Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-11-24, n. 202210362

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-11-24, n. 202210362
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202210362
Data del deposito : 24 novembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/11/2022

N. 10362/2022REG.PROV.COLL.

N. 05305/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5305 del 2016, proposto da
Pubbliemme S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato G E, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Reggio di Calabria, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato A F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria - sezione staccata di Reggio Calabria, n. 01148/2015, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Reggio di Calabria;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 novembre 2022 il Consigliere Lorenzo Cordì e uditi per le parti gli avvocati G E e Salvatore Legato per delega dell’avvocato A F;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Pubbliemme s.r.l. impugna la sentenza n. 1148/2015 con la quale il T.A.R. per la Calabria – sezione staccata di Reggio Calabria respinge il ricorso avverso l’ordinanza n. 143/2015 con la quale il Comune di Reggio Calabria ordina la rimozione di opere eseguite senza titolo.

2. Le opere oggetto del provvedimento impugnato in primo grado consistono in due strutture metalliche delle dimensioni rispettivamente di mt. 18,00 x mt. 3,00 e di mt. 6,00 x mt. 3,00, da utilizzare quali supporti per cartellonistica pubblicitaria. La prima struttura è installata sul terrazzo di un fabbricato a due piani fuori terra, ubicato in Reggio Calabria, via S. Pietro, n. 13;
la seconda struttura è installata sulla porzione di abbaino di un fabbricato ubicato in Reggio Calabria, via S. Pietro, n.

7. Il provvedimento è emesso all’esito dell’accertamento eseguito in data 21.9.2005 mediante il quale l’Amministrazione constata l’avvenuta esecuzione di tali opere che sono, inoltre, oggetto di istanza di autorizzazione depositata in data 30.8.2005 presso gli uffici del Comune ma non ancora delibata dallo stesso al momento della realizzazione delle strutture.

3. L’odierna appellante ricorre, in primo grado, al T.A.R. per la Calabria – sezione staccata di Reggio Calabria articolando quattro motivo di ricorso. In particolare: i ) con il primo motivo lamenta la violazione delle previsioni di cui agli artt. 7 e 8 della L. n. 241/1990; ii ) con il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 3 e 24 del D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, e agli artt. 10 e 31 del D.P.R. 6.6.2001, n. 380, nonché l’eccesso di potere per travisamento dei fatti e per contraddizione con precedenti manifestazioni di volontà; iii ) con il terzo lamenta la violazione e falsa applicazione delle previsioni di cui agli artt. 10 e 31 del D.P.R. 6.6.2001, n. 380; iv ) con il quarto motivo lamenta la violazione delle previsioni di cui agli artt. 3 e 10 della L. n. 241/1990, nonché l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e per insufficienza della motivazione.

3.1. Si costituisce in giudizio il Comune di Reggio Calabria che chiede di respingere il ricorso.

3.2. Con la sentenza appellata il T.A.R. respinge il ricorso osservando che: i ) deve escludersi che esista alcun rapporto di tipo derogatorio fra la normativa edilizia e la normativa per le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507; ii ) la normativa edilizia trova applicazione in tutte le ipotesi in cui si configuri un mutamento del territorio nel suo contesto preesistente, sia sotto il profilo urbanistico, che sotto quello edilizio;
conseguentemente nelle ipotesi in cui la sistemazione di una insegna o di una tabella pubblicitaria o di ogni altro genere, per le sue consistenti dimensioni, comporti un rilevante mutamento territoriale, è richiesto l’assenso mediante “ permesso di costruire ” e mediante s.c.i.a. negli altri casi; iii ) deve escludersi che possano trovare applicazione nel caso di specie le sole regole del D.Lgs. n. 507/1993 atteso che sono installati due impianti pubblicitari aventi rilevante configurazione dimensionale; iv ) il D.Lgs. 507 del 1993 non prevede che l’amministrazione comunale, nel rilasciare l’autorizzazione all’installazione degli impianti, svolga anche valutazioni edilizie relative all’impatto della struttura sul territorio che sono, quindi, oggetto del diverso procedimento volto ad ottenere il titolo edilizio prescritto in relazione alla natura e alle caratteristiche delle opere; v ) sono infondate le censure relative alla violazione delle regole in tema di partecipazione procedimentale trattandosi di atto vincolato e, inoltre, non occorrendo alcuna motivazione sull’interesse pubblico e concreto alla rimozione delle opere prive di titolo; vi ) deve escludersi che le autorizzazioni in materia di installazione di impianti pubblicitari possano ritenersi assoggettate alla disciplina del silenzio-assenso atteso che l’adozione di tali atti è assoggettata ad un provvedimento autorizzatorio espresso da parte dell’Autorità comunale, in forza della disciplina posta dagli artt. 3, comma 3, del D.Lgs. n. 507/1993 n. 507, e 23, comma 4, del D.Lgs. n. 285/1992.

