TAR Catania, sez. IV, sentenza 2020-05-25, n. 202001130

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. IV, sentenza 2020-05-25, n. 202001130
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 202001130
Data del deposito : 25 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 25/05/2020

N. 01130/2020 REG.PROV.COLL.

N. 01731/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1731 del 2018, proposto da
A M, A C, rappresentati e difesi dall'avvocato N A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Villafranca Tirrena, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato S D, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Messina, via S. Agostino, 4;

per l'annullamento

- del provvedimento del responsabile facente funzioni 3° settore Urbanistica del Comune di Villafranca Tirrena del 14/08/2018 del rigetto della S.C.I.A. in sanatoria, pervenuta con nota n. 11118 del 14/05/2018;

- del provvedimento del responsabile del 3° settore Urbanistica del Comune di Villafranca Tirrena prot. n. 15490 del 04/07/2018 di comunicazione delle ragioni ostative all’accoglimento della sopra indicata S.C.I.A. in sanatoria;

- di ogni altro presupposto, connesso e/o consequenziale rispetto a quelli in epigrafe;

nonché

per l’accertamento e la condanna al risarcimento del danno in ipotesi di esecuzione dei provvedimenti impugnati;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Villafranca Tirrena;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore alla camera di consiglio del giorno 14 maggio 2020 il dott. F B;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

I sigg. M Antonio e Catalfamo Antonella espongono di aver presentato al Comune di Villafranca Tirrena, in data 11 maggio 2018, una SCIA in sanatoria – dichiaratamente formulata ai sensi degli artt. 22 del DPR 380/2001, 19 e 19 bis della L. 241/90, e 5, 6 e 7 del DPR 160/2010, e 10 della L.R. 16/2016 – allo scopo di regolarizzare le seguenti opere eseguite in data 1.01.2015 senza titolo edilizio: (i) lieve difformità della recinzione realizzata con l’autorizzazione n. 21 del 6/8/2014;
(ii) modifica del muretto di recinzione in testa al muro di contenimento con inserimento di aiuole in testa al manufatto;
(iii) demolizione e la ricostruzione di un muro di contenimento previa acquisizione del N.O. del Genio Civile e della Soprintendenza;
(iv) chiusura con struttura precaria di una veranda a piano terra di mq 15,015, che prospetta sul cortile di pertinenza, ai sensi dell’art. 20, comma 3, L.R. 4/2003.

Con provvedimento n. 18537 del 14 agosto 2018 – preceduto da comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento – l’istanza di sanatoria è stata respinta dall’amministrazione comunale.

Per quanto specificamente riguarda il presente contenzioso, che è limitato alla sorte della veranda chiusa con struttura precaria (indicata supra , sub iv dell’istanza di sanatoria), il Comune ha rilevato che: a) la veranda realizzata modifica la sagoma dell’edificio ed il fronte prospiciente sulla pubblica strada, con ciò violando l’art. 9 della L.R. 37/1985;
b) essa, inoltre, non rispetta la tipologia dei prospetti degli immobili, come previsti dal Piano particolareggiato A2 per il centro storico.

Il provvedimento di rigetto della domanda di sanatoria è stato impugnato, in parte qua , dai sigg. M/Catalfamo col ricorso in epigrafe, col quale vengono sollevate le seguenti censure:

1.- il provvedimento reiettivo della domanda avrebbe fatto mero richiamo al precedente preavviso di rigetto, senza spiegare le ragioni per le quali non si è ritenuto di accogliere le osservazioni presentate in sede endo-procedimentale dal tecnico dei ricorrenti;

2.- difetto di motivazione, poiché il provvedimento impugnato non avrebbe motivato in ordine all’effettivo contrasto tra l’opera realizzata, da una parte, e gli strumenti urbanistici e le norme edilizie, dall’altra;
in particolare, non sarebbe stato spiegato perché la veranda realizzata incida sul concetti giuridici di “sagoma” e di “prospetto” dell’edificio;

3.- il Comune avrebbe fatto erronea applicazione dell’art. 20 della L.R. 4/2003 e dell’art. 9 della L.R. 37/1985, poiché non avrebbe tenuto in debito conto – nel valutare l’impatto dell’opera sul prospetto dell’edificio – del fatto che la veranda costituisce chiusura di un volume già delimitato da una preesistente e legittima copertura, e che l’intervento si è quindi risolto nella installazione, su tre lati, di infissi in legno, alluminio e vetro. In conclusione, non sarebbe stata realizzata nessuna alterazione della sagoma (per le ragioni appena esposte), né del prospetto rivolto alla pubblica strada, in quanto la veranda si affaccia su un cortile interno chiuso da un alto muro di cinta, a sua volta sovrastato da ringhiera e rampicante, e non sulla strada.

