Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-10-09, n. 202005995

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-10-09, n. 202005995
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202005995
Data del deposito : 9 ottobre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/10/2020

N. 05995/2020REG.PROV.COLL.

N. 05828/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5828 del 2014, proposto dal
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore , ex lege rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso gli Uffici della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12

contro

sig.ra -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avv. F P, con domicilio digitale come da P.E.C. da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dello stesso, in Roma, Circonvallazione Trionfale, n. 145

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Roma, Sezione Prima Ter , n. -OMISSIS- del 3 febbraio 2014, resa tra le parti, con cui è stato parzialmente accolto il ricorso R.G. n. -OMISSIS-, avente ad oggetto le domande di accertamento della responsabilità extracontrattuale e della violazione dell’obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c. in capo al Ministero dell’Interno ed alla Questura di Roma, in solido tra loro, nella causazione dell’evento traumatico occorso alla ricorrente sig.ra -OMISSIS- in data -OMISSIS- 2008 presso il poligono di tiro di -OMISSIS-, e di condanna dell’Amministrazione al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi dalla citata sig.ra -OMISSIS- in conseguenza dell’infortunio per cui è causa, oltre rivalutazione monetaria dal sorgere dei crediti e fino all’effettivo soddisfo ed interessi come per legge.


Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;

Visti la memoria di costituzione e difensiva e l’appello incidentale della sig.ra -OMISSIS-;

Visti i documenti e la memoria finale dell’appellante incidentale;

Viste le note d’udienza del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 settembre 2020 il Cons. Pietro De Berardinis e uditi per le parti l’avv. F P e l’Avvocato dello Stato Isabella Piracci;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO

Con il ricorso in epigrafe il Ministero dell’Interno propone appello avverso la sentenza del T.A.R. Lazio-Roma, I- ter , n. -OMISSIS- del 3 febbraio 2014, che ha parzialmente accolto il ricorso presentato dall’-OMISSIS- -OMISSIS- per l’accertamento della responsabilità della P.A. nella causazione dell’evento traumatico da essa subito nel corso di un’esercitazione svoltasi il -OMISSIS- 2008 presso il poligono di tiro di -OMISSIS-, e per la condanna della P.A. al risarcimento di tutti i danni patiti dalla stessa ricorrente in conseguenza dell’evento in questione, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi come per legge.

In fatto, la dipendente, durante un’operazione di servizio svolta -OMISSIS- a -OMISSIS-, subiva un tentativo di strangolamento da parte di uno sconosciuto, che le causava lesioni (-OMISSIS-), a seguito delle quali si sottoponeva ad intervento chirurgico di -OMISSIS-.

Terminata la convalescenza, -OMISSIS- la sig.ra -OMISSIS- veniva riammessa in servizio, con esonero dai servizi esterni.

Nel 2007, in seguito a visita medico-legale presso la Commissione Ministeriale nel compendio di -OMISSIS-, le veniva confermato l’esonero dai servizi esterni con scadenza -OMISSIS- 2008. Nel mese di -OMISSIS- 2008 il Responsabile dell’Ufficio Sanitario della Questura di Roma prorogava l’esonero della lavoratrice dai servizi esterni fino al -OMISSIS- 2008.

In data -OMISSIS- 2008 la dipendente veniva comandata per un’esercitazione presso il poligono di tiro di -OMISSIS-, durante la quale ella accusava un malore. Soccorsa e portata in ospedale con l’autoambulanza di istituto, veniva sottoposta ad intervento chirurgico per -OMISSIS-.

La successiva visita medico-legale, alla quale si sottoponeva il 26 ottobre 2009, accertava i postumi invalidanti conseguenti al descritto evento traumatico, nella misura di -OMISSIS-.

Non avendo sortito effetto i tentativi di un bonario componimento della vertenza, l’-OMISSIS- -OMISSIS- proponeva ricorso al T.A.R., chiedendo la declaratoria di responsabilità della P.A. per l’infortunio subito, sia extracontrattuale (artt. 2043 e 2049 c.c.) sia contrattuale (art. 2087 c.c.), e il conseguente risarcimento dei danni subiti e subendi.

In sintesi, la responsabilità della P.A. sarebbe dipesa dall’avere comandato la dipendente a svolgere un’esercitazione di tiro con -OMISSIS-, rischiosa per la stessa alla luce delle pregresse patologie -OMISSIS- e nonostante il suo esonero dai servizi esterni. In fatto, la lavoratrice nell’esercitazione ha sparato con -OMISSIS-: lo sforzo compiuto le avrebbe cagionato (-OMISSIS-), lesioni -OMISSIS-, già alterato dall’episodio del 2002.

La ricorrente chiedeva, perciò, al T.A.R. di condannare la P.A. al pagamento, a titolo di risarcimento, dei seguenti importi: € 50.109,00 per il -OMISSIS-, di cui € 40.000,00 per il -OMISSIS-, € 4.260,00 per -OMISSIS-, € 3.198,60 per -OMISSIS- ed € 2.130,00 per -OMISSIS-;
€ 33.406,00 per -OMISSIS-;
€ 50.000,00 per -OMISSIS-;
€ 39.000,00 per la perdita di chance ;
infine € 86.400,00 per -OMISSIS-.

Il Ministero, nel costituirsi in giudizio, sosteneva l’assenza di un illecito della P.A. e del nesso causale tra l’attività svolta su ordine della P.A. e le patologie sofferte dalla dipendente. L’Amministrazione contestava, inoltre, il quantum richiesto a titolo di risarcimento dalla ricorrente.

Il T.A.R., dopo avere disposto una verificazione (per accertare l’esistenza o meno del nesso causale tra l’esercitazione ed i danni subiti dall’interessata) e poi una C.T.U. (onde individuare -OMISSIS- a carico della sig.ra -OMISSIS- e l’eventuale sua ricaduta sulla capacità lavorativa di costei), ha, come detto, accolto in parte il ricorso.

Nello specifico, la sentenza appellata ha accolto la domanda di accertamento della responsabilità della P.A. per l’evento dannoso occorso all’interessata ed ha accolto in parte la domanda di risarcimento del danno, riconoscendo alla ricorrente il -OMISSIS- quantificato nella misura del 15% come da C.T.U. (per un totale di € 40.520,00), nonché i danni per -OMISSIS- (per un -OMISSIS- totale pari ad € 50.109,00), ma decurtando del 50% l’importo spettante alla dipendente a titolo risarcitorio (che è risultato, così, pari ad € 25.055,00): ciò, poiché dalla verificazione è emerso che l’attività di tiro svolta dalla lavoratrice nell’esercitazione può aver concorso al 50% all’-OMISSIS- dalla stessa subita. Il T.A.R. ha, invece, respinto la domanda di risarcimento relativamente a tutte le altre tipologie di danno richieste (-OMISSIS-, da perdita di chance -OMISSIS-

Con l’atto di appello il Ministero dell’Interno ha contestato l’ iter argomentativo e le conclusioni della sentenza impugnata, lamentando, in estrema sintesi, che nel caso di specie non sarebbe ravvisabile alcun nesso causale tra l’esercitazione di tiro e -OMISSIS- lamentata ex adverso , nonché alcuna responsabilità colpevole in capo all’Amministrazione.

