Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-02-12, n. 202101290
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Pubblicato il 12/02/2021
N. 01290/2021REG.PROV.COLL.
N. 04169/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4169 del 2013, proposto da
D R, rappresentata e difesa dall’avvocato C C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia
contro
- Ministero della Giustizia, in persona del Ministro
pro tempore;
- Direzione Generale della Giustizia civile, in persona del Direttore
pro tempore;
- Commissione per l’esame teorico-pratico di concorso per la nomina a notaio, bandito con D.D.G. 28 dicembre 2009, pubblicato in G.U. n. 3 del 12 gennaio 2010, in persona del Presidente
pro tempore;
rappresentati e difesi
ex lege
dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12
nei confronti
- Perchinunno Francesco Saverio
- Lotito Antonella
non costituiti in giudizio
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), n. 4180 del 24 aprile 2013, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 febbraio 2021 (tenuta ai sensi dell’art. 84 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27, richiamato dall’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176) il Cons. Roberto Politi;
Nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso N.R.G. 7567 del 2012, proposto innanzi al T.A.R. del Lazio, l’odierna appellante ha chiesto l’annullamento del provvedimento di non ammissione a sostenere le prove orali del concorso indicato in epigrafe.
Costituitasi l’Amministrazione intimata, il Tribunale ha respinto il ricorso;ed ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese di lite, per € 2.000,00.
2. Avverso tale pronuncia, la dott.ssa Dicillo ha interposto appello, notificato il 24 maggio 2013 e depositato il successivo 31 maggio, lamentando che essa sia inficiata sotto i profili di seguito indicati:
2.1) Error in procedendo et in iudicando. Sussistenza della legittimazione a ricorrere al sindacato di legittimità del giudice amministrativo e dell’interesse ad agire in capo alla ricorrente. Errore di valutazione, contraddittorietà con altre determinazioni, assoluta arbitrarietà ed erroneità
Secondo la parte, il giudice di prime cure avrebbe espresso un (precluso) apprezzamento di merito in ordine alla idoneità all’ammissione alle prove orali nell’ambito della procedura concorsuale di che trattasi, effettuando una vera e propria “prova di resistenza”.
Nell’escludere la riesaminabilità, ad opera dell’adito organo di giustizia, della valutazione espressa dalla commissione esaminatrice, l’appellante sottolinea che l’indagine condotta in sede giurisdizionale non avrebbe, nondimeno, colto gli errori nei quali tale organo è incorso.
2.2) Error in procedendo et in iudicando. Carenza istruttoria, errore di valutazione, arbitrarietà ed erroneità delle conclusioni del T.A.R.
Nell’osservare come il giudice di prime cure abbia confermato le tesi di parte ricorrente circa la non rilevanza delle carenze riscontrate dalla commissione nelle due prime prove (atto mortis causa; diritto commerciale), rileva la parte come la soluzione offerta, quanto alla terza delle prove sostenute (atto inter vivos), riveli (diversamente rispetto a quanto, sia pure impropriamente, osservato dal Tribunale) coerenza e correttezza, suscettibili di condurre ad una positiva valutazione della stessa.
2.3) Error in procedendo et in iudicando. Inesistenza della motivazione. Eccesso di potere per violazione dei principi generali in tema di giusto procedimento, di trasparenza, di imparzialità. Erroneità, sviamento di potere, irragionevolezza, illogicità ed ingiustizia manifesta
Nel ribadire come il giudice di prime cure abbia sostituito le proprie valutazioni a quelle effettuate dalla Commissione, evidenzia parte appellante come sia stata dalla stessa omessa l’esplicitazione di adeguato conforto motivazionale in merito ai tre elaborati.
2.4) Irragionevolezza, contraddittorietà, illogicità ed ingiustizia manifesta del giudizio di merito del T.A.R.
Parte appellante confuta, poi, la fondatezza delle considerazioni che hanno condotto il giudice di prime cure, previo rinnovato esame dei contenuti dell’elaborato formato con riferimento alla terza prova dell’esame, a ritenere insufficiente il relativo svolgimento.
Rappresenta, poi, la presenza di errori dallo stesso Tribunale commessi nell’apprezzamento della seconda prova.
