Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-09-26, n. 202208271

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-09-26, n. 202208271
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202208271
Data del deposito : 26 settembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/09/2022

N. 08271/2022REG.PROV.COLL.

N. 01882/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1882 del 2019, proposto dal
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato S V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente l’impugnativa di una sanzione disciplinare


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 luglio 2022 il Cons. Cecilia Altavista e nessuno presente per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il presente appello il Ministero dell’Interno ha impugnato la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n.-OMISSIS-, che ha accolto il ricorso del signor -OMISSIS-, ispettore superiore –sostituto commissario della Polizia di Stato, in servizio presso il Compartimento della Polizia Ferroviaria per la-OMISSIS-, avverso il decreto del Capo della Polizia dell’11 agosto 2009 di rigetto del ricorso gerarchico proposto nei confronti della sanzione disciplinare della pena pecuniaria pari a 1/30 di una mensilità dello stipendio.

La sanzione era stata inflitta con provvedimento del 9 aprile 2009 dal dirigente del Compartimento della Polizia ferroviaria per la-OMISSIS-, in quanto il 14 gennaio 2009 nella sede di servizio, in presenza di personale appartenente a qualifiche inferiori, l’Ispettore superiore -OMISSIS- aveva manifestato nei riguardi del dirigente del Compartimento ferroviario “ in modo poco garbato nei termini e nei toni l’inidoneità della sistemazione logistica per lui individuata;
nell’occasione estraeva un minuscolo apparecchio dichiarando che stava registrando la conversazione per tutelarsi nei confronti del dirigente ivi presente
”.

Con il ricorso gerarchico l’Ispettore -OMISSIS- aveva contestato di avere usato toni poco garbati e aveva dedotto di essere un rappresentante sindacale e che in tale attività aveva già avuto rapporti conflittuali con il dirigente del Compartimento ferroviario;
aveva, pertanto, presentato istanza di ricusazione del medesimo dirigente nel corso del procedimento disciplinare.

Il decreto di rigetto del ricorso gerarchico riteneva provati i fatti contestati, anche in base alle relazioni di servizio del personale presente all’episodio;
escludeva che la vicenda rientrasse nell’attività sindacale svolta, riguardando la sistemazione logistica del ricorrente;
escludeva, altresì, che sussistessero ipotesi di astensione o ricusazione del dirigente che aveva irrogato la sanzione disciplinare, non essendovi né motivazioni personali di grave inimicizia né ipotesi di astensione o ricusazione, tassativamente stabiliti dal combinato disposto dell’art. 31 del d.p.r 25 ottobre 1981, n. 737 e dell’art. 149 del T.U. 10 gennaio 1957, n. 3.

Con il ricorso di primo grado sono state riproposte le censure del ricorso gerarchico, formulando motivi di:

-violazione dell’art. 31 del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, dell’art. 149 del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3/1957, degli artt. 21 e 97 della Costituzione, lamentando la sussistenza di condizioni di incompatibilità e del conseguente obbligo di astensione da parte del dirigente compartimentale, il quale aveva interesse al procedimento, essendo stato il destinatario del comportamento oggetto del procedimento disciplinare;
inoltre lo stesso dirigente aveva già inflitto al ricorrente una precedente sanzione disciplinare (richiamo scritto) impugnata con ricorso straordinario al Capo dello Stato accolto con d.P.R. del 3 ottobre 2011, sulla base del parere del Consiglio di Stato, che aveva ritenuto fondata la censura relativa alla irrogazione della sanzione dal medesimo soggetto destinatario del comportamento sanzionato;

- violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del d.p.r. 24 novembre 1971, n. 1199;
eccesso di potere, violazione dell’art. 97 della Costituzione e dei principi sottesi allo svolgimento dei procedimenti giustiziali, essendo stato fondato il provvedimento di rigetto del ricorso gerarchico su ulteriori relazioni di servizio ed accertamenti istruttori rispetto a quelli posti a base del procedimento disciplinare;

- eccesso di potere sotto differenti profili, erronea e falsa applicazione delle disposizioni di cui all’art. 24 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e degli artt. 3 e 4 del d.P.R. n. 737/1981, sostenendo la legittimità della registrazione del colloquio.

Nel giudizio di primo grado l’Amministrazione si costituiva in giudizio con atto di mero stile.

La sentenza di primo grado ha accolto il ricorso, ritenendo sussistente l’obbligo di astensione del dirigente che era stato destinatario del comportamento disciplinarmente rilevante.

Con l’appello l’Amministrazione ha formulato un primo motivo di “ violazione degli artt. 13 comma 2 e 15 c.p.a. ”, eccependo l’incompetenza territoriale del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, dovendo farsi applicazione del criterio della sede di servizio, nel caso di specie, -OMISSIS-, con competenza del Tribunale amministrativo regionale della-OMISSIS-;
con un secondo motivo ha lamentato la falsa applicazione degli artt. 51, 52 c.p.c. e dell’art. 149 del T.U. 3 del 1957. contestando la sussistenza dell’obbligo di astensione, in quanto la sanzione sarebbe stata inflitta per un comportamento non conforme al decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli dell'Amministrazione e non solo per una offesa personale al dirigente dell’ufficio, non vi sarebbe inoltre alcun profilo di inimicizia personale, ma solo rapporti di servizio, che non rileverebbero in base all’orientamento giurisprudenziale citato nell’atto di appello.