Il Ministero ha chiesto, quindi, la riforma in parte qua della sentenza di primo grado e, per l’effetto, la reiezione delle avverse domande.

L’appellata, dal canto suo, ha proposto appello incidentale, con il quale ha impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui non ha accolto le sue domande. In particolare, l’ex -OMISSIS- -OMISSIS- ha censurato la decurtazione del 50% della somma dovutale a titolo di -OMISSIS- -OMISSIS-, nonché il mancato riconoscimento delle sue pretese risarcitorie per quanto riguarda -OMISSIS-, il danno da perdita di chance e -OMISSIS-.

In prossimità dell’udienza di merito, l’appellante incidentale ha depositato documenti e una memoria, evidenziando, tra l’altro, come il progressivo peggioramento delle patologie da essa patite a seguito dell’episodio per cui è causa l’abbiano portata, da ultimo, ad essere dispensata dal servizio dalla P.A. per la sua inabilità fisica (con decorrenza -OMISSIS- 2020).

Il Ministero dell’Interno ha depositato brevi note d’udienza, concludendo per la reiezione dell’appello incidentale ed insistendo per la riforma della sentenza appellata, nel senso del rigetto integrale delle domande di parte avversa.

All’udienza pubblica del 17 settembre 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Viene all’esame di questo Collegio la sentenza del T.A.R. Lazio – Roma, Sezione I- ter , n. -OMISSIS- del 3 febbraio 2014, impugnata sia dal Ministero dell’Interno con appello principale, nella parte in cui ha accolto le domande della ricorrente in primo grado, sia da costei con appello incidentale, nella parte in cui ha invece respinto le sue pretese.

Il T.A.R. ha, anzitutto, accolto la domanda di accertamento della responsabilità della P.A. per l’evento traumatico occorso in danno della ricorrente.

Al riguardo il Ministero aveva eccepito in primo grado l’insussistenza di un illecito datoriale e di un nesso causale tra l’esercitazione di tiro e le patologie patite dalla dipendente.

Da un lato, infatti, l’esonero dell’-OMISSIS- -OMISSIS- dai servizi esterni avrebbe riguardato i soli servizi operativi esterni, cioè le -OMISSIS-, ma non anche le esercitazioni di tiro;
dall’altro lato, dopo l’episodio del 2002 e prima dell’infortunio occorsole nell’esercitazione del -OMISSIS- 2008 la dipendente avrebbe svolto altre tre esercitazioni di tiro (due -OMISSIS- e una -OMISSIS-) senza patire traumi e, comunque, l’esercitazione del 2008 è avvenuta a quasi quattro anni di distanza dall’ultima, risalente al 4 novembre 2003.

Inoltre, l’Amministrazione si è richiamata alle conclusioni del perito incaricato dal T.A.R. di eseguire apposita verificazione (-OMISSIS-), il quale – ha sostenuto la difesa erariale – avrebbe escluso qualsiasi responsabilità della P.A. nella causazione dell’evento, avendo egli ipotizzato, in via di mera probabilità, che un’attività “prolungata” di tiro con sollecitazioni sul locus minori resistentiae abbia potuto concorrere in misura del 50%, al-OMISSIS--OMISSIS- patita dalla ricorrente: ma la sig.ra -OMISSIS- non sarebbe stata assoggettata ad un’attività “prolungata” di tiro, sia perché aveva in precedenza svolto solo altre tre esercitazioni, sia perché dall’ultima di queste all’esercitazione del 2008, durata peraltro pochi minuti, erano passati quasi quattro anni.

La sentenza appellata ha tuttavia disatteso le argomentazioni del Ministero.

In dettaglio, i giudici di prime cure, dopo aver ricondotto la fattispecie nell’alveo della responsabilità contrattuale della P.A. datrice di lavoro per violazione degli obblighi di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c. (norma la quale impone al datore di lavoro di adottare non solo misure di tipo igienico-sanitario od antinfortunistico, ma anche misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori da lesioni nell’ambiente od in costanza di lavoro), e dopo avere affermato che l’infortunio del -OMISSIS- 2008 ha avuto esiti invalidanti per la ricorrente – come accertato dal C.T.U. (-OMISSIS-) – hanno riconosciuto che l’infortunio, e le conseguenze invalidanti che ne sono derivate, si devono addebitare all’Amministrazione di appartenenza della dipendente.

Ciò, per avere la P.A. comandato l’interessata a svolgere l’esercitazione di tiro, malgrado la pregressa patologia -OMISSIS- della stessa ed il giudizio medico di esonero dai servizi esterni fino al -OMISSIS- 2008. Non si tratta tanto – osserva il T.A.R. – di capire che cosa dovesse ricomprendersi nella formula “servizi esterni”, quanto del fatto che le condizioni dell’-OMISSIS- -OMISSIS- erano tali che avrebbero dovuto indurre la P.A. ad esonerarla, in via prudenziale, da ogni attività potenzialmente idonea ad incidere in negativo sul suo stato di salute: la P.A., invece, nel comandare la dipendente all’esercitazione di tiro, ha disatteso tale regola di esonero prudenziale, incorrendo nella violazione dell’art. 2087 c.c.. Né l’illecito della P.A. può essere escluso dalle circostanze che, nelle precedenti esercitazioni l’interessata non aveva lamentato alcunché, o che, ad ogni modo, costei non era stata sottoposta ad un’attività “prolungata” di tiro, poiché ciò non autorizzava certo la P.A. a porre in essere comportamenti imprudenti, quale l’ordine alla dipendente di partecipare alla riferita esercitazione, in violazione della citata regola prudenziale.

Il T.A.R. richiama poi, sul piano del nesso causale, il giudizio del verificatore, il quale ha precisato che, sebbene la circostanza di sparare con -OMISSIS-non sia di per sé sufficiente a determinare l’espulsione di un’-OMISSIS- -OMISSIS-, tuttavia nel caso di specie esisteva un substrato predisponente, rappresentato dall’-OMISSIS- per l’intervento chirurgico a cui si era in precedenza sottoposta l’interessata. Secondo il verificatore, il concentrarsi delle sollecitazioni, connesse all’attività “prolungata” di tiro, nel punto di passaggio tra -OMISSIS- (il locus minori resistentiae ) ha potuto concorrere, in misura del 50%, nella fattispecie in esame, data la sua particolarità, all’-OMISSIS- sofferta dalla ricorrente: e tale giudizio è stato condiviso e fatto proprio dai giudici di prime cure.

