Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-12-28, n. 202211464
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Pubblicato il 28/12/2022
N. 11464/2022REG.PROV.COLL.
N. 02883/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2883 del 2022 proposto dalla Corte dei conti, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dalla Commissione esaminatrice del concorso di referendario nel ruolo della Corte dei conti, in persona del legale rappresentante
pro tempore
,
ex lege
rappresentate e difese dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliate presso gli Uffici della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
avv. -OMISSIS-, rappresentato e difeso da se stesso e con domicilio digitale come da
P.E.C.
da Registri di Giustizia;
per la riforma,
previa sospensione dell’efficacia,
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – sede di Roma, Sezione Prima, n. -OMISSIS- del 18 febbraio 2022, resa tra le parti, con la quale è stato accolto il ricorso R.G. n. -OMISSIS-.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza appellata, presentata in via incidentale dalle Amministrazioni appellanti;
Viste la memoria di costituzione e difensiva e la documentazione dell’avv. -OMISSIS-;
Vista l’ordinanza n. -OMISSIS-del 19 maggio 2022, con cui è stata accolta l’istanza cautelare;
Vista la memoria finale delle Amministrazioni appellanti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 settembre 2022 il Cons. P D B e uditi per le parti l’Avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli e l’avv. -OMISSIS-;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con il ricorso in epigrafe la Corte dei conti, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Commissione esaminatrice del concorso di referendario nel ruolo della predetta Corte, hanno impugnato la sentenza del T.A.R. Lazio – Roma, Sez. I, n. -OMISSIS- del 18 febbraio 2022, chiedendone la riforma, previa sospensione dell’efficacia.
La sentenza appellata ha accolto il ricorso con motivi aggiunti proposto dall’avv. -OMISSIS- contro la sua non ammissione alla prova orale del concorso a n. 40 posti di referendario della Corte dei conti, indetto con decreto n. 25 del 27 marzo 2018, annullando gli atti nei limiti di interesse del ricorrente e ponendo a carico della P.A. l’obbligo di procedere a una nuova correzione degli elaborati del concorrente de quo da parte di una Commissione in diversa composizione.
Nell’appello vengono dedotti i seguenti motivi:
I) travisamento del fatto e violazione o falsa applicazione dall’art. 10, comma 7, del bando di concorso nei limiti in cui richiama l’art. 1 del d.P.R. n. 617/1965, e gli artt. 12, 13 e 16 del r.d. n. 1860/1925, parimenti falsamente applicati, giacché il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere che il bando di concorso prevedesse la scansione di due distinti momenti, quello di valutazione dei singoli commissari da dover consacrare nel verbale e, di poi, quello collegiale, e che l’omissione, nel caso di specie, della suddetta scansione avrebbe arrecato un vulnus al principio di concorsualità, inteso come obbligo di esaustiva motivazione e di trasparenza della procedura;
II) errata valutazione sull’insufficienza della motivazione di esclusione, nonché straripamento del T.A.R. sull’atto valutativo delle prove scritte afferente alla discrezionalità tecnica della Commissione di concorso, non sindacabile nei termini proposti dal ricorrente, poiché il Tribunale sarebbe incorso in errore nel ritenere “ insondabile ” e “ brachilogica ” la motivazione del giudizio negativo espresso dalla Commissione sugli elaborati del candidato, che non sarebbe tale e, comunque, sarebbe frutto di una valutazione non affetta ictu oculi da abnormità o manifesta illogicità.
Si è costituito in giudizio l’avv. -OMISSIS-, difendendosi personalmente e depositando una memoria con cui ha resistito all’appello di controparte, eccependone l’inammissibilità e in ogni caso l’infondatezza nel merito. L’appellato ha altresì riproposto il terzo motivo del ricorso di primo grado, assorbito dalla sentenza impugnata.
L’istanza cautelare delle Amministrazioni appellanti è stata accolta con ordinanza n. -OMISSIS-del 19 maggio 2022, in quanto munita del prescritto periculum in mora .
In vista dell’udienza di merito, le appellanti hanno depositato una memoria conclusiva, insistendo per la riforma della sentenza gravata.
All’udienza pubblica del 27 settembre 2022 sono comparsi i difensori delle parti, che hanno discusso brevemente la causa. Di seguito questa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Viene in decisione l’appello proposto dalla Corte dei conti, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dalla Commissione del concorso a referendario contro la sentenza del T.A.R. Lazio, Roma, che ha accolto il ricorso integrato da motivi aggiunti promosso dall’avv. -OMISSIS- avverso la sua non ammissione alla prova orale del concorso a referendario della Corte dei conti, indetto con decreto del Presidente della Corte n. 25 del 27 marzo 2018.
In particolare, il T.A.R. ha accolto i primi due motivi del ricorso dell’avv. -OMISSIS-, ritenendo fondate le censure con cui questi aveva lamentato che la correzione degli elaborati fosse stata svolta tramite l’attribuzione diretta del voto finale da parte della Commissione, quale giudizio già definitivo all’esito della discussione collegiale, accompagnato da una sintetica motivazione su ogni prova. Ciò, mentre la Commissione si era autovincolata ad una diversa scansione procedurale, in base alla quale ciascun Commissario avrebbe dovuto attribuire il voto ai singoli elaborati e solo dopo siffatta operazione la Commissione avrebbe attribuito il voto finale a ogni elaborato, costituito dalla media dei voti espressi dai singoli Commissari.
