Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-06-03, n. 202104250

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-06-03, n. 202104250
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202104250
Data del deposito : 3 giugno 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/06/2021

N. 04250/2021REG.PROV.COLL.

N. 00476/2021 REG.RIC.

N. 10261/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sui seguenti ricorsi in appello:
1) numero di registro generale 476 del 2021, proposto dal signor G G, rappresentato e difeso dagli avvocati A C e M R, con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M L C in Roma, via Vittorio Veneto n. 7,

contro

il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore , non costituito in giudizio;



2) numero di registro generale 10261 del 2020, proposto dal signor G G, rappresentato e difeso dagli avvocati A C e M R, con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio M L C in Roma, via Vittorio Veneto, n. 7,

contro

il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, non costituito in giudizio;

entrambi per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (sezione Sesta) n. 1130/2020.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatrice nella camera di consiglio del giorno 11 marzo 2021, svoltasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 28 ottobre 2020 convertito in l. n. 176 del 18 dicembre 2020, il consigliere Emanuela Loria e uditi per le parti gli avvocati nessuno presente nessuno presente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso di primo grado n. 5462 del 2016, proposto al T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, l’appellante ha chiesto che sia ordinato al Ministero della Giustizia di dare esecuzione al decreto della Corte d’Appello di Napoli n. 249/2015 emesso in applicazione della legge n. 89 del 2011 s.m.i.

2. Il T.A.R., con la sentenza n. 1130 del 2020, ha accolto il ricorso, ha emanato le misure attuative del giudicato e ha condannato il Ministero al pagamento delle spese e delle competenze di giudizio nella misura di euro 700,00, in favore della parte ricorrente.

3. Con i gravami in esame, l’appellante ha impugnato la medesima sentenza del T.A.R. deducendo che sarebbe incongrua la statuizione sulla condanna alle spese, poiché il T.A.R. – in violazione dell’art. 92 c.p.c. e dei decreti ministeriali n. 140 del 2012 e n. 55 del 2014, nonché della giurisprudenza eurounitaria richiamata (23 novembre 2017 C427/16 e C428/16) – avrebbe liquidato un importo estremamente esiguo, inferiore a quello desumibile dalla applicazione dei criteri previsti dalla normativa vigente.

4. In primo luogo, il Collegio rileva che con gli appelli in epigrafe è stata impugnata la medesima sentenza del T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, n. 1130 del 13 marzo 2020 per cui gli stessi vanno riuniti essendo palesemente l’uno il “doppione” dell’altro.

4.1. Nel merito ritiene il Collegio che gli appelli siano infondati.

4.2. Per la pacifica giurisprudenza, il T.A.R. ha ampi poteri discrezionali in ordine alla statuizione sulle spese e, se del caso, al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali, ovvero per escluderla (Cons. Stato, Ad. Plen., 24 maggio 2007, n. 8), con il solo limite, in pratica, che non può condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio o disporre statuizioni abnormi (per tutte, Consiglio Stato, Sez. IV, 9 ottobre 2019, n. 6887;
Sez. IV, 8 ottobre 2019, n. 6797;
Sez. IV, 23 settembre 2019, n. 6352;
Sez. V, 28 ottobre 2015, n. 4936;
Sez. III, 9 novembre 2016, 4655;
Sez. IV, 3 novembre 2015, n. 5012;
Sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 891;
Sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4471;
Sez. IV, 27 settembre 1993, n. 798).

Anche in considerazione dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 77 del 2018, il giudice ben può tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, tra cui possono avere rilievo la natura del credito insoddisfatto (ad esempio, la sua natura alimentare), la durata dell’inadempimento, la ricerca di soluzioni extragiudiziarie per evitare la pendenza del contenzioso, la mancata esecuzione di precedenti sentenze già rese in sede di esecuzione, le questioni di carattere organizzativo quando si tratti di giudizi sostanzialmente di carattere seriale, l’esistenza di un diffuso contenzioso in materia, l’assenza delle risorse nell’attuale congiuntura economica e la difficoltà di disporre tempestivamente delle risorse necessarie per disporre i pagamenti.

Il T.A.R. può dunque anche tenere conto del fatto che sia stata chiesta l’ottemperanza ad un giudicato basato sulla violazione della legge n. 89 del 2001, che notoriamente ha comportato l’insorgenza di un notevole contenzioso basato su ricorsi che per la loro semplicità possono essere presentati sulla base di schemi precostituiti, anche in assenza di particolari considerazioni di carattere giuridico.

Il T.A.R. – nel caso di accoglimento di un tale ricorso d’ottemperanza o di estinzione del giudizio per improcedibilità o per cessazione della materia del contendere - può dunque compensare le spese del giudizio, con una valutazione insindacabile in sede d’appello, che di per sé non incide sul diritto alla effettività della tutela giurisdizionale (poiché le regole sulla statuizione sulle spese coesistono con le altre regole, miranti alla effettività della tutela) e neppure incide sulla dignità e sul decoro della professione forense: la decisione sulle spese non comporta di per sé una valutazione sull’operato del difensore o sulla qualità dei suoi scritti e attiene esclusivamente agli aspetti processuali sopra indicati.

4.3. Qualora il T.A.R. abbia disposto la condanna al pagamento delle spese, si deve tenere conto del decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55 (“ Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell'articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 ”).

Ai fini della liquidazione del compenso si tiene anche conto « delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell’importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell’affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate » (art. 4, comma 1).

4.4. Tenuto conto di tale normativa, ritiene il Collegio che vada confermata la sentenza del T.A.R..

Nel caso di specie la liquidazione in primo grado delle spese di lite non risulta manifestamente sproporzionata rispetto al valore medio delle tariffe professionali previste dal decreto ministeriale in considerazione dei parametri sopra richiamati e segnatamente di quelli relativi alla natura, alla difficoltà, al numero e alla difficoltà delle questioni giuridiche e di fatto trattate.

Pertanto, in considerazione dei parametri sopra richiamati nei quali si compendia l’attività professionale svolta e dell’ampia discrezionalità del giudice nella loro valutazione, la sentenza deve essere confermata.

Si soggiunge che in casi riguardanti la medesima tipologia di contenzioso, le sentenze di primo grado sono state in parte riformate poiché recavano condanne alle spese dell’Amministrazione soccombente più basse del caso in esame ( ex multis , Sez. IV, n. 1924/2021, n. 7278/2020, n. 8126 del 2019).

5. Per le ragioni che precedono, gli appelli riuniti vanno respinti con conferma della sentenza impugnata.

6. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del secondo grado.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi