Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-02-04, n. 201900855

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-02-04, n. 201900855
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201900855
Data del deposito : 4 febbraio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/02/2019

N. 00855/2019REG.PROV.COLL.

N. 01088/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1088 del 2013, proposto da
M R G, rappresentato e difeso dall'avvocato G R, con domicilio eletto presso lo studio Michele Sandulli in Roma, via XX Settembre 3;

contro

Comune di Massa Lubrense, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato G E, domiciliato presso la Cons. Di Stato Segreteria in Roma, piazza Capo di Ferro 13;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI, SEZIONE VII, n. 2709/2012, resa tra le parti, concernente concessione edilizia in sanatoria;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Massa Lubrense;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 29 gennaio 2019 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Nessuno comparso per le parti;


Rilevato in fatto che:

- la presente controversia ha ad oggetto l’appello proposto nei confronti della sentenza n. 2709\2012 con cui il Tar Napoli ha respinto il ricorso originario, proposto dalla stessa odierna appellante avverso i provvedimenti recanti le determinazioni dirigenziali con le quali il Comune di Massa Lubrense ha specificato le somme da corrispondere a titolo di sanzione, ai sensi dell’art. 167 d.lgs. 42/2004, in relazione alle opere di cui alla pratiche di condono edilizio presentate dalla stessa parte e contrassegnate come n. 4594/c, n. 4595/c, 4596/c, e 2970/c;

- con tale ricorso l’odierna appellante aveva altresì chiesto l’accertamento del suo diritto a vedersi rilasciare i permessi di costruire in sanatoria - di cui alle citate pratiche di condono edilizio - anche a prescindere dal pagamento dell’ulteriore somma richiesta a conguaglio rispetto a quanto già versato;

- tali opere risultavano consistenti in diversi ampliamenti ad un fabbricato con annessa azienda agricola, in località Marciano, via Caselle n. 10;

- con il presente appello l’originaria parte ricorrente contestava le argomentazioni del Tar deducendo l’errata interpretazione dell’art. 5 reg. comunale approvato con delibera c.c. 12\8\2005 n. 27, il difetto di motivazione nonché la sussistenza del diritto all’accertamento;

- il Comune odierno appellato si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello;

- con ordinanza n. 870\2013 il Consiglio di Stato respingeva la domanda cautelare di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata;

- alla pubblica udienza del 29\1\2019 la causa passava in decisione.

Considerato in diritto che:

- l’appello è infondato, come già prospettato in sede di ordinanza cautelare;

- in linea generale, la regola dell'inapplicabilità delle sanzioni per gli abusi condonati non si estende alle sanzioni in materia paesistica di cui all'art. 15, l. 29 giugno 1939, n. 1497, oggi confluite nell'art. 167, d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42, che costituisce eccezione alla generale regola della demolizione degli abusi in danno al paesaggio (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. IV, 7 luglio 2014, n. 3414 e sez. VI 27 luglio 2017, n. 4617);

- per ciò che concerne la qualificazione, la somma prevista in caso di riconoscimento della sanatoria paesaggistica costituisce una sanzione amministrativa pecuniaria, e non una forma di risarcimento del danno, ed è perciò dovuta anche se la violazione delle norme non ha in concreto prodotto alcun effettivo danno ambientale o paesaggistico;

- anche nella attuale previsione normativa, il danno arrecato viene in considerazione solo come criterio di commisurazione della sanzione, in alternativa al profitto conseguito;

- in tale contesto, l’indennità oggetto di causa va considerata quale sanzione ripristinatoria dei valori giuridici offesi dalla condotta illecita, con la conseguenza che sono tenuti al pagamento della sanzione anche i proprietari aventi causa (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 4 aprile 2018, n. 2094);

- la norma vigente prevede (art. 167, comma 5, terzo alinea) che, “Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L'importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima”;

- a fronte di tali richiamate coordinate normative, il ragionamento posto a base della sentenza di prime cure risulta condivisibile e privo dei difetti censurati;

