Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-06-13, n. 201903969

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-06-13, n. 201903969
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201903969
Data del deposito : 13 giugno 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/06/2019

N. 03969/2019REG.PROV.COLL.

N. 03841/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3841 del 2011, proposto da
Comune di Napoli (NA), in persona del suo legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati G T, A P, A I F, F M F e A A, con domicilio eletto presso lo studio Grez &
Associati Srl in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

contro

Giuseppina I, non costituitasi in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Quarta) n. 01563/2010, resa tra le parti, concernente demolizione opere realizzate sine titulo e ripristino stato dei luoghi


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;


FATTO e DIRITTO


1.1. Con disposizione n. 866 dd. 9 ottobre 2008 - contenzioso amministrativo n. 530/98 il dirigente preposto al Servizio antiabusivismo edilizio della Direzione Centrale VI – Riqualificazione urbana , edilizia, periferie del Comune di Napoli ha ordinato alla Signora Giuseppina I, a’ sensi dell’art. 31 del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 380 e della l.r. 28 novembre 2001 n. 19 e successive modifiche, la demolizione di opere abusive, consistenti nella realizzazione di un’ “unità immobiliare di circa mq. 35x2,20 di altezza, previa costruzione di un solaio intermedio impostato a m. 2,90 dal calpestio dell’originario piano terra, comprensivo di un ampliamento in muratura, prospettante il cortile interno, di m. 4,00x1,20x2,50 di altezza, adibito a vano lavanderia e w.c.”.

Il sopradescritto abuso ricade nella particella 77, sub. 24 riportata al Nuovo catasto fabbricati al Foglio n. 13, sez. Avv.

1.2. Con ricorso proposto sub R.G. 1016 del 2008 innanzi al T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, la I ha chiesto l’annullamento di tale provvedimento, deducendo al riguardo le seguenti censure:

1) violazione di legge;
violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del d.P.R. 389 del 2001;
carenza assoluta dei presupposti di fatto e di diritto;
eccesso di potere per difetto di motivazione ed istruttoria;
erroneità dei presupposti di fatto e di diritto;
illogicità;
contraddittorietà sotto altri profili;

2) violazione di legge;
violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del d.P.R. 380 del 2001 sotto ulteriore profilo;
violazione dei principi discendenti dagli artt. 21 e 113 Cost.;
carenza di motivazione e di istruttoria;
genericità;
illegittimità costituzionale del medesimo art. 31 del d.P.R. 390 del 2001 per violazione degli artt. 24 e 113 Cost.;
carenza di motivazione e di istruttoria;
genericità;

3) violazione di legge;
violazione e falsa applicazione dell’art, 7 della l. 7 agosto 1990 n. 241;
difetto di istruttoria e di motivazione.

1.3. In tale primo grado di giudizio si è costituito il Comune di Napoli, replicando puntualmente alle censure avversarie e concludendo per la reiezione del ricorso.

1.4. Con ordinanza cautelare n. 637 dd.12 marzo 2009 la Sez. IV^ dell’adito T.A.R. ha sospeso l’esecuzione dell’atto impugnato, “atteso, prima facie , che la realizzazione delle opere abusive appare risalente nel tempo e che alla luce della recente giurisprudenza la repressione dell’abuso edilizio, disposta a distanza di un tempo ragionevole, richiede una puntuale motivazione sull’interesse pubblico al ripristino dei luoghi allo status quo ante (Consiglio di Stato, Sez. V, 4 marzo 2008, n. 883;
Consiglio di Stato, Sez. V, 13 novembre 2005, n. 3270)”
e “considerato, ad un primo sommario esame, che l’amministrazione non ha congruamente motivato la sussistenza di un interesse pubblico attuale alla riduzione in pristino” .

1.5. Con sentenza n. 1563 dd. 23 marzo 2010 la medesima Sez. IV^ dell’adito T.A.R. ha accolto il ricorso unicamente con riguardo alla “censura contenuta nel primo motivo di ricorso, relativa al difetto di congrua motivazione in ragione del notevole lasso di tempo trascorso dalla realizzazione delle opere abusive. Al riguardo, per un orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato, seguito di recente da questa Sezione (cfr. T.A.R. Campania – Napoli, Sez. IV, n. 2357 del 5 maggio 2009), la repressione dell’abuso edilizio, disposta a distanza di tempo ragguardevole, richiede una puntuale motivazione sull’interesse pubblico al ripristino dei luoghi. In tali casi, infatti, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, si ritiene che si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, in relazione alla quale l’esercizio del potere repressivo è subordinato ad un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all’entità e alla tipologia dell’abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello del ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (Cons. Stato, Sez. V, 4 marzo 2008, n. 883;
Cons. Stato, Sez. V, 13 novembre 2005, n. 3270). E invero, nell’ipotesi
de qua , nonostante secondo quanto è dato evincere dal verbale di sopralluogo, le opere di cui è stata contestata l’abusività fossero state realizzate in data remota (il verbale riporta come le opere fossero di vecchia fattura e richiama una planimetria storica del 1973), l’Amministrazione non ha adempiuto affatto all’onere motivazionale” (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata).

Il giudice di primo grado ha viceversa respinto il secondo ordine di censure e assorbito il terzo, relativo all’asserita violazione dell’art. 7 e ss. della l. 241 del 1990.

Lo stesso giudice ha precisato che l’accoglimento del ricorso è stato comunque disposto “con salvezza della successiva attività provvedimentale dell’amministrazione, la quale dovrà essere improntata al rispetto dell’onere motivazionale di cui sopra” (cfr. ibidem ), e ha compensato integralmente tra le parti le spese e gli onorari di tale primo grado del giudizio.