Secondo la scansione procedurale che Commissione avrebbe dovuto seguire, dunque, i voti finali di ogni prova avrebbero dovuto essere la sintesi e la media dei voti espressi separatamente da ciascun Commissario, e non un giudizio già geneticamente definitivo preso ab initio direttamente dall’organo collegiale: la valutazione finale, insomma, avrebbe dovuto scaturire da due momenti procedurali autonomi e distintamente documentati (voto dei singoli Commissari e poi loro sintesi nel voto finale frutto della valutazione unitaria della Commissione), al fine di rispettare il principio di concorsualità, declinato – sottolinea la sentenza appellata – come rispetto dell’obbligo di motivazione esaustiva e di trasparenza della procedura concorsuale.
L’inosservanza della scansione procedurale duplice a cui la Commissione si era autovincolata – nota conclusivamente il T.A.R. – comporta che non si riesca a comprendere ed accertare se il voto finale sia la sommatoria dei singoli voti e se la sommatoria sia corretta o viziata da errori di calcolo: il voto finale diventa in tal modo l’esito insondabile di un giudizio che nasce già collegiale, sintetizzato in un numero affiancato da una motivazione brachilogica.
Avendo accolto le censure ora viste, il T.A.R. ha assorbito le ulteriori censure del ricorrente.
Nell’appello le Amministrazioni contestano l’ iter argomentativo e le conclusioni a cui è pervenuta la sentenza impugnata. Con il primo motivo lamentano, innanzitutto, che ai fini del decidere sarebbero irrilevanti le diverse modalità di correzione degli elaborati seguite in altri concorsi (e in particolare in quello per referendario al T.A.R.), che hanno formato oggetto di produzione documentale da parte del ricorrente ed a cui la sentenza ha fatto cenno. Deducono, poi, che al contrario di quanto affermato dal primo giudice, l’art. 10, comma 7, del bando di concorso avrebbe richiamato le norme regolanti il concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria unicamente con riguardo alle modalità di raccolta in una sola busta delle buste contenenti gli elaborati di uno stesso candidato, nonché all’esame nella medesima seduta di detti elaborati e all’assegnazione contemporanea a ciascun elaborato del singolo punteggio: nessun richiamo avrebbe fatto il citato art. 10, comma 7, a quella parte della normativa regolante il concorso di accesso alla magistratura ordinaria (art. 1, comma 4, del d.P.R. n. 617/1965;art. 13 ed art. 16 del r.d. n. 1860/1925) che ha previsto la doppia scansione procedimentale del voto attribuito dai singoli Commissari e poi del voto finale da parte dell’organo collegiale.
Neppure corrisponderebbe al vero – insistono le appellanti – che la Commissione di concorso si fosse autovincolata alla suddetta doppia scansione procedimentale, che non risulterebbe dal verbale del -OMISSIS-, dove non si disporrebbe per nulla la verbalizzazione del singolo voto espresso da ogni Commissario, ma solamente che “ il voto finale attribuito a ciascun elaborato e costituente la sommatoria dei voti espressi da ciascun commissario, secondo le disposizioni del bando di concorso, sarà accompagnato da una sintetica motivazione ”.
Aggiungono le appellanti che la mancata verbalizzazione dei distinti punteggi assegnati dai singoli Commissari: a) non significherebbe in alcun modo che non vi sia stata una valutazione singolarmente operata;b) non condurrebbe alle conclusioni del T.A.R., essendo l’irrilevanza dell’esternazione dei voti dei singoli Commissari patrimonio acquisito dalla giurisprudenza amministrativa.
Con il secondo motivo le appellanti censurano il giudizio di insufficienza contenuto nella motivazione sintetica con la quale la Commissione ha giustificato la sua valutazione negativa degli elaborati del ricorrente, considerata dal primo giudice “ insondabile ” e “ brachilogica ”.
L’assunto del T.A.R. non sarebbe condivisibile in sé, poiché detta motivazione, non solo numerica, non sarebbe per nulla insondabile e brachilogica;sarebbe, inoltre, errato per straripamento di potere del giudice di prime cure, atteso che i giudizi espressi invaderebbero il merito della valutazione del candidato, riservata alla Commissione e non sindacabile nei termini proposti, non risultando nella sentenza di primo grado che la medesima valutazione fosse ictu oculi abnorme e/o manifestamente illogica.
Nella fattispecie in esame – concludono le appellanti – la Commissione, dopo aver preliminarmente individuato una griglia completa di criteri valutativi, li ha applicati in sede di disamina degli elaborati redatti dal ricorrente, esternando, infine, le specifiche ragioni di ciascun voto.
Pertanto, la pretesa di ulteriori argomenti motivazionali, addirittura nella fase dialettica nella quale i singoli Commissari esprimono la propria votazione della prova, contrasterebbe con l’orientamento unanime e granitico della stessa giurisprudenza amministrativa.
L’appellato si costituisce in giudizio e eccepisce anzitutto l’inammissibilità dell’appello siccome non notificato al soggetto (il dott. -OMISSIS-, uno dei vincitori del concorso) che egli stesso ha identificato come controinteressato in primo grado, notificandogli il ricorso, e che nel giudizio innanzi al T.A.R. è rimasto contumace. Sempre sul piano processuale, eccepisce ancora l’inammissibilità dell’appello perché rivolto unicamente contro i motivi accolti dal primo giudice e non avverso le altre censure del ricorso di primo grado che il T.A.R. ha assorbito. Contesta poi nel merito la fondatezza dei motivi di gravame e, da ultimo, ripropone il terzo motivo del ricorso di primo grado, assorbito dalla sentenza appellata.