Con ordinanza n. 734/2018, la Sezione ha respinto la domanda cautelare formulata dai ricorrenti.

Dopo l’adozione della citata ordinanza, il Comune intimato si è costituito in giudizio, ed ha precisato – sul piano del fatto – che: (i) in data 16 ottobre 2018 i ricorrenti hanno presentato una seconda Scia condizionata in sanatoria, avente ad oggetto i medesimi manufatti;
(ii) l’amministrazione, con nota del 21 novembre 2018, ha espresso parere favorevole per la regolarizzazione degli altri manufatti, ma ha confermato il parere negativo già espresso con la nota 14 agosto 2018 in relazione alla chiusura della veranda. Fatta tale premessa, la difesa del Comune di Villafranca Tirrena ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità del ricorso, per mancata impugnazione dell’ordinanza-ingiunzione di demolizione emessa nel 2016. In aggiunta, ha rilevato che la SCIA è stata presentata dai ricorrenti al di là del termine di 90 giorni assegnato con l’ingiunzione di demolizione, e sarebbe pertanto inutiliter proposta. Nel merito, ha dedotto l’infondatezza dei motivi di ricorso.

In vista della definizione del giudizio le parti hanno depositato memorie e repliche.

Alla camera di consiglio del 14 maggio 2020, celebrata con collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell’art. 84, co. 6, del D.L. 18/2020, la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

La controversia in esame riguarda la legittimità di una SCIA in sanatoria, presentata dai ricorrenti dopo aver effettuato senza titolo alcune modifiche sull’immobile di loro proprietà sito nel Comune di Villafranca Tirrena, e dopo aver ricevuto l’ingiunzione id demolizione delle opere realizzate. Si tratta, pertanto, di una domanda di accertamento della cd. “doppia conformità” dei lavori, presentata ai sensi dell’art. 37, co. 4, del DPR 380/2001.

1.- Preliminarmente vanno scrutinate le eccezioni esplicitamente – o implicitamente – sollevate dalla difesa dell’ente resistente.

1.1- In primo luogo, deve dichiararsi infondata l’eccezione sollevata con riferimento alla mancata impugnazione del precedente provvedimento emesso dal medesimo Comune, con il quale è stata ingiunta nel 2016 ai ricorrenti la demolizione delle modifiche effettuate.

Come è noto, la presentazione dell’istanza di sanatoria edilizia (prevista in passato dall’art. 13 della L. 47/1985, ed oggi dagli artt. 36 e 37, co. 4, del D.P.R. 380/2001) ha proprio lo scopo di sanare le opere eseguite senza titolo (od in difformità da esso), qualora la loro realizzazione risulti giuridicamente fattibile secondo la normativa edilizia ed urbanistica esistente sia al momento della esecuzione, sia al momento della presentazione dell’istanza (per tale ragione si parla di accertamento di “doppia conformità”;
e per la stessa ragione si parla anche di “sanatoria formale”, essendo essa mirata solo a colmare la “lacuna” del titolo edilizio a suo tempo non richiesto, ed a legittimare in definitiva delle opere che comunque avrebbero potuto essere pacificamente assentite sia al momento in cui sono state realizzate sine titulo , sia al momento della presentazione della domanda). La richiesta di sanatoria, così congegnata, dunque, non postula affatto l’impugnativa giurisdizionale dell’ordinanza-ingiunzione di demolizione;
al contrario, implica una ammissione implicita della legittimità e fondatezza della rilevazione dell’abuso, che la parte intende appunto sanare, e non contestare. Per pacifica giurisprudenza, la presentazione dell’istanza di sanatoria ha poi l’effetto di congelare l’operatività dell’ingiunzione di demolizione, che rimane sospesa fino alla definizione del relativo procedimento (in tal senso, ex multis , Tar Catania, 2003/2019;
Tar Milano 1319/2019;
Cons. Stato, VI, 1435/2019;
Id. 6233/2018).

In conclusione, nella vicenda oggi in esame i ricorrenti non avevano alcun onere di impugnare l’ingiunzione di demolizione, avendo ritenuto che l’abuso commesso fosse sì esistente, ma sanabile.

1.2- In altra parte della memoria, il Comune resistente ha evidenziato il fatto che i ricorrenti avrebbero successivamente presentato – nel corso del presente giudizio – una seconda SCIA in sanatoria, e che questa sarebbe stata respinta dall’amministrazione con esclusivo riguardo alla posizione giuridica della veranda, confermando in tal modo il diniego di sanatoria già espresso in precedenza col provvedimento oggetto dell’odierna impugnazione. Così esposta, la circostanza sembrerebbe adombrare una ragione di improcedibilità del ricorso, derivante dalla emanazione di un nuovo provvedimento sfavorevole ai ricorrenti, da costoro non impugnato (con motivi aggiunti, o con autonomo ricorso).

