare in modo irreversibile l'impresa dalla situazione negativa alla fuoriuscita definitiva dal cono d'ombra della mafiosità” (cfr. Cons. Stato Sez. III, 02/01/2020, n. 2;
Cons. Stato Sez. III, 02/05/2019, n. 2855).

Le doglianze avverso il provvedimento di interdizione antimafia vanno quindi respinte.

25. - Vanno ora esaminate le doglianze proposte avverso il capo di sentenza che ha rigettato il ricorso RG -OMISSIS-.

25.1 - Come già rilevato in precedenza, a seguito dell’interdizione antimafia, l’Ufficio della Motorizzazione Civile, con provvedimento del 14 settembre 2017, ha sospeso l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di autotrasportatore rilasciata in favore dell’appellante ed ha assegnato un termine per la regolarizzazione.

25.2 - In primo grado la società -OMISSIS-aveva dedotto la violazione del considerando nn. 9 e 12 e dell’art. 13, par. 1, lett. a) e par. 3 del regolamento CE n. 1071/2009, lamentando il blocco immediato dell’attività e l’incongruenza del termine di 45 assegnato per regolarizzare la propria posizione.

25.3 - Il TAR ha respinto tale doglianza.

25.4 - Nell’atto di appello (quarto motivo), l’appellante ha reiterato la doglianza già sollevata con il ricorso di primo grado, censurando la statuizione del TAR;
ha ribadito l’insufficienza del termine di 45 giorni per la cessione dell’azienda a terzi, sottolineando che il rigetto della misura ex art. 34-bis del codice antimafia, da parte del Tribunale Ordinario di Venezia, sarebbe derivato dal termine troppo esiguo concesso, tale da non consentire di documentare le iniziative di recupero dell’onorabilità.

Ha anche criticato la decisione del TAR che aveva ritenuto congruo il termine in considerazione delle ragioni di ordine pubblico economico discendenti dalla interdizione antimafia, sottolineando che tale previsione non sarebbe rinvenibile nella normativa europea.

La normativa europea, infatti, prevedrebbe il termine di sei mesi.

26. - Con il quinto motivo l’appellante ha lamentato l’omessa pronuncia e l’errata motivazione in ordine al rigetto del secondo motivo di ricorso, relativo l’avvenuta abrogazione dell’art. 11 d.lgs. n. 395/2000, censura già sollevata in primo grado.

Ha quindi lamentato che il TAR si sarebbe limitato a respingere la censura sostenendo che non sarebbero state prodotte argomentazioni convincenti sull’avvenuta abrogazione implicita dell’art. 11 del d.lgs. n. 395/2000;
ha quindi sottolineato che – contrariamente a quanto asserito dal TAR - l’abrogazione della direttiva CE 96/26, recepita con il d.lgs. n. 395/2000, avrebbe comportato l’abrogazione della norma nazionale di recepimento.

27. - Le due doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente in quanto tra loro connesse, non possono essere condivise.

Innanzitutto è opportuno ricordare che il provvedimento di interdizione antimafia ha comportato, in via conseguenziale, la perdita del requisito dell’onorabilità necessario per la titolarità dell’autorizzazione: l’art. 29 bis, comma 1, del d.l. n. 133/2014, convertito con modifiche dalla legge n. 164/2014 ha previsto che “Al comma 2 dell'articolo 5 del decreto legislativo 22 dicembre 2000, n. 395, e successive modificazioni (n.d.r. relativo ai requisiti di onorabilità) è aggiunta, in fine, la lettera h-bis.

Per effetto di tale modifica “Non sussiste, o cessa di sussistere, il requisito dell'onorabilità in capo alla persona che: …."h- bis ) sia stata oggetto di un'informativa antimafia interdittiva ai sensi dell'articolo 91 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni".

La perdita del requisito dell’onorabilità discende, quindi, da una norma dell’ordinamento nazionale ed il provvedimento di sospensione dell’autorizzazione è consequenziale al provvedimento di interdizione antimafia.

