Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-06-26, n. 201303503

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-06-26, n. 201303503
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201303503
Data del deposito : 26 giugno 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07441/2009 REG.RIC.

N. 03503/2013REG.PROV.COLL.

N. 07441/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7441 del 2009, proposto dal signor F S F, rappresentato e difeso dall'avvocato F L, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, via del Viminale, 43;

contro

Universita' degli Studi di Cassino, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - SEZIONE STACCATA DI LATINA: SEZIONE I n. 356/2009, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Cassino;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2013 il consigliere Maurizio Meschino e uditi per le parti l’avvocato Lorenzoni e l’avvocato dello Stato Varone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il professor F S F, professore associato di diritto penale e di diritto penale commerciale presso l’Università degli studi di Cassino, con lettera del 10 giugno 2005 indirizzata al Rettore, aveva chiesto che venisse definita la sua “posizione amministrativa”.

Riceveva quindi la raccomandata del 9 novembre 2005 del “Servizio Bilancio – Ufficio Stipendi” (prot. n. 29377) con la quale, richiamata la precedente nota del 14 settembre, con cui si comunicava che dai conteggi eseguiti risultava a suo carico il debito di euro 24.189,36 per il periodo dal 1° novembre 1994 al 31 agosto 2005, gli veniva comunicato che si sarebbe provveduto al recupero della somma in rate mensili di euro 1.000,00, salvo avesse voluto “concordare diverse forme di rimborso”.

2. Il professor F S F (in seguito “ricorrente”), con il ricorso n. 115 del 2006 proposto al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, ha chiesto l’annullamento del provvedimento, “ di estremi sconosciuti ”, con cui è stato calcolato il trattamento economico a lui spettante e della citata lettera raccomandata del “Servizio bilancio – Ufficio stipendi” del 9 novembre 2005.

3. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina (sezione prima), con la sentenza n. 356 del 2009, ha accolto il ricorso in parte con compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

4. Con l’appello in epigrafe è chiesto l’annullamento in parte qua della sentenza di primo grado, con domanda cautelare di sospensione della sua esecutività.

La domanda cautelare è stata respinta con l’ordinanza 14 ottobre 2009, n. 5136.

5. In data 19 aprile 2013 l’appellante ha presentato istanza di rinvio della trattazione della causa avendo lo stesso impugnato in primo grado la nota dell’Università di Cassino, n. 9559 del 12 giugno 2009, di rideterminazione delle modalità di recupero della somma dovuta dal Prof. F, poiché ciò renderebbe il presupposto del disposto recupero ancora sub iudice .

6. Il Collegio, riscontrato che nella presente controversia è dedotta la determinazione di provvedere al recupero della somma ritenuta dovuta dal prof. F, che è il presupposto della conseguente decisione sulle modalità con cui procedervi, all’udienza del 28 maggio 2013 ha trattenuto la causa per la decisione.

DIRITTO

1. Con la sentenza gravata, n. 356 del 2009, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina (sezione prima), ha accolto in parte il ricorso, n. 115 del 2006, proposto avverso gli atti con cui l’Università degli Studi di Cassino ha calcolato il trattamento economico del ricorrente e gli ha comunicato il recupero del debito a suo carico di euro 24.189,36.

2. Nella sentenza si premette che il ricorrente:

-magistrato ordinario dal 28 dicembre 1967 al 19 aprile 1979 e assistente ordinario presso l’Università degli Studi di Roma dal 20 aprile 1979 al 31 ottobre 1991, nominato quindi professore associato presso l’Università degli Studi di Cassino con decorrenza giuridica dal 5 luglio 1991 ed economica dal 1° novembre successivo, é stato poi “confermato”, con decreto rettorale n. 302 del 27 aprile 1999, con decorrenza dal 1° novembre 1994, venendo determinato da tale data, su sua domanda, con il decreto rettorale n. 672 del 19 luglio 1999, il suo inquadramento e trattamento economico, con il riconoscimento in misura dei due terzi del periodo prestato quale assistente ordinario;

