Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-06-14, n. 202104568

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-06-14, n. 202104568
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202104568
Data del deposito : 14 giugno 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/06/2021

N. 04568/2021REG.PROV.COLL.

N. 08423/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8423 del 2013, proposto dal
signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati A C, L C, con domicilio eletto presso l’avv. Roberto Papaluca in Roma, via Guido Reni n. 2;

contro

Comune di Fontana Liri, Regione -OMISSIS- non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente l’impugnativa del provvedimento n. -OMISSIS- di annullamento in autotutela del permesso di costruire


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2021, tenuta ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 conv. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, il Cons. C A;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il 30 aprile 2003 il Comune di Fontana Liri aveva rilasciato al signor -OMISSIS- una concessione edilizia (-OMISSIS-) per “ristrutturazione di fabbricato” previa demolizione e ricostruzione di un fabbricato esistente in zona agricola;
in particolare, trattandosi di un fabbricato privo di titolo edilizio, nella relazione illustrativa allegata alla domanda di concessione veniva dichiarata la preesistenza delle opere al 1967, in particolare di un unico fabbricato in cattivo stato di conservazione da demolire e ricostruire con una struttura in cemento armato con la medesima sagoma e l’occupazione della stessa area di sedime di quello esistente;
negli elaborati progettuali veniva rappresentato lo stato di fatto ad ottobre 2002 costituito da vari manufatti ( due adibiti a stalle e tre a rimesse) e portici;
a seguito di chiarimenti richiesti dagli uffici comunali, il tecnico dichiarava, nella nota del 6 marzo 2003, che le volumetrie da realizzare erano interamente contenute in quelle da demolire, allegando i relativi elaborati grafici;
allegava fotografie al marzo 2003, in cui risultavano vari manufatti in pessimo stato di conservazione, realizzati in parte in muratura con blocchetti, in parte con materiale di carattere precario, tavole di legno, lamiere;
l’8 marzo 2003 veniva, altresì, presentata la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà sottoscritta dal signor -OMISSIS-il 6 marzo 2003, in cui si dava atto che “l’immobile oggetto di concessione edilizia volto alla sua ristrutturazione è stato realizzato anteriormente al 1967” . Successivamente, essendo state realizzate nel corso dei lavori opere in difformità dalla concessione edilizia n. -OMISSIS- ( rilevate a seguito del sopralluogo dei tecnici comunali del 6 giugno 2003 per cui veniva emanata l’ordinanza di demolizione n. -OMISSIS-), l’8 luglio 2003 è stata presentata istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47;
con provvedimento del 19 gennaio 2004, è stato rilasciato il permesso di costruire in sanatoria n. -OMISSIS-, sulla base del parere della Commissione edilizia che prevedeva la non praticabilità del terrazzo di copertura;
la chiusura con inaccessibilità del piano interrato e seminterrato;
la copertura a falda del piano sottotetto;
il 18 marzo 2004 la Direzione infrastrutture della Regione -OMISSIS- rilasciava l’autorizzazione sismica, con riferimento a “variante alla ristrutturazione di un fabbricato esistente mediante la costruzione di tre corpi di fabbrica in cemento armato ad uso abitazione”. Il 30 agosto 2004 e successivamente il 18 novembre 2005 erano presentate DIA in variante al permesso di costruire in sanatoria relative a modifiche nel piano seminterrato.

Il Comune di Fontana Liri, con nota del 1 dicembre 2005, comunicava l’avvio del procedimento di verifica delle consistenze e dei titoli autorizzatori con diffida ad eseguire le opere.

Il 28 giugno 2006 veniva comunicato l’avvio del procedimento di diniego del certificato di agibilità.

L’8 settembre 2008 è stata comunicata al tecnico di parte la relazione ricognitiva redatta dai tecnici comunali.

La relazione aveva rilevato la illegittimità della concessione edilizia n. -OMISSIS- rilasciata per la ristrutturazione, mancando il presupposto della preesistenza, non essendo provata la realizzazione delle opere in data anteriore al 1967;
inoltre, aveva richiamato per uno dei manufatti (quello adibito a stalla) il provvedimento di demolizione n. -OMISSIS-, il quale si riferiva ad un manufatto di 22 metri quadri circa, la cui realizzazione era stato accertato a seguito di sopralluogo del 3 maggio 1995 (nel cui verbale si dava atto della “ recente” realizzazione);
inoltre i tre manufatti erano stati accorpati in un unico edificio con modifica della sagoma e del volume, che avrebbe dovuto essere considerato nuova costruzione con applicazione della disciplina urbanistica vigente in zona agricola. Nella relazione, rispetto al permesso di costruire in sanatoria n. -OMISSIS-, si rilevavano, oltre ai profili di illegittimità della concessione edilizia, l’ulteriore aumento di volumetria rispetto a quella preesistente con modifica della sagoma sia planimetrica che volumetrica;
la realizzazione di un piano seminterrato, lo spostamento della localizzazione del fabbricato in parte su altro mappale non precedentemente occupato;
il mancato rispetto della prescrizione della non praticabilità del terrazzo. Con riferimento alla DIA del 30 agosto 2004 la relazione indicava, oltre alla illegittimità derivante dalla illegittimità della concessione edilizia n. -OMISSIS- e dal permesso di costruire n. -OMISSIS-, l’illegittimo aumento di superfici e volumetrie dovuto alle modifiche operate nel piano seminterrato e nel sottotetto;
con riguardo alla DIA del 18 novembre 2005 l’illegittima trasformazione del piano seminterrato per la realizzazione di celle frigorifere per attività artigianale e comunque l’illegittima trasformazione in locali adibiti ad attività artigianali, non rientranti nelle attività connesse a quelle agricole ammesse in zona agricola. Per tutti i titoli si indicava altresì il mancato ricalcolo degli oneri di urbanizzazione dovuti.

Con nota del 13 ottobre 2008 è stato comunicato l’avvio del procedimento di autotutela con invito a produrre osservazioni, effettivamente presentate il 5 novembre 2008.

A seguito del parere reso dalla Regione -OMISSIS- Servizio urbanistico – manutentivo – tutela ambientale – e lavori pubblici prot. n. -OMISSIS-, che concordava sulla illegittimità dei titoli edilizi rilasciati, il Comune, con provvedimento n. -OMISSIS-, ha disposto l’annullamento in autotutela della concessione edilizia n. -OMISSIS-, del permesso di costruire in sanatoria n. -OMISSIS- e delle DIA del 30 agosto 2004 e del 18 novembre 2005, richiamata la relazione ricognitiva circa la infedele rappresentazione dello stato dei luoghi relativamente al fabbricato preesistente contenuta nella domanda di concessione edilizia, l’accorpamento di tre fabbricati in un unico fabbricato con modifica della sagoma e del volume, la realizzazione in zona agricola di un edificio adibito ad attività artigianale, ritenendo che la falsa rappresentazione della realtà non richiedesse apposita motivazione per procedere all’annullamento in autotutela;
con il provvedimento è stata disposta altresì la demolizione del fabbricato.

Avverso tale provvedimento è stato proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale del -OMISSIS-, sezione staccata di -OMISSIS- per i seguenti motivi:

-violazione di legge per la violazione degli artt. 10 e 10 bis della legge 7 agosto 1990 n. 241;
eccesso di potere per mancanza di istruttoria e di motivazione, lamentando la mancata partecipazione al procedimento per il mancato esame delle osservazioni dell’interessato;

-violazione dell’art. 6 della legge 241/1990, eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà, illogicità manifesta, per il divieto di aggravamento del procedimento e di discostarsi dall’esisto dell’istruttoria, non potendo l’Amministrazione mutare il proprio orientamento in ordine ai medesimi atti al cambiare dei funzionari essendo stati rilasciati titoli edilizi dalla stessa Amministrazione comunale che ha poi disposto l’annullamento sulla base dei medesimi atti;

-violazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, eccesso di potere per difetto di motivazione, travisamento dei fatti, sviamento, per la carenza di motivazione del provvedimento in ordine ai presupposti dell’autotutela, essendo trascorso un notevole lasso di tempo dal rilascio della concessione edilizia del 30 aprile 2003 e mancando totalmente la motivazione circa l’interesse pubblico all’annullamento;
inoltre, è stata contestata la sussistenza della falsa rappresentazione della realtà essendo un mero errore l’indicazione della ristrutturazione di un solo fabbricato, mentre negli elaborati progettuali erano indicati tre fabbricati

-violazione del parere della Regione -OMISSIS- del 10 marzo 2009, in quanto il parere avrebbe fatto riferimento anche al presupposto della sussistenza dell’interesse pubblico per procedere all’annullamento;

- violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di motivazione, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, sviamento, errata ricostruzione dei fatti, illogicità manifesta, perplessità, contestando i presupposti di fatto del provvedimento impugnato ovvero la mancanza della preesistenza delle opere in data anteriore al 1967, sostenendo a tale fine che le opere risulterebbero già nei rilievi aerofotogrammetrici del 1976 e del 1985 e nella denuncia di accatastamento del 1987;
inoltre non sarebbero attendibili le circostanze indicate nella relazione ricognitiva in quanto l’inesistenza del manufatto nel Programma di fabbricazione del 1970 e nel piano regolatore generale del 1978 deriverebbe dall’utilizzo di mappe catastali non aggiornate;
inoltre sarebbe irrilevante anche l’atto notarile del 1976 indicato nella relazione ricognitiva, che aveva ad oggetto l’acquisto di un terreno seminativo erborato (privo quindi di immobili), in quanto alla data di tale atto gli immobili sarebbero risultati dal rilievo aerofotogrammetrico del 1975;
ha sostenuto poi che sarebbero rimasti tre corpi di fabbrica solo uniti da un giunti tecnico, ai fini del rispetto della normativa antisismica, dando però atto del maggiore ingombro complessivo dovuto alla realizzazione di terrazzi e balconi e del piano interrato per motivi tecnici, deducendo che le variazioni delle sagome e delle volumetrie costituirebbero variazioni non essenziali, ai sensi dell’art. 17 comma 1 lettera f) della legge regionale 11 agosto 2008, n. 15;
che i terrazzi non andrebbero calcolati nella volumetria;
si contestava inoltre sia la destinazione abitativa dell’immobile, sostenendo che la indicazione contenuta nell’autorizzazione sismica fosse frutto di un errore, sia il mutamento di destinazione d’uso ad attività artigianale, che sarebbe avvenuto all’interno della stessa categoria catastale, essendo passati da stalle e rimessa a laboratorio e locali di deposito;
inoltre si citava l’art. 55 della legge regionale 38 del 1999, che avrebbe consentito la ristrutturazione in zona agricola.

Nel giudizio di primo grado di costituiva il Comune di Fontana Liri contestando la fondatezza del ricorso, insistendo per la falsa rappresentazione dei luoghi nella domanda di concessione edilizia, avendo il tecnico dichiarato la preesistenza delle opere al 1967, comunque non provata;
inoltre, era stata indicata la esistenza di un solo manufatto, mentre dalla stessa documentazione progettuale allegata si individuerebbero tre corpi di fabbrica esistenti al 2003.

Con la ordinanza cautelare n. -OMISSIS- è stata respinta la domanda cautelare di sospensione del provvedimento impugnato per mancanza del presupposto del fumus boni iuris ;
la reiezione della domanda cautelare è stata confermata dal Consiglio di Stato in sede di appello cautelare con ordinanza n. -OMISSIS-, non sussistendo una favorevole previsione in ordine all’accoglimento del ricorso

Con la sentenza n. -OMISSIS- il ricorso è stato respinto, essendo stata esclusa la sussistenza della prova della preesistenza del manufatto in data anteriore al 1967, in quanto i rilievi aerofotogrammetrici e la domanda di accatastamento, comunque, si riferivano a periodi successivi al 1967;
in ogni caso, le opere considerate esistenti in base alle fotografie, erano costituite da materiale precario prive della idoneità ad identificare una struttura esistente;
inoltre, sia tali opere che il rilievo catastale riguardava tre fabbricati indicati poi come unico manufatto esistente così da modificarne la sagoma in violazione dei limiti della ristrutturazione edilizia;
sono state quindi respinte le ulteriori censure, non essendo necessaria alcuna specifica motivazione in presenza della falsa rappresentazione della realtà, e risultando, comunque, anche con una sintetica motivazione sulle osservazioni presentate, l’esame della documentazione presentata dall’interessato.

Avverso tale sentenza è stato proposto il presente appello riproponendo le censure del ricorso di primo grado, lamentando l’error in iudicando del giudice di primo grado e l’incongruità della motivazione della sentenza circa l’onere probatorio in ordine alla preesistenza del manufatto.