27.1 - Quanto alla perdurante efficacia delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 395/2000 a seguito dell’entrata in vigore del regolamento CE n. 1071/2009, è sufficiente rilevare che il legislatore italiano è intervenuto in materia con la norma dell’art. 11 comma 6-bis del d.l. n. 5/2012, convertito in l. n. 35/2012 secondo cui “Le condizioni da rispettare per i requisiti per l'esercizio della professione di trasportatore su strada di cui all'articolo 3 del regolamento (CE) n. 1071/2009 sono quelle previste dal regolamento stesso, come individuate nel decreto del Capo del dipartimento per i trasporti, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 25 novembre 2011 , pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 277 del 28 novembre 2011”: ne consegue che le disposizioni del decreto legislativo n. 395/2000, conformi al regolamento, come nel caso di specie, rivivono per effetto del rinvio operato da tale d.l. poi convertito in legge.

27.2 - Il termine di 45 giorni, assegnato con il provvedimento di sospensione (anche se a fini diversi da quelli dedotti dall’appellante) è giustificato per esigenze di ordine pubblico, come rettamente ritenuto dal TAR.

27.3 - Peraltro, dalla disamina del decreto del Tribunale di Venezia – Sezione Distrettuale del Riesame e delle Misure di Prevenzione n.-OMISSIS-- non emerge affatto che il rigetto dell’istanza di concessione del controllo giudiziario, ex art. 34-bis, comma 6, del d.lgs. 159/11, sia imputabile al termine di soli 45 giorni assegnato dall’Ufficio della Motorizzazione Civile di Verona, ma deriva, semmai, dalla pretesa della società istante di ottenere la concessione della misura in via “automatica”, a seguito dell’impugnazione del provvedimento interdittivo;
peraltro, nella motivazione di rigetto dell’istanza, si rinvengono le criticità già rilevate in relazione alla specifica situazione della società istante (delle quali si è già trattato in precedenza), elementi che ragionevolmente può presumersi che abbiano assunto un’incidenza causale sull’esito del procedimento.

27.4 - In sostanza, non vi è prova – neppure di tipo presuntivo – per poter sostenere quanto dedotto in giudizio dall’appellante.

28. - Infine va esaminata l’ultima doglianza relativa alla questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 4 e 5 commi 2 e 8 del d.lgs. 22 dicembre 2000 n. 395 in riferimento agli artt. 3, 14 e 133 Cost. con la quale l’appellante ha denunciato l’illegittimità costituzionale della normativa che comporta la perdita di onorabilità per l’iscrizione ed il mantenimento dell’iscrizione all’Albo delle persone fisiche e giuridiche che esercitano l’autotrasporto di cose per conto terzi, escludendo ogni valutazione da parte dell’Amministrazione.

Tale disposizione sarebbe viziata da irragionevolezza e sproporzionalità.

28.1 - Ritiene il Collegio che la questione prospettata sia manifestamente infondata alla luce dei principi espressi dalla Corte Costituzionale nella sentenza 17/7/2018, n. 161 in relazione agli artt. 4 e 5, commi 2, lettera g), e 8, del D.Lgs. 22 dicembre 2000, n. 395 (che pur riguardando una situazione diversa, fornisce, comunque idonei elementi per risolvere la problematica).

Ha rilevato la Corte che “le disposizioni censurate delineano un meccanismo automatico di perdita dei requisiti di onorabilità, sulla base di un bilanciamento in astratto effettuato dal legislatore, che ha imposto un'attività rigidamente vincolata all'amministrazione.

La giurisprudenza costituzionale ha ritenuto in più casi non legittimi gli automatismi legislativi, anche in materie ove sia riconosciuta un'ampia discrezionalità al legislatore, come è accaduto per la sanzione della destituzione automatica nei confronti dei pubblici dipendenti e dei professionisti, senza la mediazione del procedimento disciplinare (sentenze n. 268 del 2016, n. 234 del 2015, n. 329 del 2007, n. 2 del 1999, n. 363 e n. 239 del 1996, n. 16 del 1991, n. 158 e n. 40 del 1990 e n. 971 del 1988). In tali casi, infatti, questa Corte ha sostenuto che il principio di proporzionalità postula l'adeguatezza della sanzione al caso concreto e tale adeguatezza non può essere raggiunta se non attraverso la concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in atto nella commissione dell'illecito (sentenza n. 170 del 2015;
nello stesso senso le sentenze n. 265 del 2010 e n. 220 del 1995).