4. Pubbliemme s.r.l. ricorre in appello avverso la sentenza del T.A.R. per la Calabria articolando tre motivi.

4.1. Con il primo motivo l’appellante ripropone la censura relativa alla violazione delle garanzie partecipative ritenendo erronea in parte qua la sentenza di primo grado. Osserva come il principio della partecipazione del privato sia immanente a tutto l’ordinamento e come il provvedimento non possa ritenersi vincolato ma imponga una valutazione discrezionale in ordine alla stessa applicabilità della normativa edilizia alla luce delle dimensioni degli impianti e dell’istanza di autorizzazione depositata.

4.2. Con il secondo motivo l’appellante deduce la violazione della normativa di cui alla D.Lgs. n. 507/1993 osservando come la stessa presenti caratteri di specialità che escludono la concorrente applicazione della normativa edilizia.

4.3. Con il terzo motivo l’appellante ripropone le censure nel quarto motivo del ricorso introduttivo del giudizio relative alla mancanza di motivazione e alla mancata esplicitazione dell’interesse pubblico che sorregge l’azione comunale.

5. Si costituisce in giudizio il Comune di Reggio Calabria che chiede di respingere il ricorso.

6. In vista dell’udienza pubblica del 3.11.2022 il solo Comune deposita memoria difensiva conclusiva. All’udienza del 3.11.2022 la causa è trattenuta in decisione.

7. Entrando in medias res il Collegio ritiene di dover prendere l’abbrivio dalla disamina del secondo motivo di ricorso in appello che risulta logicamente e giuridicamente pregiudiziale agli altri motivi, afferendo all’individuazione della normativa di riferimento per il potere esercitato dall’Amministrazione.

7.1. Preliminarmente occorre respingere l’eccezione di inammissibilità articolata dalla difesa del Comune che ritiene la censura meramente riproduttiva del motivo articolato in primo grado. Infatti, diversamente da quanto evidenziato dal Comune, il motivo opera una critica alla sentenza di primo grado evidenziando le ragioni di ritenuta erroneità della decisione, pur riferendosi alle tesi già sviluppate nel ricorso introduttivo del giudizio e non condivise dal primo Giudice.

7.2. Ritiene il Collegio che il motivo di ricorso in appello sia fondato per le ragioni di seguito esposte.

7.3. Occorre, preliminarmente, ricostruire nei suoi tratti essenziali la specifica disciplina vigente in materia di impianti pubblicitari. Il riferimento va, in primo luogo, alle norme del Codice della strada (D.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285), alle quali si sono presto affiancate quelle di cui al D.Lgs. 15 novembre 1993 n. 507 (« Revisione ed armonizzazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province »). L’attività pubblicitaria è regolamentata dall’art. 23, comma 4, del Codice della strada, il quale prevede che la collocazione di cartelli e di altri mezzi pubblicitari lungo le strade o in vista di esse sia « soggetta in ogni caso ad autorizzazione da parte dell’ente proprietario della strada ». All'interno del perimetro dei centri abitati, la competenza al rilascio dell’autorizzazione è, in tutti i casi, dei Comuni, fatto salvo il preventivo nulla osta dell'ente proprietario nei casi in cui la strada appartenga al demanio statale, regionale o provinciale. Nella sostanza, chi intende esporre un mezzo pubblicitario « deve presentare la relativa domanda » all’Ente proprietario della strada, il quale rilascia apposita autorizzazione al posizionamento dello stesso (art. 53, comma 3, del regolamento di attuazione del Codice della strada, approvato con D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495). Lo stesso regolamento di attuazione del Codice della strada fissa, poi, i requisiti tipologici degli impianti pubblicitari da allocare lungo le strade e le fasce di pertinenza (art. 48, comma 1), demandando alla potestà regolamentare dei Comuni la possibilità di prevedere ulteriori « limitazioni dimensionali » (art. 48, comma 2).