2.5) Irragionevolezza, contraddittorietà, illogicità ed ingiustizia manifesta della condanna alle spese di lite
Da ultimo, l’appellante rileva che, pur a fronte della ravvisata presenza di giusti motivi per compensare fra le parti le spese di lite (evidenziata in motivazione), il dispositivo della gravata pronunzia rechi la condanna della stessa al pagamento del relativo onere, per € 2.000,00.
Conclude la parte per l’accoglimento dell’appello;e, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.
3. In data 17 giugno 2013, l’Amministrazione appellata si è costituita in giudizio;e, con memoria depositata il successivo 24 giugno, ha analiticamente confutato le considerazioni dall’appellante esposte nell’atto introduttivo, con conseguente richiesta di reiezione del proposto mezzo di tutela.
4. L’istanza cautelare dalla parte presentata è stata respinta con ordinanza della Sezione IV di questo Consiglio, n. 2523 del 3 luglio 2013.
5. L’appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza telematica del 2 febbraio 2021.
DIRITTO
1. È necessario, alla luce delle doglianze articolate con l’appello all’esame, procedere alla verifica dei contenuti motivazionali della gravata sentenza del T.A.R. Lazio.
Pur nel dare atto che:
- “per giurisprudenza consolidata, l’apprezzamento tecnico della Commissione è sindacabile soltanto ove risulti viziato … da illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà;
- “il limite del controllo giurisdizionale è dato dal fatto che l’applicazione della norma tecnica non sempre si traduce in una legge scientifica universale, caratterizzata dal requisito della certezza: ed anzi, quando contiene concetti giuridici indeterminati, dà luogo ad apprezzamenti che (pur se sempre “tecnici”) sono connotati da un elevato grado di opinabilità”;
- “pena la giustapposizione – alla valutazione di legittimità dell’operato della Commissione – di una cognizione del merito della questione (ovviamente preclusa al giudice amministrativo), deve … ritenersi infondata (se non, addirittura, inammissibile) una censura … che miri unicamente a proporre una diversa modalità di soluzione del tema oggetto di concorso”;
nondimeno, il giudice di prime cure, rilevato che “nel caso di specie, la Sottocommissione ha riscontrato la presenza di errori (anche) nelle prime due prove” e che “l’entità … di questi non era peraltro tale da precludere, potenzialmente, una positiva valutazione della candidata”, ha ritenuto che siffatte “criticità avrebbero potuto esser diversamente considerate – nell’ambito di un apprezzamento complessivo della prova – qualora il soggetto avesse dimostrato, nello svolgimento del terzo compito, un grado di maturità e di preparazione completo ed esaustivo”.
Ha, ulteriormente, proceduto il Tribunale – diversamente dal pur enunciato principio, per cui rimane precluso, in sede di sindacato di legittimità, lo svolgimento di un giudizio che si sostanzi in un vero e proprio riesame del contenuto degli elaborati, traducendosi in una rinnovata valutazione del giudizio espresso dalla commissione esaminatrice – ad una approfondita cognizione del contenuto degli elaborati formati dall’odierna appellante.
Al riguardo, rilevato che:
- nell’atto mortis causa, “la Dicillo non ha compiutamente trattato della natura giuridica della ricognizione (che, a suo – errato – giudizio, avrebbe “natura confessoria” e “piena efficacia probatoria”: mentre, invece, è – com’è noto – una “dichiarazione di scienza”;liberamente valutabile dal giudice) e dei suoi effetti”;
- e che, per quel che concerne la prova di diritto commerciale, “… l’uso del termine “conferimento”, utilizzato nella parte costitutiva del capitale sociale, è parimenti errato: in quanto fisiologicamente portatore di un effetto traslativo, obiettivamente incompatibile con la fattispecie in esame”, mentre “l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività commerciale non può esser indicata solo genericamente: occorrendo escludere, in modo espresso, che essa abbia dato luogo ad un’ingerenza del minore nell’attività d’impresa (ciò che avrebbe comportato – da un lato – l’insorgenza di una società di fatto, incompatibile con la comunione d’azienda, e – dall’altro – una trasformazione societaria non già, come richiesto dalla traccia, “eterogenea”: ma “omogenea”);
- ha, ulteriormente escluso che “la ricorrente, sia nella redazione dell’atto di diritto civile “inter vivos” che nella relativa parte motivazionale, … ha mostrato di aver adeguatamente compreso la problematica posta dalla traccia”, atteso che “la soluzione da lei adottata (in quanto inclusa in un atto del tutto incoerente con le premesse) non è risultata … esser il frutto di un corretto ragionamento logico-giuridico” .