Di fronte all’obiezione della difesa erariale, secondo cui la lavoratrice non sarebbe stata sottoposta ad “attività prolungata di tiro”, la sentenza precisa che tale concetto va relativizzato, cosicché, nelle condizioni in cui versava la sig.ra -OMISSIS-, anche l’aver sparato con la -OMISSIS-, può essere considerata “attività prolungata di tiro”.

Accolta, pertanto, la domanda di accertamento della responsabilità della P.A. per l’evento dannoso occorso all’interessata, la sentenza appellata ha tuttavia accolto soltanto in parte le pretese risarcitorie fatte valere dalla stessa, decurtando – come già ricordato – del 50% l’importo domandato a titolo di risarcimento del -OMISSIS-, che, così, è stato liquidato in € 25.055,00 (in luogo della somma di € 50.109.00, richiesta da parte attrice): ciò, in quanto – come accertato dal verificatore – l’attività di tiro svolta dall’-OMISSIS- -OMISSIS- nell’esercitazione può avere concorso al 50% all’-OMISSIS- da costei subita.

Sulla somma così riconosciuta, poiché determinata ai valori attuali alla sentenza, quest’ultima non ha riconosciuto la richiesta rivalutazione monetaria dal sorgere del credito, ma solo gli interessi legali a partire dal deposito della pronuncia medesima e fino al soddisfo.

Il T.A.R. ha poi respinto la domanda di risarcimento di tutte le altre tipologie di danno richieste, con le seguenti motivazioni:

- in merito al danno morale, la sentenza ha osservato che si tratta di danno risarcibile, ai sensi dell’art. 2059 c.c., solo nei casi stabiliti dalla legge, tra cui non rientra quello in esame, e, in ogni caso, che la ricorrente non ha offerto la prova di aver patito ripercussioni negative di carattere non patrimoniale, diverse dalla mera sofferenza psichica, né ha fornito elementi per affermare che si sia verificato un pregiudizio collegato intimamente all’entità e all’intensità della sofferenza da lei sopportata, dotato di piena autonomia ontologica rispetto al -OMISSIS-;

- in ordine al danno -OMISSIS-, richiesto per -OMISSIS-, il T.A.R. ha obiettato che, in realtà, -OMISSIS-;

- quanto al danno da perdita di chances (lavorative), richiesto con riguardo al fatto che l’ex -OMISSIS- -OMISSIS- avrebbe perso la possibilità di sviluppi di carriera in ragione della gravi lesioni riportate, si è evidenziato che anche da questo punto di vista l’interessata non ha dimostrato gli asseriti pregiudizi subiti;

- infine, con riguardo al danno patrimoniale richiesto per l’impossibilità di -OMISSIS-, si è osservato che, ancora una volta, la ricorrente non ha fornito al riguardo alcuna prova e, in specie, non ha provato di non essere più in grado di -OMISSIS-.

Nell’appello principale il Ministero dell’Interno ha chiesto la riforma della sentenza impugnata, in sostanza rinnovando le argomentazioni già formulate in primo grado.

A) Innanzitutto l’Amministrazione ha contestato l’esistenza di un nesso causale tra il comportamento da essa tenuto nell’occasione e l’evento dannoso e, quindi, tra l’esercitazione di tiro alla quale è stata comandata la dipendente in data -OMISSIS- 2008 e la patologia da costei denunciata, per le seguenti ragioni:

- l’esonero dai servizi esterni concesso alla dipendente dopo l’infortunio del 2002 riguarderebbe solo i servizi operativi esterni, cioè le -OMISSIS-, e non l’addestramento al maneggio in sicurezza dell’arma, cui periodicamente gli appartenenti alle -OMISSIS- devono sottoporsi;

- l’interessata sarebbe stata più volte comandata ad esercitazioni di tiro, senza lamentare alcun fastidio e comunque l’esercitazione del -OMISSIS- 2008, durata pochissimo, sarebbe intervenuta a distanza di quasi quattro anni dalla precedente;

- lo stesso verificatore avrebbe escluso che lo sparare con un’arma, per quanto -OMISSIS-, possa comportare di per sé l’espulsione di un’-OMISSIS- -OMISSIS-, ipotizzando in via di mera probabilità che, in una situazione come quella della sig.ra -OMISSIS- (che aveva patito l’infortunio del 2002, seguito da un intervento chirurgico), un’attività prolungata di tiro con sollecitazioni sul locus minori resistentiae potesse concorrere all’-OMISSIS--: ma – insiste il Ministero – la dipendente non è stata giammai sottoposta ad “attività prolungata di tiro”, visto che, come appena rammentato, l’esercitazione del -OMISSIS- 2008 si sarebbe svolta a circa quattro anni di distanza dall’ultima a cui la dipendente aveva partecipato ed avrebbe avuto una brevissima durata;

- il concetto di “attività prolungata al tiro” sarebbe stato, quindi, distorto dai giudici di prime cure, in quanto tale concetto dovrebbe intendersi nel senso che solo la presenza di sollecitazioni prolungate e intensificate nel tempo dal 2002 al 2008 – nel caso di specie invero inesistenti – avrebbe potuto al più concorrere alla patologia lamentata.

B) In secondo luogo l’appellante principale ha sostenuto l’erroneità della sentenza impugnata lì dove questa ha ritenuto sussistente la violazione degli obblighi di sicurezza previsti a carico del datore di lavoro dall’art. 2087 c.c., poiché, al contrario, nel caso di specie l’Amministrazione datrice di lavoro avrebbe adottato tutte le cautele richieste dall’attività in discorso.

In particolare, la P.A.: avrebbe comandato l’interessata all’esercitazione a ben quattro anni di distanza dalla precedente;
in ogni caso, l’avrebbe preavvertita dell’esercitazione, ottenendo dalla dipendente la conferma della sua disponibilità e dopo aver acquisito dalla medesima la dichiarazione, contenuta nel rapporto informativo del 2008, di avere un’idoneità fisica al servizio assoluta;
avrebbe effettuato, inoltre, l’esercitazione di tiro alla presenza del personale paramedico della Sala Medica locale, che infatti è immediatamente intervenuto sul posto;
infine, avrebbe immediatamente rilevato le difficoltà dell’-OMISSIS- -OMISSIS- nel maneggio dell’arma.

Così riportate le doglianze del Ministero dell’Interno, il Collegio reputa che nessuna di queste possa venire condivisa, essendo l’appello principale nel suo complesso infondato e da respingere, e che, in specie, la sentenza appellata debba essere confermata nella parte in cui ha accertato la responsabilità dell’Amministrazione datrice di lavoro per violazione degli obblighi di sicurezza su di essa gravanti ai sensi dell’art. 2087 c.c..

Al riguardo va premesso che, poiché la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. è di natura contrattuale, ai fini del relativo accertamento, incombe sul lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro – una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze – l’onere di provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di avere adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno stesso (così C.d.S., Sez. IV, 24 maggio 2018, n. 3104, che richiama sul punto Cass. civ., Sez. lav., 15 giugno 2017, n. 14865, e Cass, civ., Sez. III, 23 maggio 2011, n. 11290).

Come evidenziato condivisibilmente dal T.A.R., gli obblighi che la norma del codice civile in esame impone al datore di lavoro in tema di tutela delle condizioni di lavoro si estendono, nella fase dinamica dell’espletamento della prestazione, ai comportamenti necessari per prevenire possibili incidenti (cfr. Cass. civ., Sez. lav., 17 febbraio 1999, n. 1331;
id., 9 marzo 1992, n. 2835).

L’art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, atteso che la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge, o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento (cfr. Cass. civ., Sez. lav., 10 maggio 2000, n. 6018;
C.d.S., Sez. VI, 24 febbraio 2011, n. 1173). Poiché, peraltro, l’art. 2087 c.c. riveste, per il suo carattere generale, valenza sussidiaria rispetto alla specifica applicazione rinvenibile nella legislazione in materia di prevenzione e di assicurazione degli infortuni sul lavoro, ne discende che la determinazione degli obblighi del datore di lavoro va fatta, in concreto, anche alla stregua delle ordinarie norme di prudenza, diligenza e perizia dirette ad assicurare la sicurezza dei dipendenti: ciò importa che il datore di lavoro è tenuto ad osservare e far osservare sia le norme specifiche emanate per la prevenzione degli incidenti, sia quelle generiche dettate dalla comune prudenza (cfr. Cass. civ., Sez. lav., n. 2835/1992, cit.).

Nel caso di specie, che vi sia stata una violazione delle regole dettate dalla comune prudenza risulta dimostrato dal comportamento tenuto dalla P.A., la quale ha ordinato alla lavoratrice di sottoporsi il -OMISSIS- 2008 ad un’esercitazione di tiro, nonostante per costei vi fossero un giudizio di esonero dai servizi esterni confermato nel luglio del 2007 dalla Commissione Ministeriale del Centro Clinico di Medicina Legale di -OMISSIS-, con scadenza -OMISSIS- 2008, e la proroga dell’esonero al -OMISSIS- 2008, disposta dal Responsabile dell’Ufficio Sanitario della Questura di Roma nell’-OMISSIS- 2008, quindi poco tempo prima dell’esercitazione stessa.

La decisione della P.A. di comandare la dipendente all’esercitazione di tiro in costanza di tale esonero e, dunque, delle valutazioni medico-legali ad esso sottese, ha costituito un comportamento arrischiato e gravemente imprudente, in quanto ha ignorato il quadro di precarietà delle condizioni fisiche della sig.ra -OMISSIS- che emergeva in conseguenza di dette valutazioni. Tali condizioni avrebbero imposto alla P.A., sulla base del dovere di diligenza previsto a carico del datore di lavoro dall’art. 2087 c.c., di attenersi ad una regola di condotta prudenziale, alla cui stregua si sarebbe dovuto esonerare la citata dipendente dall’esercitazione di tiro o, quantomeno, far precedere ogni decisione in proposito da una valutazione medica del grado di rischio di detta esercitazione per la sua salute. L’inosservanza di questa, come di ogni altra regola di condotta prudenziale, prima – va sottolineato – della decisione di comandare la dipendente all’esercitazione, ha integrato, secondo il Collegio, una violazione da parte della P.A. degli obblighi di sicurezza su di essa incombenti, quale datrice di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 e, per l’effetto, è fonte di responsabilità contrattuale della P.A. stessa.

Deve aggiungersi che nella vicenda per cui è causa, tanto più era ravvisabile l’esigenza di rispettare regole di condotta prudenziali quali quelle ora riportate (esonero dall’esercitazione di tiro, o almeno previa sottoposizione a visita medica volta ad accertarne il grado di pericolosità per la salute della dipendente), alla luce del fatto che nella predetta esercitazione era previsto l’uso di un’arma -OMISSIS-

Non convincono gli elementi allegati dal Ministero dell’Interno al fine di dimostrare la diligenza della propria condotta.

La circostanza che l’esercitazione del -OMISSIS- 2008 sia stata di breve durata e non si sia conclusa, non è dovuta a cautele adottate dalla P.A., ma al fatto che la dipendente ha subito l’infortunio poco dopo l’inizio dell’esercitazione stessa.

Analogamente, la presenza dei soccorritori, prontamente intervenuti, ed il trasporto immediato della dipendente in ospedale con l’autoambulanza d’istituto, sono elementi che possono aver avuto un ruolo solo nell’impedire un aggravio delle conseguenze lesive dell’evento dannoso, ma che non potevano rivestire alcun ruolo nell’evitare che questo si verificasse, attenendo essi ad un momento posteriore al prodursi dell’evento dannoso. Ed invero, quello che qui rileva è che la P.A. non abbia adottato le doverose cautele per impedire che l’evento stesso accadesse (in particolare, esonerando la dipendente dal partecipare all’esercitazione).

Peraltro, dalla documentazione in atti emerge che l’interruzione dell’attività addestrativa svolta dalla sig.ra -OMISSIS- è dipesa non già dall’esigenza di soccorrere la dipendente (la quale solo in prosieguo ha accusato -OMISSIS-), quanto dall’impossibilità di far proseguire alla predetta -OMISSIS- l’addestramento con la sua arma individuale (-OMISSIS-) senza esporre a pericolo i colleghi e la stessa prosecuzione dell’attività addestrativa sulla linea di tiro (cfr. la relazione del Vice Questore Aggiunto -OMISSIS- del 3 ottobre 2008).

Del tutto irrilevante è, poi, il fatto che nelle precedenti esercitazioni l’interessata non avesse lamentato malori. A ben vedere, anzi, si tratta di elemento che conforta l’affermazione della responsabilità della P.A.: infatti, la circostanza che fossero passati quasi quattro anni dall’ultima esercitazione e che, però, vi fossero stati nel frattempo ben due giudizi medico-legali di proroga dell’esonero dai servizi esterni, conferma la persistenza di una condizione fisica precaria in capo alla dipendente, che avrebbe perciò imposto alla P.A. l’adozione di quelle regole prudenziali poc’anzi enunciate (e che, invece, sono state disattese).

Altrettanto irrilevante, in presenza dei due giudizi medico-legali ora riferiti, è poi la circostanza che la lavoratrice si fosse dichiarata disponibile a partecipare all’esercitazione (il che si spiega facilmente con il timore di pregiudizi per la sua carriera) ed avesse dichiarato, nel rapporto informativo del 2008, di avere un’idoneità fisica al servizio assoluta.

Anche per quanto riguarda il nesso di causalità tra il comportamento della P.A., consistente nell’aver comandato la lavoratrice all’esercitazione di tiro, e l’evento dannoso da questa subito, vanno condivisi il ragionamento svolto dalla sentenza appellata e le conclusioni cui è pervenuta.

Pure da questo punto di vista, infatti, occorre tenere conto della situazione iniziale della dipendente, la quale, sebbene avesse una -OMISSIS-, ha eseguito movimenti ed attività che hanno determinato -OMISSIS-, ancorché in un periodo di tempo breve. Il T.A.R. ha riferito il carattere prolungato dell’attività svolta all’intensità dell’attività stessa durante l’esercitazione del -OMISSIS- 2008, con l’effettuazione di un tiro assai intenso in un arco temporale ridotto e la conseguenza del prodursi di -OMISSIS-, nel locus minori resistentiae , in detto arco temporale: e tale ragionamento, che combina la frequenza con l’intensità dello sforzo, appare senz’altro plausibile.

Del resto, il fatto che, dopo l’infortunio del 2002, a cui era seguito un intervento chirurgico, e prima dell’esercitazione del 2008, l’-OMISSIS- -OMISSIS- sia stata comandata ad altre tre esercitazioni di tiro (l’ultima delle quali risalente al 4 novembre 2003), concretizza, ad avviso del Collegio, un’attività di tiro prolungata nel tempo, che ben può aver cagionato, a causa delle -OMISSIS-, la creazione di quel “ locus minori resistentiae ” di cui parla il verificatore, -OMISSIS-, a pag. 3 della relazione di verificazione versata in atti dall’appellante principale: di tal ché, il formarsi di -OMISSIS- dovuta dall’attività di tiro, unitamente all’ulteriore ed intenso sforzo compiuto in occasione dell’esercitazione del -OMISSIS- 2008, possono avere determinato – come conclude il verificatore – -OMISSIS--OMISSIS-.

In definitiva, l’appello principale è nel suo complesso infondato e deve, perciò, essere integralmente respinto.

Occorre ora passare all’analisi dell’appello incidentale, con il quale l’ex -OMISSIS- -OMISSIS- impugna la sentenza di prime cure nella parte in cui ha respinto le sue domande.

1) Anzitutto, l’appellante incidentale contesta la decurtazione del 50% della somma dovutale a titolo di -OMISSIS- (biologico), poiché, secondo la giurisprudenza, ove vi siano concause naturali non imputabili al danneggiante, le quali concorrano con il comportamento di costui nel determinare l’evento dannoso, deve ritenersi che l’autore della condotta illecita sia responsabile per intero di tutte le conseguenze da essa scaturenti secondo un rapporto di consequenzialità ordinaria, in tale ipotesi non potendosi operare una riduzione proporzionale in virtù della minore gravità della sua colpa (sul punto viene richiamata Cass. civ., Sez. III, 4 gennaio 2010, n. 4).

2) In secondo luogo censura il mancato riconoscimento del danno -OMISSIS-, che avrebbe dovuto esserle liquidato per -OMISSIS- conseguente all’infortunio.

3) Ancora, l’appellante incidentale lamenta il mancato riconoscimento del danno da perdita di chance , per avere ella perso, a seguito dell’episodio, la possibilità di partecipare a qualunque tipo di (con)corsi volti al conseguimento di un livello superiore, a causa del difetto dei requisiti fisici, con il corollario della preclusione di ogni avanzamento in grado e dei connessi miglioramenti retributivi. D’altronde, la memoria finale e la documentazione da ultimo prodotta dimostrano che il peggioramento continuo delle sue condizioni di salute l’ha portata da ultimo ad essere dispensata dal servizio dalla P.A. per la sua inabilità fisica (con decorrenza -OMISSIS- 2020).

4) Infine, la sig.ra -OMISSIS- contesta la mancata liquidazione del danno morale, che, invece, le sarebbe spettato, avendo l’illecito della P.A. arrecato una lesione grave ad un suo diritto costituzionalmente protetto (quale il diritto alla dignità della persona ex art. 2 Cost.), viste le enormi sofferenze da essa patite sul piano non solo fisico, ma altresì psichico. Richiama, al riguardo, fattori quali il periodo di lunga degenza, la necessità dell’applicazione di -OMISSIS-, il divieto di attività sportiva, la compromissione delle sue abitudini di vita, sottolineando le ripercussioni non patrimoniali di dette sofferenze.

Al riguardo occorre premettere che la ricorrente non impugna la sentenza di primo grado nel capo in cui quest’ultima ha respinto la sua domanda di risarcimento del danno patrimoniale conseguente alla pretesa impossibilità di continuare a svolgere -OMISSIS-. Su tale capo della sentenza in discorso, recante reiezione delle pretese risarcitorie della lavoratrice, deve dunque intendersi formato il giudicato.

Per ciò che riguarda, invece, i motivi dell’appello incidentale, poc’anzi elencati ai nn. 1-4, il Collegio osserva quanto segue.

L’appello incidentale va respinto nella parte in cui – motivo n. 1) – contesta la decurtazione del 50% operata dal T.A.R. sulla somma richiesta a titolo di risarcimento del -OMISSIS-.

Da tale punto di vista, infatti, i giudici di prime cure non hanno fatto altro che conformarsi al giudizio del verificatore, il quale, nelle conclusioni della sua relazione (pagg. 3-4), afferma che per la sig.ra -OMISSIS- “ il nesso di causalità tra l’attività prolungata di tiro e l’-OMISSIS-- può essere riconosciuto nella misura del 50% (cinquanta per cento) ”.

Né l’appellante incidentale fornisce, a ben vedere, argomenti scientifici per contestare il giudizio ora riferito, limitandosi a richiamare, come si è visto poc’anzi, un arresto del giudice di legittimità (Cass. civ., Sez. III, n. 4/2010, cit.).

Ma detto richiamo è incompleto e fuorviante, avendo la Suprema Corte ribadito, nell’arresto de quo , il seguente principio di diritto: “ Se concause naturali non imputabili al danneggiante concorrono, con il comportamento di quest’ultimo, a determinare l’evento dannoso oggetto della causa (nel senso che da un lato dette concause non potevano dar luogo, senza l’apporto umano, all’evento di danno;
e che dall’altro il danno in questione non preesisteva neppure in parte rispetto al verificarsi di detto concorso di cause naturali ed umane), l’autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo normalità;
in tal caso, infatti, non può operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile (cfr. in tal senso Cass. Sez. 3^, Sentenza n. 6502 del 10/05/2001;
e Cass. n. 2335 del 2001), ma se nel momento in cui si verifica il concorso causale in questione (in tutte le sue componenti: umane e naturali) e quindi insorge l’evento dannoso oggetto della causa, il danneggiato già presentava condizioni e/o postumi patologici di qualsiasi origine e natura, di questi non si deve tener conto ai fini della liquidazione dei danni, trattandosi condizioni e/o postumi non direttamente causati dal comportamento del danneggiante, né in alcun altro modo eziologicamente collegati con gli eventi oggetto del giudizio
”.