Le eccezioni di rito sollevate dall’appellato sono prive di pregio.
È, anzitutto, infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello per omessa notifica dello stesso al soggetto (il dott. -OMISSIS-) individuato dal ricorrente in primo grado come controinteressato e rimasto contumace nel giudizio innanzi al T.A.R.;si tratta, infatti, di un soggetto il quale, in quanto vincitore del concorso, è cointeressato rispetto alle Amministrazioni appellanti, sicché non vi era alcun onere per le ridette appellanti di notificargli il gravame: ciò, in base al principio stabilito dall’art. 95 c.p.a., secondo cui l’impugnazione della sentenza pronunciata in causa non inscindibile o in cause non tra loro indipendenti deve essere notificata alle sole parti che hanno interesse a contraddire in quanto controinteressate, mentre non rivestono questa qualità le altre parti private evocate in primo grado, che rivestono, semmai, la qualità di cointeressati (cfr. C.d.S., Sez. IV, 16 gennaio 2019, n. 400;Sez. V, 7 luglio 2015, n. 3342;Sez. III, 23 dicembre 2014, n. 6363;per l’identica soluzione nel vigore della disciplina anteriore al Codice del processo amministrativo: C.d.S., A.P., 24 marzo 2004, n. 7;Sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6327;id., 1° ottobre 2004, n. 6405).
“ La corretta esegesi dell’art. 95 del c.p.a. postula, infatti, la necessità di distinguere il soggetto controinteressato all’impugnazione (cui spetta la notificazione del gravame) da quello soltanto cointeressato alla lite (cui non spetta la detta notificazione). In quest’ultimo caso, infatti, non sussiste l’interesse a contraddire in ordine al gravame, essendo la posizione processuale rivestita da tale soggetto, rispetto alla sentenza gravata, di sostanziale omogeneità (Consiglio di Stato sez. V, 20 dicembre 2013 n. 6136;Consiglio di Stato sez. V, 7 luglio 2015 n. 3342) ” (così C.d.S., Sez. IV, n. 400 del 2019, cit.).
È infondata, altresì, l’eccezione in base alla quale il gravame sarebbe inammissibile perché rivolto in via esclusiva contro le censure accolte dal primo giudice, dimenticando gli altri motivi del ricorso di primo grado che il T.A.R. ha assorbito.
Osserva, infatti, in contrario il Collegio che, trattandosi di motivi assorbiti, non vi sono capi della sentenza di primo grado che si siano pronunciati su detti motivi e che, come tali, avrebbero potuto e/o dovuto essere impugnati dall’appellante.
Venendo alla disamina dell’appello, si osserva quanto segue.
Il Collegio rileva, in via preliminare, problemi di ammissibilità del ricorso di primo grado nonché di completezza del contraddittorio, legati all’accoglimento, ad opera del primo giudice, della domanda di annullamento presentata dall’avv. -OMISSIS-: quest’ultimo aveva infatti chiesto, in uno con il suddetto annullamento, in via principale l’ammissione immediata alle prove orali e, in via subordinata, la ricorrezione dei suoi elaborati scritti (con garanzia dell’anonimato).
Nell’accogliere il ricorso, il T.A.R. ha statuito, quale effetto conformativo esplicito, l’obbligo per la P.A. di procedere ad una nuova correzione degli elaborati del ricorrente per mezzo di una diversa Commissione con garanzia dell’anonimato, Senonché, l’effetto conformativo implicito della sentenza appellata è che siffatta ricorrezione debba essere svolta secondo la procedura bifasica sopra ricordata (attribuzione del voto a ogni elaborato da parte dei singoli Commissari, con relativa verbalizzazione, quindi attribuzione del voto collegiale): ma è lo stesso ricorrente a dolersi del mancato rispetto di tale procedura bifasica ad opera della Commissione nella correzione degli elaborati e non c’è ragione di ritenere che detta omissione non abbia riguardato anche gli altri candidati e in specie quelli risultati vincitori del concorso.
Ne discende che l’accoglimento del ricorso, in quanto limitato alla sola posizione del ricorrente, fa sì che costui sarebbe l’unico candidato per il quale la correzione degli elaborati verrebbe eseguita con la duplice scansione procedurale (voto dei singoli Commissari e poi voto della Commissione), mentre per gli altri concorrenti la modalità di correzione delle prove resterebbe – secondo quanto afferma lo stesso ricorrente – quella del voto unico collegiale direttamente attribuito ai singoli elaborati dalla Commissione. È, però, evidente che in questo modo si determinerebbe in favore del ricorrente una posizione di potenziale privilegio del tutto ingiustificata, avendo tutti gli aspiranti (vincitori e non del concorso) il medesimo interesse a uguali condizioni di correzione degli elaborati ed essendo per tal verso le loro posizioni inscindibili;e il problema persisterebbe in caso di conferma della decisione di prime cure. Di tal ché, in conclusione, l’unico esito possibile del giudizio sarebbe stato l’annullamento dell’intera procedura di correzione degli elaborati scritti, ai fini della sua rinnovazione con le stesse modalità per tutti i candidati: ma un tale esito: a) da un lato avrebbe comportato a carico della sentenza il rischio di incorrere nell’ultrapetizione, andando al di là delle richieste del ricorrente;b) dall’altro, avrebbe reso necessaria l’estensione del contraddittorio processuale a tutti i vincitori del concorso, in quanto interessati a tenerne fermo l’esito, il che non è però avvenuto.