- aveva conosciuto, pur in via ufficiosa, il detto decreto n. 672 del 1999, avendolo contestato con nota del 23 ottobre successivo, nella quale, facendo presente di essere stato informato che negli anni precedenti gli sarebbero state versate somme non dovute, asseriva di avere titolo al conteggio della pregressa anzianità come magistrato ordinario;

- intervenute, nel 2005, la sua richiesta di chiarimento della “posizione amministrativa” e, con la nota impugnata, la determinazione dell’Amministrazione del recupero a suo carico di 1.000 euro mensili, con lettera del 17 novembre 2005 aveva ribadito l’illegittimità del decreto n. 672 del 2009 per la mancata considerazione del servizio quale magistrato ordinario e chiesto la sospensione del recupero disposto e la corresponsione dello stipendio “giusta quanto previsto dal decreto rettorale n. 672 del 19 luglio 1999”.

Ciò richiamato il primo giudice afferma, in sintesi, che: a) dalla documentazione in atti non risulta alcun provvedimento di rideterminazione del trattamento economico del ricorrente diverso e ulteriore da quello n. 672 del 1999, come dimostrato dalla tabella di quantificazione del suo debito che consiste delle somme a lui versate in eccedenza a quelle dovute in applicazione del detto decreto (elencate nell’ottava colonna della tabella);
b) pur ammessa l’impugnabilità del decreto n. 672 del 1999 è comunque infondata l’unica, non generica censura di illegittimità dello stesso dedotta dal ricorrente, relativa alla non considerazione degli anni di servizio da magistrato ordinario, non essendo rilevante tale servizio ai sensi dell’art. 103 del d.P.R. n. 382 del 1980, posto a base del detto decreto, ed essendo stato comunque riconosciuto al ricorrente tale servizio, all’atto del suo passaggio all’Università “la Sapienza” di Roma, con l’attribuzione di un assegno personale ad esaurimento;
c) dovendosi concludere per l’effettiva sussistenza di un indebito non avendo dimostrato il ricorrente di non avere percepito negli anni un trattamento economico superiore a quello dovutogli ai sensi del decreto n. 672 del 1999;
d) per cui, considerato che, prima dell’adozione della determinazione di recupero, il ricorrente era stato informato dei risultati dell’attività svolta a tale fine, risultando così assicurate le garanzie procedimentali, la detta determinazione si configura quale atto dovuto, come da giurisprudenza in materia, dovendo l’Amministrazione soltanto procedere al recupero con una modalità non troppo onerosa rispetto alle esigenze di vita dell’interessato;
e) tale è invece la modalità scelta nella specie considerato che la cifra di 1.000 euro mensili corrisponde a poco più della retribuzione netta mensile del ricorrente (1950 euro), dovendo essere perciò annullato il provvedimento impugnato con salvezza delle ulteriori determinazioni dell’amministrazione sulle modalità di recupero.

3. Nell’appello, richiamato che l’Università ha successivamente emanato il provvedimento n. 9559 del 12 giugno 2009, con il quale il recupero delle somma è stato determinato in euro 439,78 mensili, si afferma che la statuizione fatta nella sentenza impugnata sul carattere dovuto dell’atto di recupero è da considerare un obiter dictum , poiché non motivata rispetto agli errori riscontrati nella ricostruzione della carriera del ricorrente e al quadro normativo e giurisprudenziale, né fondata su alcuna delle premesse assunte dal primo giudice.