In particolare, con il primo motivo di appello è stato riproposto il quinto motivo del ricorso di primo grado, sostenendo l’erroneità delle affermazioni del giudice di primo grado, che avrebbe posto l’onere della prova integralmente a carico della parte privata, mentre in presenza della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà tale preesistenza sarebbe in parte provata;
inoltre, tale principio di prova riguardante l’esistenza di tre manufatti sarebbe confermato dalle foto aeree del 1975 e del 1984 e dalla dichiarazione di accatastamento del 1987, in cui i manufatti erano stati dichiarati come realizzati prima del 1967;
pertanto gli accertamenti operati nella relazione ricognitiva, che ha fatto riferimento alla inesistenza del manufatto nel PRG del 1978, nel programma di fabbricazione del 1970, nella Carta aerofotogrammetrica regionale del 1990 e negli atti notarili del 1976 e del 1992, non sarebbero comunque validi fonti di accertamento, in quanto in contrasto con gli stessi rilievi aerofotogrammetrici del 1975 e del 1984;
sono state contestate poi le affermazioni del giudice di primo grado in ordine alla precarietà dei manufatti, in quanto dalle foto allegate alla domanda di concessione edilizia risulterebbe la esistenza di tre fabbricati;
si sostiene poi che l’intervento rientrerebbe nella ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma, essendo state realizzate solo modifiche necessarie per l’adeguamento sismico, in particolare l’unificazione dei tre manufatti preesistenti in un unico fabbricato, reso necessario dalla realizzazione di un giunto tecnico, ma essendo ancora distinti i tre manufatti;
inoltre, con la legge 9 agosto 2013, n. 98 è stata consentita la demolizione e ricostruzione senza limiti di rispetto della sagoma preesistente.

Con ulteriore motivo di appello sono state riproposte la terza e quarta censura del ricorso di primo grado sostenendo che, non essendo provata la falsa rappresentazione della realtà, sarebbe fondato il motivo relativo al difetto di motivazione circa i presupposti per procedere all’autotutela, ai sensi dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, mancanti nel provvedimento impugnato, in relazione al tempo trascorso dal rilascio del provvedimento annullato, presupposti che sarebbero stati indicati anche nel parere della Regione -OMISSIS-.

E’ stata poi riproposta la seconda censura del ricorso di primo grado, lamentando la contraddittorietà dei provvedimenti amministrativi non essendo opposta la DIA del 2005, presentata mentre era Responsabile del procedimento il medesimo funzionario della relazione ricognitiva posta a base del provvedimento impugnato;
nonché la prima censura, insistendo per la violazione degli artt. 10 e 10 bis per la mancata considerazione delle osservazioni dell’interessato nel corso del procedimento, lamentando l’erroneità delle affermazioni del giudice di primo grado sul punto, essendo la relazione ricognitiva precedente alla presentazione delle osservazioni.

Il Comune di Fontana Liri non si è costituito in giudizio.

Con ordinanza n. -OMISSIS- è stata respinta la domanda cautelare di sospensione della sentenza di primo grado, non sussistendo il presupposto del danno grave ed irreparabile, mancando il provvedimento di demolizione.

La difesa appellante ha presentato memoria per l’udienza pubblica riproponendo le argomentazioni dell’atto di appello.

All'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2021, tenuta ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 conv. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato.

Risulta dagli atti del giudizio che la concessione edilizia n. -OMISSIS- oggetto dell’annullamento in autotutela era stata richiesta e rilasciata per la ristrutturazione mediante demolizione ricostruzione di un fabbricato esistente, la cui legittimità, in mancanza di titolo edilizio, derivava dall’essere stato realizzato in data anteriore al 1967, secondo quanto indicato nella dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà e nella relazione allegata alla domanda di concessione.

Infatti, nella relazione illustrativa allegata alla domanda di concessione si indicava la preesistenza all’anno 1967 del manufatto oggetto dell’intervento;
veniva fatto riferimento in più punti ad un unico fabbricato esistente;
anche nella dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà si affermava la realizzazione anteriormente al 1967 di un immobile.

Tali circostanze risultanti, anche dagli atti depositati in giudizio dalla parte ricorrente, sono rilevanti ai fini della verifica della corretta rappresentazione dei fatti contenuta nella domanda di concessione edilizia, anche se nella documentazione progettuale erano rappresentati più fabbricati (cfr. stato di fatto ad ottobre 2002).

Quanto alla realizzazione prima del 1967, è sufficiente richiamare il provvedimento di demolizione n.-OMISSIS-, citato nel provvedimento impugnato in primo grado, che riguardava un manufatto di 22 metri quadri circa la cui realizzazione era stata accertata nel corso del sopralluogo del 3 maggio 1995, che lo indicava come “di recente” realizzazione.

E’ vero che in sede di sopralluogo si dà atto che il proprietario afferma che si tratta di opere realizzate da tempo e di recente solo ristrutturate, ma non risulta l’avvenuta impugnazione del provvedimento di demolizione, divenuto quindi inoppugnabile;
inoltre, per tale intervento edilizio al padre dell’odierno appellante è stata applicata una pena a seguito di patteggiamento con sentenza della Pretura di -OMISSIS- per il reato di cui all’art. 20 comma 1 lettera b) della legge 28 febbraio 1985, n. 47 per la realizzazione di opere in assenza di concessione edilizia.

Peraltro, la stessa parte appellante afferma sia nell’appello che in vari punti del ricorso di primo grado che la preesistenza riguardava tre distinti manufatti, che poi sono stati trasformati in un unico fabbricato, anche se sostiene che si tratterebbe comunque di corpi di fabbrica distinti uniti solo da un giunto necessario ai fini dell’adeguamento sismico dell’opera. Ha confermato, inoltre, nel ricorso di primo grado, anche la modifica della sagoma dei manufatti originari avvenuta anche in relazione alla realizzazione di balconi e terrazzi, sostenendo che non si dovrebbero calcolare ai fini della volumetria complessiva.

Sulla base di tali circostanze di fatto non può che confermarsi la sentenza di primo grado e ritenersi legittimo il provvedimento di autotutela impugnato.

In primo luogo, con riferimento alla preesistenza delle opere in data anteriore al 1967, circostanza necessaria a rendere legittimi i manufatti originari, pacificamente realizzati in assenza del titolo abilitativo, ritiene il Collegio di richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale, per cui grava sul privato l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell'immobile abusivo, in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 1 aprile 2019, n. 2115;
Sez. VI, 3 giugno 2019, n. 3696;
id., 5 marzo 2018, n. 1391). Tale orientamento è basato sul principio di vicinanza della prova, essendo nella sfera del privato la prova circa l’epoca di realizzazione delle opere edilizie e la relativa consistenza, in quanto solo l’interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza del carattere non abusivo di un’opera edilizia, in ragione dell’eventuale preesistenza rispetto all’epoca dell'introduzione di un determinato regime autorizzatorio dello ius aedificandi , dovendosi, dunque fare applicazione del generale principio processuale per cui la ripartizione dell'onere della prova va effettuata secondo il principio della vicinanza della prova (Cons. Stato Sez. VI, 25 maggio 2020, n. 3304).

E’ vero che la giurisprudenza ha affermato che proprio il criterio della vicinanza della prova conduce ad un temperamento del rigoroso onere probatorio “secondo ragionevolezza” nei casi in cui il privato, da un lato, porti a sostegno della propria tesi sulla realizzazione dell'intervento prima di una certa data elementi rilevanti (ad esempio, aerofotogrammetrie, dichiarazioni sostitutive di edificazione o altre certificazioni attestanti fatti o circostanze rilevanti) e, dall'altro, o la pubblica amministrazione, non analizzi debitamente tali elementi o vi siano elementi incerti in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio. In tal caso, non è escluso il ricorso alla prova per presunzioni, sulla scorta di valutazioni prognostiche basate su fatti notori o massime di comune esperienza, inferendo, così e secondo criteri di normalità, la probabile data di tale ultimazione da un complesso di dati, documentali, fotografici e certificativi, necessari in contesti o troppo complessi o laddove i rilievi cartografici e fotografici erano scarsi (Cons. Stato, Sez. VI, 25 maggio 2020, n. 3304 citata;
id. 13 novembre 2018 n. 6360;
id. 19 ottobre 2018 n. 5988;
id. 18 luglio 2016 n. 3177);
in sostanza, la deduzione della parte privata di concreti elementi di fatto relativi all’epoca dell’abuso trasferisce l’onere della prova contraria in capo all’amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 19 ottobre 2018 n. 5984;
id. VI, 11 giugno 2018, n. 3527;
id. VI, 14 maggio 2019, n. 3133).

Peraltro, anche applicando tale orientamento, nel caso di specie, le circostanze di fatto risultante dagli atti di causa non corroborano la ricostruzione sostenuta dalla parte privata ed indicata nella relazione allegata alla domanda di concessione edilizia, in quanto almeno uno dei fabbricati è stato oggetto di un provvedimento di demolizione del 1995, che riguarda opere realizzate “di recente”, provvedimento che non risulta impugnato. Inoltre, i fabbricati non erano indicati né nel programma di fabbricazione del 1970 né nel piano regolatore del 1978, che avrebbero dovuto mappare la situazione esistente a quella data. Sul punto non si può, infatti, condividere quanto affermato dal ricorrente in primo grado - ma non riproposto espressamente nell’atto di appello- circa l’inattendibilità di tali atti, in quanto si sarebbero basati su mappe catastali non aggiornate, non essendo provata tale circostanza e dovendo, invece presumersi l’attendibilità degli atti di pianificazione;
né vi sono circostanze per ritenere che la carta aerofotogrammetrica regionale del 1990 che non riproduce i detti manufatti sarebbe errata, in quanto in contrasto con i rilievi aerofotogrammetrici del 1975 e del 1984, non potendo stabilirsi, in caso di contrasto, quale sia la riproduzione corretta.

