Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-10-07, n. 202106709

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-10-07, n. 202106709
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202106709
Data del deposito : 7 ottobre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/10/2021

N. 06709/2021REG.PROV.COLL.

N. 08982/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8982 del 2019, proposto dai signori T P e G A P, rappresentati e difesi dall’avvocato F L, con domicilio digitale come da registri di Giustizia,

contro

il Comune di San Paolo di Civitate, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato R G, con domicilio digitale come da registri di Giustizia,

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (sezione prima) n. 316 del 4 marzo 2019.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di San Paolo di Civitate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatrice nell’udienza pubblica del giorno 8 luglio 2021 il consigliere E L e nessuno presente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’oggetto del presente contenzioso è costituito dalla domanda di risarcimento del danno per equivalente, dispiegata dai signori Teodoro e G A P, che gli stessi hanno dedotto di avere subito in conseguenza della perdita definitiva della disponibilità dei fondi individuati al foglio n. 33, particelle 100, 101, 432 del Comune di San Paolo Civitate, dovuta all’occupazione e alla mancata adozione del decreto di espropriazione.

I signori Pilolli hanno chiesto altresì il ristoro per la mancata utilizzazione e il mancato godimento degli stessi beni nel periodo di illegittima occupazione.

2. In punto di fatto, i ricorrenti, eredi del signor Michele Pilolli - deceduto nelle more del giudizio di primo grado - e ivi costituitisi, hanno rappresentato che:

a ) con deliberazione n. 42 del 21 marzo 1983, il Consiglio comunale di San Paolo di Civitate ha approvato “definitivamente il Piano di Zona per l’edilizia economica e popolare della zona C3B e C1 del P.R.G. del comune di San Paolo di Civitate, così come redatto dall’ing. Angelo Cazzaniga…” .

b ) con provvedimento del 9 luglio 1985, prot. n. 4917, il Sindaco decretava “l’occupazione temporanea d’urgenza dei beni” ivi analiticamente specificati;

c ) con provvedimento del 9 luglio 1985, prot. n. 4918 il Sindaco ha comunicato alla ditta Pilolli Michele (proprietario per 1/1) la data e l’ora per la redazione del verbale di consistenza delle aree necessarie all’espropriazione e la contestuale immissione in possesso per l’attuazione del primo Piano di zona.

d ) in data 28 agosto 1985 alle ore 8,30 veniva redatto il verbale di immissione in possesso e di consistenza del fondo di cui alle particelle ivi indicate.

3. Il proprietario ha adito il T.A.R. per la Puglia deducendo che l’occupazione d’urgenza disposta con decreto del Sindaco del 9 luglio 1985 per la realizzazione del Piano di zona era scaduta senza che il Comune di San Paolo Civitate avesse concluso l’ iter espropriativo, configurandosi pertanto un illecito permanente con conseguente responsabilità della Pubblica Amministrazione ai sensi dell’art. 2043 c.c.

4. Il Comune si costituiva in giudizio resistendo al ricorso.

5. Il T.A.R. per la Puglia, con la sentenza impugnata, ha dichiarato il ricorso in parte inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo;
ha in parte accolto il ricorso e ha pertanto condannato il Comune di San Paolo Civitate al risarcimento nei confronti dei ricorrenti del danno da perdita della proprietà e da mancato godimento della medesima, ordinando al Comune di proporre il pagamento di una somma di denaro nel termine di centoventi giorni decorrente dalla comunicazione della sentenza.

6. Gli appellanti hanno dedotto un unico articolato motivo avverso la gravata sentenza:

Error in iudicando: erroneità della sentenza per intrinseca illogicità della motivazione. Erronea determinazione della superficie occupata.

Il giudice di primo grado avrebbe affermato in maniera erronea, sulla base della relazione tecnica del Comune e senza tenere in debito conto quella dei ricorrenti, che l’area effettivamente occupata fosse pari a mq. 4377 anziché mq. 6088.