Tuttavia, tale principio non è stato ritenuto applicabile "nei casi in cui la legge preveda la decadenza automatica da ruoli o da autorizzazioni all'esercizio di determinate attività come conseguenza della perdita di un requisito soggettivo necessario per l'accesso e per la permanenza nel ruolo o per la prosecuzione del rapporto autorizzatorio" (sentenza n. 2 del 1999).

Tale è il caso disciplinato dall'art. 5 del D.Lgs. n. 395 del 2000. Il provvedimento di revoca e cancellazione, infatti, non ha carattere punitivo o afflittivo e non si configura quale pena accessoria, che sarebbe invece inibita al decreto penale di condanna, ma è una misura conseguente alla constatazione della sopravvenuta perdita dei "requisiti di onorabilità" prescritti per l'esercizio dell'attività in questione, che devono permanere in corso di attività.

Come già affermato dalla Corte, "dalla mancanza di un requisito soggettivo per la prosecuzione del rapporto autorizzatorio il legislatore può legittimamente far discendere la decadenza dal rapporto stesso non essendo ipotizzabile una maggiore o minore "gravità" di tale mancanza in modo da dover proporzionare ad essa la reazione dell'ordinamento e da richiedere una graduazione come nell'ipotesi di vere e proprie sanzioni disciplinari" (sentenza n. 297 del 1993). Dunque, proprio l'assenza nella misura amministrativa in esame di una funzione punitiva, retributiva o dissuasiva dalla commissione di illeciti consente di ritenere insussistente la violazione del principio di proporzionalità, che non può essere invocato "per quei provvedimenti espulsivi che conseguono, di diritto, al venir meno di un requisito soggettivo (sentenza n. 297 del 1993)" (sentenza n. 226 del 1997)”.

28.2 - Tali principi si attagliano anche al caso di specie, nel quale il presupposto su cui si fonda il provvedimento di sospensione dell’autorizzazione discende dalla perdita dei requisiti soggettivi di onorabilità, con la conseguenza che la questione di legittimità costituzionale deve ritenersi manifestamente infondata.

28.3 - Inoltre, è opportuno sottolineare che la costituzionalità delle disposizioni relative all’informazione interdittiva antimafia correlata agli atti autorizzatori (in particolare, art. 89-bis del codice antimafia) ha superato anch’esso il vaglio di legittimità da parte della Corte Costituzionale (cfr. sentenze n. 4 del 2018 e, da ultimo, sentenza n. 57 del 2020);
in quest’ultima sentenza la Corte ha richiamato i principi che regolano la materia, sottolineando la ratio sul quale si fonda tale misura di prevenzione e la necessità che gli effetti preventivi di tale misura si estendano al di fuori dei soli rapporti con la P.A., allo scopo di arginare il pericolo di inquinamento dell’economia legale.

Quanto al profilo della ragionevolezza, ha ritenuto la Corte Costituzionale che la risposta amministrativa non possa ritenersi sproporzionata rispetto ai valori in gioco, la cui tutela impone di colpire in anticipo il fenomeno mafioso, caratterizzato da gravità e persistenza.

29. - Restano da esaminare le questioni, dedotte nelle brevi note ex art. 84, comma 5, d.l. n. 18/2020, relative ai dubbi di compatibilità della normativa nazionale con quella euro-unitaria.

29.1 - Per quanto riguarda la richiesta di rinvio pregiudiziale relativa alle prime due questioni dedotte nelle brevi note del 23 aprile 2020, ritiene il Collegio che non sussistano i presupposti per disporre il rinvio ex art. 267 TFUE, in quanto il regolamento CE 1071/2009 all’art. 6, par. 1 dispone che “gli Stati membri determinano le condizioni che l'impresa e i gestori dei trasporti devono rispettare per soddisfare il requisito dell'onorabilità di cui all'articolo 3, paragrafo 1, lettera b). Nel determinare se un'impresa soddisfi tale requisito, gli Stati membri prendono in considerazione il comportamento dell'impresa, dei suoi gestori dei trasporti e di qualsiasi altra persona interessata eventualmente individuata dallo Stato membro”.