Da tale accurata disamina, il T.A.R. ha inferito l’infondatezza del gravame, respingendolo.
2. La conclusione alla quale è pervenuto il giudice di primo grado merita conferma (con l’eccezione, della quale si dirà infra, della condanna dell’odierna appellante al pagamento delle spese di lite), peraltro attraverso inassimilabile percorso motivazionale.
È, infatti, errato l’approccio cognitivo appalesato nella sentenza all’esame, laddove – come evidenziato nella riportata motivazione – il Tribunale ha esaminato il contenuto dei singoli elaborati, al fine di procedere alla verifica della correttezza del giudizio negativamente espresso dalla commissione concorsuale.
Un costante, quanto risalente, orientamento giurisprudenziale (recentemente ribadito anche da questa Sezione: cfr. sentenza 20 novembre 2020, n. 7216) ha infatti ribadito che “le valutazioni espresse dalle Commissioni giudicatrici in merito alle prove di concorso, seppure qualificabili quali analisi di fatti (correzione dell’elaborato del candidato con attribuzione di punteggio o giudizio) e non come ponderazione di interessi, costituiscono pur sempre l’espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l’idoneità tecnica e/o culturale, ovvero attitudinale, dei candidati, con la conseguenza che le stesse valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo, se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico od un errore di fatto, o ancora una contraddittorietà ictu oculi rilevabile”.
Se, conseguentemente, “soltanto l’illogicità, l’erroneità o la contraddittorietà manifesta sono apprezzabili quali vizi di illegittimità”, rimane, comunque, precluso al giudicante di “ingerirsi negli ambiti riservati alla discrezionalità tecnica dell’organo valutatore (e quindi sostituire il proprio giudizio a quello della Commissione), se non nei casi in cui il giudizio si appalesi viziato sotto il profilo della abnormità logica, vizio la cui sostanza non può essere confusa con l’adeguatezza della motivazione”, con conseguente “estrema limitatezza del sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni della commissione giudicatrice sulle prove di concorso, atteso che il giudice può annullare la valutazione per eccesso di potere nelle ipotesi-limite di vizi riscontrabili dall’esterno e con immediatezza dalla sola lettura degli atti (errore sui presupposti, travisamento dei fatti, manifesta illogicità o irragionevolezza)”.
Escluso, quindi, che sia consentito all’organo giudicante esprimere valutazioni implicanti una sostituzione delle argomentazioni logico-giuridiche articolate dalla Commissione di concorso (sia pur nella sintesi che è propria di un giudizio di idoneità/inidoneità), altrimenti venendosi a sostanziare un’operazione che inammissibilmente trasmoderebbe in “ un pratico rifacimento, ad opera dell’adito organo di giustizia, del giudizio tecnico-discrezionale già espresso dalla commissione ” (Cons. Stato, Sez. IV, 27 aprile 2012 n. 2484), lo scrutinio giurisdizionale delle valutazioni operate dalle commissioni di concorso “è limitato alla verifica di macroscopiche illogicità evincibili ictu oculi, ossia apprezzabili senza bisogno di attingere a cognizioni, pur basiche, della scienza specialistica di riferimento”, atteso che il giudice amministrativo “non può né deve entrare nel merito del giudizio della commissione, ma solo riscontrare, ove presenti, abnormi fallacie logiche, tali da pregiudicare ab imis l’attendibilità stessa della valutazione, erosa ab interno da eclatanti irragionevolezze, palesi inconsistenze logiche, evidenti travisamenti del fatto ” (Cons. Stato, Sez. II, 26 ottobre 2020, n. 6457;Sez. V, 25 marzo 2020, n. 2079).
3. Precisato, alla stregua di quanto esposto al punto precedente, il limite espansivo del sindacato giurisdizionale di legittimità in subiecta materia, non può omettere il Collegio dal rilevare come il giudice di prime cure, nel quadro di un percorso logico che lo ha condotto ad un pratico rifacimento del giudizio relativamente ai tre elaborati formati dall’odierna ricorrente, abbia trasmodato rispetto all’alveo di corretto svolgimento del giudizio, pervenendo all’esercizio di un controllo nel merito, palesemente inammissibile.