In conclusione: da una parte la domanda del ricorrente accolta dal T.A.R. (quella di annullamento del giudizio negativo sulle sue prove scritte, con ricorrezione delle stesse) pecca di ammissibilità, perché non tiene conto dell’inscindibilità delle posizioni degli aspiranti quanto alle modalità di correzione dei loro elaborati. Né è ipotizzabile che ad essa si accompagnasse una decisione della P.A., di propria iniziativa, di estendere le operazioni di ricorrezione con le succitate modalità a tutti i concorrenti, al fine di ripristinare la par condicio , per la lesione che ne sarebbe derivata all’affidamento dei vincitori del concorso. D’altra parte, dalla visione degli atti emerge che il vizio processuale di incompletezza del contraddittorio non risulta essere stato emendato.
In disparte le suindicate criticità della sentenza impugnata, l’appello proposto dalle Amministrazioni avverso la stessa è comunque fondato nel merito, essendo fondati i due motivi in cui esso si articola, mentre non è fondato il terzo motivo del ricorso di primo grado, assorbito dal T.A.R. e riproposto ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a., dall’appellato.
Il Collegio esamina prioritariamente il suddetto terzo motivo del ricorso di primo grado, con il quale era stata censurata la presunta violazione della normativa concorsuale in tema di incompatibilità ed anticorruzione per l’omessa esibizione dei verbali dove risultassero, “ se del caso ”, fornite da parte di ciascun Commissario le dichiarazioni, da rendere prima dello svolgimento delle prove, di assenza di cause di incompatibilità, inconferibilità e conflitto di interessi: ciò, in (asserita) violazione degli artt. 3 e 97 Cost., dell’art. 51 c.p.c., del combinato disposto degli artt. 11 e 12 del d.P.R. n. 487/1994, del d.lgs. n. 165/2001, della l. n. 190/2012, del d.P.R. n. 62/2013, nonché dei principi generali in materia di concorsi pubblici.
La difesa erariale ha, però, eccepito nelle memorie del giudizio di primo grado l’inammissibilità del motivo, siccome espresso in forma dubitativa, e tale eccezione va accolta, in quanto, a ben guardare, il ricorrente non ha negato l’esistenza delle suddette dichiarazioni, ma si è limitato a dubitarne, sulla base della mancata esibizione dei verbali che avrebbero dovuto contenerle (e che, peraltro, avrebbe potuto richiedere in sede di accesso agli atti). Che la doglianza sia espressa in forma dubitativa, si coglie anche sul piano testuale dalla sua formulazione, in cui, come appena visto, il ricorrente parla di dichiarazioni da rendersi “ se del caso ”, così configurando la violazione lamentata in termini del tutto astratti e ipotetici.
La formulazione dubitativa e meramente esplorativa della doglianza la rende inammissibile e tale da dover essere respinta (cfr., ex plurimis , C.d.S., Sez. IV, 6 settembre 2022, n. 7740;id., 31 dicembre 2019, n. 8916;Sez. V, 4 gennaio 2021, n. 61;id., 20 marzo 2020, n. 2000;Sez. III, 27 febbraio 2019, n. 1380;Sez. VI, 10 settembre 2015, n. 4225).
Nel merito, poi, la difesa erariale ha eccepito nei predetti scritti difensivi che le dichiarazioni rese dai Commissari relativamente all’assenza di situazioni di incompatibilità con i concorrenti si trovano in allegato al verbale della Commissione n. 1 del 21 giugno 2018, quindi sono state rese anteriormente allo svolgimento delle prove concorsuali. Tale allegazione non ha formato oggetto di contestazione specifica in appello (mentre è l’Avvocatura dello Stato ad avere specificamente contestato in primo grado le deduzioni del ricorrente), sicché per essa opera la regola dell’art. 64, comma 2, c.p.a., con il corollario che – in definitiva – il motivo di ricorso ora analizzato, oltre che inammissibile, è privo di fondamento.
Procedendo di seguito con ordine, è anzitutto fondato il primo motivo di appello.
Invero, la pretesa di una formale doppia scansione procedurale per la correzione di ogni elaborato, articolata in una prima fase in cui ciascun Commissario avrebbe dovuto esprimere il proprio voto e verbalizzarlo e in una seconda fase collegiale, in cui la Commissione avrebbe dovuto procedere alla sommatoria dei voti espressi dai singoli Commissari, dalla quale sarebbe scaturito il voto finale (da accompagnare con una sintetica motivazione):
a) non trova appiglio nella lex specialis del concorso;
b) non è nemmeno coerente con le finalità giuridiche che, da un lato, la sentenza (lì dove richiama l’obbligo di esaustiva motivazione, espressivo del principio della concorsualità), dall’altro l’appellato (che invoca la garanzia di equilibrio delle votazioni) pretendono di riconnettervi.
In proposito il Collegio osserva, anzitutto, che, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza di prime cure, la surriferita doppia scansione procedurale non si evince né dall’art. 10, comma 7, del bando di concorso di cui al decreto del Presidente della Corte dei conti n. 25 del 27 marzo 2018, né, tantomeno, dal verbale della Commissione di concorso -OMISSIS-,
Più in particolare, l’art. 10, comma 7, del bando di concorso stabilisce che: “ Si applicano le norme relative al concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria di cui all’articolo l del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1965, n. 617 ed all’articolo l del decreto del Presidente della Repubblica 7 febbraio 1949, n. 28, per quanto concerne il raggruppamento in unica busta delle buste contenenti gli elaborati dello stesso candidato, l’esame nella medesima seduta degli elaborati stessi e l’assegnazione contemporanea a ciascuno del singolo punteggio ”.