Orbene, il T.A.R. ha attribuito nella misura del 50% alla P.A. le conseguenze dell’evento dannoso, avendo la condotta colpevole della stessa contribuito alla produzione di detto evento in tale ridotta misura. Il Collegio condivide siffatta valutazione, ritenendo che nella vicenda in esame non si possa parlare di concorso della condotta dell’Amministrazione danneggiante con una concausa naturale non imputabile e senza preesistenza neppure parziale del danno, visto che:

a) il concorso di cause sussiste, semmai, con una precedente condotta umana colpevole (l’-OMISSIS- del 2002, da cui sono derivati i problemi -OMISSIS- dell’ex -OMISSIS-);

b) la fuoriuscita della nuova -OMISSIS- è stata resa possibile – come esplicita la relazione del verificatore – in conseguenza delle peculiari condizioni di salute in cui versava la dipendente e cioè per l’esistenza di “ un substrato precedente predisponente, rappresentato dall’-OMISSIS- per il precedente intervento ”;

c) dei postumi patologici dell’-OMISSIS- del 2002 (che hanno generato il “ substrato ” su cui si sono innestate le sollecitazioni e i microtraumi conseguenti all’esercitazione di tiro del -OMISSIS- 2008), il T.A.R., alla stregua della stessa giurisprudenza invocata dall’appellante incidentale, correttamente non ha tenuto conto nella liquidazione della somma dovuta quale risarcimento del -OMISSIS-, che, perciò, è risultata dimezzata;

d) in ogni caso, imputare all’Amministrazione anche l’apporto causale derivante dalla sussistenza del “ substrato precedente predisponente ” significherebbe andare oltre l’attribuzione delle conseguenze scaturenti secondo un criterio di normalità.

L’appello incidentale è, invece, meritevole di accoglimento relativamente al motivo sopra riportato al n. 2), ossia nella parte in cui censura il mancato accoglimento da parte del T.A.R. della domanda di risarcimento del danno -OMISSIS-.

Al riguardo si impone una premessa metodologica.

Secondo la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. III, 18 luglio 2020, n. 14246, di cui vengono riportati di seguito gli stralci significativi ai fini che qui interessano), la considerazione separata del pur sempre unitario concetto di danno non patrimoniale è ammessa nella misura in cui sia evidente la diversità del bene o interesse oggetto della lesione.

In particolare, se è vero che le cosiddette sentenze di San Martino – Cass. 11/11/2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975 – hanno imposto la liquidazione unitaria del danno non patrimoniale, ritenendolo una “categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate”, potendo, però, a seconda della fattispecie o del tipo di interesse leso, assumere contenuto diverso con funzione descrittiva delle conseguenze negative verificatesi, la giurisprudenza successiva ha ulteriormente specificato che il danno non patrimoniale è categoria unitaria dal punto di vista giuridico, ma non lo è dal punto di vista fenomenologico (Cass. 17/01/2018, n. 901;
Cass. 27/03/2018, n. 7513).

Di conseguenza, il fatto che la liquidazione debba essere unitaria (…..) non è lo schermo dietro cui celare liquidazioni astratte e non trasparenti e men che mai può tradursi in una arbitraria ed immotivata contrazione del risarcimento. Ad impedire tale ultima eventualità (….) vi è il fatto che oltre che unitario il danno non patrimoniale deve essere omnicomprensivo, cioè deve garantire che la vittima ottenga l’integrale risarcimento del danno, venendo compensata di tutte le conseguenze pregiudizievoli cagionate dall’illecito. In aggiunta, ove ricorra il -OMISSIS- deve escludersi che esso esaurisca il danno non patrimoniale alla persona (Cass. 21/09/2017, n. 21939;
Cass. 07/11/2014, n. 23778). Solo una logica deformante di panbiologizzazione che, per di più, fraintende il significato della omnicocomprensività, potrebbe indurre a credere che il -OMISSIS- abbia carattere assorbente ed esclusivo di ogni altra voce di danno alla persona (Cass. 17/01/2018, n. 901 sottolinea che tale tesi è stata sconfessata, al massimo livello interpretativo, da Corte Cost. 16/10/2014, n. 235 e dalla recente riforma del 2016 – cd. legge di stabilità – che, nel modificare la stessa rubrica degli artt. 138 e 139 del C.d.A., ha esplicitamente riconosciuto l’autonomia del danno morale rispetto a quello dinamico-relazionale
(….) ).

Il perimetro di valutazione del danno è contenuto tra il divieto di automatismi risarcitori e il divieto di duplicazioni, all’interno si collocano l’integrale riparazione del danno e la esigenza di garantirne la personalizzazione;
con quest’ultima si perfeziona il percorso liquidativo, il quale deve garantire e coniugare l’uniformità di base, cioè assicurare che vittime della stessa età e con la stessa percentuale di invalidità permanente ottengano lo stesso risarcimento, con la valorizzazione del vissuto individuale in vista della realizzazione di una eguaglianza che sia anche sostanziale.
In concreto ciò significa che ove le proiezioni negative patite non divergano da quelle subite da altre vittime della stessa età e con lo stesso grado di invalidità permanente la vittima non avrà diritto al riconoscimento di un quid pluris rispetto a quanto liquidato ricorrendo al metodo del punto di invalidità.

La richiesta risarcitoria di poste ulteriori andrà presa in considerazione, pertanto, ove siano soddisfatte due condizioni: 1) la posta pretesa non sia stata già riconosciuta;
2) vi sia la prova della ricorrenza di una situazione che giustifichi la liquidazione di un
quid pluris, cioè occorre che la vittima alleghi situazioni circostanziate, non bastando enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche, e che dimostri – può avvalersi, a tal fine, di ogni mezzo di prova, anche del fatto notorio, delle massime di esperienza e della logica inferenziale – la ricorrenza di conseguenze peculiari del caso concreto che abbiano reso il pregiudizio sofferto diverso e maggiore rispetto ai casi consimili (Cass. 13/12/2019, n. 32787;
Cass. 11/11/2019, n. 28989;
Cass. 11/11/2019, n. 28988;
Cass. 27/03/2018, n. 7513)
”.

Fatta questa doverosa premessa, si passa ora ad applicare le suesposte cooordinate giurisprudenziali al caso di specie, procedendo ad esaminare la domanda di risarcimento del danno -OMISSIS- formulata dalla lavoratrice in connessione alla -OMISSIS- da lei riportata in conseguenza dell’infortunio occorsole e della successiva operazione a cui si è dovuta sottoporre.