Il citato provvedimento del 2009 (peraltro già impugnato al Tar dal ricorrente) è dunque erroneamente attuativo della sentenza, venendo questa qui appellata per mero tuziorismo, ove risultasse lesiva, in quanto erronea:

- a) per omessa pronuncia e difetto di motivazione;
ipotizzato infatti che la determinazione di recupero sia dovuta al computo dell’assegno ad personam stabilito dal decreto n. 672 del 1999 e considerato che il ricorrente aveva già eccepito al riguardo, con la nota del 23 ottobre 1999, osservando la mancata considerazione del servizio da magistrato ordinario senza che fosse seguito alcun riscontro, non può non rilevarsi l’inammissibile inversione dell’onere della prova richiesta dal primo giudice al ricorrente, per avergli attribuito l’onere di dimostrare quanto a lui dovuto, così come la mancata indicazione nella sentenza di ogni elemento fondante l’asserita doverosità del recupero a fronte della totale assenza, nel provvedimento impugnato, di indicazioni sulle ragioni dello stesso e sui criteri a tal fine utilizzati;

-b) per errore nei presupposti di fatto e di diritto riguardo alla sussistenza delle garanzie procedimentali;
non vi è infatti riscontro in atti dell’informazione che sarebbe stata data al ricorrente sulla procedura di recupero, dovendo essere data comunicazione di avvio del procedimento, così come del preavviso di provvedimento negativo, pure riguardo ad un provvedimento che, in ipotesi, sia dovuto e abbia contenuto vincolante;

- c) per avere ritenuto corretto il conteggio del servizio prestato dal ricorrente fino alla conferma come professore associato mentre: 1) quanto all’assegno riassorbibile, si deve osservare, da un lato, che è illogica la richiesta di restituire un siffatto tipo di assegno e, dall’altro, che il detto assegno ad personam , riconosciuto al ricorrente con decorrenza dal 1° novembre 1994 non era riassorbibile, almeno fino al 31 dicembre 1999, ai sensi dell’art. 3, comma 57, della legge n. 537 del 1993 e della legge n. 370 del 1993, recanti il principio della intangibilità del maturato economico;
2) in ogni caso il ricorrente, nel passaggio dalla carriera di magistrato a quella di docente universitario, aveva maturato il diritto ad un assegno personale pensionabile non riassorbibile idoneo a garantirgli uno stipendio pari a quello goduto nella qualifica precedente, così come al riconoscimento del periodo svolto da assistente volontario;
3) comportando il conseguente computo, in fatto non eseguito dall’Amministrazione, il ricalcolo del trattamento economico del ricorrente di certo con risultato opposto a quello dell’indebita richiesta di restituzione.

In subordine, infine: si deduce la violazione del principio del legittimo affidamento, essendo stata richiesta la restituzione dopo quasi dieci anni dall’emanazione del decreto n. 672 del 1999;
si eccepisce l’intervenuta prescrizione valendo il termine quinquennale, di cui all’art. 2948, n. 4, c.c., per l’esercizio del diritto di recupero per indebito pagamento di somme aventi natura di credito di lavoro.

4. L’appello è in parte inammissibile e infondato nella parte restante.

4.1. Richiamato che in primo grado i provvedimenti impugnati sono stati censurati per difetto di motivazione (anche riguardo al servizio pregresso da magistrato ordinario), mancata osservanza delle garanzie di partecipazione al procedimento e lesione della tutela dell’affidamento, l’appello non è ammissibile nelle parti con le quali sono state dedotte le censure, non proposte in primo grado, relative al regime dell’assegno ad personam , rispetto al quale, insieme con l’asserita illogicità della richiesta di restituzione, si è dedotto che l’assegno non è da ritenere riassorbibile ( supra sub c. 1 e c.2) e al mancato riconoscimento del periodo di assistente volontario ( supra sub c.2).

4.2. In disparte dalla sua ammissibilità, in quanto proposta per la prima volta in secondo grado, l’eccezione di prescrizione non è fondata poiché “ secondo la costante giurisprudenza…l'azione di recupero di somme indebitamente corrisposte al pubblico dipendente da parte della pubblica amministrazione è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale di cui all'art. 2946, c.c., e non a quella quinquennale prevista dall'art. 2948, c.c., non potendosi far rientrare tale fattispecie fra le ipotesi espressamente contemplate in quest'ultima norma ” (Cons. Stato, Sez. VI, 20 settembre 2012, n. 4989).