- parte appellante invoca l’art. 5 del regolamento comunale che limiterebbe il potere di rideterminazione d’ufficio al solo caso del mancato riscontro richiesta di perizia giurata;

- l’opzione ermeneutica invocata da parte appellante non è condivisibile

- all’opposto, del tutto corretta appare l’argomentazione svolta dal Tar, laddove ha esaminato la norma regolamentare in base sia al suo tenore letterale (che fa riferimento all’irrogazione della sanzione da parte del dirigente) sia in connessione con il precedente art. 4, e la proposta di Regolamento, da cui si ricava che, ove la somma autodeterminata dalla parte in sede di perizia sia inferiore a quanto effettivamente dovuto, nei termini ritenuti ex officio in applicazione del criterio di calcolo per la determinazione del danno sopra richiamati;

- invero, il regolamento non può che essere inteso sulla scorta del superiore dato legislativo sopra richiamato, con la conseguenza che il dirigente preposto ben deve intervenire nella rideterminazione della somma, richiedendo il pagamento del conguaglio, prima del rilascio della concessione edilizia in sanatoria;

- nella competenza del dirigente rientra anche l’adeguamento in quanto, altrimenti opinando e seguendo l’opzione ermeneutica di parte appellante, il Comune sarebbe vincolato alla perizia giurata ed alla relativa determinazione, soluzione non sostenibile all’evidenza a fronte del carattere autoritativo della determinazione in questione;

- parimenti destituito di fondamento è il successivo ordine di rilievi avverso la presunta motivazione postuma delle determinazioni contestate;

- diversamente, la nota comunale invocata (prot 5723), oltre a contenere una esplicazione dell’iter procedimentale predetto coerente al dato normativo, ha parimenti chiarito in via definitiva, ed in epoca anteriore alla stessa proposizione dell’originario gravame, gli elementi posti a fondamento delle determinazioni, senza che (anche in questa sede) parte ricorrente abbia fornito circostanze diverse specifiche;

- appare quindi corretto il percorso seguito dalla sentenza appellata laddove ha con chiarezza richiamato i passaggi decisivi dei chiarimenti comunali, in specie indicando che “dai calcoli effettuati dall’ufficio sulla base degli elaborati tecnici presentati dalla S.V sono emerse le consistenze planovolumetriche che, unitamente all’applicazione dei prezzi di tariffa del G.C. per l’anno 2011 per la demolizione dei fabbricati e comprensivi degli oneri di discarica (tutti elementi allegati nei fogli di calcolo connessi alla determinazione in discussione) hanno determinato gli importi, ingiustificatamente contestati dalla S.V., delle sanzioni ambientali delle pratiche in oggetto”;

- va parimenti condivisa la considerazione per cui parte ricorrente (oggi appellante) non abbia specificatamente contestato le risultanze contenute nei fogli di calcolo allegati alle determinazioni dirigenziale impugnate, ne quanto dedotto in sede difensivo dal Comune stesso circa l’erroneità del calcolo effettuato nella perizia di parte;

- in dettaglio, inoltre, non risulta smentito quanto evidenziato dallo stesso Comune, per un verso circa l’utilizzo, nell’esecuzione del calcolo del danno ambientale fornito dall’istante, di un importo relativo al costo di demolizione unitario inferiore rispetto a quello stabilito dalle tariffe vigenti in Campania e, per un altro verso, circa l’erronea indicazione nella perizia di parte del volume totale realizzato, non essendosi tenuto conto anche dei volumi occupati dalle opere murarie oggetto di sanatoria;

- in tale ottica, la contestata integrazione postuma della motivazione in corso di causa non va confusa con l'approfondimento degli scritti difensivi;

- al riguardo, infatti, risulta ben possibile che negli scritti difensivi siano meglio esplicitate le circostanze di fatto o le ragioni di diritto già espresse nella motivazione del provvedimento (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. V, 3 settembre 2018, n.5155);