Al riguardo la sentenza appellata ha escluso il risarcimento, in quanto la -OMISSIS-: si tratta, però, di una motivazione non condivisibile, in quanto essa trascura del tutto le possibili ricadute negative per la danneggiata sul piano psicologico, della sua vita di relazione, lavorativa, ecc. attribuibili alla predetta -OMISSIS-.

Piuttosto, si tratta di vedere se nel caso di specie la liquidazione del danno -OMISSIS- sia già insita nella liquidazione complessiva del -OMISSIS- compiuta dal C.T.U. (-OMISSIS-), ovvero se vi siano elementi per una sua considerazione e liquidazione separate dal -OMISSIS-.

Afferma, al riguardo la relazione del C.T.U. --OMISSIS-

In conseguenza della lesione fisica rappresentata da una ulteriore -OMISSIS- -OMISSIS-, questa volta a livello di -OMISSIS-, trattata chirurgicamente con -OMISSIS- mediante medesimo e nuovo -OMISSIS-, sono residuati postumi permanenti, rappresentati dal punto di vista fisico, dalla descritta -OMISSIS-, da una attendibile maggiore -OMISSIS- e, dal punto di vista funzionale, così come emergente anche dalle risultanze della disposta consulenza neurologica, da un aggravamento della situazione preesistente -OMISSIS-. Dal punto di vista psichico si è concretizzato, come emergente anche dalla visita specialistica, un -OMISSIS-, considerata la evidente ripercussione negativa anche sull’attività lavorativa.

I postumi psichici e fisici sopra citati (ivi compresa anche la -OMISSIS-), specificando che verranno valutati percentualmente, a livello del -OMISSIS-, solo quelli al netto delle preesistenze, possono essere valutati globalmente in misura pari al 15% (quindici per cento), avuto riguardo ai Barème valutativi più recenti (Guida Orientativa per la valutazione del Danno Biologico - 3 ° Ed. rinn. B, C, Consigliere, P, U R;
Guida alla Valutazione medico legale dell’invalidità permanente di R, M, Genovese)”.

Ad avviso del Collegio, è mancata da parte del C.T.U. una valutazione del danno -OMISSIS- subito dalla dipendente sotto il profilo della sofferenza da essa patita per le ripercussioni dell’infortunio occorsole (in specie: del-OMISSIS- che ne è derivata) sulla sua vita di relazione, sia in ambito lavorativo, che in ambito extra-lavorativo. Si tratta di una sofferenza psichica, non tradottasi in una vera e propria patologia, la quale però non è stata valutata dal C.T.U., che:

a) ha tenuto conto dei soli disturbi psichici assurti al livello di vera e propria patologia (menzionando infatti, il disturbo dell’adattamento in cui è incorsa la lavoratrice);

b) ha riferito, sotto il profilo non patrimoniale, dei soli pregiudizi inerenti la persona in sé e per sé considerata (i limiti alla possibilità di svolgere ancora attività sportiva, adesso ristretta al -OMISSIS-: v. il paragrafo intitolato “ Anamnesi patologica prossima ”, pag. 13 della relazione del C.T.U.), senza prendere in esame i pregiudizi sofferti dalla lavoratrice danneggiata sotto l’aspetto relazionale, cioè nel suo rapportarsi agli altri, sia nell’ambiente di lavoro, sia altrove (e in particolare sotto l’aspetto della compromissione delle relazioni affettive).

In altre parole, il danno che si prende qui in considerazione attiene non tanto al malessere psichico patito dalla dipendente per -OMISSIS-, quanto alla sofferenza per le ricadute -OMISSIS- sul piano della compromissione delle sue relazioni interpersonali (lavorative e non).

Il Collegio non condivide la limitazione, operata da un orientamento giurisprudenziale (oltre alla già citata Cass. civ., Sez. III, n. 14246/2020, può richiamarsi Cass. civ., Sez. III, 27 marzo 2007, n. 7492), della risarcibilità autonoma del danno -OMISSIS- rispetto a quello biologico alle sole fattispecie in cui i postumi di carattere -OMISSIS- provochino ripercussioni negative su un’attività lavorativa già svolta o su un’attività futura, precludendola o rendendola di più difficile conseguimento: infatti, viene qui in rilievo un pregiudizio di natura non patrimoniale, che incide sulla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso (Cass. civ., Sez. III, 26 maggio 2020, n. 9695).

Ritiene, dunque, il Collegio che nel caso di specie la surriferita regola di personalizzazione del danno consenta di riconoscere alla sig.ra -OMISSIS- una somma quale risarcimento del danno -OMISSIS-: somma, che si può liquidare in via equitativa (sussistendone i presupposti dell’esistenza di un danno risarcibile e dell’impossibilità obiettiva o particolare difficoltà per il danneggiato di provarlo nel suo preciso ammontare: cfr., ex plurimis , C.d.S., Sez. VI, 10 febbraio 2020, n. 1000;
id., Sez. V, 14 marzo 2019, n. 1683 e 13 luglio 2017, n. 3448) nella misura attualizzata di € 10.000,00.

Occorre precisare, sul punto, che poiché la somma è stimata al valore attuale, su di essa non è dovuta la rivalutazione monetaria, mentre gli interessi legali spettano dal giorno del deposito della presente pronuncia fino all’effettivo soddisfo.

Ancora, l’appello incidentale va respinto nella parte in cui lamenta – con il motivo sopra elencato al n. 3) – la mancata liquidazione alla ricorrente in primo grado del danno da perdita di chances , quale perdita delle possibilità di progressione di carriera.

Invero, la perdita di dette chances è da imputare, piuttosto, all’episodio del 2002, in conseguenza del quale, come già si è visto, l’-OMISSIS- -OMISSIS- si è dovuta sottoporre ad un intervento chirurgico che ne ha comportato il forzato esonero dai servizi operativi -OMISSIS-. Non è corretto, dunque, sostenere – come fa l’appellante incidentale – che la perdita della capacità e dell’idoneità ai servizi operativi è dipesa dell’infortunio occorsole nell’esercitazione di tiro del -OMISSIS- 2008.

Non si può non sottolineare, inoltre, da questo punto di vista, che proprio l’episodio del -OMISSIS- 2008 ha reso palese l’impossibilità, per la dipendente, di prendere parte alla pur necessaria attività di aggiornamento professionale al tiro (v. la già ricordata relazione del Vice Questore Aggiunto -OMISSIS- del 3 ottobre 2008), sebbene si tratti, in base alla circolare del -OMISSIS- (all. 19 all’appello principale), di un’attività che ogni operatore deve effettuare per il consolidamento del livello di addestramento posseduto.