In particolare il T.A.R. avrebbe illogicamente ritenuto inattendibile la relazione tecnica della parte privata in quanto si sarebbe limitata “ad una ricognizione meramente cartolare ed astratta delle risultanze catastali, nonché dei verbali di immissione in possesso”.

Gli appellanti hanno pertanto chiesto la riforma della sentenza gravata con condanna del Comune al risarcimento del danno da perdita della proprietà e da mancato godimento della medesima, per una superficie pari all’integrale estensione delle particelle occupate.

7. Si è costituito in giudizio il Comune di San Paolo Civitate, che ha sollevato con memoria del 10 ottobre 2020, tre eccezioni di inammissibilità dell’appello:

a ) per violazione dell’art. 104, comma 1, c.p.a. per non essere stati impugnati tempestivamente atti e deliberazioni dell’Amministrazione, regolarmente pubblicati, con i quali era stata effettuata una ricognizione dei costi di acquisizione e ripartizione degli oneri sostenuti per il diritto di superficie o per l’acquisizione in proprietà sulla base delle perimetrazioni effettuate;

b ) per violazione dell’art. 104, comma 2, c.p.a., per la novità delle questioni dedotte in appello e della produzione di una perizia tecnica, formata successivamente al giudizio di primo grado, che si conclude nel senso di una maggiore stima della superficie occupata;

c ) per violazione dell’art. 34, comma 4, c.p.a. giacché il Comune intimato ha ottemperato al precetto giudiziale di cui alla sentenza n. 316 del 2019 e ha disposto in merito alla quantificazione dell’offerta economica da formulare secondo i criteri indicati nella sentenza, per cui gli appellanti avrebbero dovuto esperire il rimedio di cui all’art. 34, comma 4, c.p.a. e non proporre appello avverso l’intera sentenza.

8. Con ordinanza collegiale n. 7113 del 17 novembre 2020, la Sezione ha disposto una verificazione al fine di stabilire “quale sia l’esatta consistenza dell’area di originaria proprietà degli appellanti che è stata illegittimamente occupata per la realizzazione del Piano per l’edilizia economica e popolare di cui alla delibera del Consiglio comunale n. 42 del 23 marzo 1983, tenendo conto sia della documentazione disponibile, sia delle risultanze derivanti da un eventuale sopralluogo in loco” .

9. Il verificatore, architetto G R, ha depositato la relazione conclusiva di verificazione il 21 gennaio 2021, rispondendo al quesito posto dalla Sezione, con l’ordinanza sopra indicata, nei seguenti termini:

“l’esatta consistenza dell’area di originaria proprietà degli appellanti che è stata illegittimamente occupata per la realizzazione del Piano per l’edilizia economica e popolare di cui alla delibera di Consiglio comunale n. 42 del 23 marzo 1983 è pari a mq. 4377,00” .

9.1. Il verificatore ha inoltre depositato la richiesta di liquidazione del compenso pari ad euro 1510,46 (dei quali sono già stati corrisposti euro 1.000,00).

10. Il 7 giugno del 2021 il Comune di San Paolo Civitate ha depositato una memoria riepilogativa delle proprie difese.

11. Alla pubblica udienza del 7 luglio 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.

12. Preliminarmente, il Collegio ritiene che vadano respinte le eccezioni di inammissibilità dell’appello sollevate dal Comune, in relazione alle seguenti considerazioni:

a ) con riguardo all’eccezione basata sull’omessa impugnazione di atti, asseritamente noti agli appellanti, con i quali il Comune aveva perimetrato le aree occupate ai fini della ripartizione degli oneri da sostenere, si rileva che si tratta, nella specie, di domanda di risarcimento dei danni cagionati da una occupazione sine titulo , per cui la mancata impugnazione degli atti in questione è irrilevante, dovendosi verificare l’entità del suolo occupato dall’Amministrazione;

b ) per quanto concerne la pretesa novità della domanda giudiziale, l’eccezione di inammissibilità non coglie nel segno poiché vi è identità di petitum e causa petendi rispetto alla domanda proposta in primo grado (diversamente in relazione alla perizia giudiziale di parte prodotta in appello che è effettivamente inammissibile per violazione dell’art. 104 c.p.a., come più volte affermato dal Consiglio di Stato, sez. IV, 7 gennaio 2019, n. 114;
12 marzo 2015, n. 1298);