Come giustamente osservano le Amministrazioni appellanti, quindi, il richiamo operato dalla clausola del bando in esame alle norme relative al concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria (d.P.R. n. 617/1965 e d.P.R. n. 28/1949) è espressamente limitato al raggruppamento in un’unica busta delle buste contenenti gli elaborati dello stesso candidato, all’esame nella medesima seduta degli elaborati stessi e all’assegnazione contemporanea a ciascuno del singolo punteggio e non contempla affatto la formalizzazione nel verbale del punteggio attribuito dal singolo Commissario, ma soltanto di quello finale per ciascun elaborato.
Né può sostenersi, come fa l’appellato, che vi sono altre clausole del bando da cui si ricaverebbe la duplice scansione procedurale delle operazioni di correzione, poiché le clausole richiamate (i commi 1 e 2 dell’art. 11) si limitano a stabilire: a) che per la valutazione delle prove scritte ogni Commissario dispone di dieci punti per ciascuna prova;b) che sono ammessi all’orale i candidati con una media di almeno quaranta cinquantesimi nel complesso delle prove scritte e con non meno di trentacinque cinquantesimi in ognuna di esse. Nulla dicono le clausole ora viste sulle modalità di attribuzione dei voti.
A sua volta, il verbale n. 18 così recita: “ La Commissione decide, inoltre, che il voto finale attribuito a ciascun elaborato e costituente la sommatoria dei voti espressi da ciascun Commissario, secondo le disposizioni del bando di concorso, sarà accompagnato da una sintetica motivazione ”.
Orbene, intendere – come fa l’appellato e come discende dalla lettura che la sentenza gravata ha dato di detto verbale – l’attribuzione del voto finale all’elaborato da parte della Commissione come una mera operazione di sommatoria meccanica dei voti dei singoli Commissari, toglie qualunque valore alla “ sintetica motivazione ” pure prevista per il medesimo voto finale.
Ed infatti, se il voto collegiale fosse solo la sommatoria dei voti di ogni Commissario, la motivazione sarebbe in re ipsa , nel senso che la motivazione coinciderebbe con la suddetta sommatoria: ma, allora, la previsione della sua necessità sarebbe priva di senso. Poiché, invece, la Commissione di concorso si è autovincolata a esprimere una motivazione “ sintetica ” del voto finale da essa attribuito, è chiaro che essa ha inteso – in coerenza con le modalità di funzionamento degli organi collegiali – riservarsi il compito di effettuare una valutazione collegiale dell’elaborato, nel cui ambito sarebbero confluite le valutazioni dei singoli Commissari (espresse in voti). Ed è soltanto a seguito di detta valutazione collegiale che ha poi assegnato il voto finale e ne ha indicato in sintesi le ragioni.
In altre parole, in base allo stesso autovincolo invocato dall’appellato, il voto finale attribuito a ogni prova scritta non è la semplice meccanica sommatoria dei voti dei singoli Commissari, ma il frutto di una valutazione complessiva che l’organo collegiale effettua su ciascun elaborato e che lo porta ad esprimere su tale elaborato un giudizio compendiato dal suddetto voto finale: e di questo giudizio la “ sintetica ” motivazione espone, appunto in sintesi, le ragioni. In tal modo, la valutazione dei singoli Commissari non si esprime all’esterno, ma resta all’interno dell’organo collegiale, andando – come detto – a confluire in quella complessiva dell’organo, nel quadro di un’attività valutativa che si svolge senza soluzione di continuità: ma ciò non significa certo che una valutazione di tal tipo non ci sia, né che la stessa venga poi tradita dal voto finale.
Tanto premesso, la correzione delle prove scritte dell’odierno appellato ha rispettato rigorosamente l’autovincolo che la Commissione si era data, inteso nel senso ora visto.
Nello specifico, infatti, il candidato nella prova teorica di diritto civile ha riportato il voto di 32, con il giudizio sintetico di: “ Trattazione poco aderente al tema ed in taluni punti ridondante ”. Nella prova teorica di diritto amministrativo e costituzionale ha ottenuto il voto di 37, con il giudizio sintetico di “ Valido inquadramento benché con qualche squilibrio nella trattazione delle questioni affrontate ”. Nella prova teorica di contabilità pubblica e diritto finanziario ha riportato il voto di 35, con il giudizio sintetico di “ Trattazione aderente alla traccia anche se in taluni punti prolissa ”. Infine, nella prova pratica di contabilità pubblica ha ottenuto il voto di 40, con il giudizio sintetico di “ Trattazione svolta compiutamente ”.
Dunque, l’omessa formalizzazione dell’espressione del voto dei singoli Commissari può integrare, al più, una mera irregolarità, ma non è in grado di infirmare la legittimità dell’attività valutativa svolta dalla Commissione.
Come detto, la circostanza che per il candidato sia mancata la formalizzazione dell’espressione del voto da parte di ogni singolo Commissario, non significa che il voto non sia stato espresso: significa invece che tale espressione, nella logica degli interna corporis , si è formata e manifestata all’interno del lavoro compiuto secondo un continuum dall’organo collegiale ed ha concorso alla formulazione del giudizio finale da parte dello stesso organo, restandovi assorbita. Di tal ché, in conclusione, la sua mancata documentazione per iscritto nel verbale non incide sulla legittimità degli atti impugnati, non traducendosi in un vizio dell’operato della Commissione.
Conforta l’ora vista conclusione la recente giurisprudenza di questo Consiglio espressasi in materia di concorsi pubblici (Sez. II, 28 dicembre 2021, n. 8650), secondo cui:
“ La Commissione è un organo collegiale che in linea generale, a meno che la disciplina della specifica procedura non preveda diversamente (come avviene ad esempio per i concorsi universitari in cui si distinguono i giudizi dei Commissari da quelli collegiali), esprime un giudizio unitario, il quale presuppone la espressione della volontà unitaria dei Commissari a seguito di una valutazione collegiale.
La giurisprudenza di questo Consiglio, infatti, ha affermato che le modalità di formazione del voto hanno un mero rilievo interno e che l’unico dato che assume rilievo esterno è il voto finale, quale sintesi di tutto l’ iter compiuto e della valutazione effettuata, mentre, ai fini della validità degli atti posti in essere dalla Commissione giudicatrice in merito alla assegnazione dei voti, è sufficiente la verbalizzazione del punteggio complessivo attribuito al singolo candidato, attestante l’intero procedimento di valutazione (Cons. Stato Sez. IV, 12 luglio 2013, n. 3754).
Inoltre, la giurisprudenza ha elaborato analoghi principi con riferimento alla verbalizzazione dei giudizi nelle procedure concorsuali per l’affidamento degli appalti pubblici, ma con argomentazioni da cui si ritrae un principio generale applicabile anche alle altre procedure di concorso, per cui l’attribuzione di un giudizio unitario e sintetico non denota che sia stata sacrificata l’autonomia valutativa di ciascun commissario che si manifesta nel concorso alla formulazione del giudizio unitario nel dibattito collegiale, in quanto la sintesi dei giudizi espressi dai singoli commissari viene operata ex ante , cioè nella fase di valutazione da parte della commissione, la quale fin dall’inizio, nella sua espressione “esterna” e formale, assume carattere unitario e complessivo;gli apprezzamenti dei commissari sono quindi destinati ad essere assorbiti nella decisione collegiale finale, costituente momento di sintesi della comparazione e composizione dei giudizi individuali (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 26 aprile 2019, n.2682;id, 27 dicembre 2019, n. 8869;Sez. V, 14 febbraio 2018 , n. 952;Sez. III, 13 ottobre 2017 n. 4772;Sez. V, 8 settembre 2015, n. 4209 e Sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 810) ”.
Quanto alla pretesa carenza di verbalizzazione, questa Sezione, con sentenza n. 743 del 2 febbraio 2022, ha avuto modo di affermare che le “ eventuali lacune del verbale possono causare l’invalidità dell’atto verbalizzato solo nel caso in cui esse riguardino aspetti dell’azione amministrativa la cui conoscenza risulti necessaria per poterne verificare la correttezza, mentre quelli concernenti aspetti diversi e non determinanti danno luogo a mere irregolarità formali, come tali inidonee a comportare l’illegittimità dell'atto che tali omissioni presenti ”.
È, pertanto, irrilevante che la procedura di scansione del voto formalizzata in una duplice fase non avrebbe comportato un aggravio del procedimento, come afferma l’appellato, ed è pure irrilevante il suo richiamo (condiviso dal T.A.R.) ad altri concorsi, poiché nel caso di specie – va ribadito – né la lex specialis , né il verbale n. 18 della Commissione contemplavano tale scansione.
Le ulteriori mende segnalate dall’appellato (la mancata annotazione in calce ad ogni elaborato del voto in lettere;la mancata firma del Presidente e del Segretario in calce agli elaborati) rappresentano anch’esse, ad avviso del Collegio, mere irregolarità che non inficiano l’operato della Commissione, mentre la supposizione che ne trae il candidato – la possibilità che i voti siano stati espressi a caso – non oltrepassa il livello dell’illazione gratuita e sfornita di prove.
Da questo punto di vista, per vero, l’appellato si diffonde, nelle sue difese, in molteplici supposizioni ed illazioni, che non trovano alcun addentellato negli atti di causa.
Così, ad es., lì dove ipotizza che il voto espresso da ogni Commissario sia stato dato non per intero, ma per frazioni di punto e che, con la correzione di dette frazioni, alla prova teorica di diritto civile avrebbe potuto essere attribuito il voto di 34, anziché 32, il che, però, – è agevole obiettare – non ne avrebbe modificato il giudizio di insufficienza.
Analogamente, sono irrilevanti e meramente ipotetiche le successive ricostruzioni che il candidato fa delle modalità attraverso cui si sarebbe formato il voto finale da lui conseguito nella prova teorica di diritto civile (32), giungendo a ipotizzare, senza il benché minimo riscontro, che tale voto possa essere stato l’esito di una valutazione sufficiente di ben quattro Commissari (7/10) e di quella gravemente insufficiente di un solo Commissario (4/10), la quale, però, avrebbe finito da sé sola per determinare l’esito finale di insufficienza della prova. Del pari senza alcun fondamento è la doglianza imperniata sull’ordine di correzione degli elaborati scritti, che vedeva al primo posto la prova di diritto civile, il cui voto insufficiente avrebbe influenzato (e falsato) il giudizio della Commissione sulle altre prove: ma l’appellato non si avvede che l’obbligo di motivazione sintetica del voto finale di ogni elaborato, puntualmente assolto dalla Commissione, è garanzia rispetto a eventualità del genere.
Ed invero, “ chi contesta la legittimità degli atti di una procedura di gara o di concorso non può basare la sua deduzione solo sulla mancata menzione a verbale della regolarità delle operazioni in ogni loro singolo passaggio, ma ha l’onere di provare in positivo le circostanze e gli elementi idonei a far presumere che un’irregolarità abbia avuto luogo. In assenza di tale prova, si può desumere che le operazioni non descritte nel verbale si siano svolte secondo quanto le norme prevedono ” (C.d.S., Sez. VIII, n. 743/2022, cit.;Sez. VI, 2 febbraio 2018, n. 677;Sez. V, 19 agosto 2015, n. 3948;Sez. III, 3 agosto 2015, n. 3803): e nel caso di specie non vi è il benché minimo elemento probatorio che consenta di supporre, come fa l’appellato, che i voti dei suoi elaborati siano stati attribuiti in modo erroneo, per frazioni di punto, ovvero addirittura casualmente.
Parimenti fondato è il secondo motivo dell’appello.
Invero, il rimprovero che il primo giudice muove all’operato della suddetta Commissione – l’essere il voto finale da questa espresso l’esito insondabile di un giudizio che nascerebbe già collegiale e che, per di più sarebbe sintetizzato in un numero affiancato da una brachilogica motivazione – non tiene conto, anzitutto, del fatto che il carattere brachilogico, id est conciso, della motivazione del giudizio collegiale discendeva, come si è ampiamente visto, dallo stesso autovincolo che la Commissione si era imposta.
In secondo luogo, detto rimprovero si basa su una pretesa insondabilità del giudizio che, però, non sussiste, giacché la sintetica motivazione del voto finale dà sufficientemente conto delle ragioni che hanno portato la Commissione a esprimere il proprio voto. Ciò emerge con chiarezza dal confronto tra la valutazione espressa per la prova teorica di diritto civile, in cui si addebita al candidato di avere svolto una trattazione “ poco aderente al tema ed in taluni punti ridondante ” e quella concernente la prova pratica di contabilità pubblica, per la quale si afferma che la trattazione da parte del candidato è stata “ svolta compiutamente ”: sono, invero, chiaramente esplicitate le ragioni alla base del divario nel voto tra le due prove (rispettivamente 32 e 40), che risulta, così, giustificato.
In terzo luogo, è evidente in alcune repliche dell’appellato al secondo motivo di gravame il tentativo di indurre il giudice a sostituire le valutazioni opinabili della Commissione con le proprie valutazioni: ma tale sostituzione è, per giurisprudenza costante, inammissibile (cfr., ex multis , C.d.S., Sez. VII, 12 settembre 2022, n. 7926;id., n, 743/2022, cit.;Sez. VI, 3 febbraio 2022, n. 757;id., 7 ottobre 2021, n. 6696;id., 19 febbraio 2020, n. 1257;Sez. II, 22 novembre 2021, n. 7772;Sez. III, 23 aprile 2019, n. 2593;Sez. V, 7 maggio 2018, n. 2689).
Tale tentativo si rinviene, anzitutto nel rimprovero mosso dal candidato ai giudizi della Commissione, che lo avrebbero penalizzato sulla base di criteri formali e stilistici, anziché di criteri sostanziali, i quali invece, ad avviso dell’avv. -OMISSIS-, sarebbero più importanti in una scala di valore di un concorso a referendario. Egli insiste, sul punto, che non avendo la Commissione individuato il peso ponderale da attribuire a ciascuna voce dei criteri generali, ognuna di queste avrebbe avuto un peso identico alle altre, mentre, come si è detto, i criteri stilistico-formali non potrebbero avere un valore paragonabile a quelli sostanziali.
Così argomentando, tuttavia, l’appellato non considera che i predetti criteri “stilistici” (chiarezza di esposizione, capacità di sintesi e di inquadramento sistematico degli istituti, coerenza dell’elaborato rispetto alla traccia, linearità logica delle argomentazioni giuridiche) sono pienamente ricompresi tra i criteri di valutazione contenuti nel verbale -OMISSIS- e che non spetta a questo giudice sostituirsi alla Commissione nell’apprezzarne il relativo “peso” o valore. Invero, “ nella fissazione dei criteri di valutazione delle prove scritte (…..) la Commissione gode di un’ampia discrezionalità, la quale, pur non precludendo in principio, il sindacato giurisdizionale, non consente, comunque, che nell’esercizio di questo il giudice possa sostituirsi all’Amministrazione compiendo valutazioni di merito o di opportunità, che devono, al contrario, senz’altro ritenersi riservate all’Amministrazione ” (così C.d.S., Sez. VI, 17 giugno 2014, n. 3049).
Per questo verso, dunque, neppure è sindacabile la scelta della Commissione di non individuare una “griglia di afferenza” dei giudizi (sufficiente, più che sufficiente, buono, ecc.) ai punteggi numerici: griglia di cui, peraltro, l’appellato non riesce a dimostrare l’utilità.