In realtà, a ben vedere, la presentazione della seconda SCIA non produce alcun effetto nel presente giudizio, emergendo in modo palese dalla lettura dei relativi atti che quest’ultima SCIA non ha assolutamente interessato la veranda oggetto del giudizio, la cui sorte era e rimane regolamentata solo dall’impugnato diniego di sanatoria espresso dal Comune il 14 agosto 2018, in riscontro alla prima istanza di sanatoria.

1.3- In ultimo, sempre sul piano dei rilievi preliminari rispetto al merito delle censure sollevate in ricorso, la difesa dell’amministrazione ha evidenziato che la SCIA presentata dai ricorrenti sarebbe inammissibile, in quanto avanzata dopo il decorso dei novanta giorni assegnati alla parte nell’ordinanza ingiunzione di demolizione dell’abuso.

L’osservazione della difesa del Comune risulta doppiamente inconducente. Sotto un primo profilo, l’asserita tardività della presentazione della SCIA non è stata mai dedotta dal competente ufficio comunale quale ragione per l’adozione di un provvedimento reiettivo;
si tratta, quindi, di una integrazione della motivazione del provvedimento di rigetto della domanda di sanatoria che appare, per la prima volta, nel corso del giudizio, e che trova fonte in una valutazione del difensore, piuttosto che dell’amministrazione. La violazione del divieto di integrazione postuma della motivazione del provvedimento risulta, dunque, evidente. In proposito, va richiamata e condivisa la giurisprudenza che distingue fra integrazione della motivazione effettuata dall’amministrazione, tramite atti del procedimento, e quella effettuata invece dal difensore della PA, con atti processuali: “ Nel processo amministrativo, l'integrazione in sede giudiziale della motivazione dell'atto amministrativo è ammissibile solo se effettuata mediante gli atti del procedimento - nella misura in cui i documenti dell'istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possono ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione assunta - oppure attraverso l'emanazione di un autonomo provvedimento di convalida. È invece inammissibile un'integrazione postuma effettuata in sede di giudizio, mediante atti processuali, o comunque scritti difensivi ” (Tar Lazio Roma 1572/2020).

Sotto altro profilo, anche se la SCIA in sanatoria fosse stata presentata al di là dei novanta giorni assegnati al privato per demolire l’abuso (come afferma la difesa dell’ente), si tratterebbe comunque di una irrilevante violazione del termine, dato che l’art, 37, co. 4, del D.P.R. 380/2001 – a differenza del precedente articolo 36 – non richiede il rispetto del citato termine di novanta giorni. Ma, in subordine, anche ove si volesse applicare analogicamente il termine procedimentale previsto dall’art. 36, non si può omettere di rilevare come, proprio alla luce di quella norma, la domanda di sanatoria risulta ammissibile non solo entro i novanta giorni indicati nell’ingiunzione, ma anche (ove superati) “ …. fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative ”. Ciò escluderebbe, quindi, ogni profilo di tardività nella presentazione dell’istanza avanzata dai ricorrenti.

2.- Esaurita la trattazione delle questioni preliminari, si passa ora all’esame del merito delle censure.

Ragioni di economia processuale inducono ad esaminare direttamente il secondo ed il terzo motivo di ricorso, essendo fondate le censure in questi contenute.

Sostengono i ricorrenti che sia erroneo l’assunto dell’amministrazione laddove ha qualificato la veranda come manufatto non sanabile, ritenendo erroneamente sia che essa determini una non consentita modifica della sagoma dell’edificio e del prospetto affacciante sulla pubblica strada (modifiche, queste, vietate dall’art. 9 della L.R. 37/1985);
sia che il manufatto contrasti con la tipologia dei prospetti degli immobili, come previsti dal Piano particolareggiato A2 per il centro storico.

Dunque, due sono a parere dell’amministrazione gli ostacoli che impediscono l’accoglimento della sanatoria.

2.1- Riguardo al secondo – ossia, la violazione del “prospetto tipo” descritto nel Piano particolareggiato – risulta fondata la censura di insufficiente motivazione sollevata dai ricorrenti. Invero, sia il provvedimento di diniego della sanatoria adottato dal Comune, sia il sottostante preavviso, non specificano in alcun modo quali siano le “tipologie dei prospetti” prescritte nel Piano, né spiegano perché - nel caso di specie - tali “modelli” siano stati stravolti con la modifica effettuata dai ricorrenti.

2.2- Con riguardo alla prima ragione impeditiva della sanatoria, leggibile nel provvedimento impugnato, occorre verificare se la realizzazione della contestata veranda costituisca effettivamente variazione della sagoma dell’edificio, e se costituisca altresì modifica della facciata prospiciente sulla pubblica via.