5. Nella restante parte le censure dedotte sono infondate poiché non si riscontrano gli asseriti vizi della sentenza di omessa pronuncia e difetto di motivazione, avendo il primo giudice compiutamente statuito su tutti i motivi di ricorso affermando:

-l’inesistenza di provvedimenti dagli “estremi sconosciuti” di rinnovato calcolo del trattamento economico del ricorrente, dallo stesso ipotizzati, sussistendo il solo decreto n. 672 del 1999, come confermato dall’esame della documentazione in atti;

-la natura di atto dovuto dell’impugnato provvedimento di recupero somme, avendo rigettato la censura di illegittimità del decreto n. 672 del 1999 e constatato la conseguente sussistenza di un indebito da recuperare con la connessa mancanza di affidamento tutelabile;

- l’avvenuta tutela delle garanzie procedimentali;

- l’infondatezza della censura della mancata considerazione del periodo da magistrato ordinario.

6. Né sono fondate le ulteriori censure proposte sul merito delle valutazioni rese con la sentenza, poiché il ricorrente:

- non ha dedotto censure specifiche rispetto alla individuazione quale unico atto di determinazione del suo trattamento economico del decreto n. 672 del 1999, mai impugnato;

- non ha prodotto elementi idonei a fornire un sufficiente principio di prova dell’insussistenza dell’indebito;

- né ha specificamente dedotto avverso le affermazioni riguardo al riconoscimento del periodo da magistrato ordinario, ritenuto dal primo giudice non rilevante ai sensi dell’art. 103 del d.P.R. n. 382 del 1980 e comunque avvenuto all’atto del passaggio del ricorrente all’Università;

- ha avuto previa conoscenza dei risultati dell’attività svolta dall’Amministrazione, con la possibilità perciò della partecipazione procedimentale, essendogli stata indirizzata il 14 settembre 2005, quasi due mesi prima dell’emanazione il 9 novembre successivo del provvedimento impugnato, la nota n. 23342 del 14 settembre 2005, con cui si comunica che “ a seguito dei conteggi elaborati…..il Prof. F, dall’1/11/1994 a tutto il 31/8/2005, risulta debitore per complessivi euro 24.189,36, come evidenziato nell’allegato prospetto ”;
nel quale prospetto sono esposte partitamente le somme corrisposte, le differenze da sottrarre e la relativa motivazione (“ Rideterminazione assegno ad personam ”), con specificazione sufficiente, perciò, delle ragioni del recupero e idonea quindi a permettere al ricorrente di controdedurre.

7. Ciò rilevato è altresì corretta l’affermazione del primo giudice sul carattere di doverosità dei provvedimenti di recupero somme, privi di conseguenza di valenza provvedimentale e non richiedenti perciò specifica motivazione, ed in specie sull'elemento soggettivo riconducibile all'interessato, “ atteso che l'interesse pubblico è in re ipsa in quanto, a prescindere dal tempo trascorso, l'atto oggetto di recupero produce di per sé un danno per l'Amministrazione, consistente nell'esborso di denaro pubblico senza titolo, ed un vantaggio ingiustificato per il dipendente ” (Cons. Stato: IV, 10 maggio 2012, n. 2704;
III, 10 dicembre 2012, n. 6287;
18 dicembre 2010, n. 8725), conseguendo da ciò che in tale situazione non matura alcun affidamento da parte dell’interessato la cui posizione deve essere considerata soltanto per lo specifico aspetto delle esigenze di vita.

8. Per le ragioni che precedono l’appello deve essere dichiarato in parte inammissibile e in parte infondato e perciò respinto.

La particolare articolazione della controversia in fatto e in diritto giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente grado del giudizio.

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