Analogamente, l’appellato effettua una comparazione con gli elaborati degli altri candidati, i quali, a fronte di prove che conterrebbero incompletezze contenutistiche ed errori di rito dal punto di vista giuridico, avrebbero ottenuto migliori valutazioni, ovvero, a fronte degli stessi errori stilistico-formali addebitati ai suoi elaborati, avrebbero conseguito voti sufficienti a determinare l’applicazione dei cd. meccanismi compensativi e l’ammissione alle prove orali. Lamenta, ancora, che: la prova teorica di contabilità pubblica sarebbe stata giudicata appena sufficiente (pari a 35), “ a fronte di un giudizio che avrebbe dovuto essere sicuramente superiore per più commissari ”;la prova di diritto amministrativo e costituzionale sarebbe stata giudicata buona (pari a 37) “ per più commissari che verosimilmente hanno espresso un giudizio numerico di 8 ed il giudizio avrebbe dovuto essere superiore per gli altri commissari ”;la prova di diritto civile e commerciale sarebbe stata giudicata leggermente insufficiente (pari a 32) “ a fronte di un giudizio non condiviso da alcuni commissari (almeno 2 se non più) secondo cui quella prova era da ritenersi buona e sufficiente all’ammissione agli orali ”.
In contrario, tuttavia, è d’uopo richiamare l’orientamento della giurisprudenza consolidata, secondo cui “ è sottratto al sindacato del giudice amministrativo l’esame nel merito del giudizio espresso dalla Commissione, in quanto le valutazioni espresse dalle Commissioni giudicatrici in merito alle prove di concorso, seppure qualificabili quali analisi di fatti (correzione dell’elaborato del candidato con attribuzione di punteggio o giudizio) e non come ponderazione di interessi, costituiscono l’espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l’idoneità tecnica e/o culturale, ovvero attitudinale, dei candidati, con la conseguenza che le stesse valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo, se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico od un errore di fatto, o ancora una contraddittorietà ictu oculi rilevabile ossia riscontrabili dall’esterno e con immediatezza dalla sola lettura degli atti, mentre il giudice non può ingerirsi negli ambiti riservati alla discrezionalità tecnica, sostituendo il proprio giudizio a quello della Commissione, se non nei casi in cui il giudizio si appalesi viziato sotto il profilo della abnormità logica (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 18 giugno 2021 n. 4717;Sez. II, 20 novembre 2020, n. 7216;Sez. IV, 1 luglio 2020, n. 4226;Sez. IV, 26 ottobre 2018, n. 6103;sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 871) ” (così C.d.S., Sez. II, n. 8650/2021, cit.).
In merito, infine, alle doglianze dell’appellato sull’eccessiva ristrettezza dei tempi di correzione degli elaborati, a confutazione delle stesse è sufficiente richiamare una recente pronuncia di questa Sezione, poc’anzi già citata (2 febbraio 2022, n. 743), nella quale si è affermato:
“ Quanto, poi, alla pretesa insufficienza del tempo asseritamen (t) e impiegato dalla Commissione per valutare ciascun titolo, è sufficiente richiamare la pacifica giurisprudenza per cui “non è sindacabile in sede di legittimità la congruità del tempo dedicato dalla commissione giudicatrice alla valutazione delle prove d’esame di candidati: in primo luogo, infatti, manca una predeterminazione, sia pure di massima, ad opera di legge o di regolamenti, dei tempi da dedicare alla correzione degli scritti;in secondo luogo, non è possibile, di norma, stabilire quali concorrenti abbiano fruito di maggiore o minore considerazione e se, quindi, il vizio dedotto infici in concreto il giudizio contestato;inoltre, i calcoli risultano scarsamente significativi laddove siano stati effettuati in base ad un computo meramente presuntivo, derivante dalla suddivisione della durata di ciascuna seduta per il numero dei concorrenti o degli elaborati esaminati” (Cons. Stato, Sez. IV, 13 aprile 2016, n. 1446 con la giurisprudenza ivi richiamata: id. Sez. IV, 12 novembre 2015, n. 5137;id., Sez. VI, 1 febbraio 2013, n. 614;in termini, cfr. anche Cons. Stato, Sez. IV, 12 luglio 2013, n. 3754;id., 1 agosto 2012, n. 3103;id., 23 febbraio 2012, n. 970;id., 13 luglio 2011, n. 4237)”.
Ancora una volta l’appellato adombra, poi, supposizioni prive di prova, lì dove lamenta la “ sfortuna ” di aver visto i suoi elaborati corretti nel terzo giorno di correzione e tra gli ultimi di quella giornata, il che avrebbe inciso negativamente sull’esito, sia per l’alto numero di elaborati corretti in tale seduta, sia perché se i suoi scritti fossero stati valutati in altro momento (in una seduta con meno prove da correggere, o al principio della giornata di correzioni), la Commissione avrebbe potuto apprezzarne gli spunti qualitativi offerti nella stesura. Ma è evidente l’inammissibilità della pretesa di scegliersi il momento della correzione, per giunta a detrimento di altri candidati, e d’altra parte il rimedio di una limitazione del numero giornaliero di elaborati da correggere avrebbe comportato una dilatazione dei tempi della suddetta correzione palesemente contraria al principio costituzionale del buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.).
In conclusione, i motivi dell’appello sono ambedue fondati e da accogliere, mentre non sono fondate le eccezioni di rito e di merito formulate al riguardo dall’appellato.
La fondatezza dell’appello comporta l’accoglimento dello stesso e quindi, in riforma della sentenza appellata, l’integrale reiezione del ricorso di primo grado.
Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del doppio grado del giudizio, tenuto conto della particolarità e complessità delle questioni trattate.