29.2 - Tale disposizione, quindi, rimanda agli Stati membri la determinazione delle condizioni che le imprese devono rispettare per soddisfare il requisito dell’onorabilità di cui all’art. 3 par. 1 lett. b) del regolamento stesso, con la conseguenza che ciascuno Stato membro dispone del potere di stabilire i presupposti per l’individuazione dei requisiti di onorabilità tenuto conto delle esigenze nazionali.

Tale interpretazione trova chiara conferma nella successiva disposizione, contenuta nello stesso art. 6, comma 1 (secondo cui “Le condizioni di cui al primo comma prevedono almeno che:”): da essa si evince che la disciplina europea si limita a stabilire le condizioni minime, confermando, quindi, l’esistenza del potere di ciascuno Stato membro di disciplinare la materia, nel rispetto di quella europea.

29.3 - La normativa nazionale già prevedeva come ostativa al possesso del requisito dell’onorabilità la sottoposizione a misure di prevenzione (art. 5, comma 2, lett. a) del d.lgs. n. 395/2000): a seguito dell’introduzione della lett. h-bis all’art. 5, recata dal d.l. n. 133/2014 convertito con modificazioni, dalla L. 11 novembre 2014, n. 164, è stato esteso tale regime anche all’informazione interdittiva antimafia – avente anch’essa finalità di prevenzione - tenuto conto delle già rappresentate esigenze di ordine pubblico di contrasto della criminalità organizzata, non soltanto nel settore relativo ai rapporti tra lo Stato e le imprese, ma anche nel libero mercato.

30. - Quanto alla terza questione, correlata alla fissazione del termine di 45 giorni contenuto nel provvedimento di sospensione dell’autorizzazione, ritenuto non congruo, è opportuno rilevare che:

- la norma recata dall’art. 13, comma 1, del Reg. CE n. 1071/2009 dispone che “1. Se constata che un'impresa rischia di non soddisfare più i requisiti di cui all'articolo 3, l'autorità competente ne informa l'impresa in questione. Se constata che uno o più di tali requisiti non sono soddisfatti, l'autorità competente può assegnare all'impresa uno dei seguenti termini per regolarizzare la situazione….”.

- tale disposizione, quindi, prevede l’obbligo di avvertimento della situazione di irregolarità, con possibilità (e non obbligo) di assegnazione di un termine massimo semestrale per mettersi in regola.

30.1 - Il provvedimento impugnato risulta conforme alla normativa recata dal Reg. CE n. 1071/09, in quanto:

- la società è stata avvertita sulla perdita del requisito di onorabilità che avrebbe comportato la sospensione dell’autorizzazione (cfr. nota del 19 luglio 2017);

- l’Ufficio della Motorizzazione ha adottato il provvedimento impugnato a distanza di circa due mesi dalla precedente comunicazione (14 settembre 2017);

- la sospensione dell’autorizzazione, quindi, non è stata immediata, ma è stata disposta nel rispetto delle garanzie previste dal Regolamento che prevede la facoltà di concessione del termine per la regolarizzazione prima della sospensione dell’autorizzazione;

- il termine di 45 giorni per la regolarizzazione della posizione, contenuto nel provvedimento impugnato, è stato concesso ai fini dell’avvio del procedimento di revoca dell’autorizzazione e, quindi, non si riferisce al procedimento di sospensione.

30.2 - Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante nelle brevi note del 23 aprile 2020, non si è verificata l’immediata sospensione dell’autorizzazione ex art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 395/2000, con assegnazione di un termine postumo di 45 giorni, in asserita violazione della normativa recata dall’art. 13 del Reg. n. 1071/2009, presupposto su cui si fonda la richiesta di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE: ciò comporta l’inammissibilità – per difetto di rilevanza – della questione di compatibilità della normativa nazionale con quella euro-unitaria, in quanto il provvedimento impugnato è stato adottato in conformità alla disciplina europea.

31. - In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va respinto e per l’effetto, in conferma della sentenza appellata, vanno respinti i ricorsi di primo grado.

32. - Le spese del grado di appello seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

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