2.1. Con l’appello in epigrafe il Comune di Napoli chiede ora la riforma di tale sentenza, deducendo l’inconferenza per il caso di specie della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato citata a sostegno della tesi sostenuta con la sentenza medesima, e contesta comunque la fondatezza dell’assunto secondo il quale la risalenza nel tempo dell’abuso edilizio comporterebbe la necessità per l’amministrazione procedente di motivare adeguatamente l’esercizio del potere di repressione dell’abuso stesso in punto di pubblico interesse, comunque diverso da quello del mero ripristino della legalità violata.

2.2. Nel presente grado di giudizio non si è costituita la parte appellata.

2.3. All’odierna pubblica udienza la causa è stata trattenuta per la decisione.

3.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va accolto.

3.2. Poiché la parte appellata non si è costituita nel presente giudizio, l’effetto devolutivo del proposto appello si limita alla disamina del punto in diritto dedotto dall’appellante Comune di Napoli, ossia la fondatezza dell’assunto del giudice di primo grado secondo il quale - come detto innanzi - la risalenza nel tempo dell’abuso edilizio comporterebbe la necessità per l’amministrazione procedente di motivare adeguatamente l’esercizio del potere di repressione dell’abuso stesso in punto di pubblico interesse, comunque diverso da quello del mero ripristino della legalità violata.

In effetti un pregresso – ma minoritario – indirizzo giurisprudenziale di questo Consiglio di Stato, richiamato anche dal giudice di primo grado nella sentenza qui impugnata, ha sostenuto tale tesi (cfr. sul punto le predette sentenze di Cons. Stato, Sez. V, 4 marzo 2008, n. 883 e Sez. V, 13 novembre 2005, n. 3270, nonché - ad es.- Cons. Sato, Sez. IV, 4 febbraio 2014, n. 1016;
Sez. V, 9 settembre 2013, n. 4470 ;
Sez. VI, 14 agosto 2015, n. 3933).

La sentenza susseguentemente resa da Cons. Stato, A.P., 17 ottobre 2017 n. 9 afferma peraltro il principio del tutto opposto: principioche questo Collegio pienamente condivide, anche con il conforto della più recente giurisprudenza delle Sezioni giurisdizionali di questo Consiglio di Stato formatasi al riguardo (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 26 marzo 2018, n. 1893).

La mera inerzia da parte dell'amministrazione nell’esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico - quale è, per l’appunto, quella del ripristino della legalità violata nelle attività di trasformazione edilizia del territorio - non è per certo idonea a far divenire legittimo ciò che è sin dall'origine illegittimo, ossia l’edificazione sine titulo

Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata.

Detto altrimenti, non si può applicare a un fatto illecito - quale è, si ribadisce, l’abuso edilizio - il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, è stato enucleato per il ben diverso ordine di presupposti su cui si fonda l’istituto dell’autotutela decisoria.

Non è in alcun modo concepibile l'idea stessa di connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare l’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta - e inammissibile - forma di sanatoria virtualmente automatica.

Se pertanto il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata: in tale evenienza - infatti - è del tutto congruo che l’ordine di demolizione sia adeguatamente motivato con il mero richiamo al comprovato carattere abusivo dell'intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, per contro applicabili nel diverso ambito dell'autotutela decisoria.

Nel caso di specie - pertanto - il provvedimento impugnato in primo grado soddisfa pienamente l’obbligo motivazionale imposto all’amministrazione comunale a’ sensi dell’art. 3 della l. 7 agosto 1990 n. 241.

Va opportunamente soggiunto che Il decorso del tempo, ben ungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento, posto che l’eventuale inerzia degli amministratori locali pro tempore in carica, ovvero degli uffici a ciò competenti , o - ancora - la mancata conoscenza dell'avvenuta commissione degli abusi, non fa venire meno il dovere dell’amministrazione di emanare senza indugio gli atti previsti a salvaguardia dell’ordinata edificazione del territorio.

Con l’occasione va anche ribadito che le conclusioni sono le medesime anche nel caso in cui l’attuale proprietario dell'immobile non sia responsabile dell’abuso e non risulti che la cessione sia stata effettuata con intenti elusivi.

Va evidenziato al riguardo che il carattere reale della misura ripristinatoria della demolizione e la sua precipua finalizzazione al ripristino di valori di primario rilievo non si pongono in modo peculiare nelle ipotesi in cui il proprietario non sia responsabile dell'abuso.

Non può infatti ritenersi che, ferma restando la doverosità della misura ripristinatoria, la diversità soggettiva fra il responsabile dell’abuso e l'attuale proprietario imponga all’amministrazione un peculiare ed aggiuntivo onere motivazionale, posto che il carattere reale dell’abuso e la stretta doverosità delle sue conseguenze non consentono di valorizzare ai fini motivazionali la richiamata alterità soggettiva (la quale può - al contrario - rilevare a fini diversi da quelli della misura ripristinatoria, come nelle ipotesi del riparto delle responsabilità fra il responsabile dell'abuso e il suo avente causa).

In altri termini, le vicende di natura civilistica, aventi per oggetto la titolarità di un bene, non incidono sul doveroso esercizio del pubblico potere, conseguente alla violazione delle regole urbanistiche ed edilizie.

4. Dalla riforma della sentenza impugnata consegue la reviviscenza del provvedimento impugnato in primo grado.

5. Le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio possono essere peraltro integralmente compensate, in dipendenza della circostanza che la sentenza di primo grado è venuta a fondarsi su assunti della giurisprudenza che a quel tempo non erano stati ancora compiutamente riconsiderati.

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