Si è costituito in giudizio il signor -OMISSIS-, contestando la fondatezza di entrambi i motivi di appello e riproponendo le censure assorbite in primo grado.

Entrambe le difese hanno poi presentato istanza di passaggio in decisione senza discussione orale.

All’udienza pubblica del 19 luglio 2022, l’appello è stato trattenuto in decisione.

L’appello è infondato.

Con riguardo al primo motivo, deve rilevarsi che il ricorso introduttivo del giudizio è stato depositato il 2 dicembre 2009, prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo. Poiché, ai sensi dell’art. 5 c.p.c., la competenza si determina con riguardo alla legge vigente al momento di proposizione della domanda, deve farsi applicazione della disciplina previgente;
in particolare dell’art. 31 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, che prevedeva che l'incompetenza per territorio del tribunale adito potesse essere eccepita solo con il regolamento di competenza, da proporsi “ a pena di decadenza, entro venti giorni dalla data di costituzione in giudizio ”.

L’Adunanza Plenaria ( Ord., n. 1 e n. 6 del 2011), infatti, dopo l’entrata in vigore del codice, ha affermato che, essendo la disciplina della competenza ed il rilievo dell'incompetenza radicalmente mutato con la sopravvenuta normativa - improntata a principi di inderogabilità, rilevabilità anche d'ufficio, proponibilità con specifico motivo d'appello, mentre le regole pregresse prevedevano la rilevabilità dell'incompetenza solo a istanza di parte, con regolamento c.d. di tipo preventivo soggetto a tempi ristrettissimi - la nuova disciplina della competenza, “ compresi i modi di rilevabilità dell'incompetenza di cui all'art. 15 c.p.a. ”, sia applicabile solo ai processi instaurati a decorrere dalla data della sua entrata in vigore (16 settembre 2010).

In particolare, l’Adunanza Plenaria n. 1 del 2011 ha ritenuto che la previgente disciplina della competenza riguardasse anche l’istituto del regolamento di competenza, con la conseguenza che se il regolamento non è stato proposto nei termini di cui all’art. 31 della legge n. 1034 del 1971, è maturata una preclusione processuale ovvero l’impossibilità di esercitare un potere non più azionabile oltre un certo momento del processo, per cui autorizzarne di nuovo l'esercizio in base alla sopravvenienza normativa comporterebbe una ingiustificata rimessione in termini. Inoltre, “ poiché il rapporto in questione nella disciplina previgente si esplicava esclusivamente nell'esercizio del potere di parte, ne deriva che alla estinzione di quest'ultimo consegue l'estinzione del rapporto nel suo complesso e quindi l'impossibilità di attivare i nuovi meccanismi di rilevabilità (anche d’ufficio ) della eventuale incompetenza ” (Adunanza Plenaria n. 1 del 2011).

Applicando tali principi, si deve ritenere che, nel caso di specie, l’Amministrazione sia decaduta dalla facoltà di eccepire l’incompetenza territoriale del TAR Lazio.

Deve, infatti, farsi, altresì, applicazione del comma 9 dell’art. 31 della legge n. 1034 del 1971, che prevedeva espressamente che “ l’'incompetenza per territorio non costituisce motivo di impugnazione della decisione emessa dal tribunale amministrativo regionale”, trattandosi del diretto corollario del sistema della proponibilità della eccezione di competenza solo nei ristretti termini per la proposizione del regolamento e del rilievo della incompetenza territoriale solo in tali limiti, previsto nella disciplina previgente al codice del processo, applicabile al presente giudizio.

Ne deriva l’inammissibilità del motivo di appello.

Con riferimento al secondo motivo di appello, il Collegio ritiene di richiamare la più recente giurisprudenza anche della Sezione - a cui intende dare continuità - che ha affermato che il principio di imparzialità, sancito dall'art. 97 della Costituzione, di cui l’obbligo di astensione, tipizzato dall'art. 51 c.p.c., rappresenta un corollario, assume portata generale, sicché le ipotesi di astensione obbligatoria non sono tassative, e come tali da interpretarsi restrittivamente, ma piuttosto esemplificative di circostanze che mutuano l'attitudine a generare il dovere di astensione direttamente dal superiore principio di imparzialità, che ha carattere immediatamente e direttamente precettivo (Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 luglio 2019, n. 5239). L'obbligo di astensione rinviene la sua ragione giustificativa nel pieno rispetto del principio costituzionale del buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa sancito dall'art. 97 Cost., posto a tutela del prestigio della pubblica amministrazione, che non tollera compressioni e non consente di escludere dall'applicazione di detto principio anche l'Amministrazione militare (Consiglio di Stato, Sez. II, 21 ottobre 2019 n. 7113, con riferimento ad un giudizio di avanzamento).