In ogni caso, i rilievi aerofotogrammetrici del 1975 e del 1984 potrebbero provare al limite la esistenza dei manufatti a tale data;
mentre alcuna indicazione può provenire da tali atti circa la preesistenza al 1967, unica data che avrebbe escluso la necessità di un preesistente titolo edilizio e quindi consentito la ristrutturazione di un immobile esistente.

Quanto alla denuncia catastale del 1987, si tratta di atto proveniente dalla parte analoga alla dichiarazione sostitutiva allegata alla domanda di concessione edilizia del 2003.

Le dichiarazioni sostitutive di notorietà non sono considerate con effettivo valore probatorio, potendo costituire solo indizi che, in mancanza di altri elementi nuovi, precisi e concordanti, non risultano ex se idonei a scalfire l’attività istruttoria dell’Amministrazione - ovvero, le deduzioni con cui la stessa Amministrazione rileva l’inattendibilità di quanto rappresentato dal richiedente. Pertanto, anche in presenza di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ove non si riscontrino elementi dai quali risulti univocamente l’ultimazione dell’edificio entro la data fissata dalla legge, atteso che la detta dichiarazione di notorietà non può assurgere al rango di prova, seppur presuntiva, sull’epoca dell’abuso, non si può ritenere raggiunta la prova circa la data certa di ultimazione dei lavori (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 3 giugno 2019, n. 3696;
Sezione II, 10 febbraio 2020, n. 1081).

Inoltre, la denuncia catastale del 2002, agli atti del giudizio, relativa a magazzini e rimessa fa riferimento alla realizzazione avvenuta nel 1970 e alla ristrutturazione nel 1980.

Peraltro, come correttamente evidenziato dal giudice di primo grado, dalle foto depositate in giudizio inviate dal tecnico al Comune il 6 marzo 2003 risultano opere in pessimo stato di conservazione con coperture di carattere precario, con evidente destinazione a stalla e a precario ricovero attrezzi.

Pertanto, non solo non era provata la circostanza della preesistenza al 1967, al fine di non rendere necessario il titolo edilizio (mai rilasciato), ma neppure era esistente, al momento della domanda di concessione, un unico edificio possibile oggetto di demolizione e ricostruzione, nella sagoma e nella volumetria successivamente realizzata, prescindendo dalla questione della modifica della destinazione d’uso, peraltro non espressamente riproposta in appello.

Infatti, anche le opere esistenti, in base alle fotografie del 2003, sono costituite da piccoli differenti manufatti, con la conseguenza che deve ritenersi integrata la falsa rappresentazione della realtà contenuta nella relazione illustrativa non solo per le indicazioni relative alla preesistenza del fabbricato al 1967, di cui non è stata raggiunta la prova neppure tramite elementi presuntivi, essendo se mai in atti la prova contraria, ma dalla stessa indicazione contenuta in più punti della relazione e nella dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà relativa alla ristrutturazione di un fabbricato preesistente, peraltro, in contrasto con la stessa documentazione progettuale presentata in allegato alla domanda di concessione relativamente allo stato di fatto ad ottobre 2002.

Come sopra evidenziato, anche la stessa ricostruzione della parte appellante fa riferimento alla preesistenza di tre distinti fabbricati, i quali sarebbero stati uniti in sede di ristrutturazione per esigenze di adeguamento sismico.

Anche solo tale profilo è sufficiente a sorreggere quale presupposto l’atto impugnato in primo grado.

Al momento del rilascio della concessione edilizia era, infatti, vigente la legge 5 agosto 1978, n. 457, che definiva gli interventi di ristrutturazione edilizia “ quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, la eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti ”.

La giurisprudenza ha affermato che nella definizione dell’art. 31 comma 1 lettera d) fossero inclusi anche gli interventi consistenti nella demolizione e fedele ricostruzione di un fabbricato, purché tale ricostruzione sia fedele, cioè dia luogo ad un immobile identico al preesistente per tipologia edilizia, sagoma e volumi (Cons. Stato, sez. IV, 5 ottobre 2010 n. 7310;
15 giugno 2010 n. 3744;
10 agosto 2011, n. 4765;
cfr. di recente Sez. II, 18 maggio 2020, n. 3153).