7.4. Va ancora evidenziato che l’attività pubblicitaria si esercita nel rispetto delle indicazioni e dei vincoli contenuti in due importanti strumenti di pianificazione e programmazione generale: il regolamento comunale ed il piano generale degli impianti pubblicitari. Infatti, l’art. 3 del D.Lgs. n. 507 del 1993 prevede in capo ai Comuni l’obbligo di adottare un « apposito regolamento » per l’applicazione dell'imposta sulla pubblicità e per l’effettuazione del servizio delle pubbliche affissioni. Attraverso tale strumento, i Comuni sono tenuti a disciplinare le modalità di effettuazione della pubblicità e possono stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse. I contenuti essenziali del regolamento, indicati dalla legge, sono i seguenti: i ) determinare la tipologia e la quantità degli impianti pubblicitari; ii ) stabilire le modalità per ottenere l’autorizzazione all'installazione; iii ) indicare i criteri per la realizzazione del piano generale degli impianti pubblicitari; iv ) fissare la ripartizione della superficie degli impianti pubblici da destinare alle affissioni di natura istituzionale, sociale o comunque prive di rilevanza economica e quella da destinare alle affissioni di natura commerciale, nonché la superficie degli impianti da attribuire a soggetti privati, per l’effettuazione di affissioni dirette.

7.5. Con l’adozione del piano generale degli impianti pubblicitari, il Comune provvede alla razionale distribuzione sul territorio degli impianti pubblicitari, indicando i siti ove è possibile collocare gli stessi. Come precisato da Corte costituzionale, 17 luglio 2002, n. 555: « La tutela degli interessi pubblici presenti nella attività pubblicitaria effettuata mediante l'installazione di cartelloni si articola dunque, nel decreto legislativo n. 507 del 1993, in un duplice livello di intervento: l'uno, di carattere generale e pianificatorio, mirante ad escludere che le autorizzazioni possano essere rilasciate dalle amministrazioni comunali in maniera casuale, arbitraria e comunque senza una chiara visione dell'assetto del territorio e delle sue caratteristiche abitative, estetiche, ambientali e di viabilità;
l'altro, a contenuto particolare e concreto, in sede di provvedimento autorizzatorio, con il quale le diverse istanze dei privati vengono ponderate alla luce delle previsioni di piano e solo se sono conformi a tali previsioni possono essere soddisfatte
».

7.6. Questa ricostruzione del panorama legislativo vigente consente di ritenere che l’autorizzazione all’installazione degli impianti pubblicitari rilasciata dai Comuni in base alla disciplina speciale (segnatamente in base all’art. 23 del Codice della Strada), nel rispetto dei criteri e dei vincoli fissati nell’apposito regolamento comunale e nel piano generale degli impianti pubblicitari (a loro volta previsti dall’art. 3 D.Lgs. n. 507/1993) abbia anche una valenza edilizia-urbanistica ed assolva, pertanto, alle esigenze di tutela sottesa al rilascio di un ulteriore titolo abilitativo rappresentato, secondo la tesi del Comune (fatta propria dal T.A.R.) dal rilascio del titolo edilizio secondo la disciplina di cui al D.Lgs. n. 380 del 2001.

7.7. Inoltre, è vero che una parte della giurisprudenza amministrativa in passato ( cfr . Consiglio di Stato, Sez. V, 17 maggio 2007 n. 2497) accoglieva una tesi contraria, che non escludeva, in assoluto, la necessità del titolo edilizio per l’installazione degli impianti pubblicitari, ma richiedeva anche il permesso di costruire allorché vi sia un sostanziale mutamento del territorio nel suo contesto preesistente sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio.

7.8. Tale tesi non appare, tuttavia, condivisibile alla luce delle seguenti considerazioni.

7.8.1. In primo luogo, essa non sembra tenere conto della “ specialità ” della disciplina di settore la quale, come riconosciuto anche dalla Corte costituzionale, prescrive regole e obblighi pianificatori specifici volti a tutelare, anche, le esigenze “ dell’assetto del territorio e delle sue caratteristiche abitative, estetiche, ambientali e di viabilità ”. Di conseguenza, prescrivere in aggiunta all’autorizzazione di settore, anche il rilascio del permesso di costruire si tradurrebbe in una duplicazione del sistema autorizzatorio e sanzionatorio che risulterebbe sproporzionata, perché non giustificata dall’esigenza, già salvaguardata in base alla disciplina speciale ( cfr . art. 3 D.Lgs. n. 507 del 1993), di tutelare l’interesse al corretto assetto del territorio.

7.8.2. L’inutile complicazione cui darebbe luogo la tesi della duplicazione dei titoli autorizzatori risulta, peraltro, in netta controtendenza rispetto all’esigenza, fortemente perseguita dal legislatore anche nei più recenti interventi legislativi di semplificare i procedimenti amministrativi, convogliando i titoli abilitativi necessari allo svolgimento di un’attività privata all’interno di un procedimento unitario.

7.8.3. Gli interessi legati all’assetto urbanistico, pertanto, devono essere perseguiti dal Comune non attraverso la duplicazione dei titoli autorizzatori, ma vanno, al contrario, valutati, nel rispetto del principio di semplificazione e unicità del procedimento amministrativo, all’interno del procedimento di rilascio dell’autorizzazione prevista dall’art. 23, comma 4, codice della strada, con la conseguenza che: i ) quest’ultima autorizzazione dovrà essere negata nel caso in cui l’installazione risulti incompatibile con le esigenze urbanistico-edilizie; ii ) eventuali provvedimenti repressivi non potranno che essere quelli espressamente previsti dalle disposizioni speciali indicate (v., anche, infra , punto 8 della presente sentenza).

7.9. Ulteriori elementi interpretativi a sostegno di questa tesi si desumono poi dall’art. 168 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 che testualmente dispone “ Chiunque colloca cartelli o altri mezzi pubblicitari in violazione delle disposizioni di cui all’art. 153 è punito con le sanzioni previste dal decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 e successive modificazioni ”. In tal modo, la norma sottrae i cartelli pubblicitari alla disciplina generale prevista per le costruzioni e le opere in genere, assoggettandoli, ove sprovvisti del nulla osta paesaggistico, alle sanzioni amministrative previste dal codice della strada e non già alle sanzioni penali previste per le costruzioni abusive.

7.10. Ancora, in tale direzione depone l’orientamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione le quali, pronunciando in tema di riparto della giurisdizione in materia di determinazioni di rimozione di impianti pubblicitari, escludono che il provvedimento con il quale un Comune intima la rimozione coattiva di un impianto pubblicitario rientri nella categoria degli « atti e provvedimenti » in materia di urbanistica ed edilizia - la cui cognizione, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - affermando espressamente che non si verte “ in tema di uso del territorio, ma di godimento abusivo di beni demaniali, con riferimento al quale il legislatore detta una disciplina specifica ” ( cfr .: Cassazione civile, Sezioni Unite, 14 gennaio 2009, n. 563;
Id., 18 novembre 2008, n. 27334, Id., 6 giugno 2007, n. 13230, Id., 17 luglio 2006, n. 16129;
Id., 19 novembre 1998, n. 11721).

7.11. Ritiene, pertanto, il Collegio di aderire alla più recente giurisprudenza di questo Consiglio secondo cui il procedimento autorizzatorio per l’installazione ingloba le valutazioni di carattere urbanistico-edilizio con la conseguenza che non risulta legittimo un provvedimento repressivo che trovi, invece, fondamento (come nel caso di specie) nei poteri conferiti dal D.P.R. n. 380/2001 ( cfr .: Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2017, n. 244;
Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, Sezione giurisdizionale, 30 settembre 2019, n. 855; cfr ., inoltre, Consiglio di Stato, Sez. V, 9 marzo 2022, n. 1690, che ribadisce i medesimi principi in tema di concessione di suolo pubblico).

8. In considerazione di quanto esposto il ricorso in appello deve essere accolto con annullamento, in riforma della sentenza di primo grado, del provvedimento impugnato che non si fonda sul potere repressivo di cui all’art. 24, comma 3, del D. Lgs. n. 507/1993 (che consente al Comune di disporre la rimozione degli impianti pubblicitari abusivi facendone menzione nel verbale e prevedendo, inoltre, che, in caso di inottemperanza all'ordine di rimozione entro il termine stabilito, il Comune provveda d'ufficio, addebitando ai responsabili le spese sostenute) ma sulle previsioni del D.P.R. n. 380/2001 e della L. n. 47/1985.

9. L’accoglimento del secondo motivo consente, in ragione della già evidenziata portata logicamente e giuridicamente pregiudiziale, di assorbire la disamina degli ulteriori motivi di ricorso.

10. Le spese di lite del doppio grado di giudizio possono essere compensate ai sensi degli articolo 26 del codice del processo amministrativo e 92 del codice di procedura civile, come risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale, 19 aprile 2018, n. 77 che dichiara l’illegittimità costituzionale di quest’ultima disposizione nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni, da individuarsi, nel caso di specie, nella sussistenza di un diverso orientamento giurisprudenziale all’epoca di adozione del provvedimento.

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