Se, quindi, sotto il profilo motivazionale, l’appellata pronunzia merita riforma, la conferma del dispositivo di reiezione (con l’eccezione di cui sopra) consegue al rilievo per cui parte appellante, pur criticando il sindacato “di merito” appalesato dalla motivazione della sentenza gravata, nondimeno propone censure che, direttamente impingendo anche esse nel merito delle valutazioni della commissione concorsuale, non possono trovare ammissibile ingresso nel perimetro di corretto svolgimento del sindacato rimesso all’organo di giustizia.
In tale senso, la critica – diffusamente sviluppata nell’atto introduttivo – nei confronti della pronunzia di prime cure, intende promuoverne una revisione, sostituendo all’apprezzamento da essa promanante (sfavorevole alla tesi di parte) un altro tipo di valutazione, peraltro parimenti sostitutiva rispetto al giudizio reso dall’organo concorsuale, ma teso a valorizzare positivamente il contenuto degli elaborati, al fine di consentire l’espressione di un conclusivo giudizio di idoneità a sostenere le prove orali della selezione di che trattasi.
È, quella sopra illustrata, una prospettazione alla quale, con ogni evidenza, non può il Collegio accedere.
4. Conseguentemente astretto il perimetro di sindacabilità degli atti avversati alle modalità procedimentali che hanno caratterizzato l’operato della commissione esaminatrice, va in primo luogo rilevato come, quanto alla procedura selettiva de qua, non trovi applicazione la sopravvenuta normativa, di cui al D.Lgs. n. 166 del 2006.
L'art. 16, comma 2, di detto Decreto Legislativo stabilisce, infatti, che le disposizioni di cui all'art. 11 si applicano con decorrenza dalla data di emanazione del successivo bando di concorso per la nomina a notaio.
Tale disciplina non può, tuttavia, ritenersi operante con riferimento ai concorsi le cui prove scritte – come, appunto, nella fattispecie all’esame – sono state svolte precedentemente, anche nel caso in cui la correzione degli elaborati sia materialmente avvenuta dopo l’emanazione del bando di concorso successivo all’entrata in vigore del medesimo D.Lgs. n. 166 del 2006: per l’effetto, dovendo confermarsi quanto da questa Sezione già osservato, circa la riferibilità della normativa anzidetta ai soli bandi (e, quindi, ai procedimenti concorsuali) successivi, con riveniente conferma della inapplicabilità della norma stessa per i bandi già pubblicati (cfr. sentenza n. 7216 del 2020, cit.).
Nel sistema precedente all’entrata in vigore della suindicata normativa, la regola applicabile, secondo la maggioritaria impostazione ermeneutica, annette carattere di sufficienza, al fine di integrare l’onere di motivazione delle valutazioni degli elaborati concorsuali, alla (mera) indicazione numerica del voto.
Anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 241 del 1990, il voto numerico è stato ritenuto sufficiente a dare conto della valutazione delle commissioni di pubblici concorsi, senza la necessità che la sua attribuzione sia assistita da una motivazione sulle ragioni che hanno indotto la commissione a formulare il giudizio che il voto esprime (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 14 settembre 2006, n. 5325), non essendo necessario che la sua attribuzione sia assistita da una motivazione sulle ragioni che hanno indotto la commissione a formulare il giudizio sintetizzato nel voto.
Nei procedimenti valutativi, per i quali la potestà amministrativa tecnico-discrezionale si manifesta nell’espressione di un punteggio, non vi è, dunque, esigenza alcuna di motivazione integrativa, giacché, in tale caso, l’onere di motivazione è sufficientemente adempiuto con la sola attribuzione del coefficiente numerico, che rappresenta espressione sintetica, ma eloquente, della valutazione compiuta dalla commissione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 27 aprile 2006, n. 2372).
Il numero rappresenta, perciò, una espressione sintetica, ma completa, della decisione, che rende superflua ogni ulteriore specificazione;il giudizio così espresso non necessitando di motivazione, perché l’espressione del voto numerico è la concretizzazione di poteri di discrezionalità tecnica, idonea, in quanto tale, a racchiudere in termini sintetici il giudizio collegiale finale della commissione giudicatrice.