Ne deriva che comunque l'intervento oggetto della concessione edilizia n. -OMISSIS-, nel quale era prevista la realizzazione di un corpo di fabbrica chiaramente diverso per sagoma dalle opere preesistenti, fosse estraneo alla definizione di ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’art. 31 comma 1 lettera d), allora vigente.

La modifica della sagoma, come rilevato dal giudice di primo grado, emerge con evidenza dalla documentazione relativa alle “viste assonometriche”, alle “viste prospettiche” prima e dopo l’intervento, depositata in primo grado dalla difesa ricorrente, da cui risulta la realizzazione di un unico manufatto post operam .

La modifica della sagoma è poi confermata dalla stessa difesa appellante, che ha fatto riferimento a terrazzi e balconi, sostenendo che non sarebbero computabili nella volumetria complessiva, nonché alla realizzazione di tre corpi di fabbrica uniti da un giunto tecnico ai fini del rispetto della normativa antisismica.

Sotto tale profilo, si deve rilevare che l’art. 3 comma 1 lettera d) del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, entrato in vigore il 30 giugno 2003, ha definito gli interventi di ristrutturazione edilizia quelli “ rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica ”.

Pertanto, non può rilevare la questione dell’adeguamento alla normativa anti sismica, non essendo tale deroga al rispetto della sagoma e del volume dell’edificio, prevista al momento del rilascio della concessione edilizia il 30 aprile 2003. In ogni caso, è evidente che il rispetto di tale previsione comportasse che la modifica della sagoma necessaria a garantire l’adeguamento sismico dell’immobile fosse espressamente indicata nel progetto e assentita, quindi, con il titolo edilizio.

Tali elementi mancano, nel caso di specie, in cui la concessione edilizia risulta rilasciata sulla base della preesistenza di un manufatto della stessa sagoma di quello successivamente realizzato, circostanza espressamente indicata nella relazione illustrativa, nella quale non vi è alcun riferimento ad eventuali adeguamenti antisismici, contenendo la relazione solo il riferimento ad un generico “miglioramento statico”.

Anche con riferimento alla disciplina dell’art. 3 del T.U. dell’edilizia, vigente al momento del rilascio del permesso di costruire in sanatoria, era fondamentale il rispetto della sagoma originaria, salve le modifiche necessaria all’adeguamento antisismico.

Infatti, per la costante giurisprudenza riguardante il testo allora vigente, erano individuabili due ipotesi: la ristrutturazione edilizia cd. conservativa, che poteva comportare anche l'inserimento di nuovi volumi o modifica della sagoma, e la ristrutturazione edilizia cd. ricostruttiva, attuata mediante demolizione, anche parziale, e ricostruzione, che doveva rispettare il volume e la sagoma dell'edificio preesistente, configurandosi, in difetto, una nuova costruzione (Cons. Stato Sez. II, 15 gennaio 2021, n. 491);
pertanto, nei casi di demolizione parziale o totale dell'edificio, era necessario rispettare le linee essenziali della sagoma;
l'identità della complessiva volumetria del fabbricato, e la copertura dell'area di sedime, senza alcuna variazione rispetto all'originario edificio. Qualora tali parametri non risultino rispettati, l'intervento deve essere qualificato come nuova costruzione e sottoposto alla disciplina prevista in materia di nuove edificazioni (Cons. Stato Sez. II, 18 maggio 2020, n. 3153).

Né può rilevare la successiva modifica intervenuta con il d.l. 21 giugno 2013, n. 69 conv. nella legge 9 agosto 2013 n. 98, che ha eliminato per la ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione il vincolo del rispetto della sagoma, lasciando solo il vincolo della volumetria, non essendo tali norme neppure sopravvenute al momento di emanazione del provvedimento impugnato in primo grado il 30 giugno 2009 e neppure al momento della pronuncia della sentenza di primo grado.

In ogni caso, per costante giurisprudenza, la legittimità di un atto amministrativo va accertata con riguardo allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, secondo il principio del tempus regit actum (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5711;
28 giugno 2016, n. 2892;
di recente, Sez. II, 12 febbraio 2021, n. 1294).

Inoltre, risulta dagli atti di causa un aumento della volumetria complessiva rispetto ai manufatti originari.

Venendo, quindi, alle censure relative alla sussistenza dei presupposti per la autotutela, si deve considerare che l’art. 21 nonies nel testo vigente al momento di adozione del provvedimento di autotutela prevedeva: “ Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.