Non rileva in contrario l’affermazione dell’interessata, contenuta a pag. 13 della relazione del C.T.U., nel paragrafo intitolato “ Anamnesi patologica prossima ”, per cui la stessa, dopo il primo infortunio ed i suoi postumi, avrebbe potuto comunque “ ricoprire ruoli più consoni dove l’esperienza operativa maturata poteva essere sfruttata, ad esempio, in centrale operativa ”. Si tratta, infatti, di affermazione mirata a delineare non già i possibili percorsi di carriera dell’-OMISSIS- -OMISSIS-, quanto, piuttosto, la possibilità della sua assegnazione a compiti diversi, che ne avrebbero potuto salvaguardare – in tesi – le condizioni psico-fisiche.

In definitiva, la sentenza appellata merita di essere confermata nel capo in cui ha respinto la domanda di risarcimento del danno da perdita di chances , sia per le motivazioni in essa contenute al riguardo (avere la ricorrente fornito presunzioni e meri calcoli di probabilità, senza apportare alcun elemento concreto a supporto delle proprie tesi), sia con l’integrazione della motivazione ora delineata (e cioè l’imputazione causale di ogni eventuale ricaduta negativa sulla carriera della lavoratrice all’infortunio occorsole -OMISSIS-).

Da ultimo, non può trovare accoglimento il motivo dell’appello sopra elencato al n. 4) e cioè il motivo volto a censurare la sentenza impugnata per avere essa respinto la domanda di risarcimento del danno morale patito dalla ricorrente, da intendere quale aspetto interiore del danno sofferto sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione (cfr. Cass., civ., Sez. III, n. 14246/2020, cit.).

Su questo punto, tuttavia, la motivazione della sentenza appellata deve essere corretta.

Sostiene, infatti, il T.A.R. che nel caso in esame non si rientra nell’ambito applicativo dell’art. 2059 c.c. e che comunque l’interessata non ha fornito specifici elementi di prova in merito alle ripercussioni negative, di carattere non patrimoniale e diverse dalla mera sofferenza psichica, della lesione subita in relazione all’intera durata della vita residua, né ha fornito elementi per affermare il verificarsi di un pregiudizio collegato intimamente all’entità ed all’intensità della sofferenza da essa patita, dotato di piena autonomia ontologica rispetto al -OMISSIS-.

Ritiene, al contrario, il Collegio che la vicenda in esame rientri in linea di principio nella fattispecie del danno morale prevista dal combinato disposto degli artt. 2059 c.c. e 185 c.p. (danno da reato). La condotta della P.A. consistita nell’omessa adozione di cautele idonee ad evitare l’infortunio occorso alla lavoratrice durante l’esercitazione di tiro del -OMISSIS- 2008, infatti, integra l’ipotesi di reato delle lesioni personali colpose ex artt. 590 e 40 c.p. (Cass. civ., Sez. lav., 22 novembre 2012, n. 20620;
Cass. pen, Sez. IV, 23 gennaio 1986 in Cass. pen. 1988, 447 ): ed è noto che, ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 185 c.p., è necessario unicamente che il fatto possa astrattamente configurarsi come illecito penale, non essendo invece necessario che il reato sia accertato in senso tecnico (Cass. civ., Sez. Un., 6 dicembre 1982, n. 6651), cosicché, ad esempio, si può procedere alla liquidazione del danno anche nel caso di mancata proposizione della querela (Cass. civ., Sez. III, n. 14126/2020, cit.;
Trib. Lucca, 2 dicembre 2016, n. 1524).

Tuttavia, nel caso di specie è la medesima appellante incidentale ad affermare di aver utilizzato, nella quantificazione della somma richiesta a titolo di -OMISSIS-, le tabelle del Tribunale di Milano (2013) e tale quantificazione è stata recepita e fatta propria, previa decurtazione del 50% della somma stessa, dalla sentenza impugnata.

Orbene, per giurisprudenza ormai consolidata, le tabelle del Tribunale di Milano, modificate nel 2009 in seguito alle poc’anzi ricordate sentenze delle Sezioni Unite “di San Martino” del 2008, non hanno cancellato -OMISSIS-, bensì hanno provveduto ad una liquidazione congiunta del danno non patrimoniale derivante da lesione permanente all’integrità psicofisica (-OMISSIS-) e del danno non patrimoniale derivante dalla stessa lesione in termini di dolore e di sofferenza soggettiva (danno morale);
dette tabelle, cioè, pur tenendo ferma la distinzione concettuale tra -OMISSIS- e danno morale, hanno provveduto alla liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di “-OMISSIS- standard , personalizzazione del -OMISSIS-, danno morale”, determinando il valore finale del punto utile al calcolo del danno (cfr. Cass. civ., Sez. III, 27 aprile 2018, n. 10156, e 12 settembre 2011, n. 18641). Ciò significa che il giudice che determini l’entità del danno servendosi delle tabelle milanesi mostra di aver già tenuto conto, pur se implicitamente, tanto del -OMISSIS- quanto del danno morale, in considerazione degli importi in concreto liquidati (Cass. civ., Sez. III, n. 14126/2020, cit.).

Se ne evince, in ultima analisi, che nella somma liquidata dal T.A.R. alla ricorrente quale risarcimento del -OMISSIS- era ricompreso anche -OMISSIS-, stante l’utilizzo, ai fini della suddetta liquidazione, delle tabelle del Tribunale di Milano. La pretesa dell’appellante incidentale di ottenere il risarcimento del danno morale si configura, dunque, quale pretesa ad una duplicazione – che però è vietata – delle poste risarcitorie.

Per questa ragione, a correzione della motivazione addotta in proposito dalla sentenza impugnata, il motivo dell’appello incidentale basato sul mancato accoglimento della domanda di risarcimento del danno morale deve essere respinto.

In conclusione, mentre l’appello principale è integralmente infondato, l’appello incidentale va accolto limitatamente al motivo volto a far valere il mancato accoglimento, da parte del primo giudice, della domanda di risarcimento del danno -OMISSIS-.

Per l’effetto, in riforma del capo della sentenza appellata che ha respinto tale domanda ed in aggiunta alle somme già liquidate dal T.A.R., il Ministero dell’Interno va condannato al pagamento in favore della sig.ra -OMISSIS- dell’importo di € 10.000,00 per -OMISSIS- conseguente all’infortunio da lei subito nell’esercitazione del -OMISSIS- 2008. Su detta somma sono dovuti gli interessi legali a far data dal giorno del deposito della presente decisione fino al soddisfo.

La reiezione dell’appello principale e l’accoglimento parziale dell’appello incidentale giustificano la condanna del Ministero dell’Interno al pagamento, in favore della lavoratrice, delle spese del giudizio di appello, nella misura di cui al dispositivo.

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