Escluso, per effetto di quanto sopra esposto, che il censurato giudizio di non idoneità si presti a censura sub specie della inadeguata espressione motivazionale dello stesso, va rammentato come costante giurisprudenza (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 26 ottobre 2018, n. 6103) affermi che “le commissioni esaminatrici, chiamate a fissare i parametri di valutazione e poi a giudicare su prove di esame o di concorso, esercitano non una ponderazione di interessi, ma un’amplissima discrezionalità tecnica, sulla quale il sindacato di legittimità del giudice amministrativo è limitato al riscontro del vizio di illegittimità per violazione delle regole procedurali e di quello di eccesso di potere in particolari ipotesi-limite, riscontrabili dall’esterno e con immediatezza dalla sola lettura degli atti (errore sui presupposti, travisamento dei fatti, manifesta illogicità o irragionevolezza);costituiscono, pertanto, espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l’idoneità tecnica, culturale ovvero attitudinale dei candidati, tanto il momento (a monte) dell’individuazione dei criteri di massima per la valutazione delle prove, quanto quello (a valle) delle valutazioni espresse dalla commissione giudicatrice;da ciò discende che sia i criteri di giudizio, sia le valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo se non nei limitati casi in cui l’esercizio del potere discrezionale trasmodi in uno o più dei vizi sintomatici dell’eccesso di potere (irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà o travisamento dei fatti)” .
Nell’escludere che nella vicenda all’esame emergano (ovvero, che siano state compiutamente dimostrate, a cura della parte appellante) emersioni inficianti quali quelle, rientranti nelle suindicate tipologie, suscettibili di dare ingresso al sindacato giurisdizionale di legittimità, vanno conclusivamente disattese le doglianze illustrate nell’atto introduttivo del presente giudizio.
5. La conferma dell’appellata pronunzia, pur veicolata da percorso motivazionale non sovrapponibile rispetto a quello in essa espresso, incontra unico elemento di eccezione nella disposizione riguardante la regolazione delle spese di lite.
Come correttamente rilevato dall’appellante (quinto motivo di ricorso), il giudice di prime cure:
- pur avendo, in motivazione, ravvisato, “in ogni caso, giustificati motivi per far luogo all’integrale compensazione delle spese di lite”;
- ha tuttavia, nel dispositivo “ condanna [to] la proponente al pagamento delle spese del giudizio”, liquidate in complessivi € 2.000,00.
Tale palese discrasia:
- se sostanzia un’ipotesi di errore materiale;
- è superabile, laddove si consideri che, “poiché il dispositivo ha la funzione di esprimere in forma riassuntiva la decisione, il contrasto tra motivazione e dispositivo non può che essere sciolto nel senso della prevalenza sul dispositivo della motivazione, laddove risultano concretamente e specificamente spiegate le ragioni della disposta compensazione che hanno portato a tale decisione” (cfr. Corte Cass., ordinanza n. 26236 del 16 ottobre 2019).
La giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Sez. III, 22 febbraio 2019, n. 1230 e Sez. V, 28 luglio 2014, n. 4019 e 27 giugno 2011, n. 3829), pur precisando che, ai sensi dell'art. 86 c.p.a., la richiesta di correzione di errore materiale della sentenza di primo grado deve essere presentata allo stesso giudice che l’ha pronunciata, ritiene che ragioni di economia processuale, connesse al principio dell’assorbenza nell’appello di ogni vizio della sentenza impugnata, consentano al giudice di secondo grado di accogliere direttamente la domanda di correzione fatta dall’appellante.
Conseguentemente, il quinto motivo di appello va accolto;e, in riforma della sentenza appellata (nella parte dispositiva), va dichiarata la compensazione delle spese di lite inerenti il primo grado di giudizio.
6. Dato, conseguentemente, atto della limitata accoglibilità dell’appello alla stregua di quanto esposto al precedente punto 5., rileva conclusivamente il Collegio la presenza di giusti motivi, in ragione della particolarità della controversia, ai fini della compensazione delle spese di lite inerenti il presente grado di giudizio.