Sulla base di tali premesse argomentative è stata ravvisata la violazione dell'art. 97 della Costituzione quando l'Autorità che abbia irrogato la sanzione disciplinare coincida con il soggetto che sia stato leso dal comportamento del dipendente ed abbia contestato gli addebiti. In tal caso, infatti, non si può ritenere rispettato il principio di terzietà e di obiettività dell'azione amministrativa;
né l'espressa attribuzione della competenza al superiore impedisce che la sanzione venga irrogata da altro soggetto appartenente al medesimo ufficio dall'autorità superiore (Consiglio di Stato Sez. II, 9 marzo 2020, n. 1654;
Sezione III, 26 settembre 2019, n. 6460).

In particolare, l’obbligo di astensione è stato ritenuto applicabile ai procedimenti sanzionatori dei militari (ai quali quelli previsti per gli appartenenti alla Polizia di Stato sono assimilabili), considerato anche che l'individuazione della sanzione applicabile all’illecito disciplinare nonché la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati costituisce, nell'ambito delle indicazioni fornite dal legislatore, espressione di un potere discrezionale dell'Amministrazione, censurabile da parte del giudice amministrativo, in sede di giudizio di legittimità, solo per difetto di motivazione ovvero per eccesso di potere per illogicità o irragionevolezza, escludendo ogni sostituzione e/o sovrapposizione di criteri valutativi diversi;
pertanto, particolare rilievo assume l’obbligo di astensione, costituendo principio generale per l'esercizio di un potere amministrativo, in particolare discrezionale, l'imparzialità del soggetto che adotta il provvedimento finale. Ciò sulla base anche dell’art. 6 bis della L. 7 agosto 1990, n. 241, inserito dall'art. 1, comma 41, della L. 6 novembre 2012, n. 190, utilizzato quale ausilio interpretativo dell'ambito di estensione del principio di imparzialità, per cui " il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale " ( cfr. sez. II n. 1654 del 2020 citata).

Anche il parere del Consiglio di Stato n. -OMISSIS-, relativo al ricorso straordinario proposto dal sig. -OMISSIS- avverso la sanzione del richiamo scritto irrogata dal medesimo dirigente il 10 febbraio 2009, aveva espressamente richiamato l’art. 97 della Costituzione, “ dovendo essere rimosso il sospetto (oggettivo e non soggettivo) che il coinvolgimento del dirigente nella situazione oggetto del provvedimento sanzionatorio non lo abbia indotto a determinarsi con la dovuta imparzialità in relazione ad accadimenti concernenti i rapporti personali con il prevenuto”, in quanto “al di là dei singoli casi espressamente codificati di obbligo di astensione, le situazioni di conflitto insorte fra un militare e il suo superiore gerarchico, che vadano ovviamente oltre la contrapposizione di opinioni o di sensibilità e metodi di lavoro, come tali fisiologicamente presenti all’interno degli uffici in relazione all’attività di servizio, obbligano il superiore gerarchico all’astensione e a passare ad altri il compito di provvedere, ogniqualvolta vi possa essere il dubbio che la decisione appaia non rispondente a canoni di trasparenza ed imparzialità”.

L’ampiezza del principio di imparzialità e del conseguente obbligo di astensione per come interpretati dalla giurisprudenza comportano l’irrilevanza delle argomentazioni della difesa appellante circa la natura plurioffensiva del comportamento del soggetto sanzionato, che avrebbe leso in generale il decoro della pubblica sicurezza.

Peraltro, deve rilevarsi che, nel caso di specie, il provvedimento sanzionatorio è stato irrogato per uno specifico comportamento tenuto nei confronti del dirigente ( il medesimo che ha irrogato la sanzione della pena pecuniaria): “ manifestava nei riguardi del dirigente del Compartimento ferroviario in modo poco garbato nei termini e nei toni l’inidoneità della sistemazione logistica per lui individuata;
nell’occasione estraeva un minuscolo apparecchio dichiarando che stava registrando la conversazione per tutelarsi nei confronti del dirigente ivi presente
” e non ha operato alcun riferimento alla violazione di altri obblighi disciplinarmente rilevanti.

In ogni caso, poi, trattandosi di una ipotesi di conflitto di interessi, è sufficiente verificare che il soggetto che infligga la sanzione sia stato coinvolto nel comportamento da sanzionare e ne risulti il destinatario, anche a prescindere dalla propagazione del comportamento offensivo ad altri profili disciplinari, quali la lesione il decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza (cfr. punto 18 dell’art. 4 del D.P.R. 737 del 1981, che configura i presupposti per l’irrogazione della pena pecuniaria), considerando che l’art. 149 del T.U. n. 3 del 1957 ritiene sufficiente per la ricusazione del componente della Commissione di disciplina un “ interesse personale ” dello stesso.

In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.

In considerazione della particolarità delle questioni le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate.

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