2. E' fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole”.

La giurisprudenza è costante nel ritenere, con riferimento a tale testo dell’art. 21 nonies , che quando un titolo abilitativo sia stato ottenuto dall'interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà, sia consentito il mero ritiro dell’atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa (cfr., Cons. Stato, Sez. II, 21 ottobre 2019, n. 7094, Sez. IV, 19 marzo 2019, n. 1795;
20 febbraio 2019, n. 1181).

L’Adunanza Plenaria, che ha escluso l’applicazione a provvedimenti adottati precedentemente delle modifiche apportate all’art. 21 nonies dall'articolo 6 della L. 7 agosto 2015 n. 124, e ha affermato con riferimento al testo previgente che, se “ l'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all'adozione dell'atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole…l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell'esercizio del ius poenitendi… la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell'atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte ", non sussistendo un interesse privato meritevole di tutela da porre in comparazione con quello pubblico comunque sussistente al ripristino della legalità violata (Ad plen 17 ottobre 2017, n. 8).

In tal caso, infatti, l'interesse pubblico al ripristino della legalità violata deve ritenersi sussistente in re ipsa nonché ad ogni modo prevalente rispetto al contrapposto interesse privatistico, non sussistendo alcun affidamento legittimo e incolpevole al mantenimento dello status quo ante in capo al soggetto che abbia determinato, attraverso la non veritiera prospettazione delle circostanze rilevanti, l'adozione dell'atto illegittimo a lui favorevole (Cons. Stato Sez. IV, 11 gennaio 2021, n. 343, con riferimento al testo dell’art. 21 nonies successivo alla legge 124/2015).

Applicando tali consolidati orientamenti giurisprudenziali, al caso di specie, si deve ritenere legittimo il provvedimento impugnato, pur se privo di motivazione circa l’attualità dell’interesse pubblico all’annullamento, essendo evidente il presupposto della falsa rappresentazione in ordine a circostanze rilevanti, ai fini del rilascio del titolo edilizio per ristrutturazione.

Sulla base degli atti di causa risulta, infatti, che il rilascio della concessione edilizia per ristrutturazione sia avvenuto sulla base della domanda presentata dalla parte, che faceva espresso riferimento nella relazione del tecnico sia alla preesistenza dell’opera all’anno 1967 sia alla ristrutturazione di un unico fabbricato, circostanze confermate nella dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.

Né si può ritenere tale indicazione dovuta ad un mero errore materiale, essendo stata ripetuta in più punti della relazione illustrativa e confermata appunto nella dichiarazione sostitutiva resa dal sig. -OMISSIS-.

Sotto tale profilo non può neppure rilevare che dagli elaborati grafici o dalle fotografie emergeva l’esistenza di più manufatti, in quanto sia privato che il professionista avevano comunque l’obbligo della esatta rappresentazione delle circostanze di fatto in tutti gli atti allegati alla domanda di concessione edilizia.

In ogni caso, nel caso di specie, anche i tempi della vicenda non richiedevano una specifica motivazione, essendo stata data la comunicazione di avvio del procedimento di verifica dei titoli edilizi già con nota del 1 dicembre 2005, subito dopo la DIA del 18 novembre 2005.

Il consolidato orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, seguito anche dall’Adunanza Plenaria citata, comporta, altresì, la infondatezza della censura relativa alla violazione del parere della Regione -OMISSIS-, il quale, peraltro, aveva concordato nella valutazione di illegittimità degli atti autorizzatori edilizi.

E’ poi infondata anche la censura relativa alla illegittimità derivante dalle diverse valutazioni degli atti e dei documenti progettuali da parte dei responsabili degli uffici comunali, essendo evidente che l’esercizio dell’autotutela, sia in caso di revoca che di annullamento d’ufficio, è previsto proprio per la revisione da parte dell’Amministrazioni delle precedenti decisioni, in presenza di determinati presupposti.

Quanto alla violazione delle norme sulla partecipazione al procedimento per non avere valutato le osservazioni dell’interessato, ritiene il Collegio si richiamare la consolidata giurisprudenza per cui, a fronte di controdeduzioni procedimentali dell'interessato, il provvedimento a questo sfavorevole può legittimamente fondarsi su di una motivazione sintetica, non essendo invece richiesta un’analitica confutazione delle osservazioni (Cons. Stato, IV, 3 ottobre 2014, n. 4967;
Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 6173).

In conclusione l’appello è infondato e deve essere respinto.

In considerazione della mancata costituzione del Comune di Fontana Liri non si procede alla liquidazione delle spese del presente grado di giudizio.

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