In relazione al primo aspetto, la giurisprudenza ha specificato che: “ Ai fini della realizzazione di una veranda con chiusura di un balcone, trattandosi di opera comportante la costituzione di un nuovo volume, che va a modificare la sagoma di ingombro dell'edificio, è necessario il previo rilascio del permesso di costruire. ” (Cons. Stato, II, 1092/2020);
Il concetto di sagoma ricomprende l'intera conformazione plano-volumetrica della costruzione e il suo perimetro considerato in senso verticale e orizzontale e, quindi, il contorno che viene ad assumere l'edificio ” (Tar Salerno 53/2020);
La trasformazione di un balcone o di un terrazzo in veranda non costituisce una "pertinenza" in senso urbanistico. La veranda integra, infatti, un nuovo locale autonomamente utilizzabile, che viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie, con la conseguenza del necessario preventivo rilascio di permesso di costruire .” (Cons. Stato, VI, 5801/2018).

Secondo la riportata giurisprudenza, che interpreta la normativa nazionale, la chiusura di un balcone con veranda costituisce dunque variazione della sagoma, e comporta la realizzazione di un nuovo volume.

Tuttavia, in Sicilia, la fattispecie è normata dall’art. 20 della L.R. 4/2003, in base al quale “ In deroga ad ogni altra disposizione di legge, non sono soggette a concessioni e/o autorizzazioni né sono considerate aumento di superficie utile o di volume né modifica della sagoma della costruzione la chiusura di terrazze di collegamento oppure di terrazze non superiori a metri quadrati 50 e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie, ferma restando l'acquisizione preventiva del nulla osta da parte della Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali nel caso di immobili soggetti a vincolo ”.

Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano anche alla chiusura di verande o balconi con strutture precarie come previsto dall'articolo 9 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37;
”.

Per tali interventi la legge regionale prevede solo la presentazione di una relazione asseverata, ed il pagamento di un importo in denaro commisurato all’estensione della superficie interessata.

In base al comma 5 dello stesso articolo, poi, la realizzazione delle verande può essere anche sanata in un momento successivo rispetto alla realizzazione, dato che “ Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, altresì, per la regolarizzazione delle opere della stessa tipologia già realizzate ”.

Con particolare riguardo alla chiusura di balconi o verande con strutture precarie, l’art. 20 citato richiama i limiti contenuti nell’art. 9 della L.R. 37/1985, e dunque prescrive che non debba esservi: a) modifica della sagoma della costruzione, b) modifica dei fronti prospicienti pubbliche strade o piazze, c) aumento delle superfici utili e del numero delle unità immobiliari, d) modifica della destinazione d'uso delle costruzioni e delle singole unità immobiliari, e) pregiudizio alla statica dell' immobile. Lo stesso articolo 9, infine, precisa che “ Non è altresì considerato aumento di superficie utile o di volume nè modificazione della sagoma della costruzione la chiusura di verande o balconi con strutture precarie.

Dal combinato disposto delle citate norme emerge, dunque, che la chiusura del balcone o della veranda con struttura precaria non costituisce aumento di volume/superficie, né modifica della sagoma.

La conseguenza – con riguardo al caso ora in esame – è che il diniego di sanatoria adottato dal Comune di Villafranca Tirrena risulta illegittimo nella parte in cui assume che l’intervento realizzato non possa essere sanato perché costituisce modifica della sagoma dell’edificio.

2.3- Con riguardo al secondo aspetto – ossia al quesito se la modifica effettuata dai ricorrenti abbia determinato una variazione del prospetto dell’edificio sulla pubblica strada – deve escludersi in punto di fatto che sussista tale circostanza.

Infatti, la veranda in esame risulta del tutto “oscurata” alla vista, poiché tra la strada pubblica e la facciata dell’edificio è interposto un alto muro di cinta (sovrastato da ringhiera e pianta rampicante) che delimita un cortile interno, e che impedisce quindi di considerare l’immobile come affacciante sulla pubblica strada. Detta circostanza di fatto si evince agevolmente dalle fotografie prodotte in giudizio, ed è stata suffragata anche dall’Ispettore di Polizia Municipale che ha eseguito i rilievi. D’altronde, se non si tenesse conto di tale “barriera” fisica – come suggerisce la difesa del Comune resistente – si dilaterebbe oltre misura il concetto di immobile prospiciente sulla pubblica via, fino a ricomprendervi tutti quelli che, in modo non diretto ed immediato, si connotano per una posizione di mera vicinanza rispetto alla strada.

3.- In conclusione, alla luce di quanto fin qui esposto, il ricorso risulta fondato e va accolto.

4.- Si ritiene tuttavia che le spese processuali possano essere compensate fra le parti, tenuto conto del ragionevole dubbio che può aver colto l’amministrazione resistente in ordine alla qualificazione giuridica del manufatto oggetto di sanatoria.

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