- sulla scorta delle considerazioni sin qui svolte, sia in termini di principio, in merito alla natura della sanzione in oggetto, sia in relazione alla fattispecie concreta in esame, parimenti infondata appare la domanda di accertamento della spettanza dei titoli in sanatoria in assenza del dovuto pagamento;

- infine, parimenti condivisa è la conclusione del Tar in ordine all’assenza dei presupposti per l’espletamento di consulenza tecnica d'ufficio, sulla scorta del consolidato principio per cui la stessa non è mezzo di prova in senso proprio e non può pertanto supplire all'onere probatorio della parte (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 13 giugno 2008, n. 2967);

- in relazione al quantum dovuto va ribadito, secondo la giurisprudenza della sezione sopra richiamata, come nel nuovo contesto normativo la sanzione pecuniaria evidenzi una funzione di deterrenza;

- sulla scorta del dato normativo e delle relative finalità, la somma dovuta va ricollegata – nei termini di profitto consentiti dalla norma in alternativa, se più elevati come nel caso di specie, al danno - all’oggettivo incremento di ricchezza immobiliare ottenuto violando le regole che tutelano il vincolo paesistico, ossia la differenza tra il valore di mercato del bene dopo l’esecuzione delle opere abusive e il valore originario;

- in tale ottica, è la stessa dizione normativa, che impone di individuare il maggiore importo fra i due indicati, ad evidenziare un carattere sanzionatorio rispetto al quale l’invocata detrazione, rimessa in gran parte alla volontà ed al comportamento del privato trasgressore, risulterebbe in palese contraddizione;

- sulla determinazione del ‘profitto’, la giurisprudenza anteriormente alla riforma del 2004 aveva concluso nel senso della illegittimità della determinazione c.d. profitto - che costituiva già allora una delle componenti della sanzione pecuniaria, prevista dall'art. 15, l. n. 1497 del 1939, in alternativa alla demolizione delle opere in caso di violazione degli obblighi e ordini in materia di tutela del paesaggio – effettuata unicamente in base alla differenza tra il valore dell'opera realizzata ed i costi sostenuti per la esecuzione della stessa, invece che nel 3% del valore d'estimo dell'unità immobiliare, o il diverso incremento dell'aliquota eventualmente determinata da ogni singola regione (cfr. in termini Consiglio di Stato, sez. IV, 10 dicembre 2003, n. 8121);

- in materia va altresì richiamata la giurisprudenza della sezione secondo cui è corretta la determinazione della sanzione riferita al parametro non del valore venale dell’opera abusivamente realizzata, ma del profitto conseguibile attraverso l’utilizzo economicamente proficuo dell’opera (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI 19 giugno 2009, n. 4136);

- in proposito, la nozione di profitto conseguito mediante la trasgressione (prevista ora dall’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004 ed all’epoca dall’art. 164 del d.lg. 490/1999) va fatta coincidere con la ‘tradizionale nozione’ di profitto, la quale (pur potendo avere riguardo anche a fenomeni di incremento patrimoniale riferibili a singoli cespiti) è fondamentalmente volta a determinare la differenza fra ricavi e costi riferibili ad un determinato arco temporale, mentre una interpretazione diversa alla nozione determinerebbe un vantaggio per l’autore della condotta abusiva;

- nel caso di specie la correttezza della determinazione contestata (e anche del rigetto del ricorso di cui alla sentenza appellata) è altresì il frutto di una chiara ricostruzione dell’abuso, del vincolo e dei parametri determinativi della somma dovuta, risultando, per un verso, corretto il procedimento svolto in termini conformi alla norma e, per un altro verso, la chiara e specifica valutazione degli elementi di cui alla fattispecie in esame, con esclusione di qualsiasi travisamento di fatto, la quale trova ulteriore conforto nella logicità delle relative conclusioni;

- le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

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