c ) quanto alla pretesa violazione dell’art. 34, comma 4, c.p.a. anche questa è insussistente, atteso che la sentenza impugnata ha carattere decisorio e definitivo sia sull’ an del risarcimento sia sul quantum (ivi compresa l’estensione della porzione di proprietà abusivamente occupata), per cui i ricorrenti hanno correttamente proposto l’impugnazione sul relativo capo della sentenza, al fine di evitare la formazione, sul medesimo, del giudicato.

13. Nel merito l’appello è infondato.

Il Collegio rileva innanzi tutto che la questione portata all’attenzione del giudice amministrativo dagli appellanti consiste nell’affermare che l’area occupata sarebbe di estensione maggiore rispetto a quella calcolata dall’Amministrazione, mentre esulano completamente dal giudizio ulteriori questioni, quali il mancato utilizzo di aree che non sarebbero state retrocesse.

Sulla sopra indicata questione centrale del giudizio, l’argomentata e documentata (anche in base ai sopralluoghi effettuati) conclusione a cui è pervenuta le Relazione conclusiva del verificatore, non lascia adito a dubbio alcuno sul fatto che l’estensione delle aree rispetto alla quale parametrare il risarcimento del danno è stata legittimamente e correttamente calcolata dall’Amministrazione, così come già ritenuto dal giudice di primo grado nella sentenza impugnata: “ La relazione prodotta dal Comune, invece, si segnala per la particolare puntualità e per la specifica determinazione sia delle aree inizialmente occupate, sia delle superfici effettivamente edificate.

Tale specifica comparazione, unitamente alla puntualità e specificità dell’accertamento operato (che in modo minuzioso determina, per ciascuna particella l’area concretamente trasformata in modo irreversibile a seguito dell’edificazione), comporta un giudizio di maggiore attendibilità di tale elaborato peritale, al quale, pertanto, deve farsi riferimento in ordine all’effettiva quantificazione delle aree irreversibilmente trasformate e, per ciò, risarcibili.

Il quantum risarcitorio andrà, pertanto, determinato in relazione all’effettiva estensione edificata pari a mq. 4377 ”.

La Relazione depositata in grado d’appello afferma – nelle sue conclusioni - che “ l’esatta consistenza dell’area di originaria proprietà degli appellanti che è stata illegittimamente occupata per la realizzazione del Piano per l’edilizia economica e popolare di cui alla delibera di Consiglio comunale n. 42 del 23 marzo 1983 è pari a mq. 4377,00 ”.

Pertanto, la sentenza di primo grado deve essere confermata relativamente al capo che è stato specificamente appellato (essendosi formato il giudicato quanto alla restante parte non appellata), in ordine alla parametrazione del risarcimento del danno all’area che risulta essere stata illegittimamente occupata secondo la misurazione che anche il verificatore, nel presente grado d’appello, ha concluso essere correttamente calcolata dall’Amministrazione.

14. Alla luce delle suindicate motivazioni, l’appello va respinto.

15. Il Collegio ritiene che le spese del giudizio, unitamente a quelle della verificazione, siano da porre a carico degli appellanti soccombenti nella misura indicata in dispositivo.

15.1. Con riguardo alle spese della verificazione, l’architetto G R ha depositato un’apposita nota con l’indicazione delle voci di calcolo che compongono il compenso.

15.2. Il Collegio ritiene congrua l’indicazione delle voci del compenso da parte del verificatore, ad eccezione delle spese di viaggio non documentate, non risultando che egli sia stato preventivamente autorizzato all’uso del mezzo proprio, come previsto dall’art. 55, comma 3, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

Dal compenso così determinato deve essere detratto l’anticipo già corrisposto e posto a carico degli appellanti (ai quali, risultando gli stessi soccombenti, rimane definitivamente a carico), pari a euro 1.000,00 (mille,00) come da ordinanza collegiale n. 7113 del 